Cass. Sez. III n. 9920 del 12 marzo 2025 (CC 5 mar 2025)
Pres. Ramacci Est. Giorgianni Ric. Vitale
Urbanistica.Conseguenze della acquisizione al patrimonio del Comune dell'immobile abusivo

L'acquisizione al patrimonio del Comune dell'immobile abusivo fa cessare l'interesse alla revoca o alla sospensione dell'ordine di demolizione in capo al responsabile dell'illecito il quale, a seguito del provvedimento acquisitivo, deve ritenersi terzo estraneo alle vicende giuridiche dell'immobile essendo il bene ormai divenuto di proprietà del Comune. 


RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza datata 5 giugno 2024, il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, respingeva l’istanza presentata da Giovanna Vitale e diretta ad ottenere l’annullamento, previa sospensione, dell’ingiunzione a demolire relativamente all’ordine di demolizione emesso con sentenza del Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Afragola, del 05/04/2001, divenuta irrevocabile il 21/06/2002.

2. Avverso l’indicata ordinanza, Giovanna Vitale, a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1 Con il primo motivo, la ricorrente deduce ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. omessa applicazione di norme processuali stabilite a pena di nullità ex art. 666, comma 5, cod. proc. pen.
 In sintesi, la difesa deduce che per l’immobile abusivo, ricadente in zona B1 e non assoggettato ad alcun vincolo di natura urbanistica, sono state emesse dal comune di Cardito ingiunzioni per ottenere il pagamento della indennità di occupazione in esecuzione della delibera G.C. n. 152 del 03/11/2017 che detta le linee guida per la gestione di immobili acquisiti al patrimonio comunale e che sottraggono l’opera abusiva al suo normale destino della demolizione, dando conto delle specifiche esigenze che giustificano la scelta di conservazione del manufatto, in funzione della tutela del diritto alla casa e della salvaguardia delle fasce deboli della popolazione. Pertanto, il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto accogliere l’istanza di sospensione e revocare l’ingiunzione a demolire opposta, o, comunque, in subordine, avrebbe dovuto controllare se non vi fosse un progetto dell’amministrazione comunale che avesse conferito all’immobile una diversa destinazione.
2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. errata interpretazione e violazione di legge; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 666, comma 5, cod. proc. pen.
In sintesi, la difesa deduce che, in ragione della presentazione della richiesta di permesso di costruire con gli allegati accertamenti di conformità e della esistenza dei presupposti di legittimità per ottenere il permesso di costruire in sanatoria, il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto accogliere l’istanza di sospensione dell’esecuzione per avvenuta presentazione di domanda di sanatoria, incombendo su colui che invoca la sospensione o la revoca dell’ordine di demolizione un onere di allegazione e sull’autorità giudiziaria il compito di procedere ai relativi accertamenti.
Il Tribunale aveva, dunque, ingiustificatamente disatteso la richiesta di sospensione della ingiunzione a demolire, in pendenza del termine per la deliberazione sulla istanza di permesso di costruire in sanatoria, poiché avrebbe dovuto chiedere al responsabile dell’ufficio tecnico comunale i documenti e le informazioni di cui aveva bisogno per la emananda decisione, essendo del tutto illogico disattendere la richiesta di sospensione per la non rapida definizione della procedura amministrativa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di ricorso, da trattare congiuntamente in quanto intesi a paralizzare l’ingiunzione a demolire dell’immobile, sia perché dal comune di Cardito destinato ad alloggi di edilizia residenziale pubblica, sia per l’avvenuta presentazione da parte della ricorrente di richiesta di permesso di costruire in sanatoria, sono inammissibili poichè proposti da soggetto non legittimato.
