Cass. Sez. III n. 12389 del 15 marzo 2017 (Ud 21 feb 2017)
Presidente: Fiale Estensore: Ramacci Imputato: Minosi
Urbanistica.Permesso di costruire illegittimo e poteri del giudice penale
Nell’individuare quelle situazioni di illegittimità che rendono l’atto abilitativo improduttivo di validi effetti, non può che farsi riferimento alle finalità della disciplina urbanistica ed ai presupposti per il rilascio del permesso di costruire, che l’art. 12 del d.P.R. 380\01 individua, tra l’altro, nella conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico - edilizia vigente. Ne consegue che, in disparte l’ipotesi dell’illiceità del provvedimento, la illegittimità rilevante per il giudice penale non può che essere quella derivante dalla non conformità del titolo abilitativo alla normativa che ne regola l’emanazione o alle disposizioni normative di settore, dovendosi, al contrario, radicalmente escludersi la possibilità che il mero dato formale dell’esistenza del permesso di costruire possa precludere al giudice penale ogni valutazione in ordine alla sussistenza del reato
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Lecce, con sentenza del 13/1/2016 ha confermato la decisione con la quale, in data 5/6/2012, il Tribunale di Lecce – Sezione Distaccata di Maglie aveva riconosciuto Lorenzo MINOSI responsabile del reato di cui all’art. 44, lett. b), d.P.R. 380\01, perché, in assenza di permesso di costruire, realizzava, in zona agricola, su terreno di sua proprietà, una piscina di forma irregolare della superficie di mq 76,11 circa, con profondità di m. 1,30 fino a m. 1,8, completa di vano interrato per impianto di depurazione e ricircolo dell’acqua e area solarium di mq. 41 situata intorno alla piscina; un deposito attrezzi della superficie di mq 17,76 circa, con solaio in legno; un gazebo della superficie di mq 19,50 circa, con colonne in conci di tufo, nonché cambio di destinazione d’uso del piano seminterrato, da deposito macchine agricole ad abitazione, pari a circa mq 128, con realizzazione di opere interne (fatto accertato in Maglie il 10/6/2010).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rappresentando che la Corte territoriale avrebbe non correttamente analizzato ed applicato il permesso di costruire in sanatoria rilasciato, ai sensi dell’art. 36 d.P.R. 380\01, per le opere eseguite.
Ricostruito l’iter amministrativo che aveva preceduto la realizzazione degli interventi edilizi, fa presente che l’immobile era stato acquistato con le opere realizzate al rustico e di essersi limitato a completarle in conformità ad una d.i.a. da lui presentata ed avente ad oggetto anche le opere interne e che, per l’unico intervento non sanabile (la modifica della destinazione d’uso), il processo non avrebbe offerto alcuna prova, aggiungendo che, in ogni caso, non risultando lo stesso espressamente vietato, sarebbe comunque carente l’elemento psicologico del reato.
Quanto al permesso in sanatoria, osserva che la Corte territoriale avrebbe errato nel far derivare, dalla ritenuta illegittimità dello stesso, una condizione per la configurabilità della violazione urbanistica, rilevando, altresì, che, a fronte di tale provvedimento, i giudici del merito avrebbero dovuto limitarsi a verificarne la mera regolarità formale, senza alcun potere di sindacato.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
La vicenda in esame è stata ricostruita dai giudici del merito ponendo in evidenza il fatto che il titolo abilitativo originariamente rilasciato (concessione edilizia 147/93) riguardava la realizzazione, in zona agricola, di una casa colonica a piano rialzato e deposito al piano seminterrato.
Ad esso aveva fatto seguito una d.i,a. (del 19/1/2006) per l’esecuzione di modifiche interne al piano terra e rifiniture dell’immobile, che si presentava allo stato rustico.
I successivi accertamenti consentivano di verificare che, in luogo delle opere assentite, era stata realizzata un’abitazione su due piani con piscina, solarium ed un gazebo.
Risultava, inoltre, il cambio di destinazione d’uso del seminterrato, da deposito di attrezzi agricoli ad abitazione.
