Cass. Sez. III n. 35854 del 31 agosto 2016 (Ud 11 mag 2016)
Pres. Fiale Est. Di Nicola Ric. Cianfa ed altro
Rumore.Il reato di cui all’art.659 cod. pen. non è abrogato
In tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, il reato di cui all'art. 659 cod. pen. non può ritenersi abrogato per effetto della legge 28 aprile 2014 n. 67, posto che tale atto normativo ha conferito al Governo una delega, implicante la necessità del suo esercizio per la depenalizzazione di tale fattispecie e che, pertanto, quest'ultima, fino alla emanazione dei decreti delegati, non potrà essere considerata violazione amministrativa Infatti, la delega non è stata esercitata in parte qua ed il reato di cui all'art. 659 cod. pen. non è stato pertanto depenalizzato.
RITENUTO IN FATTO
1. C.G. e D.V.L. ricorrono per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale il tribunale di Perugia, riconoscendo il vincolo della continuazione, li ha condannati rispettivamente alla pena di Euro 200,00 di ammenda e Euro 150,00 di ammenda per i reati di cui agli artt. 659 e 674 c.p..
1.1. Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza impugnata, il Tribunale ha osservato come la presente vicenda processuale sia stata preceduta da altro analogo procedimento all'esito del quale C.G. - imputato, con tale A.S., per i medesimi reati (artt. 659 e 674 c.p.) in relazione alla gestione dello stesso impianto di autolavaggio da aprile 2004 al 18 marzo 2008 - era stato condannato perchè disturbava le occupazioni e il riposo delle persone dimoranti nelle vicinanze dell'impianto nonchè provocava emissione di vapori, producendo esalazioni.
1.2. A seguito dell'espletata istruttoria e dell'acquisizione documentale, il Tribunale è giunto alla conclusione che l'autolavaggio gestito da C.G. aveva prodotto rumori insopportabili, legati all'utilizzo della lancia idropulitrice ed anche della roboante macchina Master, che avevano creato disturbo alle occupazioni ed al riposo nonchè il versamento di una vera e propria nube di vapori e pulviscolo di risulta dei lavaggi all'interno del giardino e delle abitazioni circostanti, che inevitabilmente imbrattavano, molestando le persone le cui ordinarie occupazioni venivano penalizzate.
Ciò comportava, come ulteriore conseguenza, la presenza di zanzare infette, durante tutto l'anno, a causa dell'ingente quantitativo di acqua che ristagnava su terreno e pozzetti (della quantità ed effetti delle punture di zanzare sui componenti le famiglie delle persone offese, il Tribunale ha dato atto che vi è documentazione fotografica e medica acquisita al processo).
L'impianto peraltro era in funzione dalle ore 7 alle ore 21 e la causa di tutti i suddetti gravi disagi era da individuarsi nella mancata collocazione delle macchine all'interno di un box chiuso e nella totale assenza di interventi di insonorizzazione o comunque di protezione della zona circostante dalle esalazioni di vapori.
2. Per l'annullamento dell'impugnata sentenza i ricorrenti, tramite i rispettivi difensori, articolano i seguenti motivi di impugnazione, qui enunciati, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. C.G. affida il ricorso a due motivi.
2.1.1 Con il primo motivo, articolato sotto plurimi profili, il ricorrente lamenta la mancanza, la manifesta illogicità e l'assoluta contraddittorietà della motivazione su punti decisivi per il giudizio e si duole, in particolare, della mancata adozione, elaborazione e valutazione della prova tecnica (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).
Sostiene che il giudizio di responsabilità, formulato nei suoi confronti, è stato fondato prevalentemente, se non in via esclusiva, su documentazione e testimonianza di due periti che avevano espletato la consulenza tecnica d'ufficio nel giudizio civile, in precedenza incardinato dalle parti civili innanzi al tribunale di Poggio Mirteto, conclusosi peraltro con un giudicato cautelare di rigetto.
