Cass. Sez. III n. 9133 del 4 marzo 2016 (Ud 1 lug 2015)
Pres. Squassoni Est. Gentili Ric. Cirino ed altri
Urbanistica.Calcolo ai fini del rispetto dei limiti di altezza

In tema di costruzione di un fabbricato ai fini del rispetto dei limiti di altezza, il relativo calcolo va operato facendo riferimento al piano di posa dell'edificio che, dovendo essere perfettamente orizzontale, deve, se il piano naturale di campagna sia inclinato e presenti livelli diversi, essere determinato calcolando la media delle misure dei vari punti del perimetro esterno della costruzione

    RITENUTO IN FATTO

Il Tribunale di Avellino, con sentenza del 7 maggio 2014, ha condannato Cirino Anna Maria, Andreotti Luigi e Martone Rocco Vittorio alla pena di euro 2000,00 di ammenda avendoli riconosciuti responsabili, in concorso tra loro, dei reati di cui agli artt. 44, comma 1, lettera a), del dPR n. 380 del 2001, per avere realizzato un edificio in parziale difformità dal permesso a costruire loro rilasciato, e 93 e 95 del medesimo dPR, per avere realizzato il predetto edificio senza avere preventivamente depositato gli atti progettuali presso l'ufficio competente del Genio civile.

    In particolare la accusa ha avuto ad oggetto la realizzazione di un manufatto della altezza, rispetto all'originario piano di campagna di metri 7,45, laddove il permesso a costruire legittimava la realizzazione di un edificio avente la altezza di metri 7,00.

    Va altresì precisato che, secondo quanto riferito dal teste di accusa, funzionario dell'Ufficio tecnico del Comune di Serino, sovrastante il piano di campagna era prevista la realizzazione di un marciapiede, per cui dalla altezza totale dell'edificio erano stati sottratti 10 cm, verosimilmente da assegnarsi allo spessore del marciapiede, sicchè la violazione rispetto al progetto assentito doveva riguardare la misura di 35 cm di altezza.

    Il Tribunale ha altresì rilevato che, sebbene non fosse stato acquisito agli atti del fascicolo il progetto assentito, era plausibile che l'altezza complessiva fosse stata stabilita con riferimento al piano di campagna, non potendo evidentemente essa misurarsi a partire dalla faccia superiore dell'ancora realizzando marciapiede, come, invece, ritenuto dalla difesa degli imputati, secondo la quale, peraltro il marciapiede in questione avrebbe avuto un'altezza rispetto al piano di campagna non di 10 cm ma di 38 cm, posto che, chiarisce il Tribunale, in tal modo la misura dell'altezza dell'edificio verrebbe condizionata dall'altezza del marciapiede realizzato in adiacenza, potendo la maggiore altezza del manufatto essere compensata da una maggiore altezza del marciapiede.

    Ciò per quanto attiene alla violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. a); quanto alle restanti violazione osservava il Tribunale che, tenuto conto della parziale difformità dell'opera realizzata rispetto ai progetti depositati presso i competenti Uffici, tale deposito doveva ritenersi inidoneo ad escludere la violazione della normativa antisismica, che, pertanto, era stata ritenuta anch'essa sussistere.

    Hanno proposto ricorso per cassazione i tre prevenuti, assistiti dal comune difensore, deducendo 6 motivi di impugnazione.

    Col primo di essi i medesimi si dolgono del fatto che il Tribunale di Avellino si sia sostituito alla autorità amministrativa nell'affermare che il calcolo dell'altezza del manufatto in questione doveva essere fatto a partire dalla quota del piano di campagna grezzo e non, come ritenuto dal Comune di Serino, attributario delle competenze amministrative in materia di definizione delle quote urbanistiche e degli allineamenti, a partire dalla quota della superficie del costruendo marciapiede.

    Quota che, peraltro, il Tribunale ha ritenuto essere di 10 cm rispetto al piano di campagna grezzo, laddove attraverso fotografie e consulenze di parte la difesa dei ricorrenti aveva dimostrato che questa doveva essere collocata a 35 cm rispetto al piano di campagna grezzo.

