Rifiuti recuperati in mare da pescherecci durante l' attività di pesca. Problematica giuridica
di Gianfranco AMENDOLA
Premessa
Il problema da considerare riguarda il quadro giuridico di riferimento per tutti quei rifiuti (soprattutto plastiche e legni) che restano impigliati nelle reti dei pescherecci e vengono tratti a bordo insieme al pescato; rifiuti che oggi vengono, di solito riscaricati immediatamente in mare mentre, ovviamente, sarebbe preferibile venissero portati a terra e smaltiti o recuperati, alleviando l'inquinamento di mare e di terra.
Si premette, in proposito, che ci si riferisce solo al recupero non programmato di rifiuti in mare durante la normale attività di pesca . In caso contrario, si tratterebbe di vera e propria raccolta di rifiuti che necessita di apposita regolamentazione, come avvenuto con Castalia (cfr. apposita convenzione con Ministero Ambiente).
Si premette, altresì, che, allo stato, non si rinviene alcuna regolamentazione di tipo particolare per questa evenienza. Nella legge a difesa del mare e nel TUA (D. Lgs 152/06) vi sono obblighi e divieti relativi alla immersione ed allo smaltimento di rifiuti in mare, specie se provenienti da terra o derivati dall'esercizio e dal carico della nave, ma niente per quanto concerne l'argomento in esame.
In proposito, basta leggere l'art. 109 TUA che si riporta:
ART. 109. Immersione in mare di materiale derivante da attività di escavo e attività di posa in mare di cavi e condotte
1. Al fine della tutela dell'ambiente marino e in conformità alle disposizioni delle convenzioni internazionali vigenti in materia, è consentita l'immersione deliberata in mare da navi ovvero aeromobili e da strutture ubicate nelle acque del mare o in ambiti ad esso contigui, quali spiagge, lagune e stagni salmastri e terrapieni costieri, dei materiali seguenti:
a) materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi;
b) inerti, materiali geologici inorganici e manufatti al solo fine di utilizzo, ove ne sia dimostrata la compatibilità e l'innocuità ambientale;
c) materiale organico e inorganico di origine marina o salmastra, prodotto durante l'attività di pesca effettuata in mare o laguna o stagni salmastri .
2. L'autorizzazione all'immersione in mare dei materiali di cui al comma 1, lettera a), è rilasciata dalla regione, fatta eccezione per gli interventi ricadenti in aree protette nazionali di cui alle leggi 31 dicembre 1982, n. 979 e 6 dicembre 1991, n. 394, per i quali è rilasciata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in conformità alle modalità stabilite con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, delle politiche agricole e forestali, delle attività produttive previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da emanarsi entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto.
3. L'immersione in mare di materiale di cui al comma 1, lettera b), è soggetta ad autorizzazione regionale, con esclusione dei nuovi manufatti soggetti alla valutazione di impatto ambientale. Per le opere di ripristino, che non comportino aumento della cubatura delle opere preesistenti, è dovuta la sola comunicazione all'autorità competente.
4. L'immersione in mare dei materiali di cui al comma 1, lettera c), non è soggetta ad autorizzazione.
OMISSIS
Da questo articolo può, quindi, evincersi che un peschereccio può riimmettere in mare senza alcuna autorizzazione i materiali di origine marina o salmastra prodotti durante l'attività di pesca ma nulla si dice circa il comportamento da tenere per altri materiali quali rifiuti involontariamente issati a bordo in conseguenza dell' attività di pesca.
Occorre, quindi, rifarsi ai principi generali contenuti nel D. Lgs 152/06 in tema di rifiuti.
1. La classificazione di questi rifiuti
Ai sensi dell'art. 184, comma 2, lett. d) D. Lgs 152/06, sono rifiuti urbani i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d'acqua
Trattasi, quindi di classificazione derivata dalla collocazione, a prescindere dalla origine. Anche se il mare non è espressamente menzionato, pare certamente assimilabile alle aree pubbliche e a quelle comunque destinate ad uso pubblico. Assimilazione confermata dall'inserimento anche delle spiagge e delle rive dei corsi d'acqua.
Si noti che la ratio di questo tipo di classificazione, come si vedrà, è proprio quello di fornire particolare tutela (pubblica) dall'inquinamento da rifiuti alle zone di territorio pubbliche o, comunque, destinate ad uso pubblico. Riguarda, quindi, a maggior ragione, il mare.
Ne deriva che i rifiuti di cui trattiamo sono da considerare rifiuti urbani in ragione della loro giacenza, a prescindere dalla loro natura e provenienza .
Ed è appena il caso di osservare che questa conclusione non può certamente risentire della recente modifica comunitaria secondo cui "i rifiuti urbani non includono i rifiuti della produzione, dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca , delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque reflue, ivi compresi i fanghi di depurazione, i veicoli fuori uso o i rifiuti da costruzione e demolizione " (art. 3, comma 2ter, aggiunto alla direttiva 2008/98/CE dalla direttiva 2018/851 UE) in quanto, come già detto, non stiamo parlando di rifiuti della pesca, ma di rifiuti di altra origine rinvenuti casualmente durante attività di pesca.
