TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, n. 135, del 3 aprile 2014
Rifiuti.Illegittimità provvedimento che non consente operazioni di recupero rifiuti R10 e R5 in procedura semplificata, senza diffida preventiva

Ai sensi dell’art. 216, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, la sospensione dell’attività deve essere sempre preceduta da una diffida con la finalità di mettere l’interessato nella condizione di eliminare le violazioni riscontrate e consentirgli, così, di evitare eventuali misure interdittive dell’attività. Secondo il condivisibile orientamento ermeneutico del Consiglio di Stato, formatosi già durante la vigenza della disciplina dettata dal d.lg. 22 del 1997, la diffida assolve, infatti, alla funzione di mezzo di comunicazione dell’avvio del procedimento destinato a culminare nella statuizione sanzionatoria in modo da soddisfare le esigenze del giusto procedimento di cui all’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Nel caso di specie, consta, tuttavia, che l’amministrazione provinciale, difformemente dal paradigma normativo, abbia adottato il provvedimento interdittivo all’esercizio delle operazioni di recupero R10 e R5 in procedura semplificata, senza aver fatto alcun riferimento a tali operazioni nella diffida previamente inviata alla società. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00135/2014 REG.PROV.COLL.

N. 00029/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 29 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
Calcestruzzi Trieste s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Giovanni Borgna e Guido Barzazi, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Trieste, via S.Nicolò 21;

contro

Provincia di Trieste, in persona del Presidente p.t., non costituita in giudizio;

nei confronti di

Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del Ministro p.t., non costituito in giudizio; 
Autorità Portuale di Trieste, in persona del Presidente p.t., non costituita in giudizio;

per l'annullamento

Quanto al ricorso introduttivo:

- della determinazione della Provincia di Trieste dd. 27.10.2008, nella parte in cui questa non consente l'esercizio delle operazioni di recupero R10 in procedura semplificata per le tipologie comunicate, in quanto" il recupero ambientale di rifiuti per la restituzione di aree degradate ad usi produttivi o sociali attraverso modellamenti morfologici secondo un progetto approvato da parte dell'autorità competente, non viene svolto all'interno dell'impianto della Calcestruzzi Trieste srl" e nella parte in cui non consente alcune attività di recupero R5"indicate a pg. 5 e 6 della relazione trasmessa in data 15.10.2008, in quanto la realizzazione di rilevati sottofondi stradali e ferroviari, etc.. non possono venire esercitati dentro l'impianto dela Calcestruzzi di Trieste srl, in base alla descrizione dell'attività ivi svolta.

Quanto ai motivi aggiunti depositati in data 23.3.2009 con i quali si impugnano:

- la nota della Provincia di Trieste prot. n. 0044833-090704, mediante la quale l'Amministrazione Provinciale fornisce un'interpretazione vincolante della normativa statale vigente in materia di recupero rifiuti, invitando le imprese esercitanti tale attività in regime di procedura semplificata ad effettuare verifiche del sito e dell'attività alle prescrizioni normative;

Quanto ai motivi aggiunti depositati in data 8.5.2009:

- della nota della Provincia di Trieste, dd. 20 febbraio 2009, prot. 0006783-09.07.04, recante "Precisazione in merito alle attività di recupero rifiuti. Terre e rocce da scavo", nonché dell'allegata Deliberazione della Giunta della Provincia di Trieste dd. 2 febbraio 2009, di adozione del programma provinciale di Gestione dei rifiuti speciali



Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2014 la dott.ssa Manuela Sinigoi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

Con ricorso notificato il 2 gennaio 2009 e depositato il successivo 21 gennaio, la Calcestruzzi Trieste s.r.l., società che dal 22 maggio 2003 esercita attività di recupero di rifiuti non pericolosi presso un impianto situato nella zona industriale di Trieste in via Errera n. 3 in forza di autorizzazione in regime semplificato, insorgeva avverso il provvedimento in epigrafe indicato, invocandone l’annullamento, previa sospensione cautelare, nella parte in cui non consente l’esercizio delle operazioni di recupero R10 in procedura semplificata per le tipologie comunicate, in quanto “il recupero ambientale di rifiuti per la restituzione di aree degradate ad usi produttivi o sociali attraverso rimodellamenti morfologici secondo un progetto approvato da parte dell’autorità competente non viene svolto all’interno dell’impianto della Calcestruzzi”, e nella parte in cui non consente alcune attività di recupero R5 indicate nella relazione trasmessa dalla società in data 15/10/2008, in quanto “la realizzazione di rilevati e sottofondi stradali e ferroviari, recupero in cementifici, impermeabilizzazioni, industria ceramica e dei laterizi, conglomerato bituminoso, siderurgia, laterizi (…) non possono venire esercitati dentro l’impianto della Calcestruzzi (…) in base alla descrizione dell’attività ivi svolta”.