    Col secondo motivo i ricorrenti hanno dedotto la contraddittorietà o la manifesta illogicità della sentenza nella parte in cui in essa parrebbe per un verso darsi credito al teste di accusa, secondo il quale l'edificio era risultato di un'altezza superiore rispetto a quanto consentito di 35 cm, salvo poi ritenere che il computo di quella misura doveva essere fatto a partire dalla diversa quota del piano di campagna.

    Come terzo motivo di impugnazione è denunziata la illogicità della sentenza nonchè la violazione di legge laddove è stato ritenuto irrilevante l'avvenuto deposito del progetto ai fini della normativa antisismica solo perchè fra l'opera progettata e quella realizzata vi era una lieve difformità, tanto più laddove la norma sanziona espressamente solo il mancato deposito.

    Tale motivo di censura è altresì declinato come violazione della legge processuale, stante il contrasto fra il fatto contestato, il mancato deposito, e quello accertato, il deposito di un progetto difforme da quanto poi realizzato.

    La sentenza sarebbe poi illogica nella parte in cui in essa non è stato considerato il fatto che l'ufficio del Genio civile provinciale di Avellino, con nota del 23 gennaio 2012, ha comunicato che, ai fini antisismici, i lavori eseguiti dovevano considerarsi eseguiti in conformità con quanto progettato.

    Infine era contestata la mancata dichiarazione di estinzione dei reati antisimici per effetto della prescrizione; trattandosi, infatti, di reati istantanei il cui momento consumativo coincide con l'inizio dei lavori, che nel caso risale al 24 ottobre 2008, essi al momento della sentenza impugnata erano già prescritti.
   
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    I ricorsi presentati dagli imputati sono inammissibili.

    La puntuale ed analitica esposizione dei motivi di impugnazione contenuta nell'atto introduttivo del presente giudizio ne consente a questa Corte lo scrutinio secondo lo stesso ordine di esposizione.

    Col primo motivo di impugnazione, in sostanza, i ricorrenti si dolgono del fatto che il Tribunale di Avellino si sia sostituito agli organi amministrativi nella valutazione della conformità o meno, quanto al profilo della altezza, ai progetti assentiti dai competenti organi amministrativi del manufatto da loro realizzato.

    La doglianza è destituita di fondamento.

    E', difatti, di tutta evidenza che rientra nelle competenze della autorità giudiziaria, essendo sua attribuzione quella di verificare la effettiva corrispondenza fra la condotta ascritta all'imputato e la astratta fattispecie costituente reato, accertare, anche in base a valutazioni di carattere tecnico e senza vincoli derivanti da concorrenti scelte valutative operate dalla pubblica Amministrazione, se un determinato manufatto sia rispondente o meno al modello del quale sia stata dalle competenti autorità assentita la edificazione.

    Nel caso di specie, peraltro, la predetta verifica ha comportato anche la soluzione del problema interpretativo costituito dalla individuazione della quota a partire dal quale misurare, ai fini della sua conformità appunto al modello assentito, la altezza di un edificio; cioè se tale quota debba corrispondere al cosiddetto piano di campagna ovvero se la stessa va individuata nel livello superiore del marciapiede circostante l'edificio.

    Il tema, osserva la Corte, non risulta essere stato frequentemente scandagliato dalla giurisprudenza di legittimità; appare tuttavia ancora condivisibile, e peraltro in linea con l'orientamento di cui si è fatto portatore anche il Tribunale di Avellino, il principio esposto da questa Sezione con la sentenza n. 1272 del 1983, secondo la quale in tema di costruzione di un fabbricato ai fini del rispetto dei limiti di altezza, il relativo calcolo va operato facendo riferimento al piano di posa dell'edificio che, dovendo essere perfettamente orizzontale, deve, se il piano naturale di campagna sia inclinato e presenti livelli diversi, essere determinato calcolando la media delle misure dei vari punti del perimetro esterno della costruzione (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 8 febbraio 1983, n. 1272).

