Cass. Sez. III n. 36605 del 24 luglio 2017 (Ud 15 feb 2017)
Presidente: Cavallo Estensore: Aceto Imputato: Adinolfi ed altri
Urbanistica.Precarietà e stagionalità

Nemmeno il carattere stagionale dell'attività implica di per sé la precarietà dell'opera; la precarietà non va confusa con la stagionalità, vale a dire con l'utilizzo annualmente ricorrente della struttura, né con la possibilità di smontare il manufatto non infisso al suolo


RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza del 07/03/2016, la Corte di appello di Salerno, in riforma di quella del 16/06/2014 del Tribunale di quello stesso capoluogo, ha, per quanto qui rileva, confermato l'affermazione della penale responsabilità dei sigg.ri Adinolfi Massimo, De Flamnnineis Alberto e Mazzitelli Maria Teresa in ordine ai reati loro ascritti ai capi D (artt. 110, cod. pen., 44, lett. c, d.P.R. n. 380 del 2001), E (artt. 110, 734, cod. pen.), F (artt. 110, cod. pen., 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004) e G (artt. 110, cod. pen., 54, 55 e 1161, cod. nav.) della rubrica, contestati come «commessi in Vietri sul Mare fino alla data odierna», e la loro condanna alla pena di nove mesi di arresto e 45.000,00 euro di ammenda ciascuno, oltre al pagamento, in favore della costituita parte civile, della somma di 2.000,00 euro a titolo di risarcimento del danno e di 3.500,00 euro per le spese processuali sostenute nel doppio grado di giudizio, con distrazione, di queste ultime, a favore dello Stato.

Gli imputati, in particolare, rispondono dei seguenti reati:

1.1.(capo D) della contravvenzione prevista e punita dagli artt. 110, cod. pen., 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 perché, in concorso tra loro, la Mazzitelli quale gestore di fatto della società «TURISMO INTERNAZIONALE S.r.l.», committente dell'opera, l'Adinolfi quale direttore dei lavori, il De Flammineis quale legale rappresentante della società esecutrice degli stessi, in totale difformità dal permesso di costruire numero 10 del 2 luglio 2008, che assentiva, sulla spiaggia della località Fuenti, zona soggetta a speciale protezione ambientale e a vincolo ambientale, l'installazione stagionale di uno stabilimento balneare costituito da una costruzione lignea pluripiano poggiante su pali in legno semplicemente infissi sull'arenile della spiaggia, concorrevano a realizzare un organismo pluripiano stabilmente infisso al suolo i cui pilastri lignei venivano, sul versante mare, fondati con piastra bullonata a plinti in cemento delle dimensioni di mt. 1 x mt. 1 x mt. 1 e, alle pendici del vicino costone roccioso prospettante sulla spiaggia, fondati su calcestruzzo colato direttamente in incavi di forma irregolare ricavati nella roccia costituente la parte inferiore del costone medesimo;

1.2.(capo E) della contravvenzione prevista e punita dagli artt. 110, 734, cod. pen., perché, realizzando nelle loro rispettive qualità E con le loro rispettive condotte lo stabilimento balneare pluripiano abusivo di cui al capo di imputazione che precede, concorrevano ad alterare le bellezze naturali della località Fuenti di Vietri sul Mare quale zona sottoposta a vincolo paesaggistico-ambientale;

1.3.(capo F) della contravvenzione prevista e punita dagli artt. 110, cod. pen., 146-181, d.lgs. n. 42 del 2004, perché concorrevano all'edificazione dello stabilimento balneare di curi4Onecedenti capi di imputazione in zona sottoposta a vincolo ambientale senza ra prescritta autorizzazione;

1.4.(capo G) della contravvenzione prevista e punita dagli artt. 110, cod. pen., 1161, cod. nav., perché, edificando lo stabilimento in questione, concorrevano all'occupazione arbitraria dello spazio demaniale marittimo dell'area Fuenti di Vietri sul Mare entro la fascia di rispetto dei 30 m dal confine demaniale marittimo ed a realizzarvi innovazioni non autorizzate.

2.Per l'annullamento della sentenza propongono ricorso per cassazione tutti gli imputati.

3.Massimo Adinolfi articola, per il tramite del difensore di fiducia, sei motivi.

