Cass. Sez. III n. 19146 del 4 maggio 2018 (Ud 22 nov 2017)
Presidente: Di Nicola Estensore: Aceto Imputato: Carriere
Beni ambientali.Esclusione dai beni paesaggistici
Non sono ‘beni paesaggistici’ ai sensi dell’art. 134, d.lgs. n. 42 del 2004, gli immobili e le aree sottoposti a tutela dai piani paesaggistici ai sensi della lettera e) dell’art. 143, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004. Gli interventi eseguiti su dette aree ed immobili senza autorizzazione non sono punibili ai sensi dell’art. 181, d.lgs. n. 42 del 2004; restano punibili ai sensi dell’art. 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001
RITENUTO IN FATTO
1. I sigg.ri Carriere Pompeo, Tafuri Cosimo e Taurisano Francesco ricorrono per l’annullamento della sentenza del 03/10/2016 della Corte di appello di Lecce che, rigettando le loro impugnazioni, ha confermato quella pronunciata il 09/10/2015 dal Tribunale di Brindisi che li aveva dichiarati colpevoli dei reati di cui ai capi 4 (artt. 110 cod. pen., 181 d.lgs. n. 42 del 2004), 7 (artt. 110 cod. pen., 44, d.P.R. n. 380 del 2001, ), 8, (artt. 110 cod. pen., 181 d.lgs. n. 42 del 2004), 9 (artt. 110 cod. pen., 44, d.P.R. n. 380 del 2001) e 10 (artt. 110 cod. pen., 181 d.lgs. n. 42 del 2004) della rubrica, tutti accertati in Francavilla Fontana il 19/12/2011.
2. Il Carriere propone tre motivi.
2.1. Con il primo, relativo al reato di cui al capo 4, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale, l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, la violazione dell’art. 649 cod. proc. pen. per intervenuto proscioglimento del (rectius, dal) reato e del divieto di “bis in idem”.
Deduce al riguardo che:
a) il fatto di cui al capo 3 dell’imputazione, identico a quello di cui al capo 4, comprendeva anche la violazione del vincolo paesaggistico in quest’ultimo riportato; ne consegue che la assoluzione irrevocabile per il fatto di cui al capo 3 impediva la condanna per quello di cui al capo 4, pena la violazione del divieto di “bis in idem” di cui all’art. 649 cod. proc. pen.;
b) l’area di intervento non è soggetta a vincolo paesaggistico, come espressamente certificato dal dirigente dell’UTC del Comune di Francavilla Fontana con atto del 08/09/2016, alla luce del PPTR approvato con delibera di Giunta Regionale n. 176 del 16/02/2015 che esclude ora, per allora, l’esistenza di contesti disciplinati dal titolo VI delle relative NTA. La Corte di appello, invece, ha disatteso tale argomento difensivo affermando, in modo laconico, che il dato non può essere desunto da una mera certificazione;
c) l’immobile è stato demolito e ricostruito con medesimo volume e identica sagoma; la sua minima rotazione costituisce una variante tollerabile e non essenziale.
2.2. Con il secondo motivo, relativo al reato di cui al capo 7, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale, l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione.
Deduce che la sua responsabilità è stata ingiustamente affermata sol perché il progetto prevedeva che al vano tecnico si accedesse direttamente dall’interno dell’abitazione e per non aver sorvegliato sulla materiale esecuzione dei lavori. Lamenta che nessuna norma vieta l’accesso ai vani tecnici direttamente dall’interno dell’abitazione, che tali vani erano stati progettati con altezza pari a 2,30 mt. e dunque inabitabili, che non gli si può addebitare di non essersi recato in cantiere ad effettuare controlli perché tale attività non rientra nelle sue attribuzioni, trattandosi, oltretutto, di compito materialmente impossibile da eseguire, visto che il funzionario dell’ufficio tecnico non può ispezionare quotidianamente i cantieri.
2.3. Con il terzo motivo, relativo al reato di cui al capo 8, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale, l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione.
Deduce, in fatto, che il vano tecnico comportava un ampliamento molto inferiore al 20% della volumetria esistente e che l’immobile ricade in zona urbanisticamente qualificata come “rurale”; eccepisce, in diritto, che l’art. 5.02, punto 1.09 delle NTA, esclude la necessità dell’autorizzazione paesaggistica per l’ampliamento delle abitazioni rurali esistenti in misura inferiore al 20% della volumetria.
2.4. Infine eccepisce la estinzione dei reati per sopravvenuta prescrizione.
3. Il Taurisano propone cinque motivi e tre motivi aggiunti.
3.1. Con il primo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza degli artt. 5.01 e 5.02 delle NTA del PUTT in area ATE di tipo C, paesaggisticamente vincolata, caducati dall’art. 106, comma 3, lett. c, delle NTA del PPTR approvato con delibera di Giunta Regionale n. 176 del 16/02/2015 e vizio di motivazione in ordine alla decadenza del vincolo paesaggistico.
Deduce che l’approvazione del nuovo PPTR ha attestato l’inesistenza “ex tunc” di vincoli paesaggistici gravanti sull’area oggetto di intervento, che non era soggetta nemmeno a vincolo di inedificabilità assoluta. Il vincolo vigente all’epoca dei fatti scontava unicamente la presenza di un manufatto (una chiesetta rupestre) di valore storico architettonico posto al di fuori del buffer territoriale di protezione riconosciuto e disciplinato dagli altri organismi competenti e, dunque, del tutto ininfluente ai fini della realizzazione del manufatto incriminato, vincolo peraltro venuto meno con l’adozione del nuovo PPTR citato. Dell’inesistenza del vincolo ha dato atto la stessa commissione paesaggistica comunale che, con nota del 04/09/2012, aveva espresso parere favorevole alla realizzazione di un cordolo realizzato a bordo della veranda a servizio dell’immobile principale. Se vi fosse stato un elemento ostativo all’esistenza dell’immobile, la commissione ne avrebbe dato atto piuttosto che esprimersi favorevolmente alla realizzazione del cordolo. Inoltre, successivamente alla sentenza di condanna di primo grado aveva chiesto l’accertamento di compatibilità paesaggistica dell’immobile; con nota del 13/04/2016, il responsabile del procedimento ed il dirigente dell’Area Tecnica del Comune di Francavilla Fontana hanno certificato la caducazione dei vincoli paesaggistici proprio in conseguenza della approvazione del nuovo PPTR che non individua nell’area di intervento beni paesaggistici, né ulteriori contesti disciplinati dal titolo VI delle relative NTA. La Corte di appello - prosegue - ha erroneamente escluso l’attitudine di tale documento a certificare l’inesistenza del vincolo e, sotto altro profilo, ha altrettanto erroneamente escluso che tale caducazione potesse far venire meno la rilevanza penale delle condotte precedenti.
