CASS. II CIV., Sentenza n. 19643 del 13 settembre 2006 (Presidente A.
Elefante, Relatore V. Colarusso)
Prendendo spunto dalla elaborazione della giurisprudenza penale in materia di rifiuti (v. Cass. pen. n. 12122 del 2002, nell’archivio PENALE di Italgiureweb) la Corte afferma che, in tema di gestione dei rifiuti, l'obbligo della tenuta dei registri di carico e scarico, prescritti dall'art. 12 del D. Lgs. 5
febbraio 1977 n. 22, grava su tutti coloro che effettuano operazioni di recupero dei rifiuti, anche se ammessi alla procedura semplificata di
iscrizione all'albo delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti ex art. 33 del citato decreto, atteso che anche le procedure semplificate devono garantire un elevato livello di protezione ambientale e controlli efficaci.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ELEFANTE Antonino - Presidente -
Dott. COLARUSSO Vincenzo - rel. Consigliere -
Dott. MALZONE Ennio - Consigliere -
Dott. ODDO Massimo - Consigliere -
Dott. FIORE Francesco Paolo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FRATICELLI GIANFRANCO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA PRATI FISCALI 321, presso lo studio dell'avvocato DARIO MASINI, difeso dall'avvocato FRATICELLI CLAUDIO, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
PROVINCIA DI MACERATA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA Via PANAMA 12, c/o Avv. Medugno Luigi, difeso dall'avvocato FORMICA GIANFRANCO, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 336/03 del Tribunale di MACERATA, depositata il 09/07/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/07/06 dal Consigliere Dott. Vincenzo COLARUSSO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In data 11/10/1999 agenti accertatori dell'AUSL 9 di Macerata constatavano che presso la ditta di Fraticelli Gianfranco avvenivano operazioni di messa riserva ed operazioni di recupero di rifiuti senza la tenuta dei registri di carico e scarico ed in assenza dei relativi formulari di identificazione nel trasporto degli stessi; che i rottami di vario genere accumulati nell'area di pertinenza della ditta non possedevano le caratteristiche per il conferimento tal quale ad utilizzatori, poiché necessitavano di operazioni di selezione, separazione per tipi omogenei, smontaggio di parti di veicoli fuori uso ed altro.
Per tale infrazione la Provincia di Macerata emetteva nei confronti del Fraticelli ordinanza ingiunzione avverso la quale era proposta, innanzi al Tribunale di Macerata, opposizione che è stata respinta con sentenza del 9 luglio 2003.
Il giudice di merito ha considerato:
- che, secondo le disposizioni normative di riferimento, i materiali rinvenuti presso la ditta erano da considerarsi rifiuti, trattandosi di sostanze di cui altri si erano disfatti e che la ditta, per stessa ammissione del Fraticelli, aveva sottoposto a recupero;
- che l'attività della ditta ricorrente era, appunto, quella del recupero dei rifiuti, a nulla rilevando che la stessa fosse tra quella f ammesse alla procedura semplificata di iscrizione all'albo, che lasciava permanere suo carico l'obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico;
che il provvedimento impugnato era adeguatamente motivato anche senza la citazione della circolare ministeriale interpretativa; che non erano invocabili, per l'esclusione della responsabilità, ne' l'errore scusabile ne' la buona fede dell'agente.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Fraticelli Gianfranco con quattro motivi cui l'Amministrazione Provinciale di Macerata resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1999, art. 6, comma 1, lett. a) come risultante dalla interpretazione autentica recata dalla L. n. 187 del 2002, art. 14.
Secondo la circolare ministeriale, più volte segnalata all'attenzione del giudice di merito e che aveva recepito le direttive CEE, il materiale rinvenuto presso la ditta Fraticelli non rientrava nel concetto di rifiuto. La ditta era autorizzata alla raccolta dei materiali ferrosi, che avveniva per il completo utilizzo delle materie prime, reinserite nel ciclo produttivo con esclusione di ogni finalità di smaltimento o di volontà od obbligo giuridici di disfarsi dei materiali. La nuova normativa, piuttosto che sui concetti di rifiuto e di smaltimento, si basava su quelli di prevenzione e recupero, dovendosi qualificare recupero il riutilizzo del residuo sia "tal quale" sia previo trattamento
preliminare/minimale, distinto dal recupero completo. I materiali ferrosi rinvenuti presso la ditta del ricorrente erano destinati alla riutilizzazione senza trattamenti preventivi pregiudizievoli per l'ambiente e senza operazioni ulteriori di recupero, tranne la separazione.