La Corte territoriale dava anche atto del fatto che lo stesso tecnico comunale, sentito nel giudizio di primo grado, aveva escluso la possibilità di trasformare la casa colonica in abitazione, considerata la destinazione agricola dell’area e la necessaria condizione di imprenditore agricolo richiesta dallo strumento urbanistico per l’esecuzione di interventi in zona così classificata.
2. Fatte tali premesse, i giudici del gravame rilevavano come la pregressa richiesta della d.i.a, da parte del precedente proprietario, non legittimasse comunque l’imputato alla realizzazione degli interventi descritti nell’incolpazione, nemmeno dal punto di vista meramente psicologico, ponendo chiaramente in evidenza il contrasto delle opere con la destinazione urbanistica dell’area e la mancanza della qualifica soggettiva di imprenditore agricolo in capo all’imputato medesimo.
Tal considerazioni sono giuridicamente corrette e si sottraggono ad ogni censura, avendo i giudici del merito chiaramente evidenziato come le opere realizzate fossero state eseguite non soltanto in assenza del necessario titolo abilitativo, ma anche non in conformità con la destinazione urbanistica dell’area.
I giudici del merito hanno infatti posto in rilevo come l’intervento originariamente autorizzato riguardasse la realizzazione di una casa colonica, perfettamente compatibile con la destinazione di zona e che l’odierno ricorrente, dopo l’acquisto del terreno e dell’immobile al rustico, ha realizzato gli interventi descritti nell’imputazione.
La Corte territoriale ha, altrettanto correttamente, escluso ogni rilevanza, sotto il profilo psicologico, dell’acquisto dell’immobile costruito sulla base di titoli abilitativi conseguiti dal precedente proprietario, poiché, in disparte la circostanza, accertata in fatto, della realizzazione di opere completamente diverse da quelle assentite o assentibili e palesemente contrastanti con lo strumento urbanistico, era comunque onere dell’acquirente, anche se si fosse limitato, come sostenuto, al mero completamento dell’intervento già iniziato, di verificarne la compatibilità con la disciplina urbanistica e gli strumenti di pianificazione, al fine di non incorrere nel colpevole inadempimento di un necessario onere di informazione.
3. Altra questione presa in esame nella sentenza impugnata ed oggetto di censure in ricorso è quella concernente la validità ed efficacia del permesso di costruire in sanatoria rilasciato ai sensi dell’art. 36 d.P.R. 380\01.
Risulta dalla sentenza impugnata che, nelle more del giudizio di appello, in data 1/7/2014, all’imputato veniva rilasciato il permesso in sanatoria, subordinato all’autorizzazione paesaggistica, per le medesime opere ritenute abusive in occasione del sopralluogo che aveva poi portato la presente procedimento penale.
Osserva la Corte di appello che nulla era mutato, nel frattempo, nell’assetto normativo disciplinante l’esecuzione di opere edilizie nel comune di Maglie e che con una precedente istanza, presentata il 3/12/2010, si era ottenuto un parere favorevole ad un piccolo ampliamento al piano seminterrato e per la realizzazione di tramezzature interne del locale destinato a deposito di attrezzi agricoli, che veniva invece escluso per il resto (vano deposito corpo A, porticato corpo B), mentre nessuna richiesta riguardava la piscina.
A fronte di tale situazione, la Corte territoriale ha ritenuto illegittimo il permesso di costruire in sanatoria, ribadendo l’assenza del requisito soggettivo di imprenditore agricolo in capo all’imputato e ponendo, ancora una volta, in evidenza l’impossibilità della modifica della destinazione d’uso, in quanto in contrasto con la destinazione urbanistica dell’area.
Il ricorrente, come si è detto, contesta la correttezza di tale conclusione, sostenendo, in sostanza, che i giudici del gravame non sarebbero stati legittimati a valutare la legittimità del provvedimento sanante, della formale esistenza del quale avrebbero dovuto limitarsi a prendere atto, riconoscendone, conseguentemente, gli effetti estintivi del reato.
Tale assunto, ad avviso del Collegio, non è assolutamente condivisibile.
4. Viene infatti riproposta la dibattuta questione delle conseguenze derivanti dall’esecuzione di interventi edilizi con permesso di costruire illegittimo e dei poteri del giudice penale in presenza di vizi di legittimità del titolo abilitativo.