3.1.1. Gli argomenti oggetto del primo motivo sono stati ripresi e sviluppati con il primo motivo aggiunto di ricorso che propone, quali ulteriori parametri di violazione di legge, l’inosservanza degli artt. 3 Cost. e 7, par. 1, Convenzione E.D.U.. I vincoli paesaggistici - deduce - erano stati provvisoriamente introdotti con il PUTT/P e con norme di salvaguardia; il PUTT/P è stato definitivamente superato dal PPTR approvato il 16/02/2015 che per l’area di intervento in questione non prevede alcun vincolo. Ne consegue che, oggi, la medesima condotta sarebbe irrilevante dal punto di vista paesaggistico con evidente disparità di trattamento a danno degli autori di condotte pregresse il cui accertamento non è ancora divenuto irrevocabile. E’ errata, pertanto, l’affermazione della Corte di appello che esclude l’efficacia retroattiva dell’approvazione del PPTR che, invece, priva il fatto della sua tipicità e della sua penale rilevanza.
3.2. Con il secondo motivo, relativo al fatto di cui al capo 4) della rubrica, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza dell’art. 5.02 delle NTA del PUTT/P e delle norme che disciplinano il concorso di persone nel reato.
Sulla premessa che non risultano acquisiti, nel corso del giudizio, elementi di prova tali da escludere che i germani Tafuri svolgessero attività imprenditoriale agricola o fossero coltivatori diretti o che non lo fossero stati i loro defunti genitori, contesta l’interpretazione data dalla Corte di appello all’art. 5.02 delle citate NTA in conseguenza della quale l’erede del coltivatore diretto o dell’imprenditore agricolo non potrebbe mai abitare o gestire urbanisticamente l’immobile ricevuto in successione se a sua volta egli stesso non prosegua l’attività del “de cuius”. In ogni caso, ed è questo il punto centrale del motivo di doglianza, egli aveva acquistato l’immobile oggetto di intervento in data 16/11/2009, successivamente al rilascio del titolo abilitativo (11/09/2009), sicché egli versava in una condizione di assoluta buona fede derivante dal legittimo affidamento nell’attività del professionista abilitato che aveva redatto i progetti e del competente ufficio comunale preposto al rilascio del titolo, non potendoglisi far carico degli ulteriori obblighi derivanti dalla qualifica da lui rivestita (Comandante della Polizia Municipale). Non è chiaro, in particolare, quali ulteriori accertamenti avrebbe dovuto intraprendere per non essere sospettato di mala fede nell’acquisto e nella conseguente realizzazione dell’opera.
3.2.1. Il tema dell’errore scusabile per buona fede e legittimo affidamento è ripreso e sviluppato nel secondo motivo aggiunto. Argomenta, a tal fine, che egli non poteva essere consapevole della illiceità del fatto perché aveva acquistato l’immobile dopo il rilascio del permesso di costruire dell’11/09/2009, che non aveva alcun titolo per interferire nel relativo procedimento amministrativo e che non sono emersi elementi di prova relativi ad una sua (inesistente) collusione con gli organi dell’amministrazione coinvolti in detto procedimento. Egli, dunque, era a pieno titolo terzo acquirente in buona fede dell’immobile, sicché non si comprende di quali ulteriori oneri informativi avrebbe dovuto farsi carico, se non per il fatto, inaccettabile, che egli rivestisse la qualifica di comandante della polizia municipale.
3.3. Con il terzo motivo, che riguarda i fatti compendiati ai capi 7 e 8 della rubrica, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’erronea applicazione del D.M. Sanità del 05/07/1975, in tema di altezza minima e requisiti igienico-sanitari principali dei locali di abitazione, e della Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 2474 del 31/01/1973.
Lamenta che non esiste alcuna norma tecnica che impedisce l’accesso al vano tecnico dall’interno dell’abitazione. Tale circostanza, l’unica ad essere valorizzata dalla Corte di appello ai fini della condanna (anche) per i fatti di cui ai capi 7 ed 8 della rubrica, è contraddetta dal decreto ministeriale e dalla circolare sopra citati che non la contemplano affatto quale condizione di esclusione della natura tecnica del vano destinato ad ospitare la caldaia e l’autoclave. I volumi tecnici devono rispettare tre parametri (quello funzionale, quello di collegamento, quello di proporzione) tutti presenti nel caso di specie, compreso il rispetto dell’altezza massima (mt. 2,30) che lo rende oggettivamente incompatibile con la destinazione abitativa.
3.4. Con il quarto motivo, che riguarda i fatti compendiati ai capi 9 e 10 della rubrica, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., il malgoverno delle norme che disciplinano le caratteristiche di temporaneità e precarietà delle opere edilizie. Il riferimento è al vano di circa 28 mq., asseritamente realizzato in ampliamento al soggiorno già esistente mediante la chiusura laterale e a mezzo murature di una veranda già assentita. In realtà (ed in estrema sintesi) le opere realizzate erano state richieste (ed assentite) in via del tutto provvisoria al solo fine di proteggere l’immobile da intrusioni indesiderate ed atti vandalici, nell’attesa che, entro 90 giorni, si definisse la pressoché coeva richiesta di ampliamento dell’immobile mediante proprio l’accorpamento della veranda. Tale richiesta, infatti, era stata avanzata il 19/11/2011 ai sensi della legge regionale n. 14 del 2009 (cd. piano casa) ed era in corso di favorevole istruzione. Peraltro la natura precaria dell’opera, puntualmente rimossa alla scadenza del termine, era stata chiaramente riconosciuta dal Tribunale che lo aveva assolto, proprio per questo, dal reato di cui agli artt. 81, cpv., 323 e 328, cod. pen., contestato al capo 11 della rubrica.
La Corte di appello ha inoltre travisato il contenuto della CT del PM circa la presenza di un elemento radiante sistemato su una parete di chiusura del vano, presenza smentita dalla perizia disposta dal giudice in separato ma parallelo procedimento, definito con rito abbreviato, messa a disposizione della Corte di appello che l’ha letteralmente ignorata.