2. La regolamentazione giuridica prevista per questi rifiuti
Ovviamente, la legge si preoccupa, in primo luogo, di evitare che tali rifiuti si formino e, pertanto, vieta l' abbandono sul suolo e la immissione in acqua di rifiuti di qualsiasi genere.
L'art. 192 D. Lgs 152/06 vieta sia l'abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e nel suolo (comma 1) sia la "immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee " (comma 2), prevedendo adeguate sanzioni (artt. 255 e 256).
Qualora, tuttavia, ciò sia avvenuto, il comma 3 prevede che " fatta salva l'applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa , in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate. "
Appare, quindi, evidente che qualora si rinvengano rifiuti (illecitamente) abbandonati in terra o in mare, scatta un obbligo di rimozione ed avvio a recupero o smaltimento a carico di chi li ha abbandonati, sancito da una ordinanza del sindaco. Ed è altrettanto evidente che, in ogni caso, è il sindaco la figura istituzionale prevista dalla legge per garantire, comunque, anche sotto il profilo delle spese, che la rimozione e lo smaltimento-recupero di tali rifiuti avvenga al più presto, provvedendo in ogni caso, anche quando siano ignoti gli autori dell'abbandono.
E' questo, del resto, il motivo per cui la legge qualifica questi rifiuti quali "urbani" in funzione della loro giacenza. Spetta, infatti, ai Comuni la competenza per la gestione dei rifiuti urbani ed assimilati (art. 198, comma 1 D. Lgs 152/06).
C'è solo da precisare che si tratta non di un potere ma di un obbligo del sindaco, il quale, in ogni caso è tenuto a gestire questi rifiuti e ad assicurarsi del loro smaltimento-recupero.
Più volte la Cassazione, infatti, ha evidenziato che "r isponde del reato di cui all'art. 328 cod. pen. il Sindaco che non dispone l'immediato intervento per la eliminazione di rifiuti e per il ripristino dello stato dei luoghi, secondo quanto prescrive l'art. 14 l. 5 febbraio 1997 n. 22 (oggi art. 192, comma 3 D. Lgs 152/06, sopra citato) 1 .
Principi ribaditi in modo dettagliato da una recentissima sentenza secondo cui "l ’emanazione dell’ordinanza e l’esecuzione in danno costituiscono un obbligo e non una semplice facoltà, al punto che si è sostenuto, in dottrina, che il sindaco deve comunque procedere alla rimozione o all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti stessi anche nel caso in cui i soggetti obbligati non siano noti o immediatamente identificabili, fatta salva la successiva rivalsa, nei loro confronti, per il recupero delle somme anticipate. Inoltre, l’eventuale omissione configura l’ipotesi di reato sanzionata dall’articolo 328 cod. pen ., senza che possa avere efficacia scriminante l'attesa dovuta alla preliminare individuazione, da parte dell'ufficio tecnico, dei nominativi dei proprietari dei terreni inquinati o il rispetto dei tempi necessari per la procedura d'appalto dei lavori di rimozione dei rifiuti (Sez. 6, n. 33034 del 10/6/2005, Esposito, Rv. 231926) " 2 .
3. La posizione di chi detiene rifiuti acquisiti involontariamente durante attività di pesca
Per completezza, è appena il caso di precisare, a questo punto, che chi detiene rifiuti (prodotti da altri) acquisiti involontariamente durante attività di pesca non può certamente considerarsi " produttore" di rifiuti in quanto tale qualifica (art. 183, comma 1, lett. f), compete al " soggetto la cui attività produce rifiuti e il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione (produttore iniziale) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti (nuovo produttore) ".
La precisazione è importante perchè si integra con la esclusione dell'applicazione della regolamentazione prevista dal D. Lgs. 24 giugno 2003, n. 182, il quale ha dato attuazione alla Direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico. Esso, infatti, si riferisce esclusivamente ai " rifiuti prodotti dalla nave: i rifiuti, comprese le acque reflue e i residui diversi dai residui del carico, ivi comprese le acque di sentina, prodotti a bordo di una nave e che rientrano nell'ambito di applicazione degli allegati I, IV e V della Marpol 73/78, nonche' i rifiuti associati al carico di cui alle linee guida definite a livello comunitario per l'attuazione dell'allegato V della Marpol 73/78 " (art. 2, lett. e); e prevede che essi vengano conferiti, previa corresponsione di una tariffa, ad appositi impianti portuali di raccolta nell'ambito di un piano di raccolta e di gestione elaborato dall'Autorità portuale o dall' Autorità marittima insieme alla Regione (artt. 4 e 5).
