Consiglio di Stato Sez. IV n. 490 del 25 gennaio 2021
Sostanze pericolose.Impianto di trattamento di rifiuti e normativa Seveso
Riguardo al concetto di “presenza di sostanze pericolose” rilevante ai fini della applicabilità o meno della disciplina Seveso, considerato che non possono prendersi a riferimento i soli quantitativi di sostanze pericolose “effettivamente” presenti nell’impianto, deve osservarsi che: a) per definire le “sostanze pericolose” rilevanti al fine di determinare l’assoggettabilità dello stabilimento alla c.d. normativa Seveso, la direttiva attualmente in vigore, a differenza della direttiva 96/82/CE che prendeva in considerazione le sole “sostanze, miscele o preparazioni … presenti”, include, su un piano di perfetta parità, sia le sostanze che siano effettivamente presenti (“presenza reale”) sia quelle che, in termini di mera prevedibilità, potranno essere rilevate nello stabilimento (“presenza prevista”) (cfr. art. 3, n. 12, direttiva 2012/18/UE; concetto ribadito dall’allegato I, nota n. 3, della medesima direttiva, secondo cui: “le quantità massime da prendere in considerazione ai fini dell’applicazione degli articoli sono le quantità massime che sono o possono essere presenti in qualsiasi momento”); b) l’intenzione del legislatore di voler anticipare - rispetto al sistema previgente - la soglia di tutela garantita dall’applicazione della disciplina, non può pertanto essere sostanzialmente elusa dall’applicazione di un sistema di gestione che consenta il monitoraggio ed il controllo delle quantità di sostanze pericolose effettivamente presenti nello stabilimento, finalizzato a garantire in ogni momento il non superamento dei quantitativi limite di assoggettabilità previsti, finendosi altrimenti per non prendere mai in considerazione quei quantitativi di sostanze pericolose che, solo in termini di previsione, potranno essere presenti nello stabilimento; c) al fine di individuare la “presenza … prevista … di sostanze pericolose nello stabilimento” è corretto prendere a riferimento quanto stimato nei provvedimenti che abilitano i gestori ad esercire l’impianto, quale l’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.), che, nell’attestare ufficialmente la capacità dell’impianto stesso, stabilisce, inter alia, i quantitativi massimi di sostanze pericolose che lo stabilimento è abilitato a ricevere e a trattare; del resto, la previsione di limiti massimi da parte dell’A.I.A. (e dei corrispondenti livelli di emissione) lascia il gestore del tutto libero di decidere in ogni momento (e in maniera pienamente legittima) se aumentare le attività di stoccaggio fino a tali standard, incrementando conseguentemente la quantità di sostanze pericolose presenti nello stabilimento.
Pubblicato il 25/01/2022
N. 00490/2022REG.PROV.COLL.
N. 08092/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA NON DEFINITIVA
sul ricorso numero di registro generale 8092 del 2021, proposto dalla società Eredi Raimondo Bufarini S.r.l. – Servizi Ambientali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Leonardo Filippucci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Macerata, via Velluti, n. 19;
contro
il Ministero dell’interno, il Ministero della transizione ecologica, il Comitato tecnico regionale delle Marche e il Coordinamento per l’uniforme applicazione sul territorio nazionale di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 105/2015, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, ex lege rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti
la Regione Marche e la signora Loris Calcina, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per le Marche n. 498 del 23 giugno 2021, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio e l’appello incidentale del Ministero dell’interno, del Ministero della transizione ecologica, del Comitato tecnico regionale delle Marche e del Coordinamento per l’uniforme applicazione sul territorio nazionale di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 105/2015;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2021 il consigliere Alessandro Verrico;
Viste le istanze di passaggio in decisione depositate dall’avvocato Leonardo Filippucci e dall’avvocato dello Stato Emanuele Feola;
Visto l’art. 36, comma 2, cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
OGGETTO DEL GIUDIZIO.
1. L’oggetto del presente giudizio è costituito dal provvedimento di diffida - adottato dal Comitato tecnico regionale (C.T.R.) delle Marche nella seduta del 24 novembre 2020, e trasmesso in allegato alla nota prot. n. 16096 del 26 novembre 2020 a firma del direttore regionale dei Vigili del fuoco (VV.F.) delle Marche - nei confronti della società Eredi Raimondo Bufarini s.r.l. – Servizi ambientali (in prosieguo ditta Bufarini), che gestisce in Falconara Marittima, Contrada Saline, un impianto di trattamento di rifiuti liquidi, pericolosi e non pericolosi, in virtù di autorizzazione integrata ambientale n. 534 del 5 settembre 2012, rilasciata dalla Provincia di Ancona, più volte aggiornata.
In particolare, con il citato provvedimento, la società è stata diffidata a presentare, entro sessanta giorni dal recepimento del verbale, la notifica prevista dall’art. 13 del d.lgs. n. 105 del 2015 e il rapporto di sicurezza di cui all’art. 15 dello stesso d.lgs., ovvero, in alternativa, a limitare fisicamente l’utilizzo di parte dei serbatoi in maniera da non superare i limiti di soglia previsti dal d.lgs. n. 105/2015. Secondo il C.T.R. “le quantità da prendere in considerazione, ai fini della valutazione dell’assoggettabilità e della notifica dello stabilimento, sono le quantità massime detenute, che si intendono detenere o che sono previste, responsabilmente dichiarate dal gestore”, pertanto non ritenendosi “conforme alla norma determinare l’assoggettabilità al decreto considerando esclusivamente i quantitativi di sostanze pericolose che sono presenti momento per momento nel suddetto stabilimento, anche nel caso in cui il gestore si avvalga di un sistema gestionale delle giacenze e controllo del non superamento delle soglie”.
IL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO.
2. Con il ricorso proposto dinanzi al T.a.r. per le Marche (r.g. n. 57/2021), affidato a due autonomi motivi, la ditta Bufarini ha impugnato tale provvedimento, unitamente ai seguenti atti: proroga adottata dal Comitato tecnico regionale delle Marche nella seduta dell’8 gennaio 2021, verbale del gruppo di lavoro del 5 novembre 2020, verbale dell’undicesima riunione del Coordinamento per l’uniforme applicazione sul territorio nazionale, determinazione assunta dal Comitato tecnico regionale delle Marche nella seduta del 28 maggio 2020 e verbale del gruppo di lavoro del 18 febbraio 2020.