    Ritiene tuttora il Collegio che il principio riferito sia preferibile a quello del quale si sono fatti portatori i ricorrenti, cioè che l'altezza dell'edificio va calcolata al netto della altezza del marciapiede circostante, in quanto solo il primo criterio, assicurando la univoca oggettività del piano di impostazione del manufatto, non suscettibile di variazioni legate alle diverse scelte costruttive del marciapiede nei singoli punti in cui esso è realizzato, appare più conforme ad assicurare, sotto il profilo del decoro della edilizia urbana, il rispetto di un criterio uniforme di calcolo in maniera che si evitino difformità, sia pure contenute, nei livelli di colmo degli edifici, difformità (peraltro segnalate quanto al caso di specie dalla stessa sentenza del Tribunale di Avellino) che sarebbero legate a scelte, anche eventualmente interessate, coinvolgenti l'altezza di elementi accessori all'edificio quale potrebbe essere appunto il circostante marciapiede; ciò tanto più in un'ipotesi in cui, come nella presente fattispecie, il marciapiede ancora non è stato realizzato e nella quale, pertanto, la sua maggiore o minore altezza rispetto al piano sottostante potrebbe incidere su pregresse scelte costruttive, rendendo lecito, attraverso una sapiente modulazione dei livelli costruttivi di esso, ciò che, invece tale originariamente non era.

    Il secondo motivo di impugnazione è manifestamente infondato; con esso i ricorrenti lamentano una pretesa contraddittorietà della impugnata sentenza, la quale, secondo la loro ricostruzione, darebbe ora credito a quanto riportato dal teste M., tecnico del Comune di Serino, il quale, collocando la base di calcolo della altezza del manufatto realizzato dagli imputati al netto della altezza del marciapiede, ha affermato che l'immobile era risultato più alto di quanto risultante dal progetto assentito di soli 35 cm, ora, invece, affermerebbe che, dovendosi computare l'altezza dell'edificio a partire dal piano di campagna la variazione in eccesso dell'altezza dell'edificio rispetto a quanto indicato nei progetti è pari a 45 cm.

    In realtà, come dianzi rilevato, il Tribunale, che pure ha preso in esame la testimonianza del M., ha tuttavia, univocamente (e come precisato del tutto correttamente) considerato quale base di calcolo per la verifica della rispondenza o meno del manufatto agli elaborati progettuali posto a corredo della domanda volta a conseguire il permesso a costruire, la sua altezza a partire dal piano di campagna, senza tenere conto della superfetazione costituita dal marciapiede e dalla sua altezza.

    Col terzo motivo di impugnazione i ricorrente denunziano, sotto il profilo della violazione di legge, la sentenza del giudice di prime cure affermando che questi avrebbe fatto cattivo governo della norma penale che incrimina la realizzazione di interventi edilizi in zona sismica laddove ciò avvenga in assenza del preventivo deposito degli atti progettuali presso l'Ufficio del Genio civile competente per territorio.

    In particolare essi hanno rilevato che, sanzionando la norma in ipotesi violata la realizzazione delle opere edili senza che di esse sia dato preavviso ai competenti uffici ovvero senza che a tale atto sia allegato il progetto redatto e firmato nei modi di legge, gli stessi sono poi stati sanzionati in ragione del fatto costituito non dalla omissione del deposito degli atti incoativi della descritta procedura ma in quanto le opere realizzate non erano conformi ai documenti da loro depositati.

    Tale argomentazione è, peraltro, sviluppata dai ricorrenti anche col quarto motivi di ricorso, col quale gli stessi, osservato che nel capo di imputazione è ad essi contestato il mancato preventivo deposito dei predetti elaborati progettuali, mentre in sentenza è loro addebitato il deposito di documenti non conformi alle opere realizzate, hanno dedotto il contrasto fra il fatto come contestato e come poi accertato nella sentenza di condanna.

    Sotto ambedue profili le censure sono manifestamente infondate.

    Osserva, infatti, la Corte che la prescrizione concernente produzione della documentazione progettuale prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 93 nonchè il preventivo avviso di inizio dei relativi lavori, sanzionata in caso di violazione dal successivo cit. D.P.R., art. 95, ha lo scopo di consentire ai competenti Uffici tecnici di verificare la correttezza dal punto di vista costruttivo delle opere che si intende realizzare e la loro adeguatezza - onde prevenirne possibili rovine, con pericolo per la pubblica incolumità - a sostenere le sollecitazioni dinamiche che potrebbero loro derivare a causa di eventi sismici.