Sull’argomento, come è noto, sono intervenute, in due diverse occasioni, le Sezioni Unite di questa Corte con le note sentenze “Giordano” (Sez. U, n. 3 del 31/1/1987, Giordano, Rv. 17511501) e “Borgia” (Sez. U, n. 11635 del 12/11/1993, P.M. in proc. Borgia ed altri, Rv. 19535901).
Con la prima si escludeva che il giudice penale avesse, in base a quanto disposto dagli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E, il potere di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi che non comportano una lesione dei diritti soggettivi, ma rinnovano un ostacolo al loro libero esercizio (nulla osta, autorizzazioni) o addirittura li costituiscono, a meno che tale potere non trovi fondamento e giustificazione o in una esplicita previsione legislativa, ovvero, nell'ambito dell'interpretazione della norma penale qualora l'illegittimità dell'atto amministrativo si presenti essa stessa come elemento essenziale della fattispecie criminosa..
Si giungeva, così, alla conclusione che il reato di costruzione in assenza della concessione (nel caso esaminato, quello allora sanzionato dall'art. 17 lett. B della legge 28 gennaio 1977 n. 10) non fosse configurabile nel caso di illegittima concessione rilasciata prima dello inizio dei lavori, rilevando che si verterebbe, invece, in ipotesi di assenza dell'atto non solo quando l'atto in questione sia stato emesso da organo assolutamente privo del potere di provvedere, ma anche qualora il provvedimento sia frutto di attività criminosa del soggetto pubblico che lo rilascia o del soggetto privato che lo consegue e, quindi, non sia riferibile oggettivamente alla sfera del lecito giuridico, oltre la quale non è dato operare ai pubblici poteri.
La seconda - che faceva seguito ad una diversa presa di posizione, giustificata dalla necessità di una nuova valutazione della questione alla luce della legge 47\1985 (Sez. 3, n. 2766 del 9/1/1989, Bisceglia, Rv. 18241101) e ad una pronuncia della Corte Costituzionale (Corte Cost. ord. 288 del 14/6/1990), che invece ribadiva quanto affermato dalle Sezioni Unite “Giordano” - chiariva che il reato di cui all'art. 20, comma primo, lett. a) dell’allora vigente legge 28 febbraio 1985, n. 47, era configurabile nel caso di realizzazione di opere di trasformazione del territorio in violazione del parametro di legalità urbanistica ed edilizia, costituito dalle prescrizioni della concessione edilizia, richiamata dalla norma penale ad integrazione descrittiva della fattispecie penale, nonché dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi, ed, in quanto applicabili, da quelle della stessa legge.
Date tali premesse, si escludeva che, sussistendo difformità dell'opera edilizia rispetto agli strumenti normativi urbanistici, ovvero alle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, il giudice penale dovrebbe comunque concludere per la mancanza di illiceità penale nel caso in cui sia stata rilasciata la concessione edilizia, osservando che la concessione non è idonea a definire esaurientemente lo statuto urbanistico ed edilizio dell'opera realizzanda senza rinviare al quadro delle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle rappresentazioni grafiche del progetto approvato, con la conseguenza che, in tali ipotesi, non si configura una non consentita "disapplicazione" da parte del giudice penale dell'atto amministrativo concessorio, bensì l’esercizio, da parte del giudice penale, della potestà, attribuitagli dalla legge, di procedere ad un'identificazione in concreto della fattispecie sanzionata.
Sulla scia della sentenza “Borgia”, la giurisprudenza di questa Corte è successivamente giunta alla condivisibile conclusione che l’attività svolta dal giudice in presenza di un titolo abilitativo edilizio illegittimo consiste nel valutare la sussistenza dell'elemento normativo della fattispecie e non nel disapplicare l’atto amministrativo o effettuare comunque valutazioni proprie della P.A.
Nelle successive pronunce, il principio affermato dalla sentenza “Borgia” è stato oggetto di ulteriori puntualizzazioni.
Il principio è stato ribadito dalle stesse Sezioni Unite con riferimento alla lottizzazione abusiva (Sez. U, n. 5115 del 28/11/2001 (dep.2002), Salvini, Rv. 22070801).