2.1. Con successivo atto di motivi aggiunti, depositato nel giudizio di cui al r.g. n. 57/2021 in data 12 febbraio 2021, la società Bufarini ha chiesto l’esibizione, da parte del C.T.R. o della direzione regionale dei VV.F., di copia del “Quesito n.16/2018 del Coordinamento per l’uniforme applicazione sul territorio nazionale del D.Lgs. 105/2015” nonché del “Verbale dell’undicesima riunione del Coordinamento Nazionale di cui all’art.11 del D.Lgs. 105/2015 – approvazione quesito n.16/2019 e le osservazioni successive dei componenti del coordinamento”; tanto in ragione del diniego all’istanza di accesso presentata dalla stessa in data 18 gennaio 2021, opposto, con nota prot. n. 2618 del 12 febbraio 2021, da parte del direttore regionale dei VV.F.
3. Il T.a.r. per le Marche, con la sentenza n. 498 del 23 giugno 2021:
i) ha dichiarato improcedibile l’atto di motivi aggiunti, alla luce del deposito nel corso del giudizio dei richiesti documenti (in esecuzione dell’ordinanza collegiale n. 57 del 2021) e della dichiarazione della ricorrente di sopravvenuta carenza di interesse;
ii) ha respinto tutti i motivi di ricorso, in quanto:
ii.i) ha considerato che per la soluzione del caso in esame non risultano funzionali i pareri del Coordinamento per l’uniforme applicazione sul territorio nazionale (Coordinamento nazionale) – resi sul quesito n. 21/2020 e sul quesito n. 16/2018 - poiché aventi ad oggetto fattispecie non assimilabili a quella riguardante la società Bufarini;
ii.ii) ha escluso che, in assenza di regole certe ed uniformi, il meccanismo ipotizzato dalla società ricorrente sia compatibile con la direttiva 2012/18/UE e ha considerato che, non esistendo una definizione normativa di presenza di sostanze pericolose “prevista”, è ragionevole fare riferimento a tali fini all’unico provvedimento che attesta ufficialmente la capacità dell’impianto, ossia l’A.I.A. o un analogo provvedimento autorizzativo;
ii.iii) ad ogni modo ha ritenuto che, nel caso in esame, rilevi la sola nozione di presenza “reale” di sostanze pericolose, alla luce di quanto riscontrato dal gruppo di lavoro nominato dal C.T.R. in occasione della visita ispettiva condotta;
iii) ha respinto la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, a tal fine rilevando la sufficiente chiarezza delle disposizioni della direttiva 2012/18/UE, l’assenza di una prassi nazionale consolidata contraria all’applicazione delle modalità proposte dalla ricorrente e la non attualità dell’esigenza del rinvio della questione prospettata;
iv) ha compensato le spese di lite.
IL GIUDIZIO DI APPELLO.
4. La società originaria ricorrente ha proposto appello (corredato da istanza cautelare), per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente accoglimento integrale del ricorso originario, sollevando un unico complesso motivo (da pagina 11 a pagina 32 dell’atto di appello), rubricato “Violazione dell’art. 3, lett. n), del d.lgs. 105/2015. Eccesso di potere per contraddittorietà e perplessità della motivazione. Violazione della nota 1 dell’allegato 1 al d.lgs. 105/2015”. L’appellante, inoltre, per il caso di rigetto del gravame, ribadendo la domanda già avanzata in primo grado, ha chiesto di sollevare la seguente questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea: “se la definizione di “presenza di sostanze pericolose” di cui all’art. 3, n. 12, della Direttiva 2012/18/UE osti ad una prassi secondo la quale la previsione dei quantitativi di sostanze pericolose presenti all’interno di un impianto di trattamento dei rifiuti sia rimessa ad una procedura operativa implementata dal gestore (ed eventualmente recepita dall’autorizzazione di cui all’art. 23 della Direttiva 2008/98/CE o di cui all’art. 4 della Direttiva 2010/75/UE), la quale, qualificando i rifiuti come miscele ai sensi dell’art. 3, n. 11, della Direttiva 2012/18/UE, contempli il costante monitoraggio del quantitativo delle sostanze pericolose presenti all’interno dell’impianto e garantisca il non superamento della soglia inferiore e della soglia superiore rispettivamente previste nella colonna 2 e nella colonna 3 dell’allegato 1 alla Direttiva 2012/18/UE”.
4.1. Si sono costituiti in resistenza il Ministero dell’interno, il Comitato tecnico regionale delle Marche, il Ministero della transizione ecologica e il Coordinamento per l’uniforme applicazione sul territorio nazionale di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 105/2015, i quali, oltre ad opporsi all’appello, hanno contestualmente proposto appello incidentale, onde sottoporre l’eccezione di difetto di legittimazione passiva del Ministero della transizione ecologica.
5. Alla camera di consiglio del 14 ottobre 2021, su richiesta di parte ricorrente, è stato differito l’esame dell’istanza cautelare all’udienza pubblica del 21 dicembre 2021.
5.1. La società appellante ha prodotto memorie e documenti rispettivamente in data 21 settembre, 11 ottobre e 19 novembre 2021.
6. Alla pubblica udienza del 21 dicembre 2021 - nel corso della quale nessuna delle parti ha insistito per l’esame dell’istanza cautelare - la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE.
7. Preliminarmente, il Collegio:
a) considerato che a seguito dell’appello è riemerso l’intero thema decidendum del giudizio di primo grado, per ragioni di economia dei mezzi processuali e semplicità espositiva, secondo la logica della decisione della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015, nel rispetto di quanto stabilito dall’art. 104 c.p.a., prende direttamente in esame gli originari motivi posti a sostegno del ricorso introduttivo (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, n. 1137 del 2020);
b) ritiene fondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (attualmente Ministero della transizione ecologica), non essendo stati impugnati provvedimenti emanati dal medesimo Dicastero o comunque non essendo state formulate censure avverso i verbali del Coordinamento nazionale.