    E' di tutta evidenza che siffatta verifica non potrebbe realizzarsi, o quanto meno non potrebbe realizzarsi compiutamente, laddove la predetta documentazione fosse avulsa dalla reale morfologia degli erigendi manufatti; il che frustrerebbe palesemente le finalità di generale salvaguardia della sicurezza pubblica che sottendono alla normativa in questione.

    E', pertanto, indubitabile che la produzione di una documentazione che non corrisponda alla materialità della opere successivamente realizzate deve intendersi tamquam non esset; in altre parole si tratta di una operazione equivalente alla mancata produzione, costituendo, laddove la difformità non attenga a profili del tutto marginali ed aventi una minima incidenza rispetto alla identificazione delle opere eseguite per come graficamente rappresentate, un'ipotesi di aliud pro alio, inidonea, pertanto, a soddisfare la condizione di liceità imposta dalla norma violata.

    Nè, per passare al secondo profilo della censura, vi è alcuna violazione del principio di corrispondenza fra accusa e sentenza nel considerare come omessa, e quindi pienamente conforme alla condotta oggetto della contestazione, la produzione di documentazione inconferente, posto che solo nel caso in cui la produzione imposta dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 93 consenta l'esercizio del potere di controllo demandato agli Uffici tecnici regionali, l'adempimento procedimentale del cui compimento è gravato il soggetto che intenda realizzare un'opera edilizia può ritenersi effettivamente soddisfatto e non mancato.

    Anche il quinto motivo di censura è destituito di fondamento; i ricorrenti si dolgono del fatto che il Tribunale, disattendendo il contenuto della nota redatta dall'Ufficio del Genio civile di Avellino in data 23 gennaio 2012, abbia comunque ritenuto integrati gli estremi del reato contestato al capo B) della rubrica.

    Va, infatti, rilevato, al di là della natura formale del reato de quo, fattore questo che di per sè destituirebbe di fondamento la censura esposta, essendo incontestata la diversità fra i progetti depositati ed il manufatto realizzato, che con l'atto in questione, da cui emergerebbe la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, l'Ufficio del Genio civile di Avellino, con la citata nota, si è limitato a dare atto che nessuna violazione della normativa antisismica risulta essere stata segnalata dal collaudatore dell'opera, ma non ha nulla precisato in merito alla effettiva idoneità della documentazione prodotta allo svolgimento, secondo criteri di sicura affidabilità, della verifica strutturale dell'immobile con riferimento alla sua resistenza agli eventuali fattori sismici.

    Va, infine, rilevata la manifesta infondatezza anche dell'ultimo motivo di censura dedotto dai ricorrenti.

    Sostengono, infatti, costoro che il Tribunale di Avellino avrebbe errato nell'applicare la norma penale non dichiarando l'intervenuta prescrizione del reato di cui al capo 8) della rubrica a lui contestata al momento della pronunzia della sentenza di primo grado.

    Presupposto dichiarato di tale affermazione è che la contravvenzione in questione abbia natura di reato istantaneo e che, pertanto, il relativo termine prescrizionale decorra dalla data in cui sono stati iniziati i lavori non preceduti dall'invio all'ufficio del Genio civile dei prescritti elaborati progettuali.

    Siffatto presupposto è, però, erroneo.

    Non ignora evidentemente questa Corte il fatto, solo parzialmente evidenziato dai ricorrenti, che nel tempo la questione ora in esame, concernente la natura permanente ovvero istantanea delle contravvenzioni alla cosiddetta normativa antisismica, è stata oggetto di un contrasto giurisprudenziale.

    Infatti in più occasioni, anche con il conforto delle sue Sezioni unite penali, la Corte di cassazione ebbe, nel passato, anche relativamente recente, ad enunciare il principio secondo il quale il termine di prescrizione delle contravvenzioni di omessa denuncia di inizio lavori in zona sismica, e di esecuzione dei medesimi in assenza di autorizzazione, decorre dalla data di inizio dei lavori, attesa la loro natura istantanea (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 13 giugno 2011, n. 23656; idem Sezione 3 penale, 8 ottobre 2008, n. 41858; idem Sezione 3 penale, 29 gennaio 2004, n. 3351; idem Sezioni unite penali, 23 luglio 1999, n. 18).