Si è poi chiarito, ad esempio, dopo un’accurata disamina della evoluzione giurisprudenziale sul tema, che la “macroscopica illegittimità” del provvedimento amministrativo non è condizione essenziale per la configurabilità di un’ipotesi di reato ex art. 44 d.P.R. 3890\01, mentre, (a prescindere da eventuali collusioni dolose con organi dell’amministrazione) l’accertata esistenza di profili assolutamente eclatanti di illegalità costituisce un significativo indice di riscontro dell’elemento soggettivo della contravvenzione contestata anche riguardo all’apprezzamento della colpa (Sez. 3, n. 21487 del 21/3/2006, P.M. in proc. Tantillo e altro, Rv. 23446901), specificando pure che la non conformità dell'atto amministrativo alla normativa che ne regola l'emanazione, alle disposizioni legislative statali e regionali in materia urbanistico edilizia ed alle previsioni degli strumenti urbanistici può essere rilevata non soltanto se l'atto medesimo sia illecito, cioè frutto di attività criminosa ed a prescindere da eventuali collusioni dolose del soggetto privato interessato con organi dell'amministrazione, ma anche nelle ipotesi in cui l’emanazione dell'atto sia espressamente vietata in mancanza delle condizioni previste dalla legge, o in quella di mancato rispetto delle norme che regolano l'esercizio del potere (Sez. 3, n. 40425 del 28/9/2006, Consiglio, Rv. 23703801).
Anche le pronunce successive sono pervenute a conclusioni analoghe (v., ad es., Sez. 3, n. 41620 del 2/10/2007, Emelino, Rv. 23799501; Sez. 3, n. 28225 del 09/05/2008, Di Stefano, non massimata; Sez. 3, n. 35389 del 27/06/2008, Gallo, non massimata; Sez. 3, n. 9177 del 13/01/2009, Corvino, non massimata; Sez. 3, n. 14504 del 20/1/2009, Sansebastiano e altri, Rv. 24347401, non massimata sul punto; Sez. 3, n. 34809 del 2/7/2009, Giombini e altro, non massimata; Sez. 3, n. 35391 del 14/7/2010, Di Domenico, non massimata; Sez. 3, n. 28545 del 16/2/2012, Cinti, non massimata; Sez. 3, n. 37847 del 14/5/2013, Sorini, Rv. 25697101 Sez. 3, n. 36366 del 16/6/2015, Faiola, Rv. 26503401) chiarendo, altresì, che il potere del giudice penale di accertare la conformità alla legge ed agli strumenti urbanistici di una costruzione edilizia trova un limite nei provvedimenti giurisdizionali del giudice amministrativo passati in giudicato che abbiano espressamente affermato la legittimità della concessione o della autorizzazione edilizia ed il conseguente diritto del cittadino alla realizzazione dell'opera (Sez. 3, n. 1894 del 14/12/2006 (dep.2007), P.M. in proc. Bruno e altro, Rv. 23564401, che a sua volta richiama Sez. 3, n. 39707 del 5/6/2003, Lubrano di Scorpianello, Rv. 22659201) e che anche nell’accertare che per un determinato intervento occorre il permesso di costruire, in luogo del diverso titolo ritenuto sufficiente dall’amministrazione, il giudice penale non esercita alcun sindacato sull’attività della pubblica amministrazione medesima (Sez. 3, n. 19076 del 24/3/2009, Piparo, Rv. 24372201).
5. Va tuttavia dato conto del fatto che, a fronte di un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidatosi, la questione è stata affrontata in maniera apparentemente difforme da una pronuncia di questa Sezione (Sez. 3, n. 7423 del 18/12/2014 (dep. 2015), Cervino e altri, Rv. 26391601, richiamata anche da Sez. 3, n. 52861 del 14/07/2016, Gnudi, non massimata).