8. Passando all’esame del merito del ricorso, ai fini di una migliore comprensione della vicenda oggetto del presente giudizio in fatto si precisa quanto segue:
i) la società Bufarini gestisce in Falconara Marittima, Contrada Saline, un impianto di trattamento di rifiuti liquidi, pericolosi e non pericolosi, in virtù dell’autorizzazione integrata ambientale n. 534 del 5 settembre 2012, rilasciata dalla Provincia di Ancona (più volte aggiornata), che consente di stoccare (operazione D15) fino a 800 tonnellate di rifiuti pericolosi identificati con vari codici EER e di trattare (operazioni D8-D9) fino a 200 t/g dei medesimi rifiuti;
ii) con nota prot. 14108 del 7 novembre 2019, il direttore generale dei VV.F. delle Marche, nella sua qualità di presidente del Comitato tecnico regionale (C.T.R.) di cui all’art. 10 del d.lgs. n. 105/2015, istituiva un gruppo di lavoro (g.d.l.), al fine di redigere una relazione sulla assoggettabilità o meno dello stabilimento Bufarini alla c.d. normativa Seveso;
iii) all’esito dell’istruttoria, il g.d.l., con verbale conclusivo del 18 febbraio 2020, riteneva che lo stabilimento della ricorrente non potesse essere escluso dal campo di applicazione della c.d. normativa Seveso, in quanto:
- non era stata “…rilevata in azienda l’esistenza di una procedura di controllo del rispetto dei limiti di soglia di cui al Decreto 105/2015, in termini di quantitativi stoccati e tipologia di pericolo assunta…”;
- nel corso degli accertamenti era emerso che la ditta aveva utilizzato, per lo stoccaggio di rifiuti pericolosi rilevanti ai fini Seveso, un serbatoio diverso rispetto a quelli indicati nella relazione;
- sempre nel corso degli accertamenti era emersa una diversa valutazione della categoria di pericolo da attribuire a taluni rifiuti (E1 anziché E2);
iv) con determinazione del 28 maggio 2020 (trasmessa alla ditta Bufarini in allegato alla nota della direzione regionale dei VV.F. prot. n. 7376 del 12 giugno 2020), il C.T.R., recependo le conclusioni del g.d.l., diffidava la stessa società a presentare, entro sessanta (60) giorni, la notifica prevista dall’art. 13 del d.lgs. n. 105/2015 e il rapporto di sicurezza di cui all’art. 15 dello stesso d.lgs. n. 105/2015;
v) a fronte di una nuova procedura di controllo delle sostanze pericolose presenti nello stabilimento redatta dalla società, il C.T.R., con determinazione assunta in data 24 novembre 2020 e trasmessa all’odierna ricorrente in allegato alla nota della direzione regionale dei VV.F. prot. n. 16096 del 26 novembre 2020, diffidava nuovamente la società Bufarini a presentare, entro trenta (30) giorni, la notifica prevista dall’art. 13 del d.lgs. n. 105/2015 e il rapporto di sicurezza di cui all’art. 15 dello stesso d.lgs. n. 105/2015, ovvero, in alternativa, a limitare fisicamente l’utilizzo di parte dei serbatoi in maniera da non superare i limiti di soglia previsti dal d.lgs. n. 105/2015.
9. Ciò posto, il Collegio osserva che, con il ricorso introduttivo, la società Eredi Raimondo Bufarini articolava i seguenti due autonomi motivi:
a) “Violazione dell’art. 3, lett. n), del d.lgs. 105/2015; eccesso di potere per contraddittorietà e perplessità della motivazione; violazione della nota 1 dell’allegato 1 al d.lgs. 105/2015”: la società ha contestato l’assunto del C.T.R. Marche secondo cui il gestore di un impianto di trattamento rifiuti non potrebbe dimostrare, tramite un sistema gestionale, che la presenza di sostanze pericolose nel proprio stabilimento non oltrepassi mai la soglia inferiore.
In particolare, al fine di interpretare il concetto di presenza “prevista” di cui all’art. 3, lett. n), del d.lgs. n. 105/2015, soprattutto nei casi in cui non sia possibile procedere ad un’esatta stima preventiva delle quantità di sostanze pericolose potenzialmente presenti nello stabilimento, sarebbe ragionevole ritenere che gravi in capo al gestore l’onere di monitorare costantemente il quantitativo di sostanze pericolose presenti nel proprio stabilimento e di mantenere tale quantitativo al di sotto delle predette soglie. Ciò varrebbe a fortiori per gli impianti di trattamento di rifiuti, in relazione ai quali, considerata la mancata coincidenza tra la nozione di sostanza o miscela pericolosa ai sensi del Regolamento n. 1272/2008/CE (relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele, noto anche come “Regolamento CLP”), da applicare ai fini della c.d. normativa Seveso, e la nozione di rifiuto pericoloso secondo le regole tecniche di cui al Regolamento n. 1357/2014/UE, la presenza “prevista” di sostanze pericolose all’interno di uno stabilimento nel quale sono trattati rifiuti pericolosi non può essere automaticamente e semplicisticamente desunta dalla capacità massima di stoccaggio istantaneo dei rifiuti pericolosi prevista nell’autorizzazione di cui all’art. 208 del d.lgs. n. 152/2006 ovvero nell’A.I.A.
La società ha altresì sostenuto che la conferma della propria tesi interpretativa si potrebbe trarre anche dal sopraggiunto parere del 17 dicembre 2020 reso dal Coordinamento nazionale sul quesito n. 16/2018, potendo essere utilizzato un sistema gestionale sia che si tratti di rispettare la soglia inferiore, sia che si tratti di rispettare la soglia superiore, dovendo per entrambi i casi prendere in considerazione un concetto univoco di “presenza di sostanze pericolose”.
In via subordinata, la ricorrente ha chiesto di sottoporre in via pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea la summenzionata questione interpretativa (sub § 4).
b) “Violazione degli articoli 3, lett. g), 13, comma 1, lett. b), 15, comma 6, lett. c), e 28, comma 8, del d.lgs. 105/2015”: la società ha censurato l’esiguità del termine di trenta giorni assegnato dal C.T.R. per la presentazione della notifica prevista dall’art. 13 del d.lgs. n. 105/2015 e del rapporto di sicurezza di cui all’art. 15 dello stesso d.lgs. n. 105/2015.
