G.I.P. Tribunale di Asti Ordinanza 13 gennaio 2011
Rifiuti.Vinacce esauste
Questione di legittimità constituzionale. Classificazione come sottoprodotti - Introduzione di una presunzioneassoluta di esclusione dalla categoria dei rifiuti - Contrasto con la disciplina comunitaria e con la giurisprudenza della Corte di giustiziadell'Unione europea che esigono la verifica in concreto dell'esistenza di un rifiuto o di un sottoprodotto. - Decreto-legge 3 novembre 2008, n. 171, art. 2-bis, inserito dalla legge di conversione 30 dicembre 2008, n. 205. - Costituzione, artt. 11 e 117, primo comma
IL TRIBUNALE
Visti gli atti del procedimento penale nei confronti di Beccaris
Carlo, nato a Genova 1'8 dicembre 1951, residente a Costigliole
d'Asti in frazione Boglietto, Via Alba n. 3, ivi dom. dich. - difeso
di fiducia dall'avv. Raffaella Lavagetto del foro di Asti; sottoposto
a indagini per i seguenti reati:
«a) art. 256, comma 1), lett. a) d.lgs. n. 152/06 perche'
quale titolare della distilleria Beccaris Elio di Beccaris Carlo e c.
s.n.c. non gestiva regolarmente le ceneri di risulta dal recupero
energetico degli scarti di lavorazione;
in Costigliole acc. nel giugno 2009 e tuttora in corso.
b) art. 256 comma 1), lett. a) in relazione all'art. 214
d.lgs. n. 152/06 perche' quale titolare della distilleria Beccaris
Elio di Beccaris Carlo e c. s.n.c. effettuava attivita' di recupero
energetico dei rifiuti prodotti dalla propria attivita' di
distillazione costituiti da vinacce esauste senza essere iscritto nel
registro provinciale delle imprese di recupero rifiuti non
pericolosi;
in Costigliole acc. nel giugno 2009 e tuttora in corso»;
Sulla questione di legittimita' costituzionale sollevata dal p.m.
in data 14 aprile 2010;
Ritenuto di condividere integralmente le motivazioni espresse dal
p.m., che di seguito si riportano:
Il presente procedimento origina da accertamenti compiuti
dall'ARPA nella distilleria Beccaris Elio di Beccaris Carlo e c. snc
con sede in Costigliole d'Asti. Tale ditta, senza la prescritta
iscrizione ex art. 214 d.lgs. n. 152/06, effettuava (fino al dicembre
2008) ed effettua tuttora il recupero energetico dei rifiuti prodotti
dalla propria attivita' di distillazione costituiti dalle «vinacce
esauste».
Ricordiamo al riguardo che le vinacce esauste erano espressamente
contemplate dal d.m. 5 febbraio 1998 come rifiuti derivati
dall'industria agroalimentare (cfr. all. 1 sub 1, punto 11.7 e all. 2
suballegato 1) e non si poteva percio' dubitare che l'utilizzazione
delle stesse come combustibile costituisse operazione di recupero di
un rifiuto.
Nella specie sarebbe percio' ravvisabile il reato di cui all'art.
256, primo comma, lett. a) d.lgs. n. 152/06.
Senonche' l'art. 2-bis legge 30 dicembre 2008, n. 205 stabilisce
che «1. Le vinacce vergini nonche' le vinacce esauste ed i loro
componenti, bucce, vinaccioli e raspi, derivanti dai processi di
vinificazione e di distillazione, che subiscono esclusivamente
trattamenti di tipo meccanico fisico, compreso il lavaggio con acqua
o l'essiccazione, destinati alla combustione nel medesimo ciclo
produttivo sono da considerare sottoprodotti soggetti alla disciplina
di cui alla Sezione 4 della Parte II dell'allegato X alla Parte
quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152».
Questa disposizione, come appare evidente, ha classificato come
sottoprodotti residui che normalmente sono considerati rifiuti e di
conseguenza la condotta tenuta dall'imputato non costituisce piu'
reato.
Si dovrebbe percio' chiedere l'archiviazione del presente
procedimento (perlomeno in relazione all'imputazione sub b).