A sostegno del gravame deduceva i seguenti articolati motivi di diritto:

1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 216 del d.lgs. n. 152 del 2006, dell’art. 23 della l.r. F.V.G. n. 30 del 7/9/1987, del d.m. 5/2/1998 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 181, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006 – Eccesso di potere per illogicità – Erroneità dei presupposti – Contraddittorietà fra atti – Difetto di istruttoria – Difetto di motivazione

2. Violazione e falsa applicazione degli artt. 181 e 181-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006.

3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 216, comma 4, del decreto legislativo 152 del 2006 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 10-bis, 3 e 19 della legge n. 241 del 1990 – Eccesso di potere per contraddittorietà e difetto di motivazione

4. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 241 del 1990 (principio di proporzionalità, economicità, buon andamento, tutela dell’affidamento)

Lamentava, in particolare, l’illegittimità del provvedimento opposto a causa:

- dell’interpretazione data dalla Provincia di Trieste alla disciplina statale e regionale in materia di autorizzazioni semplificate, nel senso di ritenere che le operazioni R10 e R5 possono ritenersi effettivamente completate solo nel momento in cui il materiale oggetto di recupero raggiunge la sua destinazione finale, con la conseguenza che il materiale recuperato dovrebbe essere considerato come “rifiuto” fino al momento della sua collocazione in opera per realizzare il sottofondo, il rilevato o il rimodellamento morfologico. Ad avviso della ricorrente, tale interpretazione (ovvero l’individuazione da parte della Provincia del momento nel quale il materiale recuperato perde la sua qualificazione giuridica di “rifiuto” ed assume quella di “materia prima secondaria”) , oltre a confliggere con il chiaro disposto delle norme di riferimento (in particolare quelle indicate nella rubrica del I motivo di gravame) e dell’art. 183, lett. h, del d.lgs. n. 152 del 2006, disattende anche la loro stessa ratio, che è quella di semplificare l’esercizio dell’attività di recupero e non di aggravarlo, nonché il principio di economicità dell’attività amministrativa. E’, inoltre, privo di intellegibile giustificazione il radicale mutamento dell’interpretazione della disciplina in questione data dalla Provincia rispetto a quella consolidatasi nel tempo, per di più senza che siano intervenute, nel frattempo, rilevanti innovazioni normative;

- dell’omesso invio da parte della Provincia di una previa diffida con riferimento alle operazioni R5 e R10.

Con due successivi ricorsi per motivi aggiunti, l’uno notificato il 21 febbraio 2009 e depositato il 23 marzo 2009 e l’altro notificato il 21 aprile 2009 e depositato l’8 maggio 2009, la ricorrente chiedeva, inoltre, l’annullamento anche delle note interpretative in materia di recupero rifiuti in data 23 dicembre 2008 e in data 20 febbraio 2009, nel frattempo emesse dalla Provincia di Trieste, denunciandone l’illegittimità per violazione e falsa applicazione di diverse disposizioni di legge ed eccesso di potere sotto plurimi profili.

La Provincia di Trieste, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e l’Autorità Portuale di Trieste, seppur ritualmente evocati in giudizio, non si costituivano.

Dopo la rinuncia di parte ricorrente all’istanza cautelare e vari rinvii - disposti a seguito di istanza della parte medesima - delle udienze di volta in volta fissate per la trattazione del merito, la causa veniva, infine, chiamata all’udienza pubblica del 26 marzo 2014, in vista della quale la società Calcestruzzi Trieste ribadiva, con memoria, le argomentazioni difensive svolte nei gravami proposti, non senza tralasciare, tuttavia, di evidenziare che la normativa in materia era stata, nel frattempo, modificata nel senso che essa aveva sempre sostenuto essere conforme ad una sua corretta interpretazione.

Celebrata l’udienza, la causa veniva trattenuta in decisione.

Il ricorso principale merita accoglimento.

E’, invero, fondata e riveste carattere assorbente rispetto alle ulteriori censure dedotte, quella contenuta nel terzo motivo di gravame, con cui parte ricorrente si duole dell’omesso invio da parte della Provincia di una previa diffida con riferimento alle operazioni R5 e R10.