In particolare, nel caso di specie non sarebbe applicabile l’art. 28, comma 8, del d.lgs. n. 105/2015, in quanto l’assoggettamento dell’impianto alla c.d. normativa Seveso sarebbe diretta conseguenza della nuova interpretazione normativa adottata dal C.T.R., dovendo pertanto trovare applicazione i termini previsti dall’art. 13, comma 1, lett. b) e dall’artt. 15, comma 6, lett. c), rispettivamente per l’invio della notifica e del rapporto di sicurezza da parte di “altri impianti” ai quali si applica la direttiva 2012/18/UE (ossia un anno - per la notifica - e due anni - per il rapporto di sicurezza - dalla data a decorrere dalla quale la direttiva 2012/18/UE). La conferma di tale interpretazione deriverebbe peraltro dal parere reso dal Coordinamento nazionale in ordine al quesito n. 21/2020, riguardante un caso analogo al presente.
10. In particolare, la soluzione del primo dei motivi di ricorso dipende dall’esame delle seguenti questioni:
i) se la risposta al quesito n. 16 del 2018 fornita dal Coordinamento nazionale - secondo cui il controllo del superamento della soglia di sostanze pericolose all’interno di uno stabilimento può essere svolto autonomamente dal gestore stesso - possa essere estesa anche all’ipotesi che ha coinvolto la società ricorrente;
ii) quale sia il concetto di “presenza di sostanze pericolose” ai fini della applicabilità o meno della disciplina Seveso ovvero se rilevino solo i quantitativi di sostanze pericolose “effettivamente” presenti nell’impianto oppure possano essere considerati, per determinare i quantitativi “previsti”, i quantitativi massimi assentiti mediante l’autorizzazione integrata ambientale.
11. In termini generali, il Collegio osserva che, ai fini dell’assoggettabilità di un impianto di trattamento di rifiuti alla c.d. normativa Seveso (come sviluppatasi nel tempo: d.P.R. n. 175/1988 di recepimento della prima direttiva “Seveso” 82/501/CEE; d.lgs. n. 334/1999 di recepimento della direttiva “Seveso-bis” 96/82/CE; d.lgs. n. 105/2015 di recepimento della direttiva “Seveso-ter” 2012/18/UE), rileva, ai sensi degli articoli 2, comma 1, e 3, lettere a), b) e c), del d.lgs. n. 105/2015, la presenza di sostanze pericolose in quantità maggiore rispetto alle soglie indicate nelle colonne 2 e 3 dell’allegato 1 allo stesso decreto legislativo.
In particolare, è esclusa l’applicabilità della normativa Seveso per gli stabilimenti in cui le sostanze pericolose non eccedono la soglia di cui alla colonna 2, mentre, laddove la presenza di sostanze pericolose sia compresa tra la soglia di cui alla colonna 2 (soglia inferiore) e la soglia di cui alla colonna 3 (soglia superiore), trovano applicazione le disposizioni relative ai c.d. “stabilimenti di soglia inferiore” e, ove si superi la soglia di cui alla colonna 3, si procede ad applicare integralmente la normativa (c.d. “stabilimenti di soglia superiore”).
11.1. A tali fini è pertanto determinante il concetto di “presenza di sostanze pericolose” definito dall’art. 3, lett. n), del d.lgs. n. 105/2015, il quale – riprendendo quanto previsto dall’art. 3, n. 12, della direttiva 2012/18/UE – stabilisce che per “presenza di sostanze pericolose” debba intendersi “la presenza, reale o prevista, di sostanze pericolose nello stabilimento, oppure di sostanze pericolose che è ragionevole prevedere che possano essere generate, in caso di perdita del controllo dei processi, comprese le attività di deposito, in un impianto in seno allo stabilimento, in quantità pari o superiori alle quantità limite previste nella parte 1 o nella parte 2 dell’allegato 1”.
11.2. Al riguardo, se non si pongono particolari problemi per definire il concetto di “presenza reale” di sostanze pericolose, maggiori dubbi interpretativi emergono in relazione alla nozione di “presenza prevista” e, in particolare, ci si chiede se, per integrare la stessa, possa essere ritenuto sufficiente l’esito del monitoraggio effettuato tramite un sistema interno di controllo e quantificazione, ovvero se debba farsi riferimento alla quantità massima di rifiuti pericolosi stoccabili prevista dal titolo abilitativo acquisito dallo stabilimento.
12. Nel corso del primo grado di giudizio è stato depositato il parere del Coordinamento nazionale ex art. 11 del d.lgs. n. 105/2015 reso in data 17 dicembre 2020 sul quesito n. 16/2018, che ha così concluso:
- “In conformità all’articolo 3 e all’articolo 13, comma 2 del D.lgs. 105/2015, nel modulo di notifica e di informazione di cui alla Sezione B dell’Allegato 5 il gestore deve dichiarare le sostanze pericolose e la categoria delle sostanze pericolose e le quantità massime detenute, che sono o possono essere presenti in qualsiasi momento nello stabilimento. Tali quantitativi massimi devono essere considerati dallo stesso gestore, nell’ambito della notifica, al fine di determinare l’assoggettabilità dello stabilimento al D.lgs. 105/2015”;
- “E’ possibile gestire, tramite un adeguato sistema gestionale, ove necessario informatico, la presenza in stabilimento di quantitativi variabili di sostanze pericolose e/o di categorie di sostanze pericolose al fine di mantenere la condizione di assoggettabilità al D.lgs. 105/2015 come stabilimento di soglia inferiore, a condizione che sia assicurata la piena conformità a quanto responsabilmente dichiarato nella notifica”.
12.1. Secondo la società ricorrente, come anticipato sub § 9, il Coordinamento nazionale, con tale parere, avrebbe consentito in via generalizzata l’utilizzo di un sistema gestionale interno per quantificare le sostanze pericolose presenti nello stabilimento e, quindi, per determinare l’assoggettabilità o meno di esso al d.lgs. n. 105/2015, senza poter distinguere il caso in cui la presenza di un quantitativo inferiore alla soglia determini l’inapplicabilità della normativa (fattispecie oggetto del presente giudizio) dal caso in cui si registri una quantità superiore alla prima ed inferiore alla seconda soglia (fattispecie oggetto del parere).
12.2. La tesi non è condivisibile, atteso che il citato parere è stato sviluppato con riferimento ad una fattispecie non assimilabile a quella in esame.