Risulta, infatti, pacifico che il comune di Cardito, con dichiarazione di acquisizione n. 30 del 2012, ha acquisito al patrimonio comunale l’opera edilizia sita in via Ariosto, n. 3, con relativa area di sedime, costituita da “sopraelevazione al secondo piano completamente rifinita”.
La ricorrente, dunque, non è più proprietaria dell’immobile, edificato senza titolo, a seguito dell’acquisizione delle opere e dell’area di sedime al patrimonio comunale.
Le considerazioni che precedono pongono pertanto la questione relativa all'interesse della ricorrente ad impugnare il provvedimento che dispone la demolizione di un bene del quale, ormai, non è più proprietaria.
Sez. 3, n. 11171 del 14/12/2013, dep. 2014, Pollastro, Rv. 286047, ha condivisibilmente affermato che l'interesse ad impugnare deve essere concreto ed attuale, correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se l'impugnazione sia idonea a costituire, attraverso l'eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l'impugnante rispetto a quella esistente (Sez. U, n. 6203 del 11/05/1993, Amato, Rv. 193743; Sez. U, n. 9616 del 24/03/1995, Boido, Rv. 202018; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, Timpani, Rv. 203093; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, Serafino, Rv. 202269; Sez. U, n. 20 del 20/10/1996, Vitale, Rv. 206169; Sez. U, n. 18253 del 24/04/2008, Tchmil, Rv. 239397; Sez. U, n. 28911 del 28/09/2019, Massaria, Rv. 275953). La legge processuale non ammette l'esercizio del diritto di impugnazione avente di mira la sola esattezza teorica della decisione, senza che alla posizione giuridica del soggetto derivi alcun risultato pratico favorevole, nel senso che miri a soddisfare una posizione oggettiva giuridicamente rilevante e non un mero interesse di fatto (in tal senso, Sez. U, Serafini, nonché Sez. U, Massaria, secondo cui la concretezza dell' interesse non può dunque che essere parametrata al raffronto tra quanto statuito dal provvedimento impugnato e quanto, con l'impugnazione svolta, si vorrebbe invece ottenere).
E secondo il costante indirizzo di questa Corte di legittimità, costituisce declinazione pratica di questo principio quello secondo il quale l'acquisizione al patrimonio del Comune dell'immobile abusivo fa cessare l'interesse alla revoca o alla sospensione dell'ordine di demolizione in capo al responsabile dell'illecito (Sez. 3, n. 20027 del 20/03/2024, Sommella; in senso conforme, Sez. 3, n. 35203 del 18/06/2019, Centioni, Rv. 277500, che ha precisato che il precedente proprietario del bene, a seguito del provvedimento acquisitivo, deve ritenersi terzo estraneo alle vicende giuridiche dell'immobile; ancora, Sez. 3, n. 45432 del 25/05/2016, Ligorio, Rv. 268133, ha affermato che a seguito dell'inutile decorso del termine assegnato al condannato per l'esecuzione dell'ordine di demolizione, viene meno l'interesse alla revoca o alla sospensione dello stesso, essendo il bene ormai divenuto di proprietà del Comune). 
Coerentemente con tale indirizzo è stato altresì affermato (Sez. 3, n. 7399 del 13/11/2019, dep. 2020, Calise, Rv. 278090) che, dopo l'acquisizione dell'opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune, qualora il consiglio comunale non abbia deliberato il mantenimento del manufatto, ravvisando l'esistenza di prevalenti interessi pubblici, il condannato può chiedere la revoca dell'ordine di demolizione soltanto per provvedere spontaneamente all'esecuzione di tale provvedimento, essendo privo di interesse ad avanzare richieste diverse, in quanto il procedimento amministrativo sanzionatorio ha ormai come unico esito obbligato la demolizione della costruzione a spese del responsabile dell'abuso (nello stesso senso, Sez. 3, n. 5536 del 16/01/2025, Giuliano; Sez. 3, n. 4758 del 20/12/2023, dep. 2024, Petrazzuolo; Sez. 3, n. 7720 del 30/03/2023, Amendola).