Ciò posto, il tribunale di Perugia, facendo leva sulle conclusioni peritali secondo le quali le misurazioni dei consulenti avevano portato a riscontrare valori differenziali nettamente superiori alle soglie di riferimento, ha tratto il convincimento della penale responsabilità del ricorrente rilevandolo dalle risultanze del giudizio civile, salvo poi contraddittoriamente a ritenere che "nessun particolare rilievo può essere attribuito al giudizio del giudice civile in ordine alla sussistenza degli elementi da porre a base della configurabilità dei reati contestati".
Peraltro, il Tribunale sarebbe inspiegabilmente giunto alla conclusione di ritenere destituita di ogni significato probatorio, senza adeguata motivazione in proposito, la consulenza tecnica di parte, che aveva concluso nel senso che gli esiti della consulenza di ufficio non potevano fornire utili e certi riscontri avendo i consulenti utilizzato una metodologia di rilevazione diversa e non coerente.
Neppure un cenno, in sentenza, sarebbe stato dato sul filmato, prodotto e visionato in udienza, a seguito del quale era stato accertato non la tenuità ma l'assoluta imperfettibilità dei rumori generati dall'autolavaggio, con la conseguenza che, sulla base delle precedenti considerazioni, la motivazione della sentenza impugnata deve ritenersi apodittica e lacunosa soprattutto con riferimento all'affermazione secondo la quale l'utilizzo congiunto della macchina Master (spazzole rotanti autolavaggio) e della lancia (pompa d'acqua) avrebbe implicato un uso smodato dei mezzi tipici dell'attività, senza alcuna spiegazione di tale presunta "smodatezza".
Invece, sulla base delle risultanze istruttorie, il Tribunale avrebbe dovuto giungere alla conclusione che non era stato riscontrato il superamento dei limiti di accettabilità, in base ai criteri di di valutazione dell'impatto acustico-ambientale, con la conseguente non configurabilità del reato di cui all'art. 659 c.p..
Quanto invece alla contestazione del reato di cui all'art. 674 c.p., il ricorrente ricorda come lo stesso tribunale del riesame di Perugia aveva escluso la consequenzialità tra il reato ipotizzato e la presenza anomala ed eccezionale di zanzare, giungendo pertanto ad evocare il sequestro preventivo dell'autolavaggio, sul decisivo rilievo della mancanza di un nesso causale di antigiuridicità.
Peraltro, dalla sentenza impugnata, risulta che il ricorrente ha provveduto alla disinfestazione della zona, laddove le parti civili avrebbero documentato di essere stati attinti da punture di zanzare affermando che dall'attività si originassero nuvole di vapore mentre si era fornita la prova che l'autolavaggio operava in base a tutte le prescritte autorizzazioni di legge, con conseguente inconfigurabilità anche di tale reato.
Inesatta, infine, sarebbe l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo la quale ai fini della prova non poteva prescindersi dal giudicato già formatosi in ordine ai fatti precedenti al marzo 2008, senza tenere conto di tutte le altre circostanze rilevate dalla difesa ed arricchite con altre prove rispetto a quanto era stato in precedenza accertato, sicchè la prima pronuncia non consentiva di ritenere sovrapponibili i fatti accertati con quelli sub iudice.
2.1.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia l'erronea applicazione della legge penale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), sul rilievo che, in ordine agli stessi fatti, la Corte di cassazione aveva dichiarato la sopravvenuta carenza di interesse e l'inammissibilità del ricorso osservando che la fattispecie contestata, riferibile all'art. 659 c.p., era depenalizzata.
In ogni caso, il Tribunale non ha tenuto conto che la Legge Delega n. 67 del 2014, all'art. 2, comma 2, lett. b), avrebbe comunque previsto la depenalizzazione dell'inquinamento acustico.
2.2. D.V.L. affida il ricorso a tre motivi.
2.2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce l'inosservanza delle norme processuali (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), stante la genericità e l'indeterminatezza del capo di imputazione.
Assume come il Tribunale sia incorso in una grave violazione di legge, nonostante la difesa dell'imputato avesse in diverse occasioni evidenziato la nullità del decreto di citazione a giudizio in conseguenza della indeterminatezza del capo di imputazione.