Invero, dalla lettura del quesito n. 16 del 2018 sottoposto al Coordinamento nazionale emerge che a chiedere se fosse possibile “utilizzare un sistema gestionale delle giacenze e di controllo del non superamento delle soglie secondo la regola delle sommatorie di cui alla nota 4, Allegato 1 del d.lgs. n. 105/2015” sono stati alcuni gestori di aziende che svolgono attività di logistica o di trattamento rifiuti, già soggetti alla normativa Seveso, per aver in precedenza effettuato la notifica ex art. 13 d.lgs. n. 105/2015 (con cui avevano dichiarato di gestire un quantitativo di rifiuti pericolosi superiore alla prima ed inferiore alla seconda soglia). In particolare, la richiesta è stata finalizzata, piuttosto che ad individuare le modalità di quantificazione dei rifiuti pericolosi per decidere in ordine ad un primo assoggettamento alla normativa Seveso, a valutare se la proposta modalità di gestione flessibile possa essere utilizzata allo scopo di mantenere, anche nei casi di variazioni frequenti di sostanze e quantitativi, l’assoggettamento alla disciplina di cui al d.lgs. n. 105/2015, in qualità di stabilimenti “di soglia inferiore”.
Pertanto, la circostanza che le ditte richiedenti il parere siano già soggette al rispetto della normativa Seveso rappresenta un discrimine non superabile e assolutamente determinante nell’ottica della non estensibilità (per analogia) al caso di specie di quanto affermato dal Coordinamento nazionale nel parere.
12.3. Del resto, a conferma di tale conclusione rileva che nel verbale del 17 dicembre 2020, approvato dalle Amministrazioni che hanno partecipato alla riunione, nell’ambito del Coordinamento, si è escluso che si possa fare affidamento alla valutazione, momento per momento, di assoggettabilità dello stabilimento al d.lgs. n. 105/2015, atteso che, coerentemente con la definizione dell’art. 3, comma 1, lett. n), d.lgs. n. 105/2015, “il gestore, nella notifica, deve indicare i quantitativi massimi delle categorie di sostanze pericolose presenti in stabilimento” (pag. 3 e 4 del verbale).
13. Ciò posto, passando all’analisi del concetto di “presenza di sostanze pericolose” rilevante ai fini della applicabilità o meno della disciplina Seveso, considerato che non possono prendersi a riferimento i soli quantitativi di sostanze pericolose “effettivamente” presenti nell’impianto, il Collegio osserva che:
a) per definire le “sostanze pericolose” rilevanti al fine di determinare l’assoggettabilità dello stabilimento alla c.d. normativa Seveso, la direttiva attualmente in vigore, a differenza della direttiva 96/82/CE che prendeva in considerazione le sole “sostanze, miscele o preparazioni … presenti”, include, su un piano di perfetta parità, sia le sostanze che siano effettivamente presenti (“presenza reale”) sia quelle che, in termini di mera prevedibilità, potranno essere rilevate nello stabilimento (“presenza prevista”) (cfr. art. 3, n. 12, direttiva 2012/18/UE; concetto ribadito dall’allegato I, nota n. 3, della medesima direttiva, secondo cui: “le quantità massime da prendere in considerazione ai fini dell’applicazione degli articoli sono le quantità massime che sono o possono essere presenti in qualsiasi momento”);
b) l’intenzione del legislatore di voler anticipare - rispetto al sistema previgente - la soglia di tutela garantita dall’applicazione della disciplina, non può pertanto essere sostanzialmente elusa dall’applicazione di un sistema di gestione che consenta il monitoraggio ed il controllo delle quantità di sostanze pericolose effettivamente presenti nello stabilimento, finalizzato a garantire in ogni momento il non superamento dei quantitativi limite di assoggettabilità previsti, finendosi altrimenti per non prendere mai in considerazione quei quantitativi di sostanze pericolose che, solo in termini di previsione, potranno essere presenti nello stabilimento;
c) al fine di individuare la “presenza … prevista … di sostanze pericolose nello stabilimento” è corretto prendere a riferimento quanto stimato nei provvedimenti che abilitano i gestori ad esercire l’impianto, quale l’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.), che, nell’attestare ufficialmente la capacità dell’impianto stesso, stabilisce, inter alia, i quantitativi massimi di sostanze pericolose che lo stabilimento è abilitato a ricevere e a trattare; del resto, la previsione di limiti massimi da parte dell’A.I.A. (e dei corrispondenti livelli di emissione) lascia il gestore del tutto libero di decidere in ogni momento (e in maniera pienamente legittima) se aumentare le attività di stoccaggio fino a tali standard, incrementando conseguentemente la quantità di sostanze pericolose presenti nello stabilimento.
14. In conclusione sul punto, in ragione di quanto considerato, il motivo non può dirsi fondato.
15. Parimenti inaccoglibile è il secondo motivo di ricorso, con cui viene censurata l’esiguità del termine di trenta giorni, successivamente prorogato di ulteriori soli sessanta giorni, assegnato dal C.T.R. per la presentazione della notifica prevista dall’art. 13 del d.lgs. n. 105/2015 e del rapporto di sicurezza di cui all’art. 15 dello stesso d.lgs. n. 105/2015.
15.1. Al riguardo, il Collegio rileva che:
a) ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett. a) e dell’art. 28, comma 8, del d.lgs. n. 105/2015 il termine per presentare la notifica e il rapporto di sicurezza è di sessanta (60 giorni), laddove, per converso, all’art. 13, comma 1, lett. b) e all’art. 15, comma 6, lett. c), per gli “altri impianti” o “altri stabilimenti” sono previsti i termini di un anno per l’invio della notifica e di due anni per l’invio del rapporto di sicurezza;
b) il parere reso in data 11 dicembre 2020 sul quesito n. 21/2020, secondo cui per l’assolvimento degli obblighi di notifica ex art. 13 del d.lgs. n. 105/2015 si applica il termine indicato al comma 1, lett. b), dello stesso art. 13 laddove un impianto diventi soggetto alla c.d. normativa Seveso per una ragione diversa da quelle di cui all’art. 3, lett. e), del d.lgs. n. 105/2015 (concernente le ipotesi di “nuovo stabilimento”), ha riguardato un caso differente da quello all’esame; invero, nella fattispecie sottoposta al Coordinamento nazionale il superamento delle soglie di cui all’allegato 1 del d.lgs. n. 105/2015, che ha determinato l’assoggettamento dell’impianto alla normativa Seveso, è dipeso dal fatto che, in seguito all’introduzione di un protocollo sperimentale da parte del gestore, una delle sostanze prodotte è stata classificata pericolosa per l’ambiente; peraltro, in quel caso non vi è dubbio in merito alla qualificazione dell’impianto, a partire da una data determinata, come “altro stabilimento” e, quindi, in ordine all’applicazione del termine “lungo” di cui all’art. 13, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 105/2015;
c) diversamente, nel caso di specie, come ammesso dalla stessa ricorrente, l’attività aziendale non ha mai subito modifiche rilevanti ai fini della normativa Seveso, non potendo pertanto trovare applicazione la disciplina prevista per gli “altri stabilimenti” dall’art. 13 cit. e dovendo, invece, essere applicato, come correttamente effettuato nell’atto di diffida, il termine “breve” di sessanta giorni.