Riteniamo tuttavia di dover prospettare alla s.v.,
preliminarmente rispetto al vaglio della richiesta di archiviazione,
una questione di legittimita' costituzionale della norma per
contrarieta' al diritto comunitario.
Il problema infatti e' che la legge del 2008 ha introdotto una
«presunzione assoluta» di appartenenza delle vinacce esauste alla
categoria dei sottoprodotti sicche' e' precluso l'accertamento nel
caso concreto - come e' previsto dalla norma generale riguardante i
sottoprodotti e cioe' l'art. 183, comma 1, lett. p) d.lgs. n. 152 -
della ricorrenza di tutti i requisiti richiesti affinche' operi la
deroga al regime ordinario.
Cosi' operando la normativa del 2008 ha creato un'ingiustificata
riduzione della sfera di operativita' della direttiva sui rifiuti che
l'Italia e' invece obbligata a trasporre mediante apposite norme
interne: infatti, senza alcuna apparente e razionale motivazione, le
vinacce esauste sono state escluse tout court dal novero dei rifiuti
in radicale contrasto con la nozione di rifiuto contenuta nella
direttiva comunitaria 3 aprile 2006, n. 2006/12/CE (Direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio), che sostituisce ed abroga la
precedente direttiva 15 luglio 1975, n. 75/442/CEE.
In questo senso ci conforta Corte cost. 25 gennaio 2010, n. 28
che ha dichiarato incostituzionale l'art. 183, 1° comma, lett. n),
d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nel testo antecedente alle modifiche
introdotte dall'art. 2, comma 20, d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, nella
parte in cui prevedeva: «rientrano altresi' tra i sottoprodotti non
soggetti alle disposizioni di cui alla parte quarta del presente
decreto le ceneri di pirite, polveri di ossido di ferro, provenienti
dal processo di arrostimento del minerale noto come pirite o solfuro
di ferro per la produzione di acido solforico e ossido di ferro,
depositate presso stabilimenti di produzione dismessi, aree
industriali e non, anche se sottoposte a procedimento di bonifica o
di ripristino ambientale».
La decisione spiega che il giudice nazionale non puo' fare
diretta applicazione delle direttive comunitarie, disapplicando la
norma censurata in quanto ritenuta in conflitto con le prime, ed
esclude altresi' che la norma interna sia immune dal controllo di
conformita' al diritto comunitario, che spetta alla Corte, e quindi
sostiene che la sola strada da praticare in questi casi e'
l'incidente di costituzionalita' per violazione dell'art. 11 e 117,
primo comma, Cost.
Quanto al merito alla questione, ci pare utile riportare questo
brano:
«Si deve porre in rilievo, ai fini del presente giudizio, che
la norma censurata introduce una presunzione assoluta, in base alla
quale le ceneri di pirite, quale che sia la loro provenienza e il
trattamento ricevuto da parte del produttore, sono sempre e comunque
da qualificare "sottoprodotto". Al contrario, la normativa
comunitaria fa leva anche su fatti estrinseci e sui comportamenti dei
soggetti produttori ed utilizzatori e non si arresta pertanto alla
mera indicazione della natura intrinseca del materiale. Per effetto
della presunzione assoluta, al giudice e' inibito l'accertamento in
fatto delle circostanze in cui si e' formato il materiale e che hanno
caratterizzato la gestione dello stesso, una volta prodotto. Tale
preclusione si pone in contrasto con l'esigenza, derivante dalla
disciplina comunitaria, di verificare in concreto l'esistenza di un
rifiuto o di un sottoprodotto. In questo senso si e' espressa la
Corte di giustizia dell'Unione europea, la quale ha sottolineato come
l'effettiva esistenza di un rifiuto debba essere accertata «alla luce
del complesso delle circostanze, tenuto conto della finalita' della
direttiva e in modo da non pregiudicarne l'efficacia» (sentenza 18
dicembre 2007, in causa C-194/05, Commissione c. Repubblica italiana
(1) )».
Al riguardo giova ricordare anche la fondamentale sentenza della
Corte di giustizia 18 dicembre 2007, n. 263/05, Commiss. Ce c. Gov.