1.1 Con riferimento al primo motivo di ricorso, la costante giurisprudenza di questa Corte ha poi evidenziato che sussiste incompatibilità tra l'acquisizione gratuita e l'ordine di demolizione emesso dal giudice con la sentenza di condanna soltanto se, con delibera consiliare, l'ente locale stabilisce di non demolire l'opera acquisita ai sensi dell'art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380/2001, il quale prevede che «l'opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico» (Sez. 3, n. 32976 del 6/7/2023, Accardo). 
Qualora il Consiglio comunale non abbia deliberato il mantenimento dell'opera, pertanto, il procedimento sanzionatorio amministrativo (per le opere realizzate in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali) ha come sbocco unico ed obbligato la demolizione a spese del responsabile dell'abuso. Ogni altra richiesta è pertanto priva di interesse (cfr. in tal senso Sez. 3, n. 45432 del 25/05/2016, Ligorio, Rv. 268133).
Diversamente da quanto sostenuto nel primo motivo di ricorso, il giudice dell’esecuzione ha convincentemente escluso che tale evenienza ricorra nel caso di specie, precisando come la delibera comunale n. 25 del 21/09/2015, che sottolinea essere l’unico documento allegato al ricorso, costituiva una delibera di indirizzo, finalizzata a regolamentare l’utilizzo degli immobili acquisiti al patrimonio comunale ai sensi dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, senza prendere in considerazione lo specifico immobile oggetto di demolizione, sito al secondo piano di via Ariosto, n. 3, esplicitando le finalità progettuali per la sua conservazione e, soprattutto, valutando l’assenza di contrasto con gli interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico, considerato che trattasi di immobile realizzato in sopraelevazione in un’area a rischio sismico.
In ogni caso, va ribadito che la destinazione ad alloggi di edilizia residenziale pubblica troverebbe nel caso di specie applicazione per «gli immobili acquisiti al patrimonio dei comuni», ovvero in una situazione in cui il condannato non è più il proprietario degli immobili stessi. E’ stato, dunque, affermato il principio, dal Collegio condiviso, secondo cui «il proprietario destinatario di ordine di demolizione di un immobile abusivo non ha interesse a far valere, attraverso l'incidente di esecuzione, l'applicabilità dell'art. 1, comma 65, della legge della Regione Campania n. 5 del 2013 - secondo cui, tra l'altro, gli immobili acquisiti al patrimonio dei comuni possono essere destinati prioritariamente ad alloggi di edilizia residenziale pubblica, di edilizia residenziale sociale, anche con l'assegnazione in locazione degli immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo, o a programmi di dismissione immobiliare - perché tale norma presuppone che egli abbia perso la titolarità dell'immobile, ormai acquisito al patrimonio comunale” (Sez. 3, n. 49416 del 12/09/2019, Durazzo, Rv. 278260).
Né ancora può rilevare la circostanza che l’ente locale ha ingiunto alla ricorrente il pagamento della indennità di occupazione, poiché tale richiesta, come il giudice dell’esecuzione precisa, è riferita alle annualità successive al momento in cui ne è divenuto proprietario e rappresenta legittimo esercizio delle facoltà che al proprietario competono, tanto più che il comune ha anche il dovere di riscuotere l’indennità corrispondente all’uso di un bene di cui è diventato proprietario nell’interesse della comunità locale che rappresenta.