3.1.Con il primo, deducendo l'intervenuta prescrizione dei reati in epoca precedente alla sentenza impugnata e lamentando l'omesso esame, sul punto, di decisive prove documentali prodotte in giudizio (il certificato di ultimazione dei lavori del 06/07/2009, la attestazione dell'allaccio idrico dello stabilimento del 07/07/2009, il parere igienico sanitario rilasciato dall'ASL il 14/07/2009, l'istruttoria comunale del 14 luglio 2009, oltre alla stessa CT del PM), eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., l'erronea applicazione degli artt. 121 e 178, comma 1, lett. c), 125 e 129, cod. proc. pen., e 157 e segg. cod. pen., nonché vizio di motivazione omessa o comunque apparente e/o illogica, violazione del principio del "favor rei" e travisamento della prova.

3.2.Con il secondo motivo, allegando la natura precaria del manufatto e deducendo, al riguardo, che non è necessario accertare se esso sia o meno stabilmente infisso al suolo ovvero la natura dei materiali utilizzati ovvero ancora i particolari costruttivi, bensì la natura temporanea o contingente delle esigenze che è destinato a soddisfare, e che dunque non rileva il tipo di fondazione utilizzato, che oltretutto non costituisce una componente del manufatto assentito, eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., l'erronea applicazione degli artt. 125, cod. proc. pen., 3 e 44, d.P.R. n. 380 del 2001, nonché vizio di omessa pronuncia e di motivazione apparente.

3.3.Con il terzo motivo (che si collega a quello che lo precede), deducendo che la diversa tipologia di fondazione di uno stabilimento balneare stagionale, peraltro nemmeno percepibile alla vista, non può integrare il reato contestato al capo F, eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., l'erronea applicazione degli artt. 125, 530, cod. proc. pen. e 181, d.lgs. n. 42 del 2004, nonché vizio di omessa pronuncia e di motivazione apparente e/o illogica.

3.4.Con il quarto motivo eccepisce ai sensi dell'art. 606, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., l'erronea applicazione degli artt. 125, 530 cod. proc. pen. e 734 cod. pen., nonché vizio di omessa pronuncia e di motivazione apparente. Sulla premessa che la modifica di fondazioni interrate non può essere visivamente percepita, lamenta che la Corte di appello non ha motivato le ragioni della conferma della condanna relativamente al reato di cui al capo E.
3.5.Con il quinto motivo, deducendo che lo stabilimento insiste su area privata e che le fondazioni sono comunque di facile rimozione e la conseguente irrilevanza della loro modifica a dar corpo alla contestata invasione o innovazione, eccepisce ai sensi dell'art. 606, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., l'erronea applicazione degli artt. 54, 55, 1161, cod. nav. e 125, cod. proc. pen., nonché vizio di omessa pronuncia e di motivazione apparente e/o manifestamente illogica.

3.6.Con l'ultimo motivo, lamentando l'omessa pronuncia sulla richiesta di attenuazione del trattamento sanzionatorio, eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., l'erronea applicazione degli artt. 125, cod. proc. pen., 133, 133-bis e 62-bis, cod. pen., e vizio di difetto assoluto di motivazione.

4.Maria Teresa Mazzitelli e Alberto De Flammineis articolano quattro motivi.

4.1. Il  primo è comune per contenuti ed argomenti al corrispondente primo motivo di ricorso dell'Adinolfi.

4.2. Il secondo motivo riprende e sviluppa gli argomenti già oggetto dei motivi secondo, terzo, quarto e quinto del ricorso dell'Adinolfi. I ricorrenti precisano, sotto il vizio del travisamento della prova, che, diversamente da quanto sostiene la Corte di appello, lo stabilimento assentito è parte del più ampio progetto di restauro ambientale denominato "Parco del Fuenti" di cui è uno sviluppo e che la sua natura amovibile, oltre ad essere confortata dalla circolare n. 22 del 25/05/2009 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, è stata certificata dal Consiglio di Stato su ricorso proprio della società «TURISMO INTERNAZIONALE S.r.l.». Il ricorso a solette di cemento (e non plinti), rese necessarie nel corso della costruzione per impreviste esigenze di staticità, non può determinare la trasformazione del manufatto da amovibile in inamovibile. Lo stabilimento, infatti, aveva una diversa configurazione a seconda della stagione estiva o invernale sicché, ferma la base (destinata a rimanere nel corso dell'intero anno), nella stagione estiva sulla stessa sarebbe stata montata la parte superiore funzionale alle esigenze stagionali. Di qui la irrilevanza della modifica delle fondazioni, anche ai fini dei reati ambientali e paesaggistici (non essendo percepibili alla vista) e delle contestate innovazioni o occupazioni non autorizzate.