Italia (Foro it., 2008, IV, 185) che si e' occupata della norma
contenuta nell'art. 14 legge 8 agosto 2002 n. 178, che esclude(va)
dall'ambito di applicazione del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, da un
lato, le sostanze, i materiali o i beni, destinati alle operazioni di
smaltimento o di recupero non esplicitamente elencati agli all. B e C
a tale decreto e, dall'altro, le sostanze o i materiali residuali di
produzione dei quali il detentore abbia deciso o abbia l'obbligo di
disfarsi, qualora gli stessi possano essere e siano riutilizzati in
un ciclo produttivo o di consumo, a condizione che non sia effettuato
alcun intervento preventivo di trattamento e che gli stessi non
rechino pregiudizio all'ambiente, oppure, anche qualora venga
effettuato un intervento preventivo di trattamento, quando
quest'ultimo non configuri un'operazione di recupero fra quelle
individuate all'alt. C al medesimo decreto.
La sentenza cosi' si esprime:
«37. - Tuttavia, emerge altresi' dalla giurisprudenza della
corte che, in determinate situazioni, un bene, un materiale o una
materia prima che deriva da un processo di estrazione o di
fabbricazione che non e' principalmente destinato a produrlo puo'
costituire non tanto un residuo, quanto un sottoprodotto, del quale
il detentore non cerca di «disfarsi» ai sensi dell'art. 1, lett. a),
della direttiva, ma che intende sfruttare o commercializzare -
altresi' eventualmente per il fabbisogno di operatori economici
diversi da quello che l'ha prodotto - a condizioni ad esso
favorevoli, in un processo successivo, a condizione che tale
riutilizzo sia certo, senza trasformazione preliminare e intervenga
nel corso del processo di produzione o di utilizzazione (v., in tal
senso, sentenze Palin Granit, cit., punti 34-36; 11 settembre 2003,
causa C114/01, AvestaPolarit Chrome, Racc. pag. I-8725, punti 33-38;
Niselli, cit., punto 47, nonche' 8 settembre 2005, causa C-416/02,
Commissione/Spagna, Racc. pag. I-7487, punti 87 e 90; e causa
C-121/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-7569, punti 58 e 61).
38. - Pertanto, oltre al criterio relativo alla natura o meno di
residuo di produzione di una sostanza, il grado di probabilita' di
riutilizzo di tale sostanza, senza operazioni di trasformazione
preliminare, costituisce un criterio utile ai fini di valutare se
tale sostanza sia o meno un rifiuto ai sensi della direttiva. Se,
oltre alla mera possibilita' di riutilizzare la sostanza di cui
trattasi, il detentore consegue un vantaggio economico nel farlo, la
probabilita' di tale riutilizzo e' alta. In un'ipotesi del genere la
sostanza in questione non puo' piu' essere considerata un onere di
cui il detentore cerchi di «disfarsi», bensi' un autentico prodotto
(v. sentenze citate Palin Granit, punto 37, e Niselli, punto 46).
39. - Tuttavia, se per tale riutilizzo occorrono operazioni di
deposito che possono avere una certa durata, e quindi rappresentare
un onere per il detentore nonche' essere potenzialmente fonte di quei
danni per l'ambiente che la direttiva mira specificamente a limitare,
esso non puo' essere considerato certo ed e' prevedibile solo a piu'
o meno lungo termine, cosicche' la sostanza di cui trattasi deve
essere considerata, in linea di principio, come rifiuto (v., in tal
senso, sentenze citate Palin Granit, punto 38, e AvestaPolarit
Chrome, punto 39).
40. - L'effettiva esistenza di un «rifiuto» ai sensi della
direttiva va pertanto accertata alla luce del complesso delle
circostanze, tenendo conto della finalita' della stessa e in modo da
non pregiudicarne l'efficacia (v. sentenze citate ARCO Chemie
Nederland e a., punto 88, e KVZ retec, punto 63, nonche' ordinanza 15
gennaio 2004, causa C-235/02, Saetti e Frediani, Racc. pag. I-1005,
punto 40).