3.5. Con il quinto motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’estinzione dei reati per intervenuta prescrizione.
Deduce che le opere erano state completate e rifinite al più tardi il 31/05/2011, come puntualmente documentato nell’atto di appello (fotografie, trasferimento di residenza, consumo di energia elettrica e conferimento rifiuti, fatture per l’installazione degli infissi e intonacatura esterna). La Corte di appello ha semplicemente ignorato tale produzione rimandando puramente e semplicemente alla motivazione della sentenza di primo grado.
3.5.1. L’argomento è stato ripreso con il terzo motivo aggiunto con il quale il ricorrente ha ulteriormente dedotto che l’immobile era stato accatastato il 08/06/2011 o, al più tardi, il 24/06/2011, con l’approvazione da parte dell’Agenzia del Demanio. L’accatastamento, prosegue, è considerato dalla giurisprudenza salentina elemento idoneo a dimostrare l’ultimazione delle opere.
4. Il Tafuri articola tre motivi ed un motivo aggiunto.
4.1. Con il primo motivo, che riguarda il fatto di cui al capo 4, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 44, d.P.R. n. 380 del 2001, il vizio di motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica e il travisamento del fatto.
Gli argomenti dedotti a sostegno dell’eccezione sono tre:
a) con il primo deduce che l’intervento effettuato sull’immobile, poiché non aveva determinato alcun aumento di cubatura né variazioni sostanziali del corpo di fabbrica, non necessitava di autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 5.02 delle NTA del PUTT, essendone già dotato, e che tale specifica questione, non risolta dal Giudice di primo grado, era stata affrontata dalla Corte di appello con motivazione “per relationem” così violando l’obbligo del giudice dell’impugnazione di motivare sulle questioni non adeguatamente affrontate dal primo giudice e oggetto di specifica devoluzione;
d) con il secondo, premesso che l’immobile era stato comunque realizzato sulla scorta di un’autorizzazione paesaggistica ancora efficace al momento del nuovo intervento e di un permesso di costruire mai contestato nella sua legittimità, deduce che sulla l’area di sedime non gravava più alcun vincolo paesaggistico, come certificato dall’UTC con nota del 08/09/2016;
e) con il terzo eccepisce la prescrizione dei reati, essendosi dimesso dall’incarico di direttore dei lavori il 08/01/2010 e dunque quasi due anni prima dell’accertamento dei fatti, e che su questo argomento la Corte di appello è stata silente.
4.2. Con il secondo motivo, che riguarda il fatto di cui ai capi 7 e 8, contesta la trasformazione del vano tecnico in vano abitativo ed eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 e 181 d.lgs. n. 42 del 2004, il vizio di motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica e il travisamento del fatto.
Sotto un primo profilo deduce, in fatto, che l’accertamento della presunta trasformazione è stato effettuato prima della ultimazione delle opere, sicché, al più, dovrebbe ritenersi il tentativo non punibile nelle contravvenzioni e in ogni caso manca la motivazione sulle censure mosse dal CT della difesa e riprese nell’atto di appello.
Sotto altro profilo deduce che le opere sono state realizzate in costanza di permesso di costruire legittimo.
4.3. Con il terzo motivo, che riguarda i fatti di cui ai capi 9 e 10, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 44, d.P.R. n. 380 del 2001, il vizio di motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica e il travisamento del fatto
Lamenta, in particolare, che non gli si può attribuire alcuna responsabilità per il fatto che il Taurisano non avesse rimosso la chiusura autorizzata come temporanea la cui realizzazione egli aveva solo progettato. Anche su questi argomenti, conclude, la Corte di appello non motiva affatto.
4.4. L’argomento del non consentito ricorso alla motivazione per relationem e della conseguente mancanza di motivazione della sentenza gravata è ripreso nei motivi aggiunti con i quali viene altresì eccepita la prescrizione dei reati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
5. La non manifesta infondatezza (anche se per ragioni parzialmente diverse da quelle prospettate dagli imputati Carriere e Taurisano) dei motivi relativi alla sussistenza del vincolo paesaggistico su beni di cd. terza categoria, come definiti dal PG nella sua odierna requisitoria, non ha impedito la valida instaurazione del rapporto processuale con conseguente maturazione del tempo necessario (e sufficiente) per la prescrizione di tutti i reati.
6. L’art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, punisce, con le pene previste dall’art. 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, chiunque senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa esegue lavori di qualsiasi genere su “beni paesaggistici”.
6.1. I “beni paesaggistici” sono descritti dall’art. 134. Si tratta, in particolare: a) degli immobili e delle aree di notevole interesse pubblico di cui all'articolo 136, individuati ai sensi degli articoli da 138 a 141; b) delle aree tutelate per legge di cui all'articolo 142; c) degli ulteriori immobili ed aree specificamente individuati a termini dell'articolo 136 e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici previsti dagli articoli 143 e 156.
6.2. La questione posta dai ricorrenti è se la zona nella quale insiste l’opera è soggetta a vincolo paesaggistico ai sensi dell’art. 134.
6.3. A tal fine è necessario ripercorrere le vicende normative precedenti l’attuale assetto di tutela del paesaggio.
6.4. L’art. 1, d.l. 27/06/1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, aveva aggiunto all’art. 82, d.P.R. 24/07/1977, n. 616, nove commi. Di questi interessa, oggi, il primo (corrispondente al quinto dell’articolo modificato) per effetto del quale venivano sottoposti “ex lege" a vincolo paesaggistico i seguenti beni immobili: a) i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare; b) i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi; c) i fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna; d) le montagne per la parte eccedente 1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e 1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole; e) i ghiacciai e i circhi glaciali; f) i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi; g) i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento; h) le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici; i) le zone umide incluse nell'elenco di cui al decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448; l) i vulcani; m) le zone di interesse archeologico.
6.5. L’art. 1-bis, d.l. n. 312, cit., stabiliva, con riferimento ai beni e alle aree sopra elencati, che le regioni dovevano sottoporre a specifica normativa d'uso e di valorizzazione ambientale il relativo territorio mediante la redazione di piani paesistici o di piani urbanistico-territoriali, con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali, da approvarsi entro il 31 dicembre 1986.
