Novità e complicazioni nella disciplina dei sottoprodotti : il d.m. 13 ottobre 2016, n. 264 specifica le moadalità di prova dei requisiti
di Bernardino ALBERTAZZI
RIFIUTI E NON-RIFIUTI
Nell’ordinamento giuridico nazionale la disciplina relativa ai residui di produzione è contenuta in quella relativa alla gestione dei rifiuti, cioè il Dlgs 152 del 2006 e s.m., come modificato ed integrato dal Dlgs n.205 del 2010, il quale contiene anche i criteri per distinguere ciò che è rifiuto da ciò che non lo è1:
1) o perché non lo è mai stato (si vedano in tal senso: a) la disciplina delle esclusioni di cui all’art.185 e b) la disciplina del “Sottoprodotto” di cui all’ articolo 184-bis),
2) o perché, pur essendo divenuto un rifiuto, è tornato ad essere un prodotto-non rifiuto in seguito allo svolgimento sul rifiuto stesso di un’attività di recupero ai sensi dell’art.184-ter relativo alla “Cessazione della Qualifica di Rifiuto”.
LA NOZIONE DI RIFIUTO NEL DLGS 152/2006
La normativa ambientale italiana, ed in particolare quella in materia di rifiuti è, come quella di tutti i Paesi membri della U.E., di stretta derivazione comunitaria. L’entrata in vigore della direttiva quadro rifiuti, Direttiva 2008/98/CE, ha obbligato il legislatore nazionale (che l’ha recepita grazie al Dlgs n.205 del 2010, entrato in vigore il 25 dicembre del medesimo anno) ad adeguare le norme vigenti nel settore alle più recenti norme comunitarie, soprattutto per quanto attiene ai concetti di “rifiuto”, “sottoprodotto” e “recupero”.
Recependo correttamente la nuova nozione comunitaria, la nuova lett.a) dell’art.183 del Dlgs 152/2006 e s.m. definisce: “rifiuto”: qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”2.
Rispetto alle previgenti direttive, il legislatore comunitario ha, per la prima volta, eliminato dalla nozione di rifiuto gli inutili riferimenti agli allegati, che contenevano: a) un elenco generico delle categorie dei rifiuti3, 2) un elenco armonizzato di rifiuti, che precisava immediatamente che “L’inclusione di un determinato materiale nell’elenco non significa tuttavia che tale materiale sia un rifiuto in ogni circostanza.
La classificazione del materiale come rifiuto si applica solo se il materiale risponde alla definizione di cui all’articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442/CEE”
I riferimenti agli allegati non servivano affatto a meglio specificare la nozione di rifiuto, ma finivano invece per alimentare ulteriore confusione in proposito. Ciò era stato confermato anche dalla Sentenza Corte di Giustizia CE, Sesta Sezione 18 aprile 2002, proc. C-9/00, Palin Granit Oy 22:
“L’art. 1, lett. a), comma 1, della direttiva 75/442 definisce rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi». L’allegato I della direttiva ed il CER specificano ed illustrano tale definizione, proponendo elenchi di sostanze ed oggetti che possono essere qualificati come rifiuti. Tali elenchi hanno tuttavia solo carattere indicativo e la qualificazione di rifiuti dipende soprattutto, come giustamente sottolinea la Commissione, dal comportamento del detentore, a seconda che egli voglia disfarsi o meno delle sostanze in oggetto. Di conseguenza l’ambito di applicazione della nozione di rifiuto dipende dal significato del termine «disfarsi» (sentenza 18 dicembre 1997, causa C-129/96, Inter-Environnement Wallonie, Racc. pag. I-7411, punto 26). 23”.
Anche la nozione di rifiuto, comunitaria, oggi vigente continua ad essere imperniata sul significato del termine “disfarsi”4. Tuttavia tale nozione viene circoscritta da due specifici articoli della direttiva 98/2008 e cioè dagli articoli 5 e 6, intitolati rispettivamente “Sottoprodotti” e “ Cessazione della qualifica di rifiuto”, che non trovano riscontro nelle norme previgenti, ma che costituiscono il recepimento nelle norme comunitarie di almeno una parte dell’elaborazione giurisprudenziale della Corte di giustizia degli ultimi dieci anni, in materia di rifiuto e non rifiuto (soprattutto per quanto attiene alla nuova nozione di “sottoprodotto”).
EVOLUZIONE DELLA La giurisprudenza comunitaria sulla nozione di rifiuto
La Corte di giustizia della Comunità Europea, unico interprete ufficiale e vincolante delle fonti comunitarie , cui il legislatore italiano è tenuto a conformarsi nel dettare le norme nazionali, si è più volte pronunciata, nell’ultimo trentennio, sulla nozione di rifiuto nel diritto comunitario. Fino alla metà degli anni novanta la Corte ha adottato degli orientamenti interpretativi molto restrittivi in ordine alla nozione di rifiuto, ed ha cominciato a modificare la propria giurisprudenza lasciando maggiore spazio all’area del “non rifiuto” solo verso la fine degli anni novanta.
