Cass. Sez. III n. 45147 del 11 novembre 2015 (Ud 8 ott 2015)
Pres. Fiale Est. Ramacci Ric. Marzo ed altri
Urbanistica. Ristrutturazione edilizia di edifici crollati o demoliti
L'utilizzazione del termine «consistenza», da parte del legislatore, nell'art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. 380\01 inevitabilmente include tutte le caratteristiche essenziali dell'edificio preesistente (volumetria, altezza, struttura complessiva, etc.), con la conseguenza che, in mancanza anche di uno solo di tali elementi, necessari per la dovuta attività ricognitiva, dovrà escludersi la sussistenza del requisito richiesto dalla norma. Parimenti, detta verifica non potrà essere rimessa ad apprezzamenti meramente soggettivi o al risultato di stime o calcoli effettuati su dati parziali, ma dovrà, invece, basarsi su dati certi, completi ed obiettivamente apprezzabili.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Lecce, con sentenza del 27/6/2014 ha confermato la decisione con la quale, in data 13/11/2012, il Tribunale di Lecce – Sezione Distaccata di Tricase aveva affermato la responsabilità penale di Vincenzo MARZO, Giuseppe CONTALDO e Oronzo PANICO in ordine al reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 44, lett c) d.P.R. 380\01, per avere, in concorso tra loro, il CONTARDO quale proprietario committente, il PANICO quale direttore dei lavori ed il MARZO quale responsabile della ditta esecutrice dei lavori, realizzato, su area soggetta a vincolo paesaggistico, opere edilizie in variazione essenziale rispetto a quanto assentito con il permesso di costruire n. 42\2010, rilasciato dal Comune di Andrano, consistenti in un vano delle dimensioni esterne di m. 3,50 X 2,30 in conci di tufo, privo di copertura, addossato lungo il prospetto sud a due ambienti preesistenti e ricostruiti (in Andrano, il 10/3/2011).
Avverso tale pronuncia i predetti personalmente propongono un unico ricorso per cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un primo motivo di ricorso deducono la violazione dell'art. 3 d.P.R. 380\01, come modificato dal d.l. 69\2013, convertito nella legge 9 agosto 2013 n. 98.
Osservano, a tale proposito, che i giudici del merito avrebbero erroneamente ritenuto l'illegittimità del permesso di costruire n. 42\2010, disponendo la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero per quanto di competenza e quella del successivo permesso in sanatoria n. 4\2012, in considerazione dell'impossibilità dell'intervento su un manufatto consistente in rudere e rilevano che, avuto riguardo alle modifiche apportate al testo unico dell'edilizia ad opera del decreto legge 69\2013, sussisterebbero i presupposti per la realizzazione dell'intervento, essendosi dimostrata, nel corso del giudizio di merito, la possibilità di individuare la preesistente consistenza dell'edificio.
3. Con un secondo motivo di ricorso lamentano la violazione di legge, osservando che i giudici del merito non avrebbero considerato l'insussistenza dell'elemento soggettivo del reato in ragione della buona fede degli imputati, i quali avrebbero fatto affidamento sulla legittimità degli atti amministrativi rilasciati.
Insistono, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Va preliminarmente rilevato, con riferimento al primo motivo di ricorso, che, sulla base del contenuto della sentenza impugnata e del ricorso, unici atti ai quali, come è noto, questa Corte ha accesso, emerge che, durante l'espletamento del proprio servizio, personale del Corpo Forestale dello Stato si imbatteva in un manufatto in corso di realizzazione sulla base di un permesso di costruire (n.42\2010) avente ad oggetto il «ripristino parziale e la ristrutturazione di un antichissimo fabbricato rurale, privo di copertura» e relativo a «lavori edili riferibili ad una preesistente costruzione, già in parte diruta e poi integralmente demolita».
Le opere realizzate risultavano eseguite in totale difformità dal titolo abilitativo, in quanto era stato realizzato un vano da adibire a servizio igienico.
Per la parte in difformità era stato poi rilasciato un permesso di costruire in sanatoria (n.4\2012) in considerazione della possibilità di ampliamento, fino al 10% per motivi igienico-sanitari, prevista dai vigenti strumenti urbanistici.