4.3.Con il terzo motivo, che riprende i temi sviluppati con il secondo, eccepiscono, ai sensi dell'art. 606, lett. d) ed e), cod. proc. pen., l'omessa assunzione di una prova decisiva in tema di amovibilità dello stabilimento balneare e di neutralità paesaggistica dell'intervento (la testimonianza del CTU nominato dal TAR nel parallelo processo amministrativo) richiesta con i motivi aggiunti di appello.

4.4.Con il quarto motivo eccepiscono, ai sensi dell'art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l'erronea applicazione dell'art. 130, cod. proc. pen., avendo la Corte di appello ritenuto di sanare un errore del Tribunale in sede di liquidazione delle spese delle parti civili in realtà del tutto inesistente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5.Dalla lettura della sentenza di primo grado risulta quanto segue:

5.1.con permesso di costruire n. 10 del 2008 il Comune di Vietri sul Mare aveva autorizzato la realizzazione, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico compresa nel Parco Fuenti, di uno stabilimento balneare "ex novo" con opere provvisorie stagionali, costituito da strutture in legno, ricadente completamente all'interno della proprietà privata, poggiante su pali di legno semplicemente infissi al suolo;

5.2.a seguito di un primo sopralluogo del 17/06/2009 la Capitaneria di Porto accertò che entro la fascia di rispetto di trenta metri dal confine demaniale marittimo era stato realizzato un muretto in pietra con sovrastante soletta in calcestruzzo delle dimensioni di mt. 27,40 x 0,80 cm. di altezza e spesso 0,50 cm., muretto non previsto nell'autorizzazione demaniale marittima rilasciata ai sensi dell'art. 55, cod. nav.;

5.3.Il 16/06/2009 fu effettuato un secondo sopralluogo nel corso del quale si accertò che il muretto era stato demolito e che i pilastri invece di essere infissi nel suolo erano stati ancorati a plinti in cemento armato affossati nell'arenile, taluni in parte scoperti dal moto ondoso, altri saldati direttamente sulle rocce sovrastanti con gettate di cemento;

5.4.il CT aveva accertato (dopo un sopralluogo effettuato il 01/09/2009) che il progetto autorizzato il 16/04/2008 a fini paesaggistici (che prevedeva una struttura costituita da travi e pilastri in legno lamellare infissi direttamente nell'arenile, su cui poggia un tavolato in assi di legno con ringhiere realizzate in pali di legno e funi di corda) era diverso da quello presentato il 04/05/2009 presso il Genio civile di Salerno, a firma dell'Adinolfi, che prevedeva, invece, la realizzazione di una fondazione di tipo diretto composta da plinti isolati in cemento armato poggiati direttamente sulla roccia calcarea delle dimensioni in pianta di cm. 60 x 60 x 20, di cui alcuni incassati nella roccia, altri nel banco roccioso sottostante la zona sabbiosa;

5.5.i plinti posti in opera, in realtà, avevano le dimensioni di cm. 100 x 100 x 40;

5.6.in particolare, i pilastri lignei lato spiaggia erano fondati con piastra bullonata a un plinto di cemento, la parte vicino al costone roccioso era fondata su calcestruzzo colato direttamente in incavi di forma irregolare, spesso interessanti zone più ampie della stessa base di fondazione del singolo pilastro, ricavati nella stessa roccia costituente la parte inferiore del costone prospiciente la spiaggia.

5.7.Quanto alla data di consumazione dei reati, il Tribunale aveva evidenziato che alla data del sequestro (30/09/2010) le opere, pur complete, non erano ancora rifinite.