Non v’è dubbio che, negli ultimi quindici anni la Corte di Giustizia abbia modificato la propria giurisprudenza, nel senso che ha interpretato la nozione di rifiuto in maniera meno restrittiva di quanto aveva fatto in passato. Essa inoltre, al fine di distinguere, in particolare, i residui di produzione che non divengono rifiuti dai rifiuti veri e propri, arriva a creare, passo dopo passo, sentenza dopo sentenza, la nozione di “sottoprodotto”, che si contrappone, appunto, a quella di “rifiuto”. Con la propria giurisprudenza la Corte delinea i “requisiti” del sottoprodotto e gli “indizi” della sua esistenza.
Il SOTTOPRODOTTO nel Dlgs 152
L’ Articolo 184-bis, relativo alla nozione di “Sottoprodotto”, del Dlgs 152 del 2006 e s.m., come sostituito dal Dlgs n.205 del 2010 , definisce tale nozione elencando, come già nel testo previgente, una serie di requisiti che devono essere tutti, contestualmente, soddisfatti ai fini della costituzione della nozione di sottoprodotto. Sono appunto “requisiti costitutivi”. Infatti la prima parte del comma afferma che:
“ È un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni”.
Si noti che la nozione di “sottoprodotto”, come quella di “rifiuto” fa riferimento a “qualsiasi sostanza od oggetto”.
Segue l’elencazione delle quattro condizioni costitutive.
Le condizioni previste dalla norma devono sussistere in maniera concorrente, sicché la mancanza di anche una sola di esse comporta inevitabilmente l’assoggettamento del materiale alla disciplina sui rifiuti5 .
Si sottolinea che il disposto dell’art.184-bis è immediatamente applicativo, nel senso che i criteri elencati non necessitano di alcuna ulteriore specificazione da parte dei decreti ministeriali previsti (come eventuali) dal comma secondo del medesimo articolo, ai sensi del quale:
“2. Sulla base delle condizioni previste al comma 1, possono essere adottate misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti. All’adozione di tali criteri si provvede con uno o più decreti del Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, in conformità a quanto previsto dalla disciplina comunitaria”.
Si sottolinea inoltre che, essendo quella di cui all’art.184-ter una normativa “in deroga” alla nozione di rifiuto, tutte le condizioni costitutive elencate in tale articolo dovranno essere provate, con onere della prova a carico del produttore che invoca l’esistenza del sottoprodotto anziché del rifiuto.
I REQUISITI DEL SOTTOPRODOTTO
In base alla condizione sub a) dell’art.184-bis, la sostanza o l’oggetto deve essere originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto.
In base alla condizione sub b) deve essere certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi.
In merito alla “certezza dell’utilizzo” della sostanza o dell’oggetto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha affermato che:
“incombe sull’interessato, anche successivamente alla modifica dell’art. 183, comma 1, lett. p), l’onere di fornire la prova” della destinazione del materiale ad ulteriore utilizzo, con certezza e non come mera eventualità” (Cass. pen. 18 gennaio 22 febbraio 2012, Fiorenza) .
Ciò significa che dovrà essere presente in azienda una documentazione idonea a dimostrarne l’utilizzo.
Resta fermo il principio - affermato e più volte ribadito dalla Corte di Giustizia del Lussemburgo - secondo il quale la valutazione della configurabilità di un sottoprodotto “non deve essere effettuata su ipotesi astratte, sussistendo invece l’obbligo di procedere ogni volta all’analisi delle specifiche situazioni di fatto”.
In base alla condizione sub c) la sostanza o l’oggetto deve poter essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale.
Nel testo la parola “direttamente” riferita all’utilizzo, equivale all’espressione “ in mancanza di trattamenti preventivi o trasformazioni preliminari”, sulla sostanza o l’oggetto, finalizzati a soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale.
A differenza del testo previgente, nel requisito sub c) , la mancanza di un ulteriore trattamento non è più un requisito “assoluto”, bensì relativo, in quanto i trattamenti sulla sostanza o l’oggetto sono consentiti, purchè essi non siano diversi da quelli effettuati “dalla normale pratica industriale”, ovverosia purchè essi siano affini ai trattamenti che vengono effettuati sulle materie prime, al fine di renderle idonee all’utilizzo nei processi produttivi.
In base alla condizione sub d) l’ulteriore utilizzo deve essere legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.
La norma attuale richiede che la sostanza o l’oggetto soddisfi, per l’utilizzo specifico (nel medesimo od in altro ciclo produttivo o di utilizzazione) , tutti i requisiti pertinenti riguardanti da una parte
1) i prodotti, e dunque richiede che le sostanze ed oggetti abbiano caratteristiche merceologiche affini ai prodotti che potranno essere sostituiti dai “sottoprodotti” e
2) la protezione della salute e dell’ambiente, similmente al previgente requisito sub 3).
NOVITÀ NELLA DISCIPLINA DEL SOTTOPRODOTTO: Il DECRETO 13 ottobre 2016, n. 264
È proprio sulla materia dei requisiti costitutivi del sottoprodotto che va ad incidere il recentissimo Decreto del Ministero dell’Ambiente 13 ottobre 2016, n. 264 “Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti”, pubblicato sulla G.U. Serie Generale n.38 del 15-2-2017, e dunque entrato in vigore il 2 marzo 2017.