Il motivo è infondato.
1.a. Il giudice di merito ha ritenuto che nella specie costituissero rifiuti i materiali, stoccati presso la ditta Fraticelli, di cui altri si erano disfatti e che erano stati sottoposti dalla ditta medesima a recupero, operazione, questa, rientrante tra quelle individuate nell'all. C richiamato nell'art. 6 Cost.. 1.b. La conclusione cui è giunto il giudice di merito - sia pure attraverso una motivazione non perspicua ed un esame non proprio puntuale ed accurato della normativa di riferimento - è conforme a diritto, potendo questa Corte apportate alla motivazione della sentenza le integrazioni opportune.
1.c. Nella specie occorre considerare l'ipotesi ("si disfi") di cui al D.L. n. 138 del 2002, art. 14, comma 1, lett. a) conv. con L. n. 187 del 2002 (di interpretazione autentica della definizione di "rifiuto" di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, comma 1, lett. a) e verificare, poi, alla luce delle disposizione normative, la natura dell'attività successiva all'operazione del "disfarsi". Ebbene, il comma 2 della menzionata legge interpretativa intanto non richiama la lett. a) del precedente comma 1, e ciò implica che, ove ricorra la ipotesi del "si disfi" (lett. a) di un materiale o bene sottoposto ad attività di smaltimento o di recupero (come nella specie), detto materiale, per ciò stesso, diventa rifiuto, senza che abbiano rilievo le attività previste dalla L. n. 178 del 2002, art. 14, comma 2, lett. a) e b) per quelle sostanze di cui il soggetto produttore "abbia deciso " o "abbia l'obbligo" di disfarsi. 1.d. Ed, invero, in forza del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, lett. h) va definito rifiuto tutto ciò (materiale o bene) di cui il soggetto produttore "si disfi" - nei termini di cui alla L. n. 178 del 2002, art. 14, lett. a) (e, cioè, con qualsiasi comportamento attraverso il quale, in modo diretto o indiretto, una sostanza, un materiale o un bene, sono avviati e sottoposti ad attività di smaltimento o di "recupero" secondo gli allegati B e C del D.Lgs. n. 22 del 1997) - e che sia da altri recuperato, dovendosi intendere per "recupero" - in forza del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, lett. h) - quelle "operazioni previste nell'allegato C (che interessa il caso di specie) e, precisamente:
a) il riciclo/recupero di metalli o dei composti metallici (R4);
b)la "messa a riserva" (R13) (nella specie risultante dalla sentenza - pag. 2 - e dal verbale in essa riportato) per sottoporli ad una delle operazioni indicate nei punti da R1 a R12 dello stesso allegato C ( e, quindi, anche R4: recupero dei metalli e composti metallici), con esclusione del solo deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti (ipotesi nella specie sicuramente non ricorrente).
1.e. In definitiva, ricorrendo la condotta del produttore, che si sia disfatto del materiale o del bene, e quella di raccolta e messa in riserva da parte di altro soggetto di detti materiali o beni, questi sono da qualificarsi rifiuto senza che assuma rilievo la possibilità di un loto immediato reimpiego nel ciclo produttivo, atteso che;
secondo il dettato normativo di cui alla L. n. 178 del 2002, art. 14, comma 2, lett. a) e b) tale eventualità non può essere presa in considerazione quando i materiali, dopo la dismissione (si disfi), siano stati già destinati al recupero ed effettivamente recuperati, ma assume rilievo nei soli casi (di cui alle lettere b) e c) del comma 1 della norma citata e, cioè, quando il produttore "abbia deciso" comma 1) (lett. a) di destinare il materiale o il bene allo smaltimento o al recupero, senza porre in atto la sua volontà, ovvero quando lo stesso produttore "abbia l'obbligo di disfarsi" comma 1) (lett. c) del materiali e delle sostanze, avviandole al recupero ed allo smaltimento e tale obbligo non sia stato ancora ottemperato.