    Tuttavia, nel tempo siffatto orientamento, sviluppando indicazioni peraltro già presenti nella giurisprudenza di questa Corte (si veda, infatti, Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 18 giugno 1999, n. 7873), è stato consapevolmente e motivatamente disatteso con l'affermazione che, a seguito della entrata in vigore del D.P.R. n. 380 del 2001, che ha sostituito in parte qua le precedenti prescrizioni in materia di legislazione antisismica contenute nella L. n. 64 del 1974, il reato previsto dal cit. D.P.R., art. 93 ha natura permanente, in quanto esso permane sino a quando chi intraprende l'intervento edilizio in zona sismica non presenta la relativa denunzia con gli atti ad essa allegati, ovvero non termina l'intervento; in particolare si è rilevato che il precedente, e sino a quel momento maggioritario, indirizzo non era condivisibile in quanto non teneva conto del fatto che la persistenza della condotta antigiuridica dell'agente e la connessa protrazione della lesione all'interesse protetto, costituito dalla attribuzione agli organi tecnici della pubblica Amministrazione dell'effettivo potere di vigilare sulla regolarità tecnica di ogni costruzione eseguita in zona caratterizzata da una significativa sismicità, sussiste e si protrae per tutto il tempo in cui l'Amministrazione competente non è stata posta nella condizione di aprire il necessario procedimento amministrativo e di attivare, conseguentemente, i relativi controlli.

    Ha, in particolare, precisato la Corte che essendo definiti istantanei i reati in cui la condotta tipica esaurisce la lesione del bene tutelato, ancorchè gli effetti di questa, cessata la condotta, possono protrarsi nel tempo, mentre sono definiti permanenti i reati nei quali la lesione del bene è perdurante fintanto che la condotta dell'agente si protrae nel tempo, deve ritenersi che appartengano a tale seconda categoria anche le violazione della normativa in materia antisismica, atteso che, per tutto il periodo in cui permane la condotta omissiva del soggetto, l'Amministrazione è privata della possibilità di esercitare il proprio potere di controllo (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 21 gennaio 2008, n. 3069; idem Sezione 3 penale, 19 settembre 2008, n. 36912).

    L'esame della successiva giurisprudenza della Corte di legittimità pone in evidenza che l'orientamento tradizionale, dapprima come visto messo in crisi con la sentenza n. 3069 del 2008, è stato successivamente del tutto abbandonato, ben potendosi affermare che ad oggi la interpretazione normativa è assolutamente consolidata sull'affermazione che, in tema di legislazione antisismica, i reati di omessa denuncia dei lavori e presentazione dei progetti e di inizio dei lavori senza preventiva autorizzazione scritta dell'Ufficio competente hanno natura di reati permanenti, la cui consumazione si protrae sino a quando il responsabile non presenta la relativa denuncia con l'allegato progetto ovvero non termina l'intervento edilizio (in questo senso solo per citare la più recenti pronunzie: Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 20 marzo 2015, n. 11645; idem Sezione 3 penale, 17 febbraio 2015, n. 6831;  idem Sezione 3 penale, 22 dicembre 2014, n. 53144; idem Sezione 3 penale, n. 20 ottobre 2014, n. 45021; idem Sezione 3 penale, 14 marzo 2014, n. 12235; idem Sezione 3 penale, 11 luglio 2013, n. 29737).

    Facendo, quindi, sicuramente buon governo della normativa di settore il Tribunale di Avellino non ha preso in considerazione l'eventualità che le contravvenzioni alla disciplina antisismica contestate ai ricorrenti potessero essere prescritte alla data in cui egli ha pronunziato la sentenza di condanna dei medesimi (id est: 7 maggio 2014), posto che al momento in cui sono state accertate le violazioni alla normativa edilizia commesse da costoro, cioè in data 4 ottobre 2010, la costruzione del manufatto abusivo, in relazione al quale non era stata inviata nelle forme dovute la comunicazione prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 93, era tuttora in corso d'opera.

    Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna dei ricorrenti, visto l'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e della somma, equitativamente così determinata, di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

    P.Q.M.

    Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

    Così deciso in Roma, il 1 luglio 2015.