Esso definisce nel proprio articolo 2: “ a) prodotto: ogni materiale o sostanza che è ottenuto deliberatamente nell’ambito di un processo di produzione o risultato di una scelta tecnica. In molti casi è possibile identificare uno o
piu' prodotti primari; b) residuo di produzione (di seguito «residuo»): ogni materiale o sostanza che non è deliberatamente prodotto in un processo di
produzione e che puo' essere o non essere un rifiuto; c) sottoprodotto: un residuo di produzione che non costituisce un rifiuto ai sensi dell’articolo 184-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.” .
Si deve rilevare che le nozioni di “prodotto” e di “residuo di produzione” non sono contemplate nel Dlgs 152, mentre quella di “sottoprodotto” fornita dal nuovo D.M. si limita a rinviare a quella di cui al Dlgs 1526.
Ambito di applicazione
Il nuovo D.M. si applica ai residui di produzione (come sopra definiti) e non si applica: a) ai prodotti, b) alle sostanze e ai materiali esclusi dal regime dei rifiuti ai sensi dell’articolo 1857 del Dlgs 152/2006, c) ai residui derivanti da attività di consumo.
Il nuovo D.M. fa salve le disposizioni speciali adottate per la gestione di specifiche tipologie e categorie di residui, tra cui le norme in materia di gestione delle terre e rocce da scavo8.
Il decreto premette che “- il regime dei sottoprodotti contribuisce alla dissociazione della crescita economica dalla produzione di rifiuti in quanto favorisce l’innovazione tecnologica per il riutilizzo di residui di produzione nel medesimo o in un successivo ciclo produttivo, limita la produzione di rifiuti, nonchè riduce il consumo di materie prime vergini; - l’impiego dei sottoprodotti non puo' prescindere da un quadro normativo e amministrativo certo, con particolare riferimento alle modalità con le quali il produttore e l’utilizzatore possono dimostrare che sono soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 184-bis, comma 1, del decreto legislativo 3aprile 2006, n. 152;”. Dopodichè il D.M. qualifica se stesso come decreto applicativo (“Ritenuto di stabilire”) dei criteri di cui all’articolo 184-bis, comma 2, del Dlgs n. 152 del 2006 . Tuttavia il nuovo decreto fa riferimento più specificatamente a “criteri affinchè specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti e alcune modalità con le quali il detentore puo' dimostrare che sono soddisfatte le condizioni di cui al citato articolo 184-bis, comma 1”.
In verità, come sopra già rilevato, il comma secondo dell’ articolo 184-bis si limita a prevedere la possibilità che il Ministro dell’Ambiente adotti uno o più decreti contenenti misure per “stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti”, senza fare alcun riferimento alle “ modalità con le quali il detentore puo' dimostrare che sono soddisfatte le condizioni di cui al citato articolo 184-bis, comma 1”.
Il nuovo D.M. non stabilisce affatto criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti, come è avvenuto invece nel caso del Decreto 10 agosto 2012 , n. 161 “Regolamento recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo”, che è invece applicativo del comma secondo dell’ articolo 184-bis.
Quindi, semmai, il D.M. in esame può considerarsi solo parzialmente applicativo del disposto di cui all’art-184-bis, comma 2.
MODALITÀ DI DIMOSTRAZIONE DEI REQUISITI COSTITUTIVI DEL SOTTOPRODOTTO
Tale affermazione è immediatamente confermata dal disposto del primo comma dell’articolo 1 del decreto, ai sensi del quale “per assicurare maggiore
uniformità nell’interpretazione e nell’applicazione della definizione di rifiuto, il presente decreto definisce alcune modalità con le quali il detentore puo' dimostrare che sono soddisfatte le condizioni generali di cui all’articolo 184-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”.
Non si tratta quindi o non esclusivamente delle norme applicative del comma secondo dell’ articolo 184-bis, bensì dell’indicazione (non prevista da alcuna norma di cui al decreto 152) di alcune modalità con le quali il detentore puo' dimostrare che sono soddisfatte le condizioni generali (i requisiti costitutivi) che costituiscono la fattispecie del sottoprodotto . È evidente che tale è la funzione principale del nuovo D.M., come risulta peraltro anche dal titolo “criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti”. Si sottolinea quindi come tale decreto abbia una funzione diversa e sostanzialmente più ampia rispetto al Decreto 10 agosto 2012 , n. 161 .
È noto che gli Stati membri dell’Unione europea possiedono la facoltà di porre in essere normative atte a “scegliere le modalità di prova dei diversi elementi definiti nelle direttive da essi trasposte” (nel caso specifico relative ai requisiti del sottoprodotto), come è confermato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Si veda sotto tale profilo ad es. la SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione) 11 novembre 2004-Niselli, che afferma “In mancanza di disposizioni comunitarie, gli Stati membri sono liberi di scegliere le modalità di prova dei diversi elementi definiti nelle direttive da essi trasposte, purché ciò non pregiudichi l’efficacia del diritto comunitario (v., in particolare, sentenza 15 giugno 2000, cause riunite C 418/97 e C 419/97, ARCO Chemie Nederland e a., Racc. pag. I 4475, punto 41).”
Tuttavia, prima del nuovo D.M., non erano state poste in essere, nel nostro ordinamento giuridico, norme relative ai mezzi di prova del sottoprodotto e dunque vigeva (ed in parte ancora vige) il principio della libertà di prova9.