Di particolare interesse per l'argomento in esame, tuttavia, è il comma 5 dell'art. 8 il quale stabilisce testualmente che " il conferimento dei rifiuti accidentalmente raccolti durante l'attivita' di pesca non comporta l'obbligo della corresponsione della tariffa di cui al comma 2. ". La dizione della norma, infatti, sembra implicitamente autorizzare, o, quanto meno, consentire il conferimento gratuito e diretto dei rifiuti "accidentalmente raccolti" (si noti che, giustamente, non si parla di "rifiuti prodotti") durante l'attività di pesca all'impianto portuale di raccolta. Tuttavia, in realtà la ratio della norma non sembra sia quello di autorizzare tale comportamento ma, più semplicemente, di esentare dal pagamento della tariffa il predetto conferimento, qualora avvenga. Tanto più che, come abbiamo detto, trattasi di rifiuti non prodotti a bordo di una nave; che, quindi, non potrebbero rientrare nell'ambito di questa regolamentazione.
Si sottolinea, infine, che nessuna responsabilità circa lo smaltimento di questi rifiuti può essere attribuita, comunque, a chi li ha "pescati" involontariamente. La giurisprudenza, infatti, con riferimento al citato art. 192 D. Lgs 152/06, ha più volte evidenziato che, come espressamente precisato dalla norma, nessuna responsabilità può esservi senza colpa 3 .
4 Considerazioni conclusive
In conclusione, sembra che, ai sensi del D. Lgs 152/06, chi detiene rifiuti acquisiti involontariamente durante attività di pesca possa essere considerato un semplice detentore (involontario) di rifiuti che deve, da un lato rispettare il divieto di (ri)scaricare a mare tali rifiuti, e dall'altro consegnare tali rifiuti (qualificati dalla legge, per questa fase, come "urbani") al soggetto pubblico (Comune) cui compete obbligatoriamente provvedere alla raccolta ed allo smaltimento-recupero degli stessi (cfr. anche art. 188, comma 1).
Ed è appena il caso di precisare che, in questo quadro, certamente non si può pretendere che il peschereccio soggiaccia agli obblighi previsti dal D. Lgs. 152/06 per il trasporto dei rifiuti, dato che non si tratta di trasporto voluto o programmato, ma "obbligato" per il rispetto della legge.
D'altro lato, ai sensi del D. Lgs 182/2003, sembra che questi rifiuti possano anche essere conferiti gratuitamente e direttamente agli impianti portuali di raccolta dei rifiuti prodotti da navi (inclusi i pescherecci, art. 3, comma 1, lett. a).
A questo punto, peraltro, potrebbe, a nostro sommesso avviso, inserirsi un collegamento tra le due normative citate. Infatti il piano di raccolta di questi rifiuti prodotti da navi prevede la consultazione anche degli " enti locali, dell'ufficio di sanita' marittima e degli operatori dello scalo o dei loro rappresentanti " e deve poi essere approvato dalla Regione che lo integra per gli aspetti relativi alla gestione dei rifiuti stessi (art. 5, commi 1 e 2). In quell'ambito, quindi, sarebbe opportuno inserire anche questa particolare problematica (che, come abbiamo visto, se anche esula dal nocciolo della legge, viene espressamente richiamata dall'art. 8, comma 5) e sancire, con apposita regolamentazione, che tali rifiuti devono essere conferiti e raccolti gratuitamente dagli impianti portuali di raccolta, con smaltimento o recupero in conformità alle direttive del sindaco emanate di intesa con la Regione, specie per gli oneri finanziari. In tal modo, peraltro, si potrebbe prevedere una apposita filiera per il loro recupero con l'intervento degli appositi Consorzi.
In assenza di questa eventuale, apposita regolamentazione, resta, tuttavia, certo che il peschereccio che involontariamente acquisisce rifiuti dal mare durante attività di pesca deve rispettare il divieto di riscaricarli in mare e, una volta tornato in porto, deve avvisare il sindaco cui compete l'obbligo di raccoglierli e gestirli secondo legge. In alternativa, se li conferisce direttamente agli impianti portuali di raccolta insieme ai rifiuti prodotti a bordo non è tenuto, per gli stessi, al pagamento di alcuna tariffa.
In conclusione, fermo restando che, a nostro avviso, la normativa è già chiara e direttamente applicabile, sarebbe certamente auspicabile ed opportuno un sollecito intervento legislativo o del Ministero dell'ambiente, che ribadisca e dettagli il quadro normativo sopra illustrato con indicazioni operative ed adeguata copertura finanziaria a favore dei Comuni interessati; prevedendo, altresì incentivi premiali per chi, raccogliendo involontariamente tali rifiuti, privilegia il rispetto della legge, evitando di rigettarli in mare, come oggi accade.
1 Cass. pen., sez. 6, 10 giugno 2005, n. 33034; conforme Id., 9 dicembre 2014, n. 51149
2 Cass. Pen. sez. 3, 12 giugno- 3 settembre 2018, n. 39430
3 Cfr. per tutte, da ultimo Cass.pen., sez. 3, 4 novembre 2014, n. 50634, De Ponte e, per la giurisprudenza amministrativa, Tar Sardegna, sez. I, n. 928, del 11 novembre 2014