41. - Atteso che la direttiva non suggerisce alcun criterio
determinante per individuare la volonta' del detentore di disfarsi di
una determinata sostanza o di un determinato materiale, in mancanza
di disposizioni comunitarie gli Stati membri sono liberi di scegliere
le modalita' di prova dei diversi elementi definiti nelle direttive
da essi recepite, purche' cio' non pregiudichi l'efficacia del
diritto comunitario (v. sentenze citate ARCO Chemie Nederland e a.,
punto 41, nonche' Niselli, punto 34). Infatti, gli Stati membri
possono, ad esempio, definire varie categorie di rifiuti, in
particolare per facilitare l'organizzazione e il controllo della loro
gestione, purche' gli obblighi risultanti dalla direttiva o da altre
disposizioni di diritto comunitario relative a tali rifiuti siano
rispettati e l'eventuale esclusione di determinate categorie
dall'ambito di applicazione dei testi adottati per dare attuazione
agli obblighi derivanti dalla direttiva si verifichi in conformita'
all'art. 2, n. 1, di quest'ultima (v., in tal senso, sentenza 16
dicembre 2004, causa C-62/03, Commissione/Regno unito, non pubblicata
nella Raccolta, punto 12).
42. - Nella fattispecie, e' pacifico, da un lato, che, in virtu'
del 1° comma della disposizione controversa, viene considerato come
manifestazione dell'atto, della decisione o dell'obbligo di
«disfarsi» di una sostanza o di un oggetto, ai sensi dell'art. 1,
lett. a), 1° comma, della direttiva, solo il fatto che tale sostanza
o tale oggetto sia destinato, direttamente o indirettamente, a
operazioni di smaltimento o di recupero menzionate agli all. B e C al
d.lgs. n. 22/97 e, dall'altro, che tali all. B e C corrispondono
testualmente agli all. II A e II B alla direttiva.
43. - Orbene, come e' stato ricordato al punto 36 della presente
sentenza, l'esecuzione di una delle operazioni di smaltimento o di
recupero di cui agli allegati, rispettivamente, II A o II B alla
direttiva non consente, di per se', di qualificare come rifiuto una
sostanza o un oggetto trattato in tale operazione.
44. - Infatti, da una parte, allorche' definisce l'azione di
disfarsi di una sostanza o di un materiale esclusivamente a partire
dall'esecuzione di un'operazione di smaltimento o di recupero
menzionata agli all. B o C al d.lgs. n. 22/97, l'interpretazione
imposta dal 1° comma della disposizione controversa subordina la
qualifica di rifiuto ad un'operazione che, a sua volta, puo' essere
qualificata come smaltimento o recupero solo ove applicata ad un
rifiuto, di modo che tale interpretazione non contribuisce in realta'
minimamente a precisare la nozione di rifiuto. In effetti, secondo
l'interpretazione di cui trattasi, ogni sostanza o materiale oggetto
di uno dei tipi di operazioni menzionati agli allegati II A e II B
alla direttiva deve essere qualificato come rifiuto, di modo che tale
interpretazione condurrebbe a qualificare come tali sostanze e
materiali che non lo sono ai sensi della direttiva (v., in tal senso,
sentenza Niselli, cit., punti 36 e 37).
45. - D'altra parte, l'interpretazione esposta al punto 42 della
presente sentenza comporta che una sostanza o un materiale di cui il
detentore si disfi in un modo diverso da quelli menzionati negli all.
II A e II B alla direttiva non costituisce un rifiuto, e pertanto
restringe anche la nozione di rifiuto quale risulta dall'art. 1,
lett. a), della direttiva. Infatti, conformemente a questa
interpretazione, una sostanza o un materiale non soggetti a obbligo
di smaltimento o di recupero e di cui il detentore si disfi mediante
semplice abbandono, senza sottoporre la sostanza o il materiale ad
un'operazione del genere, non verrebbero qualificati come rifiuto,
mentre lo sarebbero ai sensi della direttiva (v., in tal senso,
sentenza Niselli, cit., punto 3 8).
46. - A tale riguardo, l'argomento della Repubblica italiana
esposto al punto 24 della presente sentenza, secondo cui il fatto di
abbandonare una sostanza o un oggetto rientrerebbe in realta'
nell'ambito del 1° comma, lett. a), della disposizione controversa,
non puo' essere accolto. Infatti, anche se l'interpretazione di tale
punto prevalesse nel diritto nazionale, la disposizione controversa,
a causa della sua mancanza di chiarezza e di precisione a tale
riguardo, non puo' assicurare la piena applicazione della direttiva.