Il Tribunale riteneva invece di non condividere la rimostranza sul rilievo che la contestazione, c.d. aperta, sarebbe caratterizzata dalla presenza della dicitura "in poi", che rendeva precisa e comprensibile l'imputazione, laddove l'indeterminatezza del capo di accusa aveva comportato, secondo il ricorrente, un chiara violazione del diritto di difesa, in quanto l'imputato non era stato posto nelle condizioni di conoscere, con certezza, i periodi temporali in cui si presume avesse violato la disposizione di legge.
2.2.2. Con il secondo motivo, lamenta la mancanza, la contraddittorietà e/o la manifesta illogicità della motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), sul rilievo che la presunta responsabilità contestata al ricorrente (seppur con tutte le limitazione del caso in ordine alle sue qualità rappresentative) deve ritenersi assolutamente non provata e, ad ogni modo, la motivazione che giustifica tale colpevolezza appare decisamente mancante, contraddittoria nonchè illogica.
Il Giudice di primo grado, pur correttamente ritenendo non sussistere alcuna responsabilità in capo all'imputato per i periodi precedenti al 2011 (in quanto lo stesso, al tempo, era solo il realizzatore dell'impianto e proprietario dell'area interessata), sarebbe incorsa in un grave errore di valutazione e di logicità ritenendo lo stesso responsabile dal 25 luglio 2011.
Infatti, a partire da tale data, la LU.PA srl (di cui il ricorrente era amministratore) riprendeva formalmente la gestione dell'autolavaggio ma non esercitava alcuna attività in tal senso.
Il Tribunale, in maniera presuntiva e senza alcun riscontro probatorio, avrebbe fatto coincidere la "restituzione" della gestione avvenuta in data (OMISSIS) 2011 con la ripresa e l'esercizio dell'attività di autolavaggio.
2.2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente denunzia la violazione di legge per la mancata assunzione di una prova decisiva (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d).
Sottolinea che il Tribunale, nel valutare la sussistenza del disturbo (la cui valutazione deve essere effettuata con criteri oggettivi riferibili alla "media sensibilità delle persone che vivono nell'ambiente ove i rumori vengono percepiti"), avrebbe posto in essere un vero e proprio travisamento dei fatti, omettendo di valutare elementi probatori decisivi erroneamente definiti di "scarso rilievo".
La censura si riferisce alle dichiarazioni rilasciate dai sig. V.F., B.P., Ci.Ro. (pubblico ufficiale), T. e Bi., F.O. e A.F. (pubblico ufficiale) che avevano affermato, secondo il ricorrente, di non aver mai subito disturbi e/o fastidi dall'attività di autolavaggio posta in essere dalla GI.SA srl.
3. C.G. ha prodotto, ai sensi dell'art. 612 c.p.p. richiesta di sospensione dell'esecuzione conseguente alla provvisionale liquidata dal Tribunale in favore delle costituite parti civili lamentando che dall'esecuzione deriverebbe un danno grave e irreparabile nei confronti del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono infondati e talune censure devono ritenersi, come sarà chiarito in seguito, ampiamente inammissibili.
2. Il primo motivo del ricorso D.V., all'evidenza pregiudiziale per il carattere processuale della censura, è privo di fondamento.
Il Tribunale ha chiarito che la contestazione cd. aperta (per avere il ricorrente gestito personalmente l'impianto dal (OMISSIS) 2011 in poi) non comporta pregiudizi al diritto di difesa, vertendosi in tema di contestazione relativa ad un reato permanente e dovendosi intendere il momento conclusivo della contestazione nella cessazione della permanenza che, nel caso di specie, il tribunale ha individuato nella conclusione dell'attività dell'impianto avvenuta, per quanto emerso dalle deposizioni testimoniali, negli ultimi mesi del 2012.
Nel pervenire a tale approdo, il Tribunale ha operato correttamente perchè, nei reati permanenti, la contestazione c.d. "aperta" è consentita dalla natura stessa dell'illecito il quale, inquadrabile nei reati di durata, comporta che la cessazione della permanenza si verifica quando l'autore del reato desiste dal suo comportamento antigiuridico, ovvero quando il perdurare della condotta criminosa non è più possibile per l'intervento dell'autorità o perchè è venuto meno l'oggetto materiale del reato ovvero per altra causa.