1.2 Anche in relazione al secondo motivo di ricorso la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che l’istanza di permesso di costruire in sanatoria non possa essere presentata da chi non è più proprietario dell’immobile e che, in ipotesi, il permesso di costruire in sanatoria rilasciato successivamente all'acquisizione al patrimonio immobiliare del Comune è illegittimo e non possa ritenersi preclusivo alla demolizione degli abusi (Sez. 3, n. 5536 del 16/01/2025, cit.), in quanto emesso a favore di un soggetto che non è più titolare del bene, spettando al Comune di stabilire se mantenere o demolire l'opera (Sez. 3, n. 35484 del 15/12/2020, Trapanese).
Del resto, l'art. 36, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce che il permesso di costruire in sanatoria può essere richiesto fino alla scadenza dei termini di cui agli artt. 31, comma 3, 33, comma 1, e 34, comma 1, stesso decreto e, comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative; ebbene, nel caso in esame, questo termine risulta evidentemente superato, poiché, a fronte di un'ingiunzione a demolire emessa il 09/10/2014 (preceduta dalla determina di acquisizione n. 30 del 2012), la richiesta di permesso di costruire in sanatoria è stata depositata soltanto nell’ottobre 2023, come sottolinea il giudice dell’esecuzione (cfr. pag. 4 dell’ordinanza impugnata).
E, secondo l'insegnamento della giurisprudenza amministrativa, la presentazione della domanda di accertamento di conformità successiva alla emanazione dell'ordinanza di demolizione comporta che l'Amministrazione non può che constatare che l'istanza è stata presentata da chi non sia più proprietario, se essa è stata proposta dopo l'acquisizione ipso jure della proprietà ai sensi dell'art. 31, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001, per il decorso del termine di novanta giorni, come nel caso in esame (Cons. St., Sez. VI, n. 5654 del 30/11/2017; Cons. St., Sez. VI, n. 5653 del 30/11/2017).
Deve anche aggiungersi che il permesso di costruire in sanatoria non avrebbe potuto comunque essere rilasciato, trattandosi di immobili realizzati in sopraelevazione in area a rischio sismico. Infatti, secondo l’affermazione costante di questa Corte (cfr., ex multis, Sez. 3 del 20/03/2024, Baiocco; Sez. 3, n. 45845 del 19/09/2019, Rv. 277265 e Sez. 3, n. 7405 del 15/01/2015, Rv. 262422), in tema di reati urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all’art. 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, a precludere l’irrogazione dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva previsto dall’art. 31, comma 9, del medesimo d.P.R. e a determinare, se eventualmente emanata successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, la revoca di detto ordine, può essere solo quella rispondente alle condizioni espressamente indicate dall’art. 36 del decreto stesso citato, che richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente, sia al momento della realizzazione del manufatto, sia al momento della presentazione della domanda di permesso in sanatoria, dovendo escludersi la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che, solo successivamente, in applicazione della cosiddetta sanatoria “giurisprudenziale” o “impropria”, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica. Allo stesso modo, il requisito della doppia conformità è da ritenersi escluso in caso di edificazioni eseguite – come nel caso in esame – in assenza del preventivo ottenimento dell’autorizzazione sismica (Sez. 3, n. 2357 del 14/12/2022, dep. 2023, Casà, Rv. 284058 - 01; Sez. 3, n. 29179 del 05/07/2023, Carceo; Sez. 3, n. 14645 del 13/03/2024, Erbasecca). 
Il principio trova sostegno anche nella giurisprudenza amministrativa più recente, secondo cui la richiesta di autorizzazione ai fini sismici è sempre preventiva, non potendosi ammettere l'istituto dell'autorizzazione sismica in sanatoria (Cons. Stato, Sez. 6, n. 9355 del 2024).

2. In conclusione, nel caso in cui il condannato, destinatario dell'ingiunzione a demolire, non sia più proprietario dell'immobile o titolare di altro diritto reale sullo stesso, l'interesse concreto e attuale all'annullamento del provvedimento deve essere dedotto in modo specifico e deve corrispondere ad un beneficio effettivo e reale derivante dall'annullamento dell'atto. 
Nel caso di specie ciò non è avvenuto, essendosi limitata la ricorrente a reclamare l’annullamento dell’ingiunzione a demolire perché l’immobile abusivo era stato destinato dal comune di Cardito ad alloggi di edilizia residenziale pubblica e per l’avvenuta presentazione da parte della ricorrente di richiesta di permesso di costruire in sanatoria – motivi entrambi inammissibili, secondo quanto argomentato nei paragrafi 1.1 e 1.2 –, senza null'altro dedurre a sostegno del suo interesse attuale e concreto a conservare un bene del quale non era più proprietaria.

3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue l’onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. 
Tenuto conto, inoltre, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, l. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate. 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
 Così deciso nella camera di consiglio del 05/03/2025.