6.Tanto premesso, osserva il Collegio che:

6.1.I'eccezione di prescrizione relativa ai reati di cui ai capi D, F e G della rubrica è generica e manifestamente infondata;

6.2.il reato di costruzione abusiva cessa con il totale esaurimento dell'attività illecita e, quindi, soltanto quando siano terminati i lavori di rifinitura (Sez. 3, n. 3183 del 18/01/1984, Rv. 163580, con richiamo a numerosi precedenti conformi, nonché, più recentemente, Sez. 3, n. 48002 del 17/09/2014, Surano, Rv. 261153, secondo cui deve ritenersi "ultimato" solo l'edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, di modo che anche il suo utilizzo effettivo, ancorché accompagnato dall'attivazione delle utenze e dalla presenza di persone al suo interno, non è sufficiente per ritenere sussistente l'ultimazione dell'immobile abusivamente realizzato, coincidente generalmente con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni; Sez. 3, n. 8172 del 27/01/2010, Vitali, Rv. 246221) ovvero, se precedente, con il provvedimento di sequestro, che sottrae all'imputato la disponibilità di fatto e di diritto dell'immobile (Sez. 3, n. 5654 del 16/03/1994, Rv. 199125);

6.3.gli stessi principi valgono per il reato di cui all'art. 181, d.lgs. n. 42 del 2004, che ha natura permanente e si consuma con l'esaurimento totale dell'attività o con la cessazione della condotta per qualsiasi motivo (Sez. 3, n. 40265 del 26/05/2015, Amitrano, Rv. 265161; Sez. 3, n. 28934 del 26/03/2013, Borsani, Rv. 256897; Sez. 3, n. 16393 del 17/02/2010, Cavallo, Rv. 246758; Sez. 3, n. 28338 del 30/04/2003, Grilli, Rv. 225385);

6.4.nel caso di specie il Tribunale aveva affermato con chiarezza che alla data del sequestro l'opera non era ultimata, così rendendo generiche (e di natura decisamente fattuale) le contrarie deduzioni dei ricorrenti che, sul punto, prescindendo da tale chiara, quanto decisiva, affermazione, pretendono di spingere l'indagine di legittimità oltre il testo del provvedimento impugnato al fine di ricomporre, a proprio favore, un quadro probatorio che non tiene conto degli insegnamenti di questa Corte;

6.5.non risulta, peraltro, né i ricorrenti lo deducono, che il Tribunale avesse travisato il contenuto del verbale di sequestro e che di ciò si siano doluti in appello, per cui i Giudici distrettuali hanno correttamente preso a riferimento la data del sequestro quale termine iniziale del corso della prescrizione;

6.6.anche l'eccepita estraneità dell'Adinolfi ai fatti successivi al 06/07/2009 si fonda su inammissibili allegazioni fattuali mai dedotte come motivo di appello;

6.7.il reato previsto dagli artt. 55 e 1161 cod. nav. ha natura di reato permanente per il quale la permanenza cessa solo con la demolizione del manufatto edificato entro la fascia demaniale o con il conseguimento dell'autorizzazione prescritta, dal momento che la norma è posta a tutela della sicurezza della navigazione marittima nelle zone prossime al demanio (Sez. 3, n. 3848 del 06/11/1997, Padua, Rv. 209971; cfr. altresì Sez. U, n. 17178 del 27/02/2002, Cavallaro, Rv. 221398);

6.8.nel caso di specie, oltre al muretto (poi però demolito), incide sulla sussistenza del reato la diversa (e non prevista e dunque non assentita) tipologia di ancoraggio del manufatto alla spiaggia;

6.9.I'autorizzazione prevista dall'art. 55 cod. nav. per l'esecuzione di nuove opere nella fascia demaniale di rispetto di trenta metri rientra tra i vincoli imposti alla proprietà privata nelle zone prossime al demanio marittimo e la sua inosservanza determina la sussistenza del reato previsto dall'art. 1161 stesso codice, a maggior ragione se si tratta di opere destinate ad incidere in modo permanente e duraturo nella fascia di rispetto.