6.6. Il successivo art. 1-ter, attribuiva alle regioni il potere di individuare con indicazioni planimetriche e catastali, nell'ambito delle zone sopra elencate nonché nelle altre comprese negli elenchi redatti ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, e del regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357, le aree in cui fosse vietata, fino all'adozione da parte delle regioni stesse dei piani di cui al precedente articolo 1-bis, ogni modificazione dell'assetto del territorio nonché qualsiasi opera edilizia, con esclusione degli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici.
1.1. L’art. 1-sexies, infine, puniva la violazione delle disposizioni sopra indicate con le pene previste dall'articolo 20, lett. c) della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (oggi, art. 44, lett. c, d.P.R. n. 380 del 2001).
1.2. Il d.lgs. n. 29 ottobre 1999, n. 490, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, ha disciplinato in modo organico l’intera materia dei beni culturali ed ambientali, abrogando, per quanto di interesse, il d.l. n. 312 del 1985 le cui disposizioni sono in gran parte confluite in esso.
1.3. L’art. 138, in particolare, definiva i “beni ambientali” nei seguenti termini: a) i beni e le aree indicati all'articolo 139 individuati a norma degli articoli da 140 a 145; b) i beni e le aree indicati all'articolo 146.
1.4. I beni e le aree indicati dall’art. 139 erano: a) le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica; b) le ville, i giardini e i parchi, non tutelati a norma delle disposizioni del Titolo I, che si distinguono per la loro non comune bellezza; c) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale; d) le bellezze panoramiche considerate come quadri e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze.
1.5. I beni e le aree indicati dall’art. 146, erano esattamente quelli riportati nell’art. 82, comma 5, d.P.R. n. 616 del 1977. L’art. 149, inoltre, reiterava l’obbligo delle regioni di sottoporre a specifica normativa d'uso e di valorizzazione ambientale il territorio includente i suddetti beni ambientali mediante la redazione di piani territoriali paesistici o di piani urbanistico-territoriali aventi le medesime finalità di salvaguardia dei valori paesistici e ambientali. La pianificazione paesistica era facoltativa per le vaste località indicate alle lettere c) e d) dell'articolo 139 incluse negli elenchi previsti dall'articolo 140 e dall'articolo 144.
1.6. L’art. 163, infine, riproduceva, reiterandolo, il precetto sanzionatorio contenuto nell’art. 1-sexies, d.l. n. 312 del 1985.
1.7. Il d.lgs. n. 42 del 2004, che ha abrogato e sostituto l’intero d.lgs. n. 940 del 1999, ha ampliato la categoria dei “beni paesaggistici” (così diversamente nominati). L’art. 134, nella sua iniziale stesura, definiva tali: a) gli immobili e le aree indicati all'articolo 136, individuati ai sensi degli articoli da 138 a 141 (in buona sostanza si tratta dei beni già indicati dall’art. 139, d.lgs. n. 940, cit.); b) le aree indicate all'articolo 142 (quelle già oggetto di tutela “ope legis" ai sensi dell’art. 82, comma 5, d.P.R. n. 616 del 1977); c) gli immobili e le aree comunque sottoposti a tutela dai piani paesaggistici previsti dagli articoli 143 e 156.
1.8. La lettera c) dell’art. 134, è stata modificata nel tempo.
1.9. Il d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157 (art. 4, comma 1) vi introdusse una prima modifica in virtù della quale erano considerati beni paesaggistici <<gli immobili e le aree tipizzati, individuati e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici previsti dagli articoli 143 e 156>>.
1.10. Successivamente, l’art. 2, comma 1, lett. d), n. 3, d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63, ha modificato la lettera c) dell’art. 134 nella seguente versione definitiva: <<gli ulteriori immobili ed aree specificamente individuati a termini dell'articolo 136 e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici previsti dagli articoli 143 e 156>>
1.11. L’art. 143, d.lgs. n. 42 del 2004, intitolato <<Piano paesaggistico>>, nella sua originaria versione stabiliva, per quanto qui rileva, quanto segue: <<1. In base alle caratteristiche naturali e storiche ed in relazione al livello di rilevanza e integrità dei valori paesaggistici, il piano ripartisce il territorio in ambiti omogenei, da quelli di elevato pregio paesaggistico fino a quelli significativamente compromessi o degradati. 2. In funzione dei diversi livelli di valore paesaggistico riconosciuti, il piano attribuisce a ciascun ambito corrispondenti obiettivi di qualità paesaggistica. Gli obiettivi di qualità paesaggistica prevedono in particolare: a) il mantenimento delle caratteristiche, degli elementi costitutivi e delle morfologie, tenuto conto anche delle tipologie architettoniche, nonché delle tecniche e dei materiali costruttivi; b) la previsione di linee di sviluppo urbanistico ed edilizio compatibili con i diversi livelli di valore riconosciuti e tali da non diminuire il pregio paesaggistico del territorio, con particolare attenzione alla salvaguardia dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell'UNESCO e delle aree agricole; c) il recupero e la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati, al fine di reintegrare i valori preesistenti ovvero di realizzare nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati con quelli. 3. Il piano paesaggistico ha contenuto descrittivo, prescrittivo e propositivo. La sua elaborazione si articola nelle seguenti fasi: a) ricognizione dell'intero territorio, attraverso l'analisi delle caratteristiche storiche, naturali, estetiche e delle loro interrelazioni e la conseguente definizione dei valori paesaggistici da tutelare, recuperare, riqualificare e valorizzare; b) analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio attraverso l'individuazione dei fattori di rischio e degli elementi di vulnerabilità del paesaggio, la comparazione con gli altri atti di programmazione, di pianificazione e di difesa del suolo; c) individuazione degli ambiti paesaggistici e dei relativi obiettivi di qualità paesaggistica; d) definizione di prescrizioni generali ed operative per la tutela e l'uso del territorio compreso negli ambiti individuati; e) determinazione di misure per la conservazione dei caratteri connotativi delle aree tutelate per legge e, ove necessario, dei criteri di gestione e degli interventi di valorizzazione paesaggistica degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse pubblico; f) individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate; g) individuazione delle misure necessarie al corretto inserimento degli interventi di trasformazione del territorio nel contesto paesaggistico, alle quali debbono riferirsi le azioni e gli investimenti finalizzati allo sviluppo sostenibile delle aree interessate; h) individuazione, ai sensi dell'articolo 134, lettera c), di eventuali categorie di immobili o di aree, diverse da quelle indicate agli articoli 136 e 142, da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione. 4. Il piano paesaggistico, anche in relazione alle diverse tipologie di opere ed interventi di trasformazione del territorio, individua distintamente le aree nelle quali la loro realizzazione è consentita sulla base della verifica del rispetto delle prescrizioni, delle misure e dei criteri di gestione stabiliti nel piano paesaggistico ai sensi del comma 3, lettere d), e), f) e g), e quelle per le quali il piano paesaggistico definisce anche parametri vincolanti per le specifiche previsioni da introdurre negli strumenti urbanistici in sede di conformazione e di adeguamento ai sensi dell'articolo 145. 5. Il piano può altresì individuare: a) le aree, tutelate ai sensi dell'articolo 142, nelle quali la realizzazione delle opere e degli interventi consentiti, in considerazione del livello di eccellenza dei valori paesaggistici o della opportunità di valutare gli impatti su scala progettuale, richiede comunque il previo rilascio dell'autorizzazione di cui agli articoli 146, 147 e 159; b) le aree, non oggetto di atti e provvedimenti emanati ai sensi degli articoli 138, 140, 141 e 157, nelle quali, invece, la realizzazione di opere ed interventi può avvenire sulla base della verifica della conformità alle previsioni del piano paesaggistico e dello strumento urbanistico, effettuata nell'ambito del procedimento inerente al titolo edilizio e con le modalità previste dalla relativa disciplina, e non richiede il rilascio dell'autorizzazione di cui agli articoli 146, 147 e 159; c) le aree significativamente compromesse o degradate nelle quali la realizzazione degli interventi di recupero e riqualificazione non richiede il rilascio dell'autorizzazione di cui agli articoli 146, 147 e 159>>.
