TAR Campania (SA) Sez. I n. 1149 del 23 luglio 2018
Sviluppo sostenibile.Impianti minieolici e titolo abilitativo
Anche in riferimento alle d.i.a. prescritte dalla normativa in materia di realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, deve rimanere fermo il principio per cui le fattispecie di semplificazione astrattamente previste dal legislatore (statale o regionale) possono ritenersi "formate ed esistenti" soltanto quando esse risultino idonee, da sole, a soddisfare le esigenze informative indispensabili per l'esercizio del potere inibitorio - repressivo.
Pubblicato il 23/07/2018
N. 01149/2018 REG.PROV.COLL.
N. 01233/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1233 del 2017, proposto da
Wspenergy S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Rino Salvatore Di Caro, Francesco Buscaglia, domiciliata presso la Segreteria TAR in Salerno, piazzetta San Tommaso D'Aquino, 3;
contro
Comune di Rocca San Felice, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Lorenzo Lentini, con domicilio eletto presso il suo studio in Salerno, corso Garibaldi 103;
per l'annullamento
a) della nota assunta al prot. 3171 del 18.07.2017, con la quale è stato comunicato il diniego definitivo in riferimento alla PAS per la realizzazione di un impianto mini eolico su area individuata in catasto al foglio 5, particella 70;
b) della nota assunta al prot. 2602 del 13.06.2017, relativa al preavviso di diniego ex art. 10-bis, legge n. 241/1990, con la quale il responsabile del procedimento, ordinando la sospensione dei lavori, esponeva i motivi ostativi all’accoglimento della PAS prot. 2770;
c) ove occorra, di tutti gli atti presupposti e pregressi, connessi e conseguenziali;
nonché
per il risarcimento di tutti i danni ingiustamente arrecati alla ricorrente e dalla stessa patiti e patiendi per effetto degli atti impugnati;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Rocca San Felice;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2018 il dott. Fabio Maffei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- L’odierna ricorrente ha dedotto in fatto di aver presentato in data 31/07/2014, al Comune di Rocca San Felice un’istanza per conseguire l’autorizzazione ex art. 6 D.lgs. 28/2011, onde realizzare un impianto mini-eolico da 60 kW, in località C/da Carmasciano, su un terreno individuato al foglio 5, particella n. 70 dello stesso Comune di Rocca San Felice. A seguito della specifica richiesta di integrazione documentale, in data 18.5.2015, aveva regolarizzato la domanda senza che il Comune resistente, successivamente, adottasse altri provvedimenti, cosicché, in ragione del silenzio serbato, la P.A.S. Prot. 2770, del 31/07/2014 doveva ritenersi perfezionata a far data dal 18/06/2015, essendo decorsi ulteriori trenta giorni senza che l’Amministrazione competente avesse sollecitato alcuna ulteriore integrazione o, diversamente, mosso osservazioni sulla pratica.
Tuttavia, in data13.06.2017, l’ente comunale comunicava alla ricorrente il preavviso di rigetto della PAS, ordinando alla stessa di non realizzare gli interventi finalizzati alla costruzione dell’impianto.
In particolare, il suindicato provvedimento nel richiamare in premessa gli atti più salienti dell’istruttoria, espressamente evidenziava, da un lato, che la legge regionale 6/2016 aveva prescritto la sospensione legale dei procedimento volti al rilascio delle autorizzazioni per impianti eolici nel territorio regionale fino all’emanazione da parte della Giunta dei criteri per la individuazione delle aree non idonee per gli impianti eolici; dall’altro che, alla luce dei criteri determinati con la delibera n.° 533 del 04/10/2016, non solo l’impianto progettato violava le disposizioni dettate per l’osservanza della fascia di rispetto, ma anche l’istanza presentata non risultava corredata dalla necessaria documentazione.
Tanto premesso in fatto, la società ricorrente ha impugnato il provvedimento di diniego in epigrafe indicato articolando le seguenti censure:
I. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 28/2011, degli artt. 10 bis e 21-nonies della legge n. 241/1990; eccesso di potere per sviamento ed illogicità manifesta; ingiustizia e disparità di trattamento; eccesso di potere per contraddittorietà con precedenti determinazioni; difetto di motivazione.