LE MOTIVAZIONI DEL RINVIO PREGIUDIZIALE.
16. Ciò considerato, il Collegio, sulla base di quanto già affermato da questa Sezione nella sentenza n. 6290 del 14 settembre 2021 a cui fa integralmente rinvio, ritiene di dover sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ex art. 267 TFUE, alcune questioni pregiudiziali.
16.1. Al riguardo, si rileva che nel presente giudizio il Consiglio di Stato, giudice di ultima istanza nell’ambito dell’ordinamento processuale italiano, è chiamato a pronunciare su una controversia nazionale, concernente l’applicazione di una disciplina di recepimento del diritto europeo adottata dalle Autorità nazionali, in cui viene dedotta una questione di interpretazione e di corretta applicazione di disposizioni e principi unionali.
16.2. La giurisprudenza della Corte di giustizia, a partire dalla sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit, in causa C 283/81, ha precisato che, al fine di evitare che in un qualsiasi Stato membro si consolidi una giurisprudenza nazionale in contrasto con le norme del diritto dell’Unione, qualora non sia previsto alcun ricorso giurisdizionale avverso la decisione di un giudice nazionale, quest’ultimo è, in linea di principio, tenuto a rivolgersi alla Corte ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE quando è chiamato a pronunciarsi su una questione d’interpretazione del diritto europeo.
16.3. L’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, gravante sul giudice di ultima istanza, rientra, infatti, nell’ambito della cooperazione istituita al fine di garantire la corretta applicazione e l’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione nell’insieme degli Stati membri, fra i giudici nazionali, in quanto incaricati dell’applicazione del diritto dell’Unione, e la Corte (Corte di giustizia, sentenza del 15 marzo 2017, in causa C-3/16, Aquino, punto 32).
16.4. La violazione di tale obbligo è idonea a configurare un inadempimento dello Stato membro, la cui responsabilità può essere affermata a prescindere dalla natura dell’organo statale che abbia dato luogo alla trasgressione, quindi, anche se si tratti di un’istituzione costituzionalmente indipendente, qual è il giudice nazionale (Corte di giustizia, sentenza del 4 ottobre 2018, in causa C-416/17, Commissione c. Repubblica francese, punto 107).
16.5. Gli organi giurisdizionali non sono, invece, tenuti a disporre il rinvio pregiudiziale qualora constatino che la questione sollevata non sia rilevante o che la disposizione del diritto dell’Unione di cui trattasi sia già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte, ovvero che la corretta applicazione del diritto dell’Unione si imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi.
16.6. Con riferimento a tale ultima condizione, come indicato dalla Corte di giustizia nella sentenza Cilfit cit., occorrerebbe accertare che “la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata. Prima di giungere a tale conclusione, il giudice nazionale deve maturare il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati membri ed alla Corte di Giustizia. Solo in presenza di tali condizioni il giudice nazionale può astenersi dal sottoporre la questione alla corte risolvendola sotto la propria responsabilità” (sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e a., in causa 283/81, punto 16).
16.7. La configurabilità di una simile eventualità dovrebbe essere valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione e delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta, in maniera da evitare il rischio di divergenze giurisprudenziali all’interno dell’Unione.
16.8. In particolare, occorrerebbe:
a) provvedere ad un raffronto tra le varie versioni linguistiche in cui la disposizione è stata redatta;
b) anche nel caso di piena concordanza delle versioni linguistiche, considerare che il diritto europeo impiega una terminologia che gli è propria e che le nozioni giuridiche non presentano necessariamente lo stesso contenuto nel diritto unionale e nei vari diritti nazionali;
c) collocare ogni disposizione di diritto europeo nel proprio contesto, interpretandola alla luce dell’insieme delle disposizioni componenti il diritto unionale, delle sue finalità e del suo stadio di evoluzione al momento in cui va data applicazione alla disposizione rilevante nell’ambito del giudizio nazionale.
16.9. La giurisprudenza successiva ha confermato i principi espressi dalla sentenza Cilfit cit. (cfr. Corte di giustizia, sentenza del 28 luglio 2016, in causa C-379/15, Association France Nature Environnement, punto 48), con la precisazione, da un lato, che “il giudice nazionale, le cui decisioni non siano più soggette a ricorso giurisdizionale, è tenuto a rivolgersi alla Corte in via pregiudiziale in presenza del minimo dubbio riguardo all’interpretazione o alla corretta applicazione del diritto dell’Unione” (sentenza del 28 luglio 2016, in causa C-379/15, Association France Nature Environnement, punto 51), dall’altro, che “l’assenza di dubbi in tal senso necessita di prova circostanziata” (sentenza del 28 luglio 2016, in causa C-379/15, Association France Nature Environnement, punto 52).