1.12. Il coevo art. 146, intitolato <<Autorizzazione>>, prevedeva: <<1. I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili e aree oggetto degli atti e dei provvedimenti elencati all'articolo 157, oggetto di proposta formulata ai sensi degli articoli 138 e 141, tutelati ai sensi dell'articolo 142, ovvero sottoposti a tutela dalle disposizioni del piano paesaggistico, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione. 2. I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo dei beni indicati al comma 1, hanno l'obbligo di sottoporre alla regione o all'ente locale al quale la regione ha affidato la relativa competenza i progetti delle opere che intendano eseguire, corredati della documentazione prevista, al fine di ottenere la preventiva autorizzazione>>.
1.13. L’art. 143, è stato modificato dall’art. 13, comma 1, d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157, nel senso che segue: <<1. L'elaborazione del piano paesaggistico si articola nelle seguenti fasi: a) ricognizione dell'intero territorio, considerato mediante l'analisi delle caratteristiche storiche, naturali, estetiche e delle loro interrelazioni e la conseguente definizione dei valori paesaggistici da tutelare, recuperare, riqualificare e valorizzare; b) puntuale individuazione, nell'ambito del territorio regionale, delle aree di cui al comma 1, dell'articolo 142 e determinazione della specifica disciplina ordinata alla loro tutela e valorizzazione; c) analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio attraverso l'individuazione dei fattori di rischio e degli elementi di vulnerabilità del paesaggio, nonché la comparazione con gli altri atti di programmazione, di pianificazione e di difesa del suolo; d) individuazione degli ambiti paesaggistici di cui all'articolo 135; e) definizione di prescrizioni generali ed operative per la tutela e l'uso del territorio compreso negli ambiti individuati; f) determinazione di misure per la conservazione dei caratteri connotativi delle aree tutelate per legge e, ove necessario, dei criteri di gestione e degli interventi di valorizzazione paesaggistica degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse pubblico; g) individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione; h) individuazione delle misure necessarie al corretto inserimento degli interventi di trasformazione del territorio nel contesto paesaggistico, alle quali debbono riferirsi le azioni e gli investimenti finalizzati allo sviluppo sostenibile delle aree interessate; i) tipizzazione ed individuazione, ai sensi dell'articolo 134, comma 1, lettera c), di immobili o di aree, diversi da quelli indicati agli articoli 136 e 142, da sottoporre a specifica disciplina di salvaguardia e di utilizzazione. 2. Il piano paesaggistico, anche in relazione alle diverse tipologie di opere ed interventi di trasformazione del territorio, individua le aree nelle quali la loro realizzazione è consentita sulla base della verifica del rispetto delle prescrizioni, delle misure e dei criteri di gestione stabiliti nel piano paesaggistico ai sensi del comma 1, lettere e), f), g) ed h), e quelle per le quali il piano paesaggistico definisce anche specifiche previsioni vincolanti da introdurre negli strumenti urbanistici in sede di conformazione e di adeguamento ai sensi dell'articolo 145>>.
1.14. Il d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63 ha modificato, tra gli altri, oltre l’art. 134, lett. c), sia l’art. 143 che l’art. 146.
1.15. In particolare, l’art. 143 è stato così modificato dall’art. 2, comma 1, lett. p): <<1. L'elaborazione del piano paesaggistico comprende almeno: a) ricognizione del territorio oggetto di pianificazione, mediante l'analisi delle sue caratteristiche paesaggistiche, impresse dalla natura, dalla storia e dalle loro interrelazioni, ai sensi degli articoli 131 e 135; b) ricognizione degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi dell'articolo 136, loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché determinazione delle specifiche prescrizioni d'uso, a termini dell'articolo 138, comma 1, fatto salvo il disposto di cui agli articoli 140, comma 2, e 141-bis; c) ricognizione delle aree di cui al comma 1 dell'articolo 142, loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché determinazione di prescrizioni d'uso intese ad assicurare la conservazione dei caratteri distintivi di dette aree e, compatibilmente con essi, la valorizzazione; d) eventuale individuazione di ulteriori immobili od aree, di notevole interesse pubblico a termini dell'articolo 134, comma 1, lettera c), loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché determinazione delle specifiche prescrizioni d'uso, a termini dell'articolo 138, comma 1; e) individuazione di eventuali, ulteriori contesti, diversi da quelli indicati all'articolo 134, da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione; f) analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio ai fini dell'individuazione dei fattori di rischio e degli elementi di vulnerabilità del paesaggio, nonché comparazione con gli altri atti di programmazione, di pianificazione e di difesa del suolo; g) individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione compatibili con le esigenze della tutela; h) individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio, al fine di realizzare uno sviluppo sostenibile delle aree interessate; i) individuazione dei diversi ambiti e dei relativi obiettivi di qualità, a termini dell'articolo 135, comma 3. 2. Le regioni, il Ministero ed il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare possono stipulare intese per la definizione delle modalità di elaborazione congiunta dei piani paesaggistici, salvo quanto previsto dall'articolo 135, comma 1, terzo periodo. Nell'intesa è stabilito il termine entro il quale deve essere completata l'elaborazione del piano. Il piano è oggetto di apposito accordo fra pubbliche amministrazioni, ai sensi dell'articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241. L'accordo stabilisce altresì i presupposti, le modalità ed i tempi per la revisione del piano, con particolare riferimento all'eventuale sopravvenienza di dichiarazioni emanate ai sensi degli articoli 140 e 141 o di integrazioni disposte ai sensi dell'articolo 141-bis. Il piano è approvato con provvedimento regionale entro il termine fissato nell'accordo. Decorso inutilmente tale termine, il piano, limitatamente ai beni paesaggistici di cui alle lettere b), c) e d) del comma 1, è approvato in via sostitutiva con decreto del Ministro, sentito il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare>>.