Essendosi la PAS in oggetto perfezionata e consolidata a far data dal 18/06/2015, il Comune sarebbe potuto intervenire esclusivamente avvalendosi del potere di annullamento d’ufficio ex art. 21-quinques e nonies, l. n. 241/1990 e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di illegittimità dei lavori assentiti per effetto della istanza ormai perfezionatasi, anche dell’affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto del decorso del tempo e, comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo, non oltre 18 mesi dalla data del 18.06.2015.
Al di là, quindi, del termine di diciotto mesi, che rappresenta il limite massimo, il “termine ragionevole” di cui all’art. 21-nonies, comma 1, L. n. 241 del 1990, come richiamato dall’art. 19, comma 3, avrebbe imposto all’amministrazione di considerare le peculiarità del caso concreto, la tipologia di opere autorizzate ed il loro presumibile stato di avanzamento, in relazione alla natura delle circostanze emerse. In definitiva, essendo decorso il termine ragionevole ed essendo i rilevi esposti nel diniego del Comune già sussistenti alla data del 02.01.2017 quanto era stata comunicata la variazione della titolarità della PAS, non si comprendevano le ragioni che avevano indotto il Comune ad attendere la ripresa formale dei lavori per proporre, dapprima il preavviso di rigetto e, successivamente, il provvedimento di rigetto.
II. Violazione e falsa applicazione dell’art 15 della l.r.c. 06/2016, eccesso di potere, travisamento dei fatti, violazione dell’art. 11 delle preleggi, violazione degli art. 41, 97 e 117, comma 1 e 3, della Costituzione.
Il provvedimento impugnato, inoltre, era illegittimo, poiché, da un lato, non considerava la conclusione del procedimento anteriormente all’entrata in vigore della sopravvenuta normativa regionale e, dall’altro, applicava quest’ultima retroattivamente, imponendo delle prescrizioni entrate in vigore successivamente alla definizione del procedimento autorizzatorio.
Dalla manifesta illegittimità degli atti impugnati conseguiva, oltre il diritto all’annullamento degli stessi, anche la necessaria fondatezza della spiegata domanda di risarcimento danni comprensiva sia dei costi sostenuti, sia dei mancati introiti dovuti in particolar modo al mancato percepimento della tariffa incentivante per l’allaccio dell’impianto mini-eolico in oggetto.
Con memoria depositata in data 16 ottobre 2017, il Comune resistente ha eccepito l’infondatezza del proposto ricorso, poiché, per un verso, non poteva ritenersi, a suo avviso, perfezionato per silentium l’invocato titolo autorizzativo e, per l’altro, l’impugnato provvedimento era stato adottato in attuazione della sopravvenuta normativa regionale, ratione temporis applicabile al procedimento de quo.
In vista dell’udienza pubblica del 6 giugno 2018, tutte le parti hanno depositato memorie e all'esito della discussione, il ricorso è stato introitato per la decisione.
2.- Il ricorso è fondato e merita accoglimento, condividendo il Collegio entrambe le censure sollevate dalla Wspenergy S.r.l., da esaminarsi congiuntamente stante la loro stretta correlazione.
2.1.- In via preliminare, non appare un fuor d’opera rammentare, sul piano dell’inquadramento generale dell’istituto invocato dalla ricorrente, che la "procedura abilitativa semplificata" (cd. PAS) prevista dall'art. 6 del D.lgs. 28/2011 per gli impianti cd. "minieolici" (ovvero con potenza inferiore a 60kw) costituisce una delle applicazioni specifiche della fattispecie procedimentale "bifasica" che, in generale, il legislatore ha previsto nell'art. 19 L. 241/90, prima con la DIA "ad efficacia variabile" e poi - con la novella legislativa del D.L. 78 del 31 maggio 2010 convertito nella Legge 122 del 30 luglio 2010 - con la SCIA ad efficacia sempre immediatamente legittimante.