47. - E' anche pacifico che, secondo la precisazione contenuta al
2° comma della disposizione controversa, e' sufficiente, affinche' un
materiale residuale di produzione o di consumo sfugga alla qualifica
di rifiuto, che esso venga o possa essere riutilizzato in qualunque
ciclo di produzione o di consumo, senza alcun intervento preventivo
di trattamento e senza pregiudizio all'ambiente, o dopo aver subito
un intervento preventivo di trattamento qualora non si tratti di una
delle operazioni di smaltimento elencate all'all. C al d.lgs. n.
22/97, che corrisponde testualmente all'all. II B alla direttiva.
48. - Orbene, tale enunciazione non e' conforme ai principi della
giurisprudenza ricordati ai punti 33-39 della presente sentenza.
Infatti, essa conduce a escludere dalla qualifica di rifiuto
materiali residuali di produzione o di consumo che pure corrispondono
alla definizione della nozione di «rifiuto» di cui all'art. 1, lett.
a), 1° comma, della direttiva.
49. - In particolare, come risulta dai punti 34-36 della presente
sentenza, il fatto che una sostanza sia un materiale residuale di
produzione o di consumo costituisce un indizio che si tratti di un
rifiuto e la sola circostanza che una sostanza sia destinata a essere
riutilizzata, o possa esserlo, non puo' essere determinante per la
sua qualifica o meno come rifiuto.
50. - Peraltro, l'argomento della Repubblica italiana esposto al
punto 25 della presente sentenza non puo' essere accolto. Infatti,
tenuto conto dell'obbligo, ricordato al punto 33 della presente
sentenza, d'interpretare in senso lato la nozione di rifiuto e tenuto
conto dei principi della giurisprudenza della corte menzionati ai
punti 34-39 della presente sentenza, un bene, un materiale o una
materia prima risultante da un processo di fabbricazione che non e'
destinato a produrlo puo' essere considerato come un sottoprodotto di
cui il detentore non desidera disfarsi solo se il suo riutilizzo,
incluso quello per i bisogni di operatori economici diversi da colui
che l'ha prodotto, e' non semplicemente eventuale, ma certo, non
necessita di trasformazione preliminare e interviene nel corso del
processo di produzione o di utilizzazione.
51. - Infine, per cio' che riguarda le osservazioni espresse
dalla Repubblica italiana all'udienza quanto al fatto che persone
connotate come operanti «al limite della legalita'» sarebbero attive
nel settore della gestione dei rifiuti, e' sufficiente rilevare che
tale circostanza, anche supponendo che fosse provata, non puo'
giustificare la violazione, da parte di tale Stato membro, degli
obblighi ad esso incombenti in forza della direttiva.
52. - Alla luce di tutto quanto precede, il ricorso della
commissione dev'essere accolto.
53. - Occorre pertanto dichiarare che la Repubblica italiana,
avendo adottato e mantenuto in vigore l'art. 14 d.l. 8 luglio 2002,
n. 138, divenuto, in seguito a modifica, la legge 8 agosto 2002, n.
178, che esclude dall'ambito di applicazione del d.lgs. n. 22/97, da
un lato, le sostanze, i materiali o i beni destinati alle operazioni
di smaltimento o di recupero non esplicitamente elencati agli all. B
e C a tale decreto e, dall'altro, le sostanze o i materiali residuali
di produzione dei quali il detentore abbia deciso o abbia l'obbligo
di disfarsi, qualora gli stessi possano essere e siano riutilizzati
in un ciclo produttivo o di consumo, a condizione che non sia
effettuato alcun intervento preventivo di trattamento e che gli
stessi non rechino pregiudizio all'ambiente, oppure, anche qualora
venga effettuato un intervento preventivo di trattamento, quando
quest'ultimo non configuri un'operazione di recupero fra quelle
individuate all'all. C al medesimo decreto, e' venuta meno agli
obblighi che le incombono in forza dell'art. 1, lett. a), della
direttiva».
Cio' posto, occorre citare nuovamente Corte cost. 25 gennaio
2010, n. 28 che ha assunto un'importante posizione sul sindacato
delle norme in malam partem.