1.16. L’art. 146 è stato così modificato dall’art. 2, comma 1, lett. s): <<I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell'articolo 142, o in base alla legge, a termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione. 2. I soggetti di cui al comma 1 hanno l'obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta documentazione, ed astenersi dall'avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l'autorizzazione>>.
1.17. Il P.U.T.T. - Piano Urbanistico Territoriale della Regione Puglia - è stato approvato il 15 dicembre 2000 con delibera di Giunta regionale n. 1748, pubblicata sul B.U. della Regione Puglia n. 6 dell’11/01/2001. La sua approvazione è avvenuta vigente il d.lgs. n. 490 del 1999 ed in espressa attuazione anche dell’art. 1-bis, d.l. n. 312, cit. (in costanza del quale era stato avviato l’iter della sua formazione). Il d.lgs. n. 490 del 1999, come visto, reiterava alla lettera il contenuto degli artt. 1, 1-bis e 1-ter del d.l. 27/06/1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431.
1.18. Orbene, sulla possibilità che il piano paesistico possa comprendere zone e/o territori ulteriori rispetto a quelli elencati dall’art. 82, comma 5, d.P.R. n. 616 del 1977 (modificato dall’art. 1, d.l. n. 312, cit.), la Corte costituzionale non ha mai avuto dubbi.
1.19. Già all’indomani della modifica dell’art. 82, cit., la Corte affermò con chiarezza che <<la protezione fornita o preordinata con la normativa in argomento è pur sempre minimale, e non esclude né preclude normative regionali di maggiore o di pari efficienza (salva, come è ovvio, la verifica in concreto della effettiva compatibilità di esse con gli scopi e con le caratteristiche di fondo della riforma)>> (sentenza n. 151 del 1896) e ribadì l’argomento con la successiva sentenza n. 327 dl 1990 allorquando affermò che <<se è vero, pertanto, che l'art. 1- bis della legge n. 431 riferisce il piano urbanistico territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali - al pari del piano paesistico - "ai beni ed alle aree elencati nel quinto comma dell'art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616", è anche vero che tale riferimento non può essere correttamente inteso come limitativo delle ordinarie competenze regionali in materia urbanistica o modificativo della naturale forza espansiva degli strumenti di pianificazione urbanistica affidati alla Regione ai sensi della legislazione statale e regionale. In realtà, la norma in esame si limita soltanto a porre a carico della Regione l'obbligo di procedere, entro il 31 dicembre 1986, alla redazione di uno strumento programmatico (piano paesistico o piano urbanistico territoriale), in grado di tutelare, attraverso una normativa d'uso e di valorizzazione ambientale, determinate aree specificamente elencate: ma questo non esclude che la stessa Regione, nell'esercizio delle sue competenze urbanistiche, possa estendere l'efficacia dello strumento anche al di là della sua sfera "necessaria", fino ad investire aree territoriali non comprese nella disciplina della legge n. 431, una volta che risultino rispettati i caratteri propri e naturali del tipo di atto in concreto impiegato. E in proposito va ricordato che questa Corte ha già avuto modo di sottolineare come la protezione preordinata dalla legge n. 431 del 1985 sia pur sempre "minimale" e non escluda né precluda "normative regionali di maggiore o pari efficienza" (cfr. sent. n. 151 del 1985, par. 8). L'estensione dell'efficacia del piano può, infatti, trovare adeguata giustificazione nell'esigenza di far salva una visione organica dell'intero territorio regionale e di provvedere alla tutela dei valori paesistici nel quadro di una valutazione complessiva dei valori sottesi alla disciplina dell'assetto urbanistico>>.
1.20. Le successive modifiche introdotte con il d.lgs. n. 42 del 2004 e, soprattutto, con il d.lgs. n. 63 del 2008, non hanno eliminato la possibilità per le Regioni di sottoporre a tutela ambientale beni ed aree diversi da quelli previsti dall’art. 134, poiché, come visto, l’attuale art. 143, lett. e), attribuisce loro pur sempre la possibilità di individuare eventuali, ulteriori contesti, diversi da quelli indicati all'articolo 134, da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione; ciò in coerenza con quanto prevede l’art. 135, comma 3, d.lgs. n. 42 del 2004 (come sostituito dal l’art. 2, comma 1, lett. e, d.lgs. n. 63 del 2008), che attribuisce ai piani paesaggistici la funzione di predisporre specifiche normative d’uso per la tutela del paesaggio, inteso, ai sensi dell’art. 131, come <<territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni>>, espressione di <<quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali>>, la cui tutela è volta <<a riconoscere, salvaguardare e, ove necessario, a recuperare i valori culturali che esso esprime>> e a <<promuovere lo sviluppo della cultura>>.
1.21. E’ però necessario soffermarsi brevemente sulle ragioni delle modifiche introdotte con il d.lgs. n. 63 del 2008 che possono sin d’ora sintetizzarsi: a) nel primato dello Stato sulle Regioni a statuto ordinario in materia di tutela del paesaggio (attribuita alla competenza legislativa esclusiva del primo dall’art. 117, comma 1, lett. s, Cost.); b) nella concorrente necessità di adeguare la definizione di “paesaggio” a quella della Convenzione europea del paesaggio fatta a Firenze il 20 ottobre 2000 e ratificata con legge 09/01/2006, n. 14.