Ne consegue che non è consentito presumere, nei reati permanenti a contestazione aperta, che la permanenza cessi automaticamente e soltanto al momento della pronuncia della sentenza di condanna in primo grado, anche quando, a causa degli effetti giuridici che la cessazione della permanenza può comportare (in tema di successione di leggi penali, indulto, amnistia, prescrizione), il momento consumativo del reato può precedere l'emanazione della sentenza di condanna.
Nel caso in esame, nè il pubblico ministero, con la contestazione ed il suo aggiornamento dibattimentale, nè il Giudice, con la sentenza, hanno presunto ciò: il pubblico ministero perchè, al cospetto di un reato in cui ha ritenuto non cessata la permanenza, ha lasciato aperto l'accertamento del momento consumativo, non ancorandolo alla pronuncia di condanna e con ciò implementando e non comprimendo le facoltà difensive; il Giudice perchè ha accertato la cessazione della condotta antigiuridica ad una data ampiamente anteriore alla pronuncia della sentenza.
Ne deriva che, in tema di reato permanente, la contestazione cosiddetta "aperta", ovvero senza indicazione della data di cessazione della condotta illecita, non rende per ciò solo indeterminato il capo di imputazione e non comporta una compressione del diritto di difesa, fermo restando che la permanenza non può considerarsi cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado, nel senso che non ricade sull'imputato l'onere di dimostrare, a fronte di una presunzione contraria derivante esclusivamente dall'impostazione dell'accusa, la cessazione dell'illecito prima della data della condanna di primo grado cosicchè, qualora debba farsi dipendere un qualsiasi effetto giuridico dalla data di cessazione della permanenza, non è sufficiente il riferimento alla data della sentenza di primo grado, ma occorre verificare se il giudice di merito abbia o meno ritenuto, esplicitamente o implicitamente, provata la permanenza della condotta illecita oltre la data dell'accertamento e, eventualmente, se abbia ritenuto provato il protrarsi della condotta criminosa fino alla data della sentenza di primo grado (Sez. 5, n. 25578 del 15/05/2007, Sinagra, Rv. 237707).
Nel caso di specie, il ricorrente non si è doluto del fatto che dalla data di cessazione della permanenza sarebbe derivato un effetto giuridico favorevole nei suoi confronti ma si è solo lamentato, a torto, della genericità ed indeterminatezza dl capo di imputazione, con la conseguenza che la doglianza deve ritenersi infondata.
3. Il primo motivo del ricorso C. ed il secondo ed il terzo motivo del ricorso D.V., essendo tra loro connessi, possono essere congiuntamente esaminati.
3.1. Essi, in larga parte non autosufficienti e non consentiti, sono inammissibili anche per la manifesta infondatezza e per aspecificità non prendendo precisa posizione nei confronti della motivazione della sentenza impugnata.
3.2. Il Tribunale, sulla base delle deposizioni testimoniali, ha dato ampiamente conto, con logica ed adeguata motivazione, delle anomalie dell'impianto di autolavaggio.
Il Sindaco del Comune di (OMISSIS), con ordinanza n. 43 del 2009, aveva imposto alla GI.SA., in persona del legale rappresentante, la prescrizione di espletare l'attività di autolavaggio secondo modalità che impedissero emissioni di rumore per una durata superiore a 30 minuti consecutivi e con una pausa non inferiore a 30 minuti.
Il responsabile Dipartimento di Prevenzione A.S.L. del comune (OMISSIS), con riferimento al profilo di immissione di vapori, e i tecnici incaricati dell'ARPALAZIO nel 2010 e nel 2012 avevano espresso parere negativo di impatto acustico, che portò al provvedimento di divieto dell'esercizio dell'attività di autolavaggio in data (OMISSIS) 2012 dell'Unione di Comuni della Bassa Sabina ed infine, poco dopo, alla chiusura dell'impianto.
Con riferimento al quale è emerso, sulla base delle deposizioni testimoniali e l'esame dei consulenti, che era stato realizzato dal D.V..