La menzionata pronuncia, prendendo in esame le censure di costituzionalità della fattispecie penale ipotizzata per asserito contrasto con l'art. 3, comma 1, 25, comma 2 e 27, comma 1, Cost., le ha disattese sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni applicate e, richiamando parte delle pronunce succedutesi nel tempo in materia di illegittimità del permesso di costruire ed abuso edilizio, è giunta alla conclusione che, ai fini della configurabilità delle ipotesi di reato previste nelle lettere b) e c) dell'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, non possono ritenersi realizzate in "assenza" di permesso di costruire le opere eseguite sulla base di un provvedimento abilitativo meramente illegittimo, ma non illecito o viziato da illegittimità macroscopica, tale da potersi ritenere sostanzialmente mancante.
6. Ritiene il Collegio che tali affermazioni, per come formulate, potrebbero prestarsi ad una lettura ritenuta indicativa di una inversione dell’ormai lineare percorso interpretativo tracciato dalla giurisprudenza nel corso degli anni ma così certamente non può essere, perché, altrimenti, la suddetta decisione non avrebbe potuto fare a meno di prendere esplicitamente le distanze dai principi affermati con la sentenza “Borgia” delle Sezioni Unite, successivamente ribaditi nella sentenza “Salvini”, nonché dalle pronunce che ai medesimi principi hanno dato ulteriore continuità.
Ciò che invece si comprende chiaramente, nella sentenza “Cervino”, è che si è voluto escludere ogni automatismo tra mera illegittimità del titolo abilitativo e sussistenza del reato urbanistico, eliminando così il rischio, paventato nella prospettata questione di legittimità costituzionale, di una irragionevole equiparazione interpretativa "in malam partem" tra mancanza "ab origine" dell'atto concessorio e illegittimità dello stesso accertata "ex post", sia la violazione del principio della responsabilità penale per fatto proprio colpevole.
In tal senso sembra, invero, essersi orientata anche la successiva sentenza “Gnudi”, ove, dopo un richiamo al principio affermato, si è rinvenuta la macroscopica illegittimità di un articolo delle norme tecniche di attuazione del regolamento urbanistico, rilevante nella definizione del caso preso in esame.
Va peraltro rilevato che le pronunce che si richiamano alla sentenza “Borgia” e le stesse Sezioni Unite non hanno mai dato adito ad equivoche amplificazioni degli effetti dei principi affermati.
7. Invero, nell’individuare quelle situazioni di illegittimità che rendono l’atto abilitativo improduttivo di validi effetti, non può che farsi riferimento alle finalità della disciplina urbanistica ed ai presupposti per il rilascio del permesso di costruire, che l’art. 12 del d.P.R. 380\01 individua, tra l’altro, nella conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico - edilizia vigente.
Ne consegue che, in disparte l’ipotesi dell’illiceità del provvedimento, la illegittimità rilevante per il giudice penale non può che essere quella derivante dalla non conformità del titolo abilitativo alla normativa che ne regola l’emanazione o alle disposizioni normative di settore, dovendosi, al contrario, radicalmente escludersi la possibilità che il mero dato formale dell’esistenza del permesso di costruire possa precludere al giudice penale ogni valutazione in ordine alla sussistenza del reato.
8. A conclusioni analoghe la giurisprudenza di questa Corte è pervenuta anche per ciò che concerne i provvedimenti amministrativi di sanatoria o condono, osservando come il mancato effetto estintivo non sia riconducibile ad una valutazione di illegittimità del provvedimento cui consegua la disapplicazione dello stesso, ma alla verifica della inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell'estinzione del reato in sede di esercizio del doveroso sindacato della legittimità del fatto estintivo, incidente sulla fattispecie tipica penale (Sez. 3, n. 23080 del 16/04/2008, Proietti, non massimata; conf. Sez. 3, n. 26144 del 22/04/2008, Papa, Rv. 24072801; Sez. 3, n. 12869 del 5/2/2009, Fulginiti, non massimata; Sez. 3, n. 27948 del 10/6/2009, Sabbatini, non massimata; Sez. III n. 31479, 29 luglio 2008).
9. Nel caso di specie, la Corte del merito si è correttamente adeguata ai ricordati principi, escludendo ogni efficacia estintiva del permesso di costruire in sanatoria dopo aver dato conto del fatto che che lo stesso riguardava opere in contrasto con lo strumento urbanistico e realizzate da persona priva dei requisiti soggettivi necessari.
10. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento
Così deciso in data 21.2.2017