Anche quanto disposto dal successivo comma secondo del nuovo D.M.:
“ 2. I requisiti e le condizioni richiesti per escludere un residuo di produzione dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti sono valutati ed accertati alla luce del complesso delle circostanze e devono essere soddisfatti in tutte le fasi della gestione dei residui, dalla produzione all’impiego nello stesso processo o in uno successivo.” riprende pressochè pedissequamente alcuni arresti di sentenze della Corte di Giustizia (aventi ad oggetto il rapporto tra residui di produzione e rifiuti), confermando chiaramente che il D.M. è volto essenzialmente a fornire elementi utili (fonti di prova) alla distinzione tra rifiuto e non rifiuto, nel caso specifico dei residui di produzione.
Ancora più chiaramente il terzo comma dell’articolo 1 ci dice che l’allegato 1 del D.M., oltre a fornire un elenco delle principali norme che regolamentano l’impiego dei residui, suddiviso per categorie di residui produttivi, contiene altresì “una serie di operazioni e di attività che possono costituire normali pratiche industriali, alle condizioni previste dall’articolo 6”.
Il D.M. è cioè finalizzato anche dare un contenuto concreto al requisito costitutivo del sottoprodotto (già sopra analizzato) ai sensi del quale “c) la sostanza o l’oggetto può
essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;”. Tale risultato è conseguito tramite il disposto del
richiamato articolo 6 “Utilizzo diretto senza trattamenti diversi dalla normale pratica industriale” .
Più in generale, quindi , il D.M. in esame ha il compito principale di specificare tutti i requisiti costitutivi del sottoprodotto, come chiaramente affermato dall’articolo quarto del decreto, che fa riferimento all’ individuazione degli elementi di prova che il produttore deve fornire per dimostrare concretamente che sono soddisfatte tutte le condizioni del sottoprodotto.
Ed in effetti i successivi articoli 5 e 6 del D.M. sono finalizzati ad indicare alcune “modalità con cui provare la sussistenza” dei requisiti costitutivi del sottoprodotto , “fatta salva la possibilità di dimostrare, con ogni mezzo ed anche con modalità e con riferimento a sostanze ed oggetti diversi da quelli precisati nel nuovo decreto, o che soddisfano criteri differenti, che una sostanza o un oggetto derivante da un ciclo di produzione non è un rifiuto, ma un sottoprodotto”.
Se ne deduce che né l’elencazione dei residui di produzione qualificati come sottoprodotti, né le modalità di prova della sussistenza dei requisiti costitutivi del sottoprodotto, elencate nel D.M., possono considerarsi “esaustive” ma sono solo meramente esemplificative. Per tale motivo si può affermare che rimane vigente, almeno in parte, il principio della libertà di prova dei requisiti del sottoprodotto.
Il D.M. prevede l’istituzione di un apposito elenco pubblico, dei produttori e degli utilizzatori del sottoprodotto, istituito presso le Camere di commercio territorialmente competenti.
LA Certezza dell’utilizzo
L’articolo 5 è finalizzato ad individuare gli elementi di prova del requisito della “Certezza dell’utilizzo”, cioè quello definito dalla lett.b) dell’art.184-bis del decreto 152. Esso afferma che il requisito della certezza dell’utilizzo deve essere dimostrato a) dal produttore al momento della produzione del residuo e b) dal detentore al momento dell’impiego dello stesso.
I requisiti sub a) e b) non sono ricavabili in maniera così puntuale dall’art.184-bis, tuttavia più volte la giurisprudenza vi aveva fatto riferimento, in relazione alla nozione del sottoprodotto, nella nozione originaria del Dlgs 152 del 2006.
Sotto tale profilo si veda: Cass. Sez. III n. 44295 del 28 novembre 2007 “…Altrettanto errato si palesa il riferimento alla nozione di sottoprodotto di cui all’art. 183, comma primo lett. n), dello stesso decreto legislativo, richiedendosi anche dalla norma citata la certezza oggettiva del reimpiego del materiale costituente sottoprodotto, nel momento stesso della sua produzione, certezza che va esclusa in considerazione delle descritte modalità di accumulo per un lasso di tempo particolarmente rilevante”.
In relazione al medesimo profilo (certezza dell’utilizzo sin dalla produzione del residuo/sottoprodotto) si può osservare che il Decreto 10 agosto 2012 , n. 161 “Regolamento recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo” dispone che “Il Piano di Utilizzo del materiale da scavo è presentato dal proponente all’Autorità competente almeno novanta giorni prima dell’inizio dei lavori per la realizzazione dell’opera” e che “Il Piano di Utilizzo deve definire:
..2. ubicazione dei siti di utilizzo e individuazione dei processi industriali di impiego dei materiali da scavo ..”
Per quanto attiene agli obblighi dell’utilizzatore del sottoprodotto, il medesimo decreto dispone che: “Art. 12 Dichiarazione di avvenuto utilizzo - D.A.U.
1. L’avvenuto utilizzo del materiale escavato in conformità al Piano di Utilizzo è attestato dall’ esecutore all’autorità competente, mediante una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà di cui all’articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, in conformità all’allegato 7 e corredata della documentazione completa richiamata al predetto allegato”.