6.10.ha diversa consistenza l'eccezione di prescrizione del reato di cui al capo E (art. 734, cod. pen.) per il quale il Tribunale aveva individuato la speficica condotta integratrice nel «getto di calcestruzzo sulle rocce affioranti» (art. 734, cod. pen.) (e non nelle diverse modalità di realizzazione dell'ancoraggio al suolo secondo le infondate allegazioni sul punto dei ricorrenti, né nella realizzazione in sé dello stabilimento);

6.11.tale condotta, che integra indubbiamente il reato contestato, si colloca al più tardi il 01/09/2009, con conseguente maturazione del termine di prescrizione in epoca anteriore alla sentenza impugnata, pur considerando il periodo di sospensione calcolato dal Tribunale (pari a 183 giorni);

6.12.ed infatti il reato di cui all'art. 734 cod. pen., nell'ipotesi di alterazione delle bellezze naturali ha natura di reato istantaneo con effetti permanenti e si consuma e si esaurisce con la costruzione lesiva delle bellezze naturali protette, sicché agli effetti della prescrizione il decorso del termine ha inizio dal momento in cui il reato si è realizzato con il compimento dell'opera ovvero la attuazione dei mezzi che hanno determinato il deturpamento (Sez. 3, n. 11226 del 04/07/1985, Bertani, Rv. 171199);

6.13.ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata sul punto con eliminazione della parte di pena attribuita dal Tribunale per detto reato satellite (un mese di arresto e 5.000,00 euro di ammenda per ciascuno degli imputati).

7.Quanto alla eccepita insussistenza dei reati di cui ai capi D  ed F della rubrica, è sufficiente evidenziare che:

7.1.come correttamente affermato sin dal primo grado, in virtù del concetto unitario di costruzione la valutazione di un'opera edilizia abusiva va effettuata con riferimento al suo complesso, non potendosi considerare separatamente i singoli componenti (Sez. 3, n. 15442 del 26/11/2014, Prevosto, Rv. 263339; Sez. 3, n. 5618 del 17/11/2001, Forte, Rv. 252125; nello stesso senso, Sez. 3, n. 16622 del 08/04/2015, Casciato, Rv. 263473);

7.2.porre al centro della discussione la diversa realizzazione dei pali di sostegno distoglie l'attenzione dall'opera nel suo complesso e sopratutto non tiene conto del fatto che le modalità di ancoraggio al suolo di un manufatto edilizio incidono non tanto sulla sua precarietà (insensibile, per quanto più avanti si dirà, al tipo di materiale utilizzato per la costruzione e/o alle modalità di eventuale ancoraggio al suolo), quanto sulla stessa attitudine dell'opera, nel suo complesso, a trasformare in modo permanente l'area di sedime, a maggior ragione se tale area è soggetta a pregnanti e penetranti vincoli paesaggistici che ne limitano e condizionano l'utilizzo a fini edificatori (tant'è vero che le reali modalità di ancoraggio dello stabilimento non sono state prospettate nel progetto presentato ai fini dell'autorizzazione paesaggistica);

7.3.La prospettata (ed assentita) "amovibilità" dello stabilimento ne comportava, per definizione, il possibile distacco dal suolo nella sua interezza, operazione resa possibile in virtù della particolare tipologia di ancoraggio (pali in legno semplicemente infilati) e del materiale utilizzato allo scopo, il che non comportava alcuna radicale e (sopratutto) irreversibile trasformazione del suolo;

7.4.tutto ciò, ovviamente, senza considerare, in termini di rilevanza dell'eccezione quanto di qui ad un momento si dirà in ordine alla dedotta precarietà dell'opera e che, in ogni caso, trattandosi di opera realizzata in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, qualsiasi difformità dal titolo edilizio è comunque sanzionata ai sensi dell'art. 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 (art. 32, u.c., d.P.R. n. 380 del 2001), così come qualsiasi difformità dal progetto autorizzato integra il reato di cui all'art. 181, d.lgs. n. 42 del 2004;

7.5.La natura precaria dell'opera edilizia, inoltre, non deriva dalla tipologia dei materiali impiegati per la sua realizzazione, tanto meno dalla sua facile amovibilità; quel che conta è la oggettiva temporaneità e contingenza delle esigenze che l'opera è destinata a soddisfare;