Ai fini della prova, il Tribunale ha ritenuto come non potesse prescindersi dal giudicato già formatosi in ordine ai fatti precedenti al marzo 2008 ed ha fatto riferimento alle dichiarazioni dei testimoni escussi in ordine al tipo di attività, agli orari nei quali è stata svolta, alla concreta udibilità dei rumori ed al tipo di rumori prodotti, corroborate dai riscontri tecnici.
3.3. Quanto alle deposizioni dei testimoni a discarico e alle dichiarazioni di alcuni degli abitanti gli appartamenti situati sull'edificio sovrastante l'autolavaggio, il Tribunale ha rilevato come le stesse fossero di scarso rilievo probatorio in quanto riferite ad un punto di ascolto sito ad oltre 100 metri dalla fonte di rumore o, per le restanti deposizioni, condizionate dallo stretto rapporto intercorrente con uno degli imputati, di cui erano affittuari o prossimi congiunti.
Nessun particolare rilievo dirimente il Tribunale ha infine attribuito al giudizio civile, in ordine alla sussistenza di elementi da porre, ad avviso delle difese, a base della configurabilità di entrambi i reati contestati, atteso che tale giudizio è stato emesso per fini diversi rispetto all'oggetto del procedimento penale e secondo principi e criteri da circoscrivere all'ambito civilistico, ma soprattutto per il fatto che il Giudice civile era in possesso di elementi parziali e privi dei successivi riscontri pervenuti durante il dibattimento.
3.4. Da ciò consegue che, contrariamente a quanto lamentano i ricorrenti, il Tribunale ha tenuto conto delle deposizioni a discarico, motivatamente disattendendole, anche in considerazione dell'accertamento dibattimentale costituito da prove documentali e dai rilievi tecnici, oltre che dalle deposizioni delle persone offese, pienamente corroborate dagli accertamenti investigativi e tecnici; ha compiuto un accertamento pieno iure con acquisizione di elementi probatori del tutto sconosciuti dal giudice civile, con la conseguenza che l'esito di quel giudizio, peraltro cautelare, non poteva in alcun modo condizionare il giudizio penale; ha desunto dalle deposizioni testimoniali che l'attività era cessata negli ultimi mesi del 2012, cosicchè dal 2011, ossia dalla data della contestazione al D.V., l'attività era necessariamente ripresa.
3.5. Da ciò consegue che, con congrua motivazione priva di vizi di manifesta illogicità, il Tribunale ha ritenuto provato che il funzionamento della macchina "Master" e della lancia determinò immissioni sonore fluttuanti tra un minimo ed un massimo con punte di ingravescenza insopportabili, percepite con maggiore intensità proprio negli orari dedicati al riposo ed alle feste, che avevano gravemente disturbato, sino a condizionare le abitudini ed a risentirne in fatto di salute, le occupazioni ed il riposo delle persone offese e dei loro familiari, come riferito nelle deposizioni testimoniali.
E' stato pertanto integrato pienamente il reato il comma 1 e non il comma 2 dell'art. 659 c.p., che non è stato peraltro inserito nella legge di depenalizzazione.
3.6. Quanto al reato di cui all'art. 674 c.p., il Tribunale ha premesso che - se per un verso i gestori dell'autolavaggio erano titolari di autorizzazione all'immissione nella pubblica fognatura delle acque di prima pioggia rilasciata dal Comune di (OMISSIS) in data 24 maggio 2003 in virtù di parere favorevole USL di Rieti in data 14 maggio 2003 rilasciato in base alla relazione di analisi prodotta dai gestori che attestava l'assenza di parametri inquinanti oltre i limiti di legge - va rimarcata, dall'altro, la violazione dell'obbligo di adeguamento alla prescrizione data nel parere della USL di mantenere in efficienza gli impianti in modo da non inquinare e rispettare la normativa di cui al D.Lgs. 11 maggio 1999 n. 152, la cui violazione è stata accertata dalle rilevazioni dell'ARPALAZIO in data 22 agosto 2006. Analogo accertamento risulta effettuato in data (OMISSIS), quando è stata riscontrata negli scarichi la presenza di sostanze pericolose, di cui all'elenco delle tab. 5 del D.Lgs. 22 gennaio 2006, n. 152, ossia rame, in misura eccedente i limiti ed anche sostanze non pericolose di cui alla tab. 3 del medesimo decreto in misura eccedente i limiti (tensioattivi, ferro).