Il nuovo D.M. n. 264 prevede che il produttore e il detentore assicurino, ciascuno per quanto di propria competenza, l’organizzazione e la continuità di un sistema di gestione, del quale fanno parte le fasi di deposito e trasporto, che, per tempi e per modalità, consenta l’identificazione e l’utilizzazione effettiva del sottoprodotto.
Per quanto attiene al deposito ed al trasporto del sottoprodotto deve essere osservata la disciplina di cui all’ articolo 810.
Recependo l’insegnamento della giurisprudenza, il D.M. afferma correttamente che si applica la disciplina in materia di rifiuti ai residui di produzione, qualora, in considerazione delle modalità di deposito o di gestione dei
materiali o delle sostanze, siano accertati l’intenzione, l’atto o il fatto di disfarsi degli stessi11. Sotto tale profilo si richiama la recente Sentenza Corte Cass. Sez. III n. 29069 del 8 luglio 2015 –Dappi che afferma: “Certamente indice rivelatore dell’intenzione di disfarsi - ove essa non si sia sostanziata, in modo di per sé incompatibile con un altro diverso atteggiamento della volontà, in un abbandono da parte del detentore e nella conseguente perdita di ogni possibilità di suo controllo su detti beni - potrà essere, oltre alla tipologia di essi, la modalità con la quale i detti materiali sono depositati. È, infatti, di tutta evidenza che un deposito di materiali che già hanno esaurito la loro utilità principale secondo modalità che non fanno ritenere che gli stessi siano più suscettibili di fornirne una ulteriore, lascia legittimamente presumere all’interprete che di questi il detentore si sia in tal modo disfatto ovvero abbia l’intenzione di disfarsene”.
La certezza dell’utilizzo, secondo il D.M., è dimostrata12 dall’analisi: 1) delle modalità organizzative del ciclo di produzione, 2) delle caratteristiche, o della documentazione relative alle attività dalle quali originano i materiali impiegati, 3) del processo di destinazione.
Nell’ambito delle elencate tre fasi deve essere valutata, in particolare, la congruità tra la tipologia, la quantità e la qualità dei residui da impiegare e l’ utilizzo previsto per gli stessi.
Mentre la disposizione sopra esplicitata risulta avere una portata universale, viene invece fissata una regola specifica per la dimostrazione della certezza dell’utilizzo di un residuo in un ciclo di produzione diverso da quello da cui è originato13.
La regola introdotta dal D.M. richiede che l’ attività o l’impianto in cui il residuo deve essere utilizzato sia individuato o individuabile già al momento della produzione dello stesso. L’ovvia conseguenza è che non costituirebbe un sottoprodotto ma un rifiuto un residuo di produzione per il quale, al momento della sua generazione, il produttore non conoscesse già tutti i dati dell’impianto nel quale sarà utilizzato. Il riferimento all’impianto “individuabile” sembra lasciare aperta la possibilità che il produttore destini il sottoprodotto ad uno dei più impianti con i quali ha concluso accordi e contratti di utilizzo, decidendo quale solo successivamente al momento della generazione del sottoprodotto14.
Ciò trova immediata conferma nel disposto di cui al quarto comma il quale afferma che ( “ai fini di cui al comma 3”), costituisce elemento di prova l’esistenza di rapporti o impegni contrattuali tra il produttore del residuo, eventuali intermediari15 e gli utilizzatori, dai quali si evincano le informazioni relative: a) alle caratteristiche tecniche dei sottoprodotti, b) alle relative modalità di utilizzo e c) alle condizioni della cessione che devono risultare vantaggiose e assicurare la produzione di una utilità economica o di altro tipo.
Dunque quella sopra rassegnata è la norma-perno dell’intero D.M. . L’ elemento di prova più importante che qualifica quali sottoprodotti determinati residui di produzione è l’esistenza di rapporti o impegni contrattuali (che contengano le informazioni richieste dal D.M. e , dunque, in forma scritta) tra il produttore del residuo, eventuali intermediari e gli utilizzatori.
L’ultima condizione da soddisfare (vantaggiosità e produzione di una utilità economica o di altro tipo della cessione) sembra voler recuperare un importante insegnamento della giurisprudenza comunitaria e nazionale.
Sotto tale profilo si veda: Sentenza della Corte di Giustizia (Sesta Sezione) 11 settembre 2003 , AvestaPolarit Chrome Oy: “Oltre al criterio derivante dalla natura o meno di residuo di produzione di una sostanza, il grado di probabilità di riutilizzo di tale sostanza, senza operazioni di trasformazione preliminare, costituisce un secondo criterio utile ai fini di valutare se essa sia o meno un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442. Se, oltre alla mera possibilità di riutilizzare la sostanza, il detentore consegue un vantaggio economico nel farlo, la probabilità di tale riutilizzo è alta. In un'ipotesi del genere la sostanza in questione non può più essere considerata un ingombro di cui il detentore cerchi di "disfarsi", bensì un autentico prodotto”.
Corte di Cassazione, Sez. III, sent. n. 35235 del 12-09-2008: “il residuo del processo produttivo non viene abbandonato, ma gestito come sottoprodotto se il detentore o produttore di sostanze ricavate da un processo produttivo destinato principalmente ad altre produzioni riceve un vantaggio economico anche dall’utilizzo dei residui ”.