Il procedimento introdotto dell'art. 6 del D.Lgs. 28/2011 è, infatti, pienamente in linea con quello della "DIA a legittimazione differita" - prefigurato ratione temporis in generale dalla L. 241/90, prima della novella intervenuta proprio nel 2011- poiché:
- la "dichiarazione", supportata dalla prescritta documentazione tecnica, deve essere presentata al Comune "almeno trenta giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori";
- analogamente a quanto previsto nell'art. 19 L. 241/90 e nell'art. 23 DPR 380/2011 (disciplinante la DIA edilizia), sulla base del "contatto comunicativo" intercorrente tra l'amministrazione e il privato interessato, il Comune ha il potere di "verificare" la sussistenza in concreto delle condizioni cui il legislatore subordina la possibilità di esercitare l'attività in questione;
- l'attività viene pertanto intrapresa senza bisogno di un provvedimento autorizzatorio a monte, essendo esso "surrogato" dall'assunzione di autoresponsabilità del privato insita nella dichiarazione documentata (o nella "segnalazione certificata"), fermo restando lo spostamento "in avanti" del potere di controllo ex post mediante la previsione di strumenti inibitori e repressivi riconosciuti in capo all'amministrazione competente.
A tale conclusione è peraltro giunta anche la giurisprudenza che si è espressa in materia (cfr. sent. Cons. St. sez. IV, 19 giugno 2014 n. 3112), escludendo l'applicabilità dell'art. 10 bis della L. 241/90 al procedimento PAS proprio sul presupposto che non si tratta nello specifico di un provvedimenti tacito, ma di atti privati di comunicazione dell'intenzione "di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge".
Tali coordinate interpretative comportano, come logico corollario che, con riferimento ai procedimenti per l'autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in assenza della documentazione prescritta come necessariamente corredante la presentata SCIA, se pertinente ed essenziale, la dichiarazione d'inizio attività "non può reputarsi formalmente presentata" e quindi, dalla data del suo deposito, non può iniziare a decorrere il termine dilatorio di 30 giorni per l’adozione dei provvedimenti inibitori di cui all’art. 19 legge 241/1990.
A diverse conclusioni non può giungersi in relazione all'intervenuta qualificazione normativa (per effetto dell'art. 6 comma 1 lett. c) D.L. 13 agosto 2011, n. 138) della d.i.a. (e della s.c.i.a.) quale titolo abilitativo ex lege e non già di fattispecie provvedimentale a formazione tacita, come anticipato in via pretoria dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 29 luglio 2011, n. 15).
Infatti, allorché il legislatore introduca fattispecie di liberalizzazione di attività, vale il principio dell'autoresponsabilità del dichiarante, in base al quale, la dichiarazione può ritenersi valida ed efficace soltanto se essa rispetti - oltre alle formalità estrinseche prescritte dall'ordinamento (essenzialmente dirette a rendere incontrovertibile la paternità di una determinata dichiarazione) - anche il canone dell'autosufficienza contenutistica, nel senso che occorre porre in condizione l'Amministrazione di poter effettivamente esercitare in concreto il potere inibitorio e di controllo previsto dalla legge. E ciò, va sottolineato, non solo nell'interesse pubblico alla repressione delle attività abusive, ma nello stesso interesse del dichiarante a non esporsi inutilmente all'eventuale potere inibitorio e/o sanzionatorio una volta già realizzate le opere ed effettuati i correlati investimenti.
Le esigenze di concentrazione dei procedimenti e di tempestività e contenimento dei termini, poste alla base del decreto legislativo 29 dicembre 2003 n. 387 in materia di autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, sia in riferimento alle fattispecie di autorizzazione unica che di d.i.a., non può allora esonerare il richiedente, secondo il suesposto principio della autoresponsabilità, dalla presentazione della documentazione prescritta dalla normativa vigente, al fine di consentire all'Amministrazione di effettuare preventivamente gli opportuni controlli su quanto l'interessato intenda realizzare (in termini, in riferimento all'art. 23 t.u. edilizia e all'art. 19 legge 241/90, Consiglio di Stato sez. IV 24 maggio 2010 n. 3263; in riferimento alla d.i.a. per la realizzazione di impianti di telefonia mobile, T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. II, 17 luglio 2006, n. 1462).