Il Tribunale rilevava la illegittimità del titolo autorizzatorio del 2010, stante l'inesistenza di un preesistente manufatto da ristrutturare, perché quasi interamente crollato, del quale non potevano determinarsi la volumetria e la sagoma originarie, escludendo, conseguentemente, la possibilità della ristrutturazione di un rudere. Conseguentemente, rilevava anche l'inefficacia del permesso in sanatoria, in quanto destinato a sanare l'ampliamento di un immobile abusivo.
La tesi della legittimità del permesso di costruire n. 42\2010 era invece sostenuta dagli imputati, nell'appello, sulla base del fatto che quell'atto aveva ad oggetto due distinte fasi: una di ripristino e ricostruzione delle parti mancanti del manufatto e l'altra di ristrutturazione dello stesso.
La Corte territoriale, nel confutare le censure mosse dagli appellanti, ha negato la possibilità della ristrutturazione di un rudere e negato, altresì, la possibilità di applicare, nella fattispecie, l'art. 3 d.P.R. 380\01 come modificato nel 2013.
2. Ritiene il Collegio che le conclusioni cui sono pervenuti i giudici del gravame siano corrette.
Occorre, in primo luogo, precisare che il reato contestato è stato posto in essere nel 2011, prima, dunque, delle modifiche legislative richiamate dai ricorrenti, così come la decisione del primo giudice, è stata emessa, come ricordato, nel 2012, con la conseguenza che il Tribunale non poteva che tener conto dell'art. 3 d.P.R. 380\01 così come all'epoca formulato e della giurisprudenza formatasi sul tema, che escludeva la possibilità di ristrutturazione dei ruderi.
Con riferimento all'originario concetto di ristrutturazione risultava, infatti, di tutta evidenza che esso, così come individuato dalla normativa previgente, presupponeva la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare provvisto di murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura. Conseguentemente, era stata sempre esclusa la possibilità che la ricostruzione di un rudere potesse ricondursi entro la nozione di ristrutturazione, trattandosi, al contrario, di un intervento del tutto nuovo (v. Sez. 3, n. 45240 del 26/10/2007, Scupola, Rv. 238464; Sez. 3, n. 15054 del 23/1/2007, Meli e altro, Rv. 236338;Sez. 3, n. 20776 del 13/1/2006, P.M. in proc. Polverino, Rv. 234467 ed altre prec. conf.). Si riteneva, infatti, che la mancanza dei suddetti elementi strutturali, rendesse impossibile qualsiasi valutazione circa l’esistenza e la consistenza dell’edifico da consolidare.
Con gli interventi modificativi apportati dal più volte citato d.l. 69\2013 (noto anche come «decreto del fare»), si è notevolmente ampliato il concetto di ristrutturazione, limitando l'obbligo del rispetto della sagoma ai soli immobili vincolati ed introducendo la possibilità di ristrutturazione degli edifici crollati o demoliti.
L’articolo 3, comma primo, lettera d) del D.P.R. 380\01, nella formulazione attualmente vigente, così definisce gli interventi di ristrutturazione: «interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l’eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente».
3. A tale proposito, la giurisprudenza di questa Corte, richiamata anche dai ricorrenti, ha avuto modo di precisare che, considerata la disciplina ora vigente, gli interventi di ristrutturazione edilizia consistenti nel ripristino o nella ricostruzione di edifici o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, debbono ritenersi assoggettati a permesso di costruire se non è possibile accertare la preesistente volumetria delle opere, le quali, qualora ricadano in zona paesaggisticamente vincolata, hanno l'obbligo di rispettare anche la precedente sagoma dell'edificio. Sono, invece, soggetti alla procedura semplificata della SCIA se si tratta di opere che non rientrano in zona paesaggisticamente vincolata e rispettano la preesistente volumetria, anche quando implicano una modifica della sagoma dell'edificio (Sez. 3, n. 40342 del 3/6/2014, Quarta, Rv. 260551).
Va richiamata l'attenzione anche sul fatto che detti interventi impongono, quale imprescindibile condizione, che sia possibile accertare la preesistente consistenza di ciò che si è demolito o è crollato e che tale accertamento dovrà essere effettuato con il massimo rigore e dovrà necessariamente fondarsi su dati certi ed obiettivi, quali documentazione fotografica, cartografie etc., in base ai quali sia inequivocabilmente individuabile la consistenza del manufatto preesistente (cfr. Sez. 3, n. 5912 del 22/1/2014, Moretti e altri, Rv. 258597; Sez. 3 n.26713 del 25/6/2015, Petitto, non massimata).