Si sottolinea inoltre che i parametri della vantaggiosità e produzione di una utilità economica o di altro tipo della cessione non sono previsti esplicitamente dalla Direttiva-quadro rifiuti 98/2008 né dall’art.184-bis del Dlgs 152.
MANCANZA DEI DOCUMENTI CHE PROVANO L’ESISTENZA DEI REQUISITI COSTITUTIVI
Il nuovo D.M. prevede che, in mancanza della documentazione esplicitata nel comma 4, cioè dell’ “esistenza di rapporti o impegni contrattuali tra il produttore del residuo, eventuali intermediari e gli utilizzatori” (che, come detto, il D.M. ritiene essere la prova principe dell’esistenza del sottoprodotto) il requisito della certezza dell’utilizzo e l’intenzione di non disfarsi del residuo16 sono dimostrati mediante la predisposizione di una scheda tecnica contenente le informazioni indicate all’allegato 2, necessarie a consentire l’identificazione dei sottoprodotti dei quali è previsto l’impiego e l’individuazione delle caratteristiche tecniche degli stessi, nonchè del settore di attività o della tipologia di impianti idonei ad utilizzarli.
Anche tale disposto indica chiaramente che il D.M. intende formalizzare alcuni elementi di prova necessari per distinguere il rifiuto dal non-rifiuto (“il requisito della certezza dell’utilizzo e l’intenzione di non disfarsi del residuo sono dimostrati” ).
Il nuovo D.M. dà vita ad una specifica “scheda tecnica” (non prevista per tutti gli altri prodotti che non siano sottoprodotti) finalizzata a dimostrare la sussistenza degli elementi costitutivi del sottoprodotto, nei casi in cui il produttore sia privo di rapporti o impegni contrattuali con gli utilizzatori.
Nella scheda tecnica sono indicate tempistiche e modalità che sono ritenute congrue per il deposito e per la movimentazione dei sottoprodotti, dalla produzione
del residuo, fino all’utilizzo nel processo di destinazione.
In caso di modifiche sostanziali del processo di produzione o di destinazione del sottoprodotto, tali da comportare variazioni delle informazioni rese, deve essere predisposta una nuova scheda tecnica.
Le caratteristiche della “scheda tecnica” sono tali da poter tranquillamente affermare che il Ministero abbia voluto porre in essere, con il nuovo DM, dei nuovi obblighi, per i produttori e gli utilizzatori dei sottoprodotti, che sono analoghi a quelli relativi alla gestione dei rifiuti, senza che esista una norma di legge che lo preveda esplicitamente (anziché parificare l’utilizzo dei sottoprodotti all’utilizzo delle materie prime vergini) .
Le schede tecniche cit. devono essere numerate, vidimate e gestite con le procedure e le modalità fissate dalla normativa sui registri IVA.
Gli oneri connessi alla tenuta delle schede si intendono correttamente adempiuti anche qualora sia utilizzata carta formato A4, regolarmente vidimata e numerata. Le schede sono vidimate, senza oneri economici, dalle Camere di commercio territorialmente competenti.
Anche le modalità di gestione delle schede tecniche richiamano da vicino quelle dei registri di carico e scarico17, di cui sono la fedele copia .
Comunque, sia nel caso in cui il produttore possa dimostrare l’esistenza di rapporti o impegni contrattuali tra il produttore del residuo, eventuali intermediari e gli utilizzatori, sia nel caso in cui il produttore predisponga invece la Scheda tecnica, egli deve conservare per tre anni e rendere disponibile all’ autorità di controllo la documentazione indicata per le specifiche ipotesi.
Si riporta di seguito l’ Allegato 2 “SCHEDA TECNICA E DICHIARAZIONE DI CONFORMITÀ” (rese ai sensi dell’articolo 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445)
“ La scheda tecnica e la dichiarazione di conformità di cui agli
articoli 5 e 7 del presente decreto devono contenere le seguenti informazioni:
Numero di riferimento
Data di emissione
Anagrafica del produttore
. Denominazione sociale - CF/P.IVA;
. Indirizzo della sede legale e della sede operativa
Impianto di produzione
. Indirizzo
. Autorizzazione / Ente rilasciante Data di rilascio
. Descrizione e caratteristiche del processo di produzione
. Indicazione dei materiali in uscita dal processo di produzione
(prodotti, residui e rifiuti)
Informazioni sul sottoprodotto
. Tipologia e caratteristiche del sottoprodotto e modalità di produzione
. Conformità del sottoprodotto rispetto all’impiego previsto
Destinazione del sottoprodotto
. Tipologia di attività o impianti di utilizzo idonei ad utilizzare il residuo;
. Impianto o attività o di destinazione
. Riferimenti di eventuali intermediari
Tempi e modalità di deposito e movimentazione
. Modalità di raccolta e deposito del sottoprodotto
. Indicazione del luogo e delle caratteristiche del deposito e di eventuali depositi intermedi
. Tempo massimo previsto per il deposito a partire dalla produzione fino all’impiego definitivo
. Modalità di trasporto
Organizzazione e continuità del sistema di gestione
. Descrizione delle tempistiche e delle modalità di gestione
finalizzate ad assicurare l’identificazione e l’utilizzazione effettiva del sottoprodotto.