Questo il passo che ci interessa:
«7. - Rilevato il contrasto tra la norma censurata e le
direttive comunitarie sui rifiuti, nonche' l'impossibilita' di
disapplicare la stessa da parte del giudice rimettente e la non
necessita' del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia
dell'Unione europea, resta da risolvere il problema degli effetti
della declaratoria di illegittimita' costituzionale di una norma
extrapenale, che, sottraendo temporaneamente le ceneri di pirite
dalla categoria dei rifiuti, ha escluso, durante il periodo della sua
vigenza, precedente all'abrogazione ad opera del d.lgs. n. 4 del
2008, l'applicabilita' delle sanzioni penali previste per la gestione
illegale dei rifiuti alla fattispecie oggetto del giudizio
principale...
Questa Corte ha gia' chiarito, tuttavia, che la retroattivita'
della legge piu' favorevole non esclude l'assoggettamento di tutte le
norme giuridiche di rango primario allo scrutinio di legittimita'
costituzionale: «Alto [...] e' la garanzia che i principi del diritto
penale-costituzionale possono offrire agli imputati, circoscrivendo
l'efficacia spettante alle dichiarazioni d'illegittimita' delle norme
penali di favore; altro e' il sindacato cui le norme stesse devono
pur sempre sottostare, a pena di istituire zone franche del tutto
impreviste dalla Costituzione, all'interno delle quali la
legislazione ordinaria diverrebbe incontrollabile» (sentenza n. 148
del 1983 e sul punto, sostanzialmente nello stesso senso, sentenza n.
394 del 2006).
Nel caso di specie, se si stabilisse che il possibile effetto in
malam partem della sentenza di questa Corte inibisce la verifica di
conformita' delle norme legislative interne rispetto alle norme
comunitarie - che sono cogenti e sovraordinate alle leggi ordinarie
nell'ordinamento italiano per il tramite degli artt. 11 e 117, primo
coma, Cost. - non si arriverebbe soltanto alla conclusione del
carattere non autoapplicativo delle direttive comunitarie sui
rifiuti, ma si toglierebbe a queste ultime ogni efficacia vincolante
per il legislatore italiano, come effetto del semplice susseguirsi di
norme interne diverse, che diverrebbero insindacabili a seguito della
previsione, da parte del medesimo legislatore italiano, di sanzioni
penali.
La responsabilita' penale, che la legge italiana prevede per
l'inosservanza delle fattispecie penali connesse alle direttive
comunitarie, per dare alle stesse maggior forza, diverrebbe
paradossalmente una barriera insuperabile per l'accertamento della
loro violazione.
Per superare il paradosso sopra segnalato, occorre quindi
distinguere tra controllo di legittimita' costituzionale, che non
puo' soffrire limitazioni, se ritualmente attivato secondo le norme
vigenti, ed effetti delle sentenze di accoglimento nel processo
principale, che devono essere valutati dal giudice rimettente secondo
i principi generali che reggono la successione nel tempo delle leggi
penali.
Questa Corte ha gia' chiarito che l'eventuale accoglimento delle
questioni relative a norme piu' favorevoli «verrebbe ad incidere
sulle formule di proscioglimento o, quanto meno, sui dispositivi
delle sentenze penali»; peraltro, «la pronuncia della Corte non
potrebbe non riflettersi sullo schema argomentativo della sentenza
penale assolutoria, modificandone la ratio decidendi: poiche' in tal
caso ne risulterebbe alterato [...] il fondamento normativo della
decisione, pur fermi restando i pratici effetti di essa» (sentenza n.
148 del 1983)».
Siamo dunque dell'avviso che la questione qui proposta sia non
manifestamente infondata e rilevante perche' incide direttamente
sull'applicabilita' della norma incriminatrice contestata
all'indagato.
(1) In Foro it., 2008, IV, 186.
P.Q.M.
Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87;
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 2-bis della legge 30 dicembre
2008, n. 205 per contrasto con gli artt. 11 e 117 della Costituzione.
Sospende il procedimento in corso.
Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
notificata alle parti, ai difensori e al Presidente del Consiglio dei
ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del
Senato della Repubblica.
Dispone che, all'esito, gli atti siano trasmessi alla Corte
costituzionale.
Asti, addi' 13 gennaio 2011
Il giudice: Bianco