1.f. Nella specie, dunque, ricorrono sia l'attività del disfarsi dei materiale sia quella del "recupero" da parte del Fraticelli (D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, comma 1, lett. h) e all. C R4) nonché quella della "messa riserva" (all. C R13 e art. 6, comma 1, lett. l)) dei materiali per essere sottoposti ad attività di riciclo/recupero (all. C R4).
Ne consegue che i materiali rinvenuti presso il ricorrente correttamente sono stati considerati rifiuti dal giudice di merito senza che possa darsi rilievo alla (pretesa) intenzione del raccoglitore sulla successiva destinazione dei materiali e ed essendo, peraltro, meramente asserita la possibilità di destinarli al ciclo produttivo "tal quale" o previ "trattamenti minimali", non pericolosi per l'ambiente e per la salute.
1.g. Tale conclusione - che tiene conto sia della interpretazione sistematica del D.Lgs. n. 22 del 1992 che della sopravvenuta legge di interpretazione autentica - non si pone in contrasto con la direttiva CCE n. 75/442, trasfusa nel D.Lgs. citato, la cui finalità consiste nella tutela della salute umana e dell'ambiente contro gli effetti nocivi della "raccolta" D.Lgs. n. 22 del 1997), (art. 6, lett. h) e all. C) del trasporto, del trattamento dell'"ammasso" e del "deposito" (art. 6 l) e all. C R4 e R13) (cfr. sentenza 11/11/2004 Corte Giustizia CEE in causa Niselli, punto 33) dei residui di produzione o di consumo di cui il produttore si sia disfatto e per i quali occorra ( o sia occorsa ) una operazione di recupero. 2. Col secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, artt. 31 e 32 e del D.M. dell'Ambiente del 5 febbraio 1998. La ditta Fraticelli è(ra) autorizzata alle operazioni di recupero di rottame alla rinfusa di cui all'All. C previsto nel D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6 ammesso alla procedura semplificata di cui ai successivi artt. 31 e 33 e, come tale, esonerata dall'obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico. Il motivo non è fondato.
2.a. Non risulta, dalla lettura sistematica delle norme concernenti le procedure semplificate (capo V D.Lgs. n. 22 del 1997), l'esonero dalla regolare tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti, come, del resto, è stato ritenuto da questa Corte in sede penale (cfr. Cass. Pen. Sez. 3^, n. 12122/2002).
2.b. Ed, invero, il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 12 impone l'obbligo della tenuta del registro, specificandone il contenuto, ai "soggetti di cui all'art. 11, comma 3", che, a sua volta, li individua in "chiunque effettua a titolo professionale attività di raccolta e di trasporto di rifiuti, compresi i commercianti e gli intermediari di rifiuti, ovvero svolge le operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti, nonché le imprese e gli enti che producono rifiuti non pericolosi di cui all'art. 7, comma 3, lett. c, d, e) ...". Questa formulazione dell'art. 11, non contenendo l'art. 12 alcuna espressa limitazione al precetto di carattere generale, nel senso dell'applicabilità di esso alle sole attività soggette ad autorizzazione, conduce all'ovvia conclusione che l'obbligo della tenuta dei registri in questione grave, su tutti coloro che, con procedura normale o semplificata, effettuano operazioni di recupero dei rifiuti.
2.c. La conferma testuale di quanto affermato la si rinviene nello stesso Decreto n. 22 del 1997, art. 33, comma 10, che, prescrivendo un regime meno rigoroso per rifiuti non pericolosi utilizzati in determinate operazioni, li sottopone comunque "alle disposizioni di cui all'art. 10, comma 3, artt. 11, 12 e 15 nonché alle relative norme sanzionatorie".