Ai sensi dell’art. 216, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006 (“La provincia, qualora accerti il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1, dispone, con provvedimento motivato, il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell'attività, salvo che l'interessato non provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro il termine e secondo le prescrizioni stabiliti dall'amministrazione”), la sospensione dell’attività deve essere sempre preceduta da una diffida con la finalità di mettere l’interessato nella condizione di eliminare le violazioni riscontrate e consentirgli, così, di evitare eventuali misure interdittive dell’attività (TAR Veneto, III, 7 luglio 2008, n. 1947).

Secondo il condivisibile orientamento ermeneutico del Consiglio di Stato (sez. VI, 15 novembre 2010, n. 8049), formatosi già durante la vigenza della disciplina dettata dal d.lg. 22 del 1997, la diffida assolve, infatti, alla funzione di mezzo di comunicazione dell’avvio del procedimento destinato a culminare nella statuizione sanzionatoria in modo da soddisfare le esigenze del giusto procedimento di cui all’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Nel caso di specie, consta, tuttavia, che l’amministrazione provinciale, difformemente dal paradigma normativo, abbia adottato il provvedimento interdittivo all’esercizio delle operazioni di recupero R10 e R5 in procedura semplificata, senza aver fatto alcun riferimento a tali operazioni nella diffida previamente inviata alla società.

Nell’atto in data 5 agosto 2008, prot. 1840/92, a firma del Responsabile dell’U.O.C. Tutela Ambientale della Provincia di Trieste (vedi all. 3 – fascicolo doc. ricorrente) sono state, infatti, evidenziate alcune irregolarità rilevate presso l’impianto della ricorrente, ma in nessun modo rappresentato alla medesima l’impossibilità di svolgere le operazioni di recupero dianzi indicate in ragione dell’individuazione del momento nel quale il materiale recuperato perde la sua qualificazione giuridica di “rifiuto” ed assume quella di “materia prima secondaria”.

Tale omissione pare, quindi, sufficiente per inficiare la legittimità del provvedimento in epigrafe indicato, nella parte in cui – come più volte rammentato – non consente l’esercizio delle operazioni di recupero R10 e R5 in procedura semplificata per le tipologie comunicate dalla società e ciò a prescindere da ogni ulteriore considerazione in ordine alla legittimità o meno dell’interpretazione data dal competente ufficio provinciale alle norme vigenti in materia.

Sembra, in ogni caso, che le sopravvenute modifiche legislative avvalorino l’interpretazione offerta da parte ricorrente con il primo e il secondo motivo di gravame e non quella sostenuta dalla Provincia (e qui contestata), per corroborare la quale il Responsabile della competente U.O.C. ha ritenuto di dover emanare ben due circolari esplicative.

Vanno, invece, dichiarati inammissibili per carenza d’interesse concreto ed attuale a ricorrere i due ricorsi per motivi aggiunti successivamente proposti dalla società ricorrente, atteso che entrambe le circolari impugnate, oltre ad essere state emesse successivamente all’adozione del provvedimento interdittivo (il quale non può, quindi, trovare in esse fondamento e/o supporto), sono prive di carattere immediatamente e direttamente lesivo.

In definitiva:

- il ricorso principale va accolto e, per l’effetto, annullato in parte qua il provvedimento con lo stesso impugnato;

- i ricorsi per motivi aggiunti vanno dichiarati inammissibili ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. b), c.p.a..

Le spese di lite possono essere, in ogni caso, compensate, sussistendone giusti motivi.

Ai sensi di legge, la Provincia di Trieste sarà, però, tenuta a rifondere alla società ricorrente (all’atto del passaggio in giudicato della sentenza), ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis.1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dall’art. 21 della L. 4 agosto 2006, n. 248, il contributo unificato nella misura versata.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, Sezione I, definitivamente pronunciando sul ricorso principale e sui ricorsi per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti:

- accoglie il primo e, per l’effetto, annulla in parte qua la determinazione del Responsabile di P.O della U.O.C. Tutela Ambientale prot. n. 0036912-090704 del 27 ottobre 2008;

- dichiara inammissibili i secondi.

Compensa per intero le spese e le competenze di giudizio.

Dà atto che la Provincia intimata sarà tenuta a rifondere alla società ricorrente (all’atto del passaggio in giudicato della sentenza), ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis.1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dall’art. 21 della L. 4 agosto 2006, n. 248, il contributo unificato nella misura versata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:

Umberto Zuballi, Presidente

Enzo Di Sciascio, Consigliere

Manuela Sinigoi, Primo Referendario, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 03/04/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)