Conclusivamente, anche in riferimento alle d.i.a. prescritte dalla normativa in materia di realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, deve rimanere fermo il principio per cui le fattispecie di semplificazione astrattamente previste dal legislatore (statale o regionale) possono ritenersi "formate ed esistenti" soltanto quando esse risultino idonee, da sole, a soddisfare le esigenze informative indispensabili per l'esercizio del potere inibitorio - repressivo.
Da quanto detto consegue, come più volte rimarcato dalla giurisprudenza, che, una volta accertata la completezza documentale della DIA/SCIA, "Il termine per l'esercizio del potere di verifica e del potere inibitorio in caso di s. c. i. a. è perentorio (art. 19 l. n. 241 del 1990)" (T. A. R. Abruzzo, L'Aquila, Sez. I, 12-05-2016, n. 287).
Pertanto, "Decorso senza esito il termine per l'esercizio del potere inibitorio, nei confronti di una s. c. i. a. l'amministrazione dispone comunque del potere di autotutela ai sensi dell'art. 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241. Tale potere residuale - con cui l'Amministrazione è chiamata a porre rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio - condivide i principi regolatori legislativamente sanciti, in materia di autotutela, con particolare riguardo alla necessità dell'avvio di un apposito procedimento in contraddittorio, al rispetto del limite del termine ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione dell'affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio" (T. A. R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 21-04-2016, n. 2106).
Una volta decorsi i termini per l'esercizio del potere inibitorio - repressivo, la S.C.I.A. costituisce un titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo equiparabile quoad effectum al rilascio del provvedimento espresso), che può essere rimosso, per espressa previsione legislativa, solo attraverso l'esercizio del potere di autotutela decisoria nel rispetto delle prescrizioni recate dall'art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990; pertanto, scaduto il termine perentorio previsto dalla legge per verificare la sussistenza dei relativi presupposti, deve considerarsi illegittima l'adozione di un provvedimento repressivo/ripristinatorio o di autotutela adottato senza le garanzie e i presupposti richiesti dall'art. 21 nonies l. n. 241/1990, per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio.
2.2.- Con specifico riferimento all’odierna fattispecie, osserva il Collegio che l'art. 15 della L.R. Campania n. 6 del 2016, secondo il quale, nella parte d'interesse:
"1. In attuazione del D.M. 10 settembre 2010, n. 47987 del Ministero dello Sviluppo Economico (Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con delibera di Giunta regionale, su proposta dell'Assessore alle attività produttive di concerto con l'Assessore all'ambiente, tenendo conto della concentrazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili esistenti, sono stabiliti i criteri e sono individuate le aree non idonee alla realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonte eolica di potenza superiore a 20 Kw, di cui al paragrafo 17 del citato decreto ministeriale (...).
1-bis. I procedimenti amministrativi per il rilascio della autorizzazione unica di cui all' articolo 12, D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità) non conclusi alla data di entrata in vigore della presente legge e i procedimenti amministrativi avviati dopo tale data, si perfezionano nel rispetto delle previsioni dettate nella delibera di Giunta regionale di cui al comma 1 (...)
2. Ai sensi dell'articolo 4, comma 3 del D.Lgs. 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE) e dell' articolo 5, comma 1, lettera c) del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con delibera di Giunta regionale, su proposta dell'Assessore all'ambiente di concerto con l'Assessore alle attività produttive, sono individuati gli indirizzi per la valutazione degli impatti cumulativi di impianti di produzione di energia elettrica da fonte eolica di potenza superiore a 20 Kw.
3. In attesa dell'approvazione delle deliberazioni di cui al presente articolo è sospeso il rilascio di nuove autorizzazioni per impianti eolici nel territorio regionale".