2.d. Del resto è evidente la ratio di simile disposizione, anche in considerazione del dettato di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 31, comma 1, in base al quale le procedure semplificate devono "comunque garantire un elevato livello di protezione ambientale e controlli efficaci", per cui, se non vigesse l'obbligo posto dall'art. 12, nessun incisivo controllo sarebbe in concreto esercitabile sulle attività svolte con procedure semplificate.
3. Col terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 2. Il ricorrente, nel prospettare le sue osservazioni al verbale, si era richiamato alla circolare ministeriale 3402/V/Min. che però non era stata tenuta in alcuna considerazione, dal che il difetto di motivazione del provvedimento impugnato, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 2 sulla ricorrenza del presupposti giuridici e di fatto della decisione. La censura è priva di fondamento.
Il giudice di merito ha, sul punto della mancata citazione delle circolare ministeriale, ritenuto che si tratti di un atto di indirizzo non attinente ai presupposti di fatto ne' alla ragioni giuridiche determinanti la decisione (amministrativa impugnata) e tale ratio decidendi non viene puntualmente censurata dal ricorrente che ripropone la questione negli stessi termini che il giudice di merito ha motivatamente disatteso.
4. Col quarto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 3, comma 2 dovendosi nella specie, escludere la colpa del ricorrente derivante dall'errore scusabile sul significato e portata della normativa, confermata dalle difficoltà interpretative della stessa per cui si era reso necessario un intervento di interpretazione autentica da parte dello stesso legislatore sul significato di rifiuto.
Il motivo è infondato.
Il giudice di merito ha dato congrua ragione della inapplicabilità della L. n. 689 del 1981, art. 3 escludendo che nella specie sia stato dimostrato l'errore del ricorrente, sia sotto in profilo della scusabilità che della inevitabilità.
Ora il ricorrente ripropone la questione sotto il profilo dell'errore scusabile sul contenuto precettivo della norma.
4.a. Orbene, questa Corte (Cass. 5615/2003) ha ritenuto che anche nella materia dell'illecito amministrativo disciplinato dalla L. n. 689 del 1981 possano aver rilievo i principi affermati nella sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988 secondo la quale l'inevitabile ignoranza del precetto da parte di chi commette l'illecito fa venir meno l'elemento soggettivo della colpa, che, ai fini dell'affermazione della responsabilità, deve necessariamente presidiare l'elemento oggettivo della violazione (Cass. 6111/2000). E, tuttavia, per potersi configurare l'ignoranza inevitabile del precetto occorre tenere presente la posizione soggettiva di colui che, essendo professionalmente dedito ad uno specifico campo di attività, regolata dalla legge e da norma sanzionatorie, è tenuto non solo all'obbligo generico di conoscenza ed informazione gravante su ogni cittadino, ma ha un dovere di informazione più incisivo e specifico circa le norme che disciplinano la sua attività così che l'errore sulla liceità della sua condotta deve essere stato determinato da un elemento positivo estraneo all'agente ed idoneo a determinare in lui la positiva convinzione della liceità della sua condotta.
4.b. Nel caso di specie, il ricorrente, cui incombeva l'onere della prova al riguardo (Cass. 4927/98), si è limitato soltanto ad addurre l'ignorantia legis in base a presunte e "notorie" difficoltà interpretative delle norme sui rifiuti.
L'assunto difensivo è palesemente contraddittorio in quanto, per giustificare l'ignoranza della legge, si richiama all'intervento urgente del legislatore, avvertito della necessità di dare la definizione di rifiuto con decreto legge, e, cioè, ad un fattore esterno (l'intervento dell'organo legislativo) successivo alla commissione del fatto e, quindi, non tale da poter assurgere a causa di dubbio e/o incertezza sugli obblighi che il contribuente era tenuto ad osservare.
5. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente alle spese, liquidate come nel dispositivo. P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in complessivi Euro 1100,00 di cui Euro 1000,00 per onorario, oltre spese fisse, IVA, CPA ed altri accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 11 luglio 2006.
Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2006