4. Tale principio è condiviso dal Collegio, il quale intende darvi continuità, con l'ulteriore precisazione che l'utilizzazione del termine «consistenza», da parte del legislatore, nell'art. 3, comma 1, lett. d) d.P.R. 380\01 inevitabilmente include tutte le caratteristiche essenziali dell'edifico preesistente (volumetria, altezza, struttura complessiva, etc.), con la conseguenza che, in mancanza anche di uno solo di tali elementi, necessari per la dovuta attività ricognitiva, dovrà escludersi la sussistenza del requisito richiesto dalla norma. Parimenti, detta verifica non potrà essere rimessa ad apprezzamenti meramente soggettivi o al risultato di stime o calcoli effettuati su dati parziali, ma dovrà, invece, basarsi su dati certi, completi ed obiettivamente apprezzabili.
5. Ciò posto, va rilevato che, nel caso in esame, correttamente i giudici del merito hanno stigmatizzato la singolarità del procedimento autorizzatorio che ha riguardato l'intervento edilizio realizzato dai ricorrenti laddove, in presenza di un manufatto ormai in condizioni di rudere, si è, con unico provvedimento, autorizzato il ripristino e, successivamente, la ristrutturazione.
Si tratta di un'operazione che non sembra trovare altra giustificazione, almeno sulla base di quanto emerge dalla sentenza e dal ricorso, se non quella di rendere possibile, sull'edificio ormai in rovina, un'attività allora non consentita per le ragioni che la Corte territoriale e, prima ancora, il Tribunale, hanno, come si è detto, correttamente individuato.
6. La sentenza impugnata risulta parimenti corretta laddove esclude l'applicabilità, nella fattispecie, delle disposizioni che i ricorrenti assumono violate.
Osservano infatti i giudici del gravame che risulta impossibile, sulla base della mera disamina della documentazione fotografica in atti, individuare in maniera attendibile le caratteristiche originarie del manufatto.
Tale assunto non viene minimamente intaccato dalle diverse considerazioni dei ricorrenti, i quali ritengono possibile la dimostrazione della originaria consistenza del manufatto sulla base della testimonianza resa dal tecnico comunale nel corso del dibattimento e parzialmente riprodotta in ricorso.
Si tratta, invero, come risulta dalla mera lettura dei brani riportati, di mere valutazioni soggettive e mere ipotesi, la cui irrilevanza è stata correttamente ritenuta dai giudici del merito.
Il motivo di ricorso appena esaminato risulta, pertanto, infondato.
7. Altrettanto deve dirsi per ciò che concerne il secondo motivo di ricorso.
Va a tale proposito ricordato come questa Corte abbia già specificato (Sez. 3, n. 23998 del 12/5/2011, P.M. in proc. Bisco, Rv. 250608) che la condotta colposa del reato di costruzione edilizia abusiva può consistere nell'inottemperanza all'obbligo di informarsi sulle possibilità edificatorie concesse dagli strumenti urbanistici vigenti, da assolversi anche tramite incarico a tecnici qualificati e che non rientra nell’ipotesi di ignoranza inevitabile, ad esempio, l’erronea convinzione che un determinato intervento non necessiti di specifico titolo abilitativo (Sez. 3, n. 6968 del 2/5/1988, Rurali, Rv. 178593).
Più in generale, si è precisato che l'inevitabilità dell'errore sulla legge penale non si configura quando l'agente svolge una attività in uno specifico settore, rispetto al quale ha il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente (Sez. 5, n. 22205 del 26/2/2008, Ciccone, Rv. 240440; Sez. 3, n. 1797 del 16/1/1996, Lombardi, Rv. 205384).
Tale onere di informazione non può ritenersi superato per la sola esistenza dei provvedimenti amministrativi, menzionati dai ricorrenti, in presenza di un consolidato indirizzo giurisprudenziale che escludeva, come si è visto, la possibilità di ristrutturazione dei ruderi e che la Corte territoriale ha giustamente posto in evidenza, unitamente all'inosservanza del richiamato onere di informazione.
8. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in data 8.10.2015