Pres. Lupo Est. Squassoni Ric. Pagnotta ed altro
Rifiuti. Luogo di smaltimenti dei rifiuti
Nella autorizzazione deve essere precisato il luogo di smaltimento dei rifiuti e la sua individuazione costituisce un elemento essenziale del provvedimento autorizzatorio in quanto implica una valutazione positiva della competente autorità circa l'idoneità del sito allo scopo richiesto; consegue che l'utilizzo di una area diversa da quella cui si riferisce il provvedimento della Regione configura la fattispecie di gestione di rifiuti senza la prescritta autorizzazione
Motivi della decisione
Con sentenza 7 luglio 2006, il Tribunale di
Orvieto ha ritenuto Pagnotta Patrizia e Merluzzo Valentino responsabili
-
condannandoli alla pena di giustizia - dei reati previsti dall’art. 51
c. 1
lett. a) e c. 2 D.L.vo 22/1997.
Per l’annullamento della sentenza, gli
imputati hanno proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di
motivazione
e violazione di legge, in particolare, rilevando:
- che il Giudice ha ritenuto responsabile il
Merluzzo solo perché proprietario del suolo non considerando che tale
qualifica, anche unita alla consapevolezza dello abbandono dei rifiuti,
non è
sufficiente per integrare le fattispecie di reato in esame;
- che la condotta era sussumibile nella
ipotesi prevista dall’art. 51 c. 4 D.L.vo 22/1997 (inosservanza delle
prescrizioni);
- che l’attitudine al reimpiego dei materiale
era in re ipsa per cui è stata violata la norma interpretativa della
nozione di
rifiuti (art. 14 D.L. 138/2002 conv. L. 178/2002).
Le deduzioni non sono meritevoli di
accoglimento.
La prima censura è in astratto puntuale (dal
momento che il proprietario di una area risponde dello abbandono di
rifiuti,
che altri soggetti abbiano scaricato sul suo sito, solo nel caso di
concorso
nel reato), ma è inconferente nella ipotesi che ci occupa; l’imputato è
stato
chiamato a rispondere di due violazioni dell’art. 51 D.L.vo 22/1997
nella sua
qualità di legale rappresentante della società che ha posto in essere
una attività
di gestione di rifiuti non autorizzata.
La tesi difensiva della sua estraneità alla
condotta antigiuridica (peraltro, priva della necessaria concretezza)
non era
stata prospettata al Giudice di merito ed implica la risoluzione di
questioni
in fatto che esulano dai limiti cognitivi della Cassazione.
Tanto premesso, la Corte rileva come il
Tribunale abbia avuto cura di precisare quali fossero le espletate
investigazioni e le fonti probatorie rappresentate dalle indagini del
Nucleo
Operativo Ecologico e dalla testimonianza di un accertatore - dalle
quali ha
tratto il convincimento sullo snodarsi dei fatti per cui è processo;
tale
ricostruzione, di estrema sintesi, avrebbe meritato nella sentenza una
più
articolata puntualizzazione.
Comunque, il testo del provvedimento in esame
fa comprendere come gli imputati su di una area effettuavano attività
di messa
in riserva di rifiuti (derivanti dalla attività di costruzione e
demolizione)
per la quale non erano autorizzati; il Giudice ha esplicitato la
ragione per
cui, in relazione alla entità dello accumulo ed alla durata della
giacenza del
materiale, non si potesse configurare una ipotesi di deposito
controllato (e su
questa conclusione, i ricorrenti non hanno formulato censure).
Inoltre - secondo il Tribunale - gli imputati
avevano gestito rifiuti, per i quali erano muniti di autorizzazione, ma
in un
sito non rientranti tra quelli facoltizzati per le operazioni di
stoccaggio; i
ricorrenti deducono (senza esplicitare gli argomenti a sostegno del
loro
assunto) che tale condotta andasse qualificata a sensi dell’art. 51 c.
4 D.L.vo
citato.
La tesi non è fondata.
Nella autorizzazione deve essere precisato il luogo di smaltimento dei rifiuti, a sensi dell’art. 28 D.L.vo 22/1997, e la sua individuazione costituisce un elemento essenziale del provvedimento autorizzatorio in quanto implica una valutazione positiva della competente autorità circa l’idoneità del sito allo scopo richiesto; consegue che l’utilizzo di una area diversa da quella cui si riferisce il provvedimento della Regione configura la fattispecie di gestione di rifiuti senza la prescritta autorizzazione (Cassazione Sezione 3 sentenza 36499/2006).
Pertanto, la condotta è stata correttamente
sussunta nelle ipotesi di
reato contestate e ritenute in sentenza.
Relativamente alla residua censura, non è
invocabile la norma introdotta
dall’art. 14 D.L. 138/2002 conv. L. 178/2002 e vigente all’epoca del
fatto (a
parte la discussa questione della sua compatibilità con le disposizioni
comunitarie) per la decisiva ragione che manca la prova della effettiva
riutilizzazione dei rifiuti solo labilmente dedotta dagli imputati.