7.6.chiaro è, in tal senso, il dettato normativo che, nel definire gli interventi di "nuova costruzione", per i quali è necessario il permesso di costruire o altro titolo equipollente (artt. 10, comma 1°, lett. a, e 22, comma 3 0 , lett. b, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380), individua - tra gli altri - i manufatti leggeri e le strutture di qualsiasi genere che siano utilizzati come depositi, magazzini e simili e "che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee" (art. 3, comma 1°, lett. e.5, d.P.R. 380/2001 cit.). La natura oggettivamente temporanea e contingente delle esigenze da soddisfare è richiamata anche dall'art. 6, comma 2°, lett. b, d.P.R. 380/2001 per individuare le opere che, previa mera comunicazione dell'inizio lavori, possono essere liberamente eseguite;

7.7.si tratta di criterio che significativamente, sia pure ad altri fini, l'art. 812 cod. civ. utilizza per collocare nella categoria dei beni immobili gli edifici galleggianti saldamente ancorati alla riva o all'alveo e destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione, così diversificandoli dai galleggianti mobili adibiti alla navigazione o al traffico in acque marittime o interne, di cui all'art. 136 cod. nav. e che, a norma dell'art. 815 cod. civ., costituiscono, invece, beni mobili soggetti a registrazione;

7.8.La oggettiva destinazione dell'opera a soddisfare bisogni non provvisori, la sua conseguente attitudine ad una utilizzazione non temporanea, né contingente, è criterio da sempre utilizzato dalla giurisprudenza di questa Corte per distinguere l'opera assoggettabile a regime concessorio (oggi permesso di costruire) da quella realizzabile liberamente, a prescindere dall'incorporamento al suolo o dai materiali utilizzati (Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014, Manfredini, Rv. 261636, secondo cui al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio del permesso di costruire la realizzazione di un manufatto per la sua asserita natura precaria, la stessa non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell'opera ad un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo; Sez. 3, Sentenza n. 9229 del 12/02/1976, Sez. 3, Sentenza n. 1927 del 23/11/1981, Sez. 3, Sentenza n. 5497 del 11/03/1983, Sez. 3, Sentenza n. 6172 del 23/03/1994, Sez. 3, Sentenza n. 12022 del 20/11/1997, Sez. 3, Sentenza n. 11839 del 12/07/1999, Sez. 3, Sentenza n. 22054 del 25/02/2009, quest'ultima con richiamo ad ulteriori precedenti conformi di questa Corte e del Consiglio di Stato);

7.9.nemmeno il carattere stagionale dell'attività implica di per sé la precarietà dell'opera (Sez. 3, n. 36107 del 30/06/2016, Sez. 3, Sentenza n. 34763 del 21/06/2011, Sez. 3, Sentenza n. 13705 del 21/02/2006, Sez. 3, Sentenza n. 11880 del 19/02/2004, Sez. 3, Sentenza n. 22054 del 25/02/2009 cit.); la precarietà non va confusa con la stagionalità, vale a dire con l'utilizzo annualmente ricorrente della struttura (così Sez. 3, n. 12890 del 21/10/1998, Colao, Rv. 212185, in un caso di una struttura formata da pali in legno i quali sorreggevano una copertura destinata a ristorante stagionale), né con la possibilità di smontare il manufatto non infisso al suolo (Sez. 3,n. 20189 del 21/03/2006, Cavallini, Rv. 234325);

7.10.si tratta di principi talmente consolidati da far ritenere, per esempio, di natura eccezionale e non applicabile oltre i casi in esse tassativamente previsti, le disposizioni introdotte dalle leggi della Regione Sicilia che, privilegiando il dato strutturale su quello funzionale, hanno ricondotto nell'ambito dell'attività edilizia libera la chiusura di terrazze di collegamento oppure di terrazze non superiori a metri quadrati 50 e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie, la chiusura di verande o balconi con strutture precarie (così, da ultimo, l'art. 20 1.r. Reg. Sicilia 4/2003 che definisce precarie le strutture realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione) (cfr., sul punto, Sez. 3, Sentenza n. 16492 del 16/03/2010 e Sez. 3, Sentenza n. 35011 del 26/04/2007 che hanno avuto modo di precisare che, in questi casi, la facile amovibilità delle strutture deve essere interpretata in senso assolutamente restrittivo);