Quanto alla quantità ed intensità delle emissioni, il Tribunale ha dato atto che le persone offese hanno documentato con fotografie e descritto nuvole di vapore misto a detersivo e residui che si riversavano nell'atmosfera circostante sino a raggiungere le loro proprietà. Inoltre, a seguito di ispezione, l'ASL aveva rilevato la presenza di zanzare anche nelle abitazioni delle persone offese (di cui alle foto acquisite agli atti), attribuendola, a titolo di concausa, all'autolavaggio, con ciò dando conto di un fenomeno di diffusione di vapori dall'impianto in atto. Del resto era stata suggerita nell'occasione, come in altre durante i vari sopralluoghi di tecnici e consulenti succedutesi nel tempo, l'esecuzione di lavori (mai eseguiti) di adeguamento con pannelli idonei ad impedire dispersione di sostanze nebulizzanti.
Sulla base di ciò è stata affermata la responsabilità di entrambi i ricorrenti (per il C. per aver gestito l'impianto dal (OMISSIS) 2008, quanto meno sino al (OMISSIS) 2011, quando la gestione è stata restituita al D.V., che pertanto è stato ritenuto responsabile, come in precedenza anticipato, a far data da tale momento), sul condivisibile rilievo che il reato di cui all'art. 674 c.p. è integrabile indipendentemente dal superamento dei valori limite di emissione eventualmente stabiliti dalla legge, in quanto anche un'attività produttiva di carattere industriale autorizzata può procurare molestie alle persone, per la mancata attuazione dei possibili accorgimenti tecnici (Sez. 3, n. 15734 del 12/02/2009, Schembri, Rv. 243387).
3.7. Ne consegue che, al cospetto di una motivazione corretta, nella quale non è riconoscibile alcuna lacuna argomentativa o vizio di illogicità manifesta, le doglianze del ricorrenti si risolvono sostanzialmente in censure fattuali tendenti a sostenere un'interpretazione alternativa dei fatti, preclusa in sede di legittimità.
Sul punto, va ricordato che il vizio di motivazione, che risulti dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati (e, nel caso di specie, neppure sempre segnalati in modo autosufficiente), in tanto sussiste se ed in quanto si dimostri che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non invece quando si opponga alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621).
Infatti, come più volte affermato da questa Corte, l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato al giudice di legittimità essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, esulando dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone ed altri, Rv. 207944), con la specificazione che l'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè le ragioni del convincimento siano spiegate in modo logico e adeguato (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
4. Il secondo motivo del ricorso C. è infondato.
La Corte ha già affermato che, in tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, il reato di cui all'art. 659 c.p. non può ritenersi abrogato per effetto della legge 28 aprile 2014 n. 67, posto che tale atto normativo ha conferito al Governo una delega, implicante la necessità del suo esercizio per la depenalizzazione di tale fattispecie e che, pertanto, quest'ultima, fino alla emanazione dei decreti delegati, non potrà essere considerata violazione amministrativa (Sez. 3, n. 23944 del 17/03/2015, Casartelli, Rv. 263647).
Come in precedenza anticipato, infatti, la delega non è stata esercitata in parte qua ed il reato di cui all'art. 659 c.p. non è stato pertanto depenalizzato.
5. Il rigetto del ricorso esclude che la Corte debba delibare sulla richiesta di sospensione dell'esecuzione della condanna connessa agli interessi civili.
Consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione di quelle del grado in favore delle parti civili liquidate come da pedissequo dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè, in solido, alla rifusione delle spese del grado in favore delle costituite parti civili M.L., M.B. in proprio e nella qualità, M.E., T.A., che liquida complessivamente in Euro 3.500,00 oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 11 maggio 2016.