Da tale disposizione, come correttamente osservato dalla ricorrente, e per effetto della moratoria di cui al comma 3, nella Regione Campania, a partire dalla data d'entrata in vigore della legge (6 aprile 2016), era sospeso qualsivoglia procedimento autorizzatorio relativo a nuovi impianti eolici di potenza superiore a 20 kw, ivi compresi anche quelli, oggetto di p. a. s., laddove, viceversa, le nuove disposizioni, parimenti al prescritto periodo di moratoria, non potevano trovare applicazione per i procedimenti da considerarsi oramai conclusi.
Costituisce diritto vivente, infatti, l'affermazione che nel procedimento relativo al rilascio di un titolo abilitativo, la situazione normativa vigente alla data di presentazione della domanda, in ragione del generale principio tempus regit actum, non determina un vincolo per l'Amministrazione.
Le norme coeve alla domanda, infatti, non possono ritenersi "cristallizzate" fino alla determinazione finale sulla stessa (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 5854/2011).
In sostanza, la domanda volta a conseguire un titolo abilitativo deve essere valutata alla luce della normativa vigente al momento in cui l'Amministrazione provvede su di essa e non all'epoca della presentazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 3186/2013; Cons Stato n. 5822/2013).
Tale approdo è coerente con il principio generalissimo (più volte ribadito dalla Corte costituzionale, si vedano le sentenze n. 151/2014 e n. 49/2016 e dal Consiglio di Stato, cfr. ex plurimis Ad. plen., n. 8 del 2012; successivamente sez. V, n. 5863 del 2015), secondo cui, proprio in ossequio alla regola tempus regit actum, la valutazione della legittimità del provvedimento impugnato va condotta "con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione ovvero al momento del perfezionamento del titolo autorizzativo" (cfr.: Cons. St., sez. V, 31 marzo 2017 n. 1499; Cons. St., sez. IV, 7 luglio 2016 n. 3013; id., sez. VI, 15 settembre 2011 n. 5154).
2.3.- Orbene, applicando i menzionati dicta giurisprudenziali all’odierna fattispecie, rileva il Collegio che, a seguito della presentazione in data 31.7.2014 dell’istanza di autorizzazione e della successiva integrazione documentale depositata in data 18.5.2015 resasi necessaria in forza della richiesta inviata dall’ente Comunale, quest’ultimo, soltanto in data 13.6.2017, comunicava il preavviso di diniego ex art. 10 bis cit., onde adottare, poi, il provvedimento di diniego e di interdizione dalla prosecuzione dei lavori invocando le innovative prescrizioni poste dalla sopravvenuta disciplina regionale.
Orbene, così operando, l’amministrazione non solo ha violato l’art. 19 della legge 241/1990, esercitando il potere interdittivo ex art. 19 legge 241/90 dal quale era irreversibilmente decaduta anteriormente all’entrata in vigore della sopravvenuta normativa regionale, stante il decorso del termine, da ritenersi perentorio come sopra chiarito, ivi previsto, ma ha anche applicato lo ius superveniens, le delibere giuntali n. 532 e 533 del 4.10.2016, ad un titolo legittimante oramai cristallizzatosi sul quale sarebbe potuta intervenire esclusivamente “in autotutela”, e cioè osservando tutti i conseguenti oneri, motivazionali e partecipativi, fissati dalla legge ("Il decorso del termine decadenziale di trenta giorni entro cui deve essere effettuata la verifica sulla s. c. i. a. comporta l'esaurimento dell'ordinaria funzione di controllo edilizio consistente nel riscontro della conformità urbanistica del progetto presentato, residuando in capo alla P. A. solo un potere di autotutela sui generis che, pur estrinsecandosi attraverso provvedimenti di natura repressiva, anziché in atti di secondo grado, deve comunque rispettare i canoni dettati dall'art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990" (T. A. R. Toscana, sez. III, 8/06/2016, n. 960).
Né in senso contrario può argomentarsi, come preteso dalla difesa civica, in forza dell’asserita incompletezza documentale dell’istanza autorizzatoria inizialmente presentata, in quanto non corredata dal parere favorevole dell’Arpac circa l’impatto acustico dell’impianto.