7.11.il riferimento alla temporaneità e alla contingenza dell'esigenza, piuttosto che alle caratteristiche strutturali dell'opera edilizia ed al materiale impiegato per la sua realizzazione, deriva dal fatto che nella riflessione dottrinaria e giurisprudenziale del secondo dopoguerra si è venuta consolidando la consapevolezza che il territorio non può più essere considerato strumento destinato al solo assetto ed incremento edilizio (art. 1 L. 1150/42), ma come luogo sul quale convergono interessi di ben più ampio respiro che dalle modalità del suo utilizzo (o del suo non utilizzo) possono trovare giovamento o, al contrario, pregiudizio, sì che la sua trasformazione urbanistica ed edilizia (così l'art. 1 L. 10/77 che, si noti, operando un rivolgimento copernicano rispetto all'art. 1 L. 1150/42, ha posto l'attività edilizia in secondo piano rispetto a quella urbanistica) costituisce oggetto di compiuta valutazione e comparazione degli interessi in gioco e, dunque, vera e propria attività di governo (così l'art. 117, comma 3 0 , Cost.), non sempre, e non solo, appannaggio esclusivo della collettività che lo abita;

7.12.appare evidente che la temporaneità dell'esigenza che l'opera precaria è destinata a soddisfare è quella (e solo quella) che non è suscettibile di incidere in modo permanente e tendenzialmente definitivo sull'assetto e sull'uso del territorio;

7.13.1a circolare n. 22 del 25 maggio 2009 del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, prot. M_TRA/PORTI/6843, citata dai ricorrenti a sostegno delle proprie ragioni, in disparte la sua natura niente affatto vincolante per il giudice ordinario, ha in ogni caso un ambito applicativo coerente alle competenze del ministero suddetto perché ha ad oggetto esclusivamente le modalità di determinazione dei canoni per le concessioni demaniali marittime, differenziate a seconda che si tratti di opere di difficile sgombero o rimozione ovvero di opere di facile sgombero o rimozione, senza alcuna pretesa di applicare tali definizioni anche a fini urbanistico-edilizi (provvedendo, al riguardo, direttamente il d.P.R. n. 380 del 2001);

7.14.ne consegue che sono manifestamente infondati il secondo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso dell'Adinolfi, il secondo ed il terzo motivo di ricorso della Mazzitelli e del De Flammineis.

8.E' invece fondato il sesto motivo di ricorso dell'Adinolfi.

8.1.In effetti, la Corte di appello, pur investita della richiesta di una attenuazione del trattamento sanzionatorio, ha completamente omesso di statuire su tale specifico ed autonomo punto.

8.2.Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti dell'Adinolfi in relazione al trattamento sanzionatorio con rinvio alla Corte di appello di Napoli.

9.Quanto all'ultimo motivo di ricorso della Mazzitelli e del De Flamnnineis, rileva il Collegio che in primo grado gli imputati erano stati condannati al risarcimento del danno in favore della parte civile «A.N.P.A.N.A. Onlus», quantificato nella misura di 2.000,00 euro, e al pagamento delle spese processuali liquidate in 1.500,00 euro con distrazione a favore dello Stato.

9.1.La Corte di appello, confondendo l'oggetto delle due statuizioni di condanna, ha erroneamente ritenuto che la somma di 2.000,00 euro fosse stata liquidata a titolo di pagamento delle spese processualt: senza distrazione a favore dello Stato sicché, sommandola con quella liquidata allo stesso titolo per il giudizio di appello, ha condannato gli imputati al pagamento delle spese processuali del doppio grado di giudizio nella misura di 3.500,00 euro con distrazione a favore dello Stato.

9.2.L'errore nel quale è caduta la Corte di appello può essere emendato in questa sede annullando sul punto la sentenza e rideterminando in 3.000,00 euro la condanna al pagamento delle spese processuali del doppio grado.

P.Q.M.

Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo E della rubrica perché estinto per prescrizione e, per l'effetto, elimina la relativa porzione di pena inflitta a tutti gli imputati nella misura di un mese di arresto e 5.000,00 euro di ammenda, nonché limitatamente alle spese sostenute dalla parte civile per il doppio grado di giudizio che si rideterminano in 3.000,00 euro, con distrazione a favore dello Stato.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al residuo trattamento sanzionatorio applicato all'Adinolfi e rinvia, sul punto, alla Corte di appello di Napoli.
Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi.

Così deciso in Roma, il 15/02/2017.