Cass. Sez. III n. 34763 del 26 settembre 2011 (Ud.21 giu.2011)
Pres. Petti Est.Fiale Ric.Bianchi
Urbanistica.Costruzioni precarie
Non implica precarietà dell'opera e richiede, pertanto, il permesso di costruire, il carattere stagionale di essa, potendo quest'ultima essere destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PETTI Ciro - Presidente - del 21/06/2011
Dott. FIALE Aldo - rel. Consigliere - SENTENZA
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - N. 1449
Dott. RAMACCI Luca - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ANDRONIO Alessandro - Consigliere - N. 43062/2010
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) BIANCHI MASSIMILIANO, N. IL 06/08/1971;
avverso la sentenza n. 5332/2009 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 28/05/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/06/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Fodaroni Giuseppina, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 28.5.2010, confermava la sentenza 8.6.2009 del Tribunale di Lucca - Sezione distaccata di Viareggio, che aveva affermato la responsabilità penale di Bianchi Massimiliano in ordine ai reati di cui:
- agli artt. 54 e 1161 c.n. (per avere arbitrariamente occupato aree demaniali marittime, installando strutture varie di uno stabilimento balneare e ricreativo in prossimità della battigia - acc. in Forte dei Marmi, il 5.8.2005);
- al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 44, lett. c), (per avere realizzato le strutture anzidette, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, in assenza del prescritto permesso di costruire);
- al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 (per avere realizzato le strutture anzidette, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, in assenza della prescritta autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo);
e, unificati tutti i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. c.p., lo aveva condannato alla pena complessiva (interamente condonata) di mesi due di arresto ed Euro 6.000,00 di ammenda. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Bianchi, il quale ha eccepito:
- la nullità della stessa, per la omessa indicazione, da parte del primo giudice, del reato considerato più grave ai fini del computo della pena e degli aumenti correlati al riconosciuto vincolo della continuazione;
- l'erroneo disconoscimento della precarietà dei manufatti realizzati (e non ricompresi tra quelli successivamente sanati), che dovrebbero ritenersi sottratti, per le loro caratteristiche oggettive, dal regime del permesso di costruire.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché le doglianze anzidette sono manifestamente infondate.
1. Quanto alla prima eccezione, appare sufficiente osservare che nella specie il reato più grave, come esattamente evidenziato dalla Corte territoriale, deve considerarsi individuato dal Tribunale in quello sanzionato dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 44 ed in ogni caso non è ravvisabile alcuna nullità poiché, secondo giurisprudenza costante, il giudice di appello può supplire, integrandole, ad eventuali insufficienze della motivazione della sentenza appellata. 2. In relazione, poi, al secondo motivo di ricorso, va rilevato che la natura "precaria" di un manufatto - secondo la costante giurisprudenza di questa Corte Suprema (vedi, tra le pronunzie più recenti, Cass., Sez. 3: 26.6.2009, n. 26573, Morandin; 22.6.2009, n. 25965, Bisulca ed altro; 25.2.2009, a 22054, Frank; 7.3.2008, n. 23086, Basile; 13.6.2006, n. 20189, Cavallini) - ai fini dell'esenzione dal permesso di costruire (già concessione edilizia), non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale di essa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente e sollecita eliminazione, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo.
Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 6, comma 2, lett. b), - dopo le modifiche introdotte dal D.L. 25 marzo 2010, n. 40, convertito con modificazioni nella L. 22 maggio 2010, n. 73 - prevede che possono essere installate, senza alcun titolo abilitativo ma previa comunicazione dell'inizio dei lavori all'Amministrazione comunale (anche per via telematica), le opere dirette a soddisfare obiettive esigerne contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a 90 giorni.
Non implica precarietà dell'opera, però, il carattere stagionale di essa, potendo essere la stessa destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione (vedi Cass., sez. 3: 21.2.2006, Mulas; 19.2.2004, Pieri; nonché C. Stato, sez. 4, 22.12.2007, n. 6615).
Nella fattispecie in esame i giudici del merito hanno escluso il requisito della temporaneità, non ravvisando un uso realmente precario di manufatti abusivamente realizzati, asseritamente destinati ad essere rimossi al termine della stagione balneare, ed a tale esclusione sono pervenuti con motivazione adeguata, coerente ed immune da vizi logico-giuridici.
3. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella specie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della stessa consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 21 giugno 2011.
Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2011