16.10. Le condizioni poste da codesta Corte di giustizia, per escludere l’obbligo di rinvio pregiudiziale gravante sul giudice di ultima istanza ex art. 267 TFUE, risultano:
- di difficile accertamento nella parte in cui fanno riferimento alla necessità che il giudice procedente, certo dell’interpretazione e dell’applicazione da dare al diritto unionale rilevante per la soluzione della controversia nazionale, provi in maniera circostanziata che la medesima evidenza si imponga anche presso i giudici degli altri Stati membri e la Corte;
- foriere di responsabilità civile per il giudice supremo nazionale italiano, in base alla norma sancita dall’art. 2, comma 3-bis, l. n. 117 del 1988 secondo cui << 3-bis. Fermo restando il giudizio di responsabilità contabile di cui al decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, ai fini della determinazione dei casi in cui sussiste la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea si tiene conto, in particolare, del grado di chiarezza e precisione delle norme violate nonché dell’inescusabilità e della gravità dell’inosservanza. In caso di violazione manifesta del diritto dell’Unione europea si deve tener conto anche della mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nonché del contrasto dell’atto o del provvedimento con l’interpretazione espressa dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. >>. Di modo che - allo scopo di prevenire la proposizione dell’azione di risarcimento del danno (ma anche la certezza di essere coinvolti in un accertamento disciplinare ai sensi dell’art. 9, comma 1, l. n. 117 cit., pure dopo le precisazioni operate dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 169 del 2021) - il giudice nazionale è costretto a disporre un rinvio pregiudiziale pur che sia, allungando di molto i tempi di risoluzione della controversia, in violazione del principio costituzionale (art. 111, comma 2, Cost.) ed europeo (art. 47, comma 2, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), della ragionevole durata del processo.
16.11. La ricostruzione del significato precettivo da assegnare alle norme giuridiche, siano esse di fonte sovranazionale o nazionale, per propria natura, è esposta alla soggettività dell’attività interpretativa, che, per quanto possa essere limitata, non risulta in radice eliminabile; sicché appare arduo, se non impossibile, escludere nel caso concreto ogni “minimo dubbio” (sentenza del 28 luglio 2016, in causa C-379/15, Association France Nature Environnement, punto 51), in ordine all’eventualità che altro giudice nazionale appartenente ad uno Stato membro o la stessa Corte di Giustizia decida la medesima questione pregiudiziale in maniera, anche soltanto in parte, divergente da quanto ritenuto dal giudice nazionale procedente.
16.12. La prova circostanziata di una tale evidenza si tradurrebbe, in particolare, in una probatio diabolica, con la conseguenza che il giudice nazionale di ultima istanza sarebbe costretto al rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, ogniqualvolta la questione interpretativa posta nel giudizio nazionale, rilevante ai fini della soluzione della controversia, non sia materialmente identica ad altra questione, sollevata in relazione ad analoga fattispecie, che sia già stata decisa in via pregiudiziale.
16.13. Pertanto, al fine di evitare il rischio di inadempimento dello Stato membro di appartenenza (foriero, altresì, di responsabilità risarcitoria, come ritenuto da codesta Corte, ex aliis, con sentenza del 30 settembre 2003, in causa C 224/01, Köbler e del 13 giugno 2006, in causa C173/03, Traghetti del Mediterraneo), il giudice nazionale di ultima istanza, riscontrando l’assenza di precedenti afferenti ad identica questione decisa da codesta Corte di giustizia, sarebbe indotto al rinvio pregiudiziale, anche ove non ritenesse dubbia la soluzione da fornire alla questione pregiudiziale unionale, alla luce del tenore letterale delle pertinenti disposizioni europee rilevanti nel caso concreto, del loro contesto e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui fanno parte, come ricostruibili sulla base dei principi generali di diritto espressi dal diritto primario e interpretati da codesta Corte di giustizia.
In ciò si rileva un’altra incongruità del sistema euro nazionale: infatti, pure in presenza di una attività esegetica motivatamente svolta dal giudice nazionale (come nel caso di specie), quest’ultimo può essere attinto dalla minaccia della sanzione risarcitoria e disciplinare per gli esiti (non graditi) della interpretazione, con una evidente lesione del valore della indipendenza della magistratura, elemento costitutivo della declamata rule of law.
16.14. In maniera da assicurare una concreta possibilità di applicazione delle condizioni enunciate da codesta Corte di giustizia come deroga all’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 274 TFUE, nella parte in cui si riferiscono all’evidenza nella corretta applicazione del diritto europeo “tale da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata”, occorre, quindi, un chiarimento da parte di codesta Corte di giustizia, richiesto nell’ambito della stretta cooperazione tra la Corte e i giudici degli Stati membri alla base del procedimento pregiudiziale (cfr. punto 2 raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale - 2018/C 257/01).
16.15. In particolare, per escludere ogni ragionevole dubbio da dare alla questione sollevata e, quindi, per ritenere derogato l’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE gravante sul giudice di ultima istanza, si chiede di chiarire se “il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati membri ed alla Corte di Giustizia”:
a) debba essere accertato in senso soggettivo, motivando in ordine alla possibile interpretazione suscettibile di essere data alla medesima questione dai giudici degli altri Stati membri e dalla Corte di giustizia ove investiti di identica questione; ovvero
b) se - come ritenuto da questo Consiglio, al fine di evitare una probatio diabolica e consentire la concreta attuazione delle circostanze derogatorie all’obbligo di rinvio pregiudiziale indicate da codesta Corte di giustizia - sia sufficiente accertare la manifesta infondatezza della questione pregiudiziale (di interpretazione e corretta applicazione della disposizione europea rilevante nel caso concreto) sollevata nell’ambito del giudizio nazionale, escludendo la sussistenza di ragionevoli dubbi al riguardo, tenuto conto, sul piano meramente oggettivo - senza un’indagine sul concreto atteggiamento interpretativo che potrebbero tenere distinti organi giurisdizionali - della terminologia e del significato propri del diritto unionale attribuibili alle parole componenti la disposizione europea (rilevante nel caso di specie), del contesto normativo europeo in cui la stessa è inserita e degli obiettivi di tutela sottesi alla sua previsione, considerando lo stadio di evoluzione del diritto europeo al momento in cui va data applicazione alla disposizione rilevante nell’ambito del giudizio nazionale; ovvero
c) se – per salvaguardare i valori costituzionali ed europei della indipendenza del giudice e della ragionevole durata dei processi – sia possibile interpretare l’art. 267 TFUE, nel senso di escludere che il giudice supremo nazionale, che abbia preso in esame e ricusato la richiesta di rinvio pregiudiziale di interpretazione del diritto della Unione europea, sia sottoposto automaticamente, ovvero a discrezione della sola parte che propone l’azione, ad un procedimento per responsabilità civile e disciplinare.