1.22. La Corte costituzionale, con sentenza n. 367 del 2007, vigenti le modifiche introdotte con il d.lgs. n. 157 del 2006, aveva espressamente affermato che: a) <<Come si è venuto progressivamente chiarendo già prima della riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, il concetto di paesaggio indica, innanzitutto, la morfologia del territorio, riguarda cioè l'ambiente nel suo aspetto visivo. Ed è per questo che l'art. 9 della Costituzione ha sancito il principio fondamentale della “tutela del paesaggio” senza alcun'altra specificazione. In sostanza, è lo stesso aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che è di per sé un valore costituzionale. Si tratta peraltro di un valore “primario”, come ha già da tempo precisato questa Corte (sentenza n. 151 del 1986; ma vedi anche sentenze n. 182 e n. 183 del 2006), ed anche “assoluto”, se si tiene presente che il paesaggio indica essenzialmente l'ambiente (sentenza n. 641 del 1987). L’oggetto tutelato non è il concetto astratto delle “bellezze naturali”, ma l'insieme delle cose, beni materiali, o le loro composizioni, che presentano valore paesaggistico>>; b) <<Sul territorio gravano più interessi pubblici: quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, e quelli concernenti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni>>; c) <<La tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario ed assoluto, e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali. In sostanza, vengono a trovarsi di fronte due tipi di interessi pubblici diversi: quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo Stato, e quello alla fruizione del territorio, affidato anche alle Regioni>>; d) <<Si tratta di due tipi di tutela, che ben possono essere coordinati fra loro, ma che debbono necessariamente restare distinti. E in proposito la legislazione statale ha fatto ricorso, ai sensi dell'art. 118 della Costituzione, proprio a forme di coordinamento e di intesa in questa materia, ed ha affidato alle Regioni il compito di redigere i piani paesaggistici, ovvero i piani territoriali aventi valenza di tutela ambientale, con l'osservanza delle norme di tutela paesaggistica poste dallo Stato>>; e) <<In particolare, l'art. 143 del d.lgs. n. 42 del 2004, novellato dall'art. 13 del d.lgs. n. 157 del 2006, ha previsto la possibilità, per le Regioni, di stipulare intese con il Ministero per i beni culturali ed ambientali e con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio per «l'elaborazione congiunta dei piani paesaggistici», precisando che il contenuto del piano elaborato congiuntamente forma oggetto di apposito accordo preliminare e che lo stesso è poi «approvato con provvedimento regionale»>>; f) <<In buona sostanza, la tutela del paesaggio, che è dettata dalle leggi dello Stato, trova poi la sua espressione nei piani territoriali, a valenza ambientale, o nei piani paesaggistici, redatti dalle Regioni>>.
1.23. Il legislatore del 2008 ha inteso ribadire la potestà esclusiva dello Stato nella tutela del paesaggio, <<quale limite all’esercizio delle attribuzioni delle regioni>> ordinarie (così l’art. 131, comma 3), incidendo, per quanto qui riguarda, da un lato sulla individuazione dei “beni paesaggistici” di cui all’art. 134 (mediante l’eliminazione dell’avverbio “comunque” dalla lettera c), dall’altro sulle modalità di formazione dei “piani paesaggistici” di cui all’art. 135 (dovendosi intendere per tali anche i “piani urbanistico territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici”), la cui elaborazione deve avvenire congiuntamente tra Ministero e regioni quando riguarda i beni paesaggistici di cui all’art. 143, comma 1, lett. b), c) e d) (art. 135, comma 1; con esclusione, dunque, di quelli di cui alla lettera e dell’art. 143 stesso) con la possibilità, per il Ministero, di approvare il piano in via sostitutiva limitatamente a detti beni (art. 143, comma 2).
1.24. La eliminazione dell’avverbio “comunque” dalla lettera c) dell’art. 134, deve essere interpretata tenendo conto delle modifiche introdotte agli artt. 143 e 146 del d.lgs. n. 42 del 2004. L’art. 143, come visto, ha graficamente collocato nella lettera e) del primo comma i contesti, eventuali e diversi da quelli indicati dall’art. 134, da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione. La Relazione di accompagnamento allo schema di decreto definisce i beni paesaggistici di cui alle lettere b), c) e d), come <<beni paesaggistici in senso proprio>>, per i quali il parere del soprintendente nel procedimento autorizzatorio è obbligatorio e vincolante (artt. 143, comma 3, e 146, comma 5). L’art. 146, dal canto suo, innovando, come visto, rispetto alla precedente versione, impone l’autorizzazione solo per gli interventi da eseguire su immobili o aree di cui all’art. 142, 136 (immobili ed aree di notevole interesse pubblico), 143, comma 1, lett. d) (ulteriori immobili od aree di notevole interesse pubblico individuati in sede di pianificazione paesaggistica).
1.25. Tale conclusione non solo non è smentita, ma è implicitamente avallata dalla sentenza di questa Corte, Sez. 3, n. 41078 del 20/09/2007, Simone, Rv. 238098, che ha affermato il seguente principio di diritto: <<In tema di tutela del paesaggio, anche a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) l'individuazione dei beni paesaggistici spetta sia al Ministero dei beni culturali ed ambientali mediante appositi decreti ministeriali, sia alle Regioni mediante appositi atti amministrativi, leggi regionali ovvero mediante la compilazione dei piani urbanistici territoriali. Il Piano Urbanistico Territoriale Tematico della Regione Puglia, riconducibile alla categoria dei piani urbanistico territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali, costituisce un intervento di pianificazione a carattere generale efficace su tutto il territorio regionale, non limitato alle aree ed ai beni elencati dall'art. 82, quinto comma, d.P.R. n. 616 del 1977 ovvero alle aree già sottoposte ad uno specifico vincolo paesistico>>. La sentenza è antecedente alle modifiche introdotte con il d.lgs. n. 63 del 2008 e proprio per questo è significativa perché, prendendo in esame l’art. 134, lett. c), d.lgs. n. 42 del 2004 ed, in particolare, la presenza dell’avverbio “comunque”, ne aveva tratto argomento che erano “beni paesaggistici” tutti quelli <<comunque sottoposti a tutela dai piani paesaggistici>>. Si legge, infatti, in motivazione: <<il D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 134 indica fra i "beni paesaggistici gli immobili e le aree di notevole interesse pubblico, quelli tutelati per legge e quelli comunque sottoposti a tutela dai piani paesaggistici. L'uso dell'avverbio "comunque" è emblematico dell'intento del legislatore di volere includere nel novero dei beni paesaggistici gli immobili e le aree per il solo fatto che lo strumento pianificatorio regionale abbia per essi previsto un qualche regime di tutela. La pianificazione, dunque, funge da meccanismo di individuazione di eventuali categorie di immobili e di aree, diversi da quelli indicati agli artt. 136 e 142, "da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione”>>. Vero è che nel caso scrutinato dalla sentenza gli immobili oggetto di intervento abusivo erano comunque vincolati ai sensi dell’art. 142, d.lgs. n. 42 del 2004; altrettanto vero, però, è che in quel caso, come in questo, gli immobili erano situati in zone “C”, definite dal piano: “ambiti territoriali estesi”. Ma quel che conta rilevare è che proprio dall’utilizzo dell’avverbio “comunque” la sentenza in questione ha tratto argomento per sostenere quel che la sua eliminazione oggi non consente più.