Al riguardo, il Collegio non può esimersi dal constatare come tale contestazione sia stata sollevata alla ricorrente soltanto nella presente sede, costituendo un’inammissibile motivazione postuma, come, peraltro, ampliamente chiarito anche dalla più recente giurisprudenza, univoca nell’affermare che la motivazione del provvedimento amministrativo non può essere integrata nel corso del giudizio con la specificazione di elementi di fatto, dovendo precedere e non seguire ogni provvedimento amministrativo, individuando con ciò il fondamento dell'illegittimità della motivazione postuma nella tutela del buon andamento amministrativo e nell'esigenza di delimitazione del controllo giudiziario (cfr.: Cons. St., sez. VI, 8 settembre 2017, n. 4253).
In conformità alle predette considerazioni, assorbenti delle ulteriori censure prospettate, il ricorso va accolto, con annullamento del provvedimento impugnato.
3.- Non può, infine, trovare accoglimento la domanda risarcitoria proposta dalla società ricorrente ed incentrata prevalentemente sul mancato lucro per non aver connesso tempestivamente l’impianto e, quindi, per non aver potuto usufruire nella tariffa incentivante.
Com'è noto la giurisprudenza amministrativa ha da tempo riconosciuto natura extracontrattuale all'illecito addebitabile all'amministrazione in ragione dell'esercizio di un pubblico potere. L'individuazione di una simile natura giuridica ha imposto il collegamento con l'archetipo dell'illecito aquiliano disciplinato dal codice civile; pertanto, l'elaborazione giurisprudenziale indica negli elementi tipici dell'illecito extracontrattuale gli estremi indefettibili per l'individuazione della responsabilità in capo all'amministrazione: 1) l'elemento oggettivo; 2) l'elemento soggettivo; 3) il nesso di causalità materiale o strutturale; 4) il danno ingiusto.
Ad un simile risultato giunge anche quella giurisprudenza (cfr. Cons. St., Sez. VI, 29 maggio 2014, n. 2792) che segnala correttamente la specialità della disciplina della responsabilità della pubblica amministrazione anche rispetto a quella extracontrattuale, in relazione: a) all'ambito procedimentale nella quale si genera; b) al limite del sindacato di responsabilità sul comportamento che si impone al giudice amministrativo, nel caso in cui sia proposta anche l'azione di annullamento o di nullità, di non sovrapporre, nell'accertare la sussistenza del fatto illecito, proprie valutazioni a quelle riservate alla pubblica amministrazione; c) alla ricostruzione del nesso causale attraverso l'effettuazione di un giudizio prognostico mediante il ricorso alla teoria condizionalistica, integrata, ove occorra, dal modello della sussunzione sotto leggi scientifiche e corretta dalla teoria della causalità adeguata.
Sul versante probatorio si applica il principio generale dell'onere della prova previsto nell'art. 2697 c.c., in virtù del quale spetta al danneggiato fornire in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, e quindi del danno di cui si invoca il ristoro per equivalente monetario, con la conseguenza che, laddove la domanda di risarcimento danni non sia corredata dalla prova del danno da risarcire, la stessa deve essere respinta (Cons. St., 22 dicembre 2014, n. 6233; Id., sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4293; Id., sez. III, 30 novembre 2011, n. 6342).
Sotto quest'ultimo profilo, nella specie, per un verso, i danni asseritamente subiti sono stati oggetto di una mera allegazione e non appaiono adeguatamente asseverati da una ragionevole probabilità di conseguire l’utile previsto; per l’altro, deve anche osservarsi come la ricorrente non abbia dimostrato di possedere tutte le necessarie autorizzazioni ai fini della prospettata utilizzazione dell’impianto, ultimandolo anche nel termine imposto per usufruire delle indicate agevolazioni.
5.- Nella particolare complessità delle questioni trattate e nella parziale soccombenza della parte ricorrente si ravvisano eccezionali motivi per compensare le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato;
Respinge la domanda risarcitoria proposta dalla Wspenergy S.r.l.;
Compensa interamente le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2018 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Riccio, Presidente
Eleonora Monica, Primo Referendario
Fabio Maffei, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Fabio Maffei Francesco Riccio