17. La soluzione da fornire ai su esposti quesiti interpretativi rileva nell’ambito del giudizio nazionale, tenuto conto che questo Consiglio di Stato, in qualità di giudice di ultima istanza, è chiamato a risolvere una controversia in cui rileva, sia pure in via puramente astratta, una questione pregiudiziale, concernente la corretta interpretazione ed applicazione di disposizioni europee afferenti alla materia dell’assoggettabilità di impianti di trattamento di rifiuti alla c.d. normativa Seveso (in specie il quadro normativo espresso dalla direttiva 2012/18/UE), che non è già stata oggetto di decisione in via pregiudiziale da parte di codesta Corte di giustizia.
17.1. Benché questo Consiglio di Stato escluda la ricorrenza di ragionevoli dubbi interpretativi nella soluzione da fornire alla questione pregiudiziale rilevante nel caso di specie – avuto riguardo al testo, al contesto e agli obiettivi di tutela sottesi alle relative disposizioni europee – non è possibile dimostrare con certezza che l’interpretazione da dare alle pertinenti disposizioni si affermi soggettivamente, con evidenza, anche presso i giudici nazionali degli altri Stati membri e presso la stessa Corte di giustizia.
17.2. In siffatte ipotesi, occorre, dunque, ottenere un chiarimento da codesta Corte, al fine di verificare se operi comunque l’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE.
18. Per l’ipotesi in cui la Corte di giustizia dovesse ritenere cogente l’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, ove non sia possibile dimostrare in maniera circostanziata l’interpretazione suscettibile di essere data alla medesima questione, rilevante nell’ambito della causa principale, dai giudici degli altri Stati membri e dalla Corte di giustizia – prova, riguardante l’atteggiamento soggettivo di altri organi giurisdizionali, che non può essere fornita nella fattispecie esaminata da questo Consiglio di Stato – si solleva il quesito pregiudiziale, riguardante l’interpretazione e la corretta applicazione di principi e disposizioni europei rilevanti nel caso di specie.
FORMULAZIONE DEI QUESITI.
19. Alla luce delle considerazioni svolte, questo Consiglio di Stato solleva questione di pregiudizialità interpretativa invitando la Corte di giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE, a pronunciarsi sui seguenti quesiti, articolati secondo l’ordine logico proprio:
“A) se la corretta interpretazione dell’art. 267 TFUE imponga al giudice nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, di operare il rinvio pregiudiziale su una questione di interpretazione del diritto unionale rilevante nell’ambito della controversia principale, anche qualora possa escludersi un dubbio interpretativo sul significato da attribuire alla pertinente disposizione europea - tenuto conto della terminologia e del significato propri del diritto unionale attribuibili alle parole componenti la relativa disposizione, del contesto normativo europeo in cui la stessa è inserita e degli obiettivi di tutela sottesi alla sua previsione, considerando lo stadio di evoluzione del diritto europeo al momento in cui va data applicazione alla disposizione rilevante nell’ambito del giudizio nazionale – ma non sia possibile provare in maniera circostanziata, sotto un profilo soggettivo, avuto riguardo alla condotta di altri organi giurisdizionali, che l’interpretazione fornita dal giudice procedente sia la stessa di quella suscettibile di essere data dai giudici degli altri Stati membri e dalla Corte di Giustizia ove investiti di identica questione”;
“B) se – per salvaguardare i valori costituzionali ed europei della indipendenza del giudice e della ragionevole durata dei processi – sia possibile interpretare l’art. 267 TFUE, nel senso di escludere che il giudice supremo nazionale, che abbia preso in esame e ricusato la richiesta di rinvio pregiudiziale di interpretazione del diritto della Unione europea, sia sottoposto automaticamente, ovvero a discrezione della sola parte che propone l’azione, ad un procedimento per responsabilità civile e disciplinare.”
Per l’ipotesi in cui codesta Corte di giustizia dovesse risolvere negativamente i precedenti quesiti, si solleva la seguente ulteriore questione pregiudiziale:
“C) se la definizione di “presenza di sostanze pericolose” di cui all’art. 3, n. 12, della Direttiva 2012/18/UE osti ad una prassi secondo la quale la previsione dei quantitativi di sostanze pericolose presenti all’interno di un impianto di trattamento dei rifiuti sia rimessa ad una procedura operativa implementata dal gestore (ed eventualmente recepita dall’autorizzazione di cui all’art. 23 della Direttiva 2008/98/CE o di cui all’art. 4 della Direttiva 2010/75/UE), la quale, qualificando i rifiuti come miscele ai sensi dell’art. 3, n. 11, della Direttiva 2012/18/UE, contempli il costante monitoraggio del quantitativo delle sostanze pericolose presenti all’interno dell’impianto e garantisca il non superamento della soglia inferiore e della soglia superiore rispettivamente previste nella colonna 2 e nella colonna 3 dell’allegato 1 alla Direttiva 2012/18/UE”.
LA DECISIONE NON DEFINITIVA E LA SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO.
20. In conclusione, il Collegio, con sentenza non definitiva, respinge i motivi di ricorso, in attesa della pronuncia della Corte di giustizia, nelle more della quale dispone, ai sensi dell’art. 79, comma 1, c.p.a., la sospensione del presente processo, riservando alla sentenza definitiva ogni pronuncia in merito alle spese ed onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), non definitivamente pronunciando sull’appello r.g. n. 8092/2021, come in epigrafe proposto:
a) rigetta i motivi di appello come precisato in parte motiva sub §§ 10-15;
b) accoglie l’appello incidentale e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza dichiara il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (attualmente Ministero della transizione ecologica);
c) rinvia alla Corte di giustizia dell’Unione europea le questioni pregiudiziali indicate in motivazione;
d) ordina alla Segreteria della Sezione di trasmettere alla medesima Corte copia conforme all’originale della presente decisione, nonché copia integrale del fascicolo di causa;
e) dispone, nelle more della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea, la sospensione del presente giudizio;
f) riserva alla sentenza definitiva ogni pronuncia in ordine alle spese ed onorari del presente giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 21 dicembre 2021, con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente
Alessandro Verrico, Consigliere, Estensore
Silvia Martino, Consigliere
Michele Pizzi, Consigliere
Emanuela Loria, Consigliere