Luogo e data (gg/mm/aaaa)
Sottoscrizione
LA normale pratica industriale
Sul concetto di “normale pratica industriale” sembra opportuno richiamare la lettura assai rigorosa fornitane dalla Corte di Cassazione penale, a partire dalla Sentenza della sezione III, 17 aprile 2012, n. 17453, ai sensi della quale: “Sebbene la delimitazione del concetto di "normale pratica industriale" non sia agevolata dalla genericità della disposizione, certamente deve escludersi che possa ricomprendere attività comportanti trasformazioni radicali del materiale trattato che ne stravolgono l’originaria natura...
Deve propendersi, ad avviso del Collegio, per un'interpretazione meno estensiva dell’ambito di operatività della disposizione in esame e tale da escludere dal novero della normale pratica industriale tutti gli interventi manipolativi del residuo diversi da quelli ordinariamente effettuati nel processo produttivo nel quale esso viene realizzato.
Tale lettura della norma, suggerita dalla dottrina e che considera conforme alla normale pratica industriale quelle operazioni che l’impresa normalmente effettua sulla materia prima che il sottoprodotto va sostituire, sembra maggiormente rispondente ai criteri generali di tutela dell’ambiente cui si ispira la disciplina in tema di rifiuti, rispetto ad altre pur autorevoli opinioni che, ampliando eccessivamente il concetto, rendono molto più incerta la delimitazione dell’ambito di operatività della diposizione e più alto il rischio di una pratica applicazione che ne snaturi, di fatto, le finalità" (Cassazione penale, sez. III, 17 aprile 2012, n. 17453)”.
Ancora più recentemente nella sentenza della Corte di Cassazione, Sez. III n. 40109 del 6 ottobre 2015, Silvestri, si legge che nel concetto di "normale pratica industriale" vanno ricompresi :
“tutti i trattamenti o gli interventi (non di trasformazione o di recupero completo) i quali non incidono o fanno perdere al materiale la sua identità e le caratteristiche merceologiche e di qualità ambientale che esso già possiede - come prodotto industriale (all’esito del processo di lavorazione della materia prima) o come sottoprodotto (fin dalla sua origine, in quanto residuo produttivo) — ma che si rendono utili o funzionali per il suo ulteriore e specifico utilizzo, presso il produttore o presso altri utilizzatori (anche in altro luogo e in distinto processo produttivo), come le operazioni: di lavaggio, essiccazione, selezione, cernita, vagliatura, macinazione, frantumazione, ecc..”.
L’art. 6 del nuovo D.M. “ Utilizzo diretto senza trattamenti diversi dalla normale pratica industriale” specifica, con riferimento ai residui di produzione, il significato del termine “normale pratica industriale” utilizzato dall’art.184 bis, lett.c) e richiamato dall’articolo 4, comma 1, lettera c) del nuovo D.M..
Afferma infatti, in negativo, che “non costituiscono normale pratica industriale” (e dunque qualificherebbero come “rifiuto” il residuo di produzione) “ i processi e le operazioni necessari per rendere le caratteristiche ambientali della sostanza o dell’oggetto idonee a soddisfare, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e a non portare a impatti complessivi negativi sull’ambiente”.
Tale comma afferma appunto che non rientrano, in ogni caso, nella normale pratica industriale le attività e le operazioni finalizzate a soddisfare il requisito costitutivo di cui all’art.184-bis, lett.d).
I medesimi processi ed operazioni, finalizzate a soddisfare il requisito costitutivo di cui all’art.184-bis, lett.d), costituiscono invece normale pratica industriale nel caso in cui siano effettuate nel medesimo ciclo produttivo, secondo quanto disposto al comma secondo del medesimo articolo 6.
Requisiti di impiego e di qualità ambientale
Per quanto attiene alla dimostrazione del requisito costitutivo di cui all’art.184-bis, lett.d), da parte dell’utilizzatore, l’articolo 7 del D.M. afferma che la scheda tecnica di cui all’allegato 2 contiene, tra l’altro, le informazioni necessarie a consentire la verifica delle caratteristiche del residuo e la conformità dello stesso rispetto al processo di destinazione e all’impiego previsto.
Tale disposizione non prevede alcuna alternativa rispetto all’esistenza della scheda tecnica, il che fa dedurre che se essa non è obbligatoria per dimostrare il requisito della certezza dell’utilizzo, lo diventa invece ai fini della dimostrazione del requisito costitutivo di cui all’art.184-bis, lett.d), per cui solo i soggetti che utilizzano i propri sottoprodotti non saranno obbligati a predisporla.
Ciò trova conferma nel comma successivo ai sensi del quale, in caso di cessione del sottoprodotto da parte del produttore ad un intermediario o ad un utilizzatore, la conformità dello stesso rispetto a quanto indicato nella scheda tecnica è oggetto di una apposita dichiarazione, sottoscritta in base al modello di cui all’allegato 2. In caso di modifiche sostanziali del processo di produzione o di destinazione, tali da comportare variazioni delle informazioni rese, deve essere sottoscritta una nuova dichiarazione di conformità.