1.26. Altre sentenze di questa Corte hanno esaminato l’attitudine del Piano Urbanistico Territoriale della Regione Puglia ad imporre vincoli paesaggistici, ma nessuna di esse ha affrontato ‘ex professo’ il problema oggetto dell’odierna regiudicanda; tra quelle, in particolare, che richiamano i principi affermati dalla sentenza Sez. 3, n. 41078 del 20/09/2007, Simone: a) Sez. 3, n. 5435 del 25/10/2016, n.m. (dep. 2017) ha solo condivisibilmente sostenuto la qualifica di piano paesaggistico del PUTT; b) Sez. 3, n. 26960 del 15/05/2013, n.m., ha tralaticiamente richiamato il principio di diritto affermato dalla citata sentenza Simone per utilizzarlo in un contesto cautelare reale nel quale assorbente e prevalente era la natura abusiva, ai sensi del d.P.R. n. 380 del 2001, dell’insediamento realizzato; c) Sez. 3, n. 42916 del 30/09/2009, n.m., nel ribadire l’attitudine del PUTT a imporre vincoli paesaggistici ha comunque dato atto, nell’economia della motivazione, che sulla zona oggetto di intervento (la cd. “Murgia Alta”) gravavano vincoli paesaggistici di fonte statale.
1.27. Ne consegue che: a) ai sensi dell’art. 134, d.lgs. n. 42 del 2004, non sono “beni paesaggistici” gli immobili e le aree individuati ai sensi della lettera e dell’art. 143, d.lgs. n. 42 del 2004; b) per gli interventi che devono essere eseguiti in dette aree o su detti immobili, l’art. 146, comma 1, d.lgs. n. 42, cit. non richiede l’autorizzazione; c) se il piano imponesse l’autorizzazione anche per gli interventi relativi a immobili o aree individuati ai sensi della lettera e dell’art. 143, la loro esecuzione in mancanza del titolo non integrerebbe il reato di cui all’art. 181, d.lgs. n. 42 del 2004 per mancanza dell’oggetto materiale della condotta (il bene paesaggistico) che renderebbe l’azione atipica rispetto a quella tipizzata dalla fattispecie penale.
1.28. Occorre tuttavia essere avvertiti del fatto che il vincolo imposto ai sensi dell’art. 143, lett. e), d.lgs. n. 42 del 2004, non resta comunque privo di conseguenze. Sul piano amministrativo, la presenza del vincolo paesaggistico incide sul procedimento per la formazione del titolo edilizio necessario per la legittimità degli interventi edilizi disciplinati dal d.PR. n. 380 del 2001 (artt. 6, comma 1, 20, comma 9, 22, comma 6) e sulla qualificazione delle variazioni al progetto approvato (ritenuti sempre essenziali, quando non in totale difformità, dall’art. 32, comma 3, d.P.R. n. 380, cit.); sul piano penale, la presenza del vincolo qualifica le condotte di cui all’art. 44, d.P.R. n. 380 del 2001, ai sensi della lettera c) del medesimo articolo.
1.29. Si può dunque affermare il seguente principio di diritto: <<Non sono ‘beni paesaggistici’ ai sensi dell’art. 134, d.lgs. n. 42 del 2004, gli immobili e le aree sottoposti a tutela dai piani paesaggistici ai sensi della lettera e) dell’art. 143, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004. Gli interventi eseguiti su dette aree ed immobili senza autorizzazione non sono punibili ai sensi dell’art. 181, d.lgs. n. 42 del 2004; restano punibili ai sensi dell’art. 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001>>.
1.30. Nel caso di specie, è vero che il P.U.T.T., come detto, è stato approvato prima delle modifiche introdotte al d.lgs. n. 42 del 2004 dal d.lgs. n. 63 del 2008, tuttavia, la condotta sanzionata (anche) ai sensi dell’art. 181, d.lgs. n. 42 del 2004, è stata consumata nel 2011, successivamente, dunque, alle rilevanti modifiche già illustrate. Il che comportava la necessità di accertare se, alla data del fatto, il bene oggetto di intervento potesse essere qualificato come “bene paesaggistico” ai sensi dell’art. 131, d.lgs. n. 42 del 2004.
1.31. I Giudici Distrettuali avrebbero dovuto approfondire il tema proposto dai ricorrenti in ordine alla inesistenza del vincolo paesaggistico, accertando se le aree oggetto di intervento fossero qualificabili come “beni paesaggistici” ai sensi dell’art. 134, d.lgs. n. 42 del 2004, secondo l’interpretazione letterale e sistematica che ne ha data questa Corte.
1.32. La fondatezza (e certamente la non manifesta infondatezza) dei ricorsi degli imputati Carriere e Taurisano sul punto relativo alla sussistenza del vincolo paesaggistico (argomento di cui si giova, per la sua natura oggettiva, anche il Tafuri) ha comportato la rituale formazione del rapporto processuale di impugnazione con conseguente decorso del termine di prescrizione maturato al più tardi il 14/07/2017.
1.33. Ne consegue che, non essendo evidente l’innocenza degli imputati, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché i reati sono estinti per prescrizione, con conseguente revoca dell’ordine di demolizione.
1.34. Restano naturalmente assorbiti tutti gli altri motivi.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i residui reati di cui ai capi n. 4, 7, 8, 9 e 10 estinti per prescrizione.
Revoca l’ordine di riduzione in pristino.
Così deciso in Roma, il 29/11/2017.