Allegato 2 - Dichiarazione di conformità
. Esatta ed univoca denominazione del sottoprodotto
. Tipologia del sottoprodotto e descrizione
. Indicazione della tipologia di attività o impianti idonei ad
utilizzare il residuo
. Eventuali riferimenti normativi che disciplinano le
caratteristiche di impiego del sottoprodotto
. Dichiarazione che il residuo è conforme alla scheda tecnica
. Luogo e data (gg/mm/aaaa)
. Sottoscrizione
deposito e movimentazione dei sottoprodotti
Il nuovo D.M. introduce, nell’art.8, una specifica disciplina del deposito e della movimentazione dei sottoprodotti. Il sottoprodotto, fino a quando non sia effettivamente utilizzato, deve essere depositato e movimentato nel rispetto: a) “delle specifiche norme tecniche”, se disponibili, e b) “delle regole di buona pratica”.
Devono essere evitati gli spandimenti accidentali e la contaminazione delle matrici ambientali e deve essere prevenuta e minimizzata la formazione di emissioni diffuse e la diffusione di odori.
Le rassegnate disposizioni confermano che le norme introdotte sui sottoprodotti sono del tutto analoghe a quelle in materia di rifiuti. Vero è che una specifica disciplina del deposito e della movimentazione dei sottoprodotti è già presente nel decreto 161/2012 in materia di terre e rocce da scavo e che anch’essa è stata posta in essere sulla base dei medesimi (discutibili) presupposti.
Nelle fasi di deposito e trasporto del sottoprodotto devono essere garantite:
a) la separazione dei sottoprodotti da rifiuti, prodotti, o oggetti, o sostanze con differenti caratteristiche chimico fisiche, o destinati a diversi utilizzi;
b) l’adozione delle cautele necessarie ad evitare l’insorgenza di qualsiasi problematica ambientale, o sanitaria, nonchè fenomeni di combustione, o la formazione di miscele pericolose, o esplosive;
c) l’adozione delle cautele necessarie ad evitare l’alterazione delle proprietà chimico-fisiche del sottoprodotto, o altri fenomeni che possano pregiudicarne il successivo impiego;
d) la congruità delle tempistiche e delle modalità di gestione, considerate le peculiarità e le caratteristiche del sottoprodotto, nel rispetto di quanto indicato nella scheda tecnica .
Le disposizioni di cui sopra confermano la diffidenza dell’estensore ministeriale verso i sottoprodotti, in relazione ai quali vengono costantemente riprodotte le norme in materia di rifiuti.
A seguito della predisposizione della scheda tecnica e della sottoscrizione della dichiarazione di conformità (quindi non nei casi in cui tali documenti non siano stati legittimamente predisposti), il deposito ed il trasporto possono essere effettuati “anche accumulando sottoprodotti provenienti da diversi impianti o attività”, purchè abbiano le medesime caratteristiche e non ne vengano alterati i requisiti che ne garantiscono l’utilizzo .
responsabilità del produttore o del cessionario
Infine il quarto comma afferma che la responsabilità del produttore o del cessionario in relazione alla gestione del sottoprodotto è limitata alle fasi precedenti alla consegna dello stesso all’utilizzatore o a un intermediario.
Ciò significa che le due citate tipologie di soggetti (produttore o cessionario) non rispondono mai della “mala gestio” dell’ utilizzatore o di un intermediario.
Supponiamo infatti che il produttore ceda i propri residui di produzione, una volta accertato, anche ai sensi del nuovo D.M., che essi possiedono tutti i requisiti del sottoprodotto, ma poi l’intermediario o l’utilizzatore, con i quali aveva stipulato i contratti, non rispettino gli obblighi vigenti per il loro utilizzo, facendo venir meno quindi la loro qualifica di sottoprodotti e concretizzando quindi l’applicabilità agli stessi delle norme sui rifiuti. In tale caso il produttore rimarrebbe indenne da qualunque responsabilità (riteniamo relativa all’applicazione, non prevista al momento della produzione, delle norme in materia di rifiuti).
In caso, invece, di impiego da parte del produttore medesimo, lo stesso conserva la responsabilità per la gestione del sottoprodotto nella fase di utilizzo.
CONCLUSIONI
Considerando che l’estensore ministeriale del nuovo D.M. si dichiara consapevole che il regime dei sottoprodotti contribuisce alla dissociazione della crescita economica dalla produzione di rifiuti in quanto favorisce l’innovazione tecnologica per il riutilizzo di residui di produzione , limita la produzione di rifiuti, e riduce il consumo di materie prime vergini e che la finalità ultima del nuovo decreto dovrebbe consistere nel fornire nuovi strumenti normativi per favorire l’utilizzazione dei sottoprodotti, non sembra proprio che le norme contenute nel decreto possano centrare gli obiettivi prefissati. Come già rilevato, il nuovo D.M. ha predisposto una disciplina dei sottoprodotti in tutto e per tutto analoga a quella dei rifiuti, in relazione agli obblighi documentali richiesti. Tale assai rigorosa e burocratica nuova disciplina è indubbiamente frutto di una grande diffidenza dell’estensore verso i possibili utilizzi illeciti dei sottoprodotti. Diffidenza che trova certamente fondamento nelle prassi del passato del nostro Paese ma che sembra, in verità, eccessiva e tale da frustrare la possibilità che i sottoprodotti vengano largamente utilizzati in sostituzione delle materie prime vergini.