IL CONFERIMENTO IN DISCARICA DI RIFIUTI NON PERICOLOSI
Riflessioni interpretative
A seguito dell’entrata in vigore della “Direttiva discariche” e dei provvedimenti italiani di recepimento: D.L.vo 36/2003 del 13/01/03 e D.M. 13/03/03 previsto dal primo al suo art.7 comma 5 (il secondo, per il “gioco” delle ritardate pubblicazioni in G.U. e della vacatio legis è entrato in vigore prima, pur dovendo essere una disposizione collegata e conseguente!!), nelle discariche di rifiuti non pericolosi potranno essere conferiti “solo dopo trattamento” :
· Rifiuti urbani
· Rifiuti non pericolosi di qualsiasi altra origine che soddisfano i criteri di ammissione dei rifiuti previsti dalla normativa vigente
· Rifiuti pericolosi stabili e non reattivi a determinate condizioni stabilite dal D.M. 13/03/03 (tipologia che comporta problemi interpretativi non presi in esame nel presente studio)
Per i rifiuti inerti e per i rifiuti pericolosi sono previste specifiche discipline contenute nei provvedimenti medesimi.
Il “trattamento” è definito in modo da comprendere i processi fisici, termici, chimici o biologici, inclusa la cernita, in modo da ridurre il volume, la natura pericolosa, facilitare il trasporto (la direttiva 31/1991/CE, in inglese, parlerebbe in realtà di “manipolazione”), agevolare il recupero, favorire lo smaltimento in sicurezza (questa ultima ipotesi non è presente nella direttiva citata).
I rifiuti il cui trattamento non contribuirebbe al raggiungimento delle finalità espresse dall’art. 2 D.L.vo 22/97 (protezione ambiente, controlli efficaci) poiché non si ridurrebbero le quantità (volume o massa?) o i rischi per la salute umana e l’ambiente ovvero non sarebbe necessario per rispettare i limiti fissati dalla normativa vigente (ormai occorre fare riferimento al D.M. 13/03/2003?), possono essere conferiti in discarica senza previo “trattamento”.
Per i rifiuti urbani (come definiti dal D.L.vo 22/97) il D.M. 13/03/03 prevede l’esclusione dalla caratterizzazione analitica (sarebbe a carico del produttore o del “gestore” prima del conferimento in discarica) se rientrano tra quelli classificati come non pericolosi nel capitolo 20 del C.E.R. e se “sottoposti a trattamento”; la stessa esclusione vale per le porzioni non pericolose dei rifiuti domestici raccolte separatamente e per gli stessi rifiuti non pericolosi di altra origine, ma di analoga composizione (la Decisione del Consiglio 2003/33/CE, dalla quale discende in sostanza il D.M. del 13.03.2003, recita “gli stessi materiali non pericolosi di altra origine”). Questi ultimi sembrerebbero i rifiuti assimilabili (italiani) ai fini dello smaltimento, già previsti dalla D.I. 27.07.1984.
L’ammissione in discarica di rifiuti (speciali) non pericolosi senza previa caratterizzazione analitica sarà possibile dopo l’elaborazione di una lista positiva degli stessi emanata con decreto ministeriale (per le discariche di inerti è già prevista nel D.M. 13.03.2003 con un piccolo scostamento da quella analoga contenuta nella Decisione del Consiglio 2003/33/CE)
Il D.M. 13.03.2003 stabilisce che tutti gli altri rifiuti non pericolosi (non urbani, non inseriti nella lista) per essere smaltiti in discariche (per rifiuti non pericolosi) devono avere determinate caratteristiche chimico fisiche (concentrazione di sostanza secca e concentrazione di sostanze nell’eluato come da specifica tabella); si rende necessaria pertanto la caratterizzazione analitica secondo precisi metodi (test cessione allegato 2 D.M. 13/03/2003).
Dall’analisi delle varie disposizioni di cui sopra emergono alcuni problemi interpretativi:
· quali sono le “normative vigenti” cui fare riferimento per i limiti genericamente richiamati nelle disposizioni?
· sono ancora efficaci le condizioni per l’ammissione di rifiuti speciali in impianti di discarica con le caratteristiche “di prima categoria” contenute nel paragrafo 1.1.1 della Delibera Interministeriale 27/07/1984?
· e quelle del paragrafo 1.1.2 stessa deliberazione?
· il trattamento che viene reso obbligatorio è una operazione di smaltimento/recupero come definite dal D. L.vo 22/97 e dalle Direttive Comunitarie?
Cercare di fornire risposte logiche a queste domande può sembrare sterile esercizio, ma in realtà comporta molte conseguenze sulle procedure gestionali di impianti e servizi oltre che su alcuni aspetti di “fiscalità speciale”.
Proviamo a procedere con ordine.
“NORMATIVE VIGENTI”
In merito alle “normative vigenti” il comma 2 dell’art. 17 d. l.vo 36/03 stabilisce una deroga, per le discariche nuove, all’abrogazione generale delle disposizioni relative alle discariche (allora stoccaggi definitivi) contenute nella deliberazione Interministeriale del 27.07.1984, abrogazione generale contenuta nel comma 6 stesso articolo. Tale deroga del resto è ribadita proprio nel comma 6 citato ove si legge “ ai fini di cui al comma 2 ( smaltimento di rifiuti nelle nuove discariche) restano validi fino al 16 luglio 2005 i valori limite e le condizioni di ammissibilità previsti dalla deliberazione” (interministeriale).
Sembra che possa esistere un terzo genere tra le discariche già autorizzate al 27.03.2003 (per le quali è prevista una procedura di adeguamento) e le discariche autorizzate successivamente a tale data, le quali dovrebbero avere le caratteristiche costruttive previste dalla nuova normativa e ricevere i rifiuti espressamente previsti nelle loro autorizzazioni, rispettando i limiti e le condizioni del D.M. emanato in attuazione dell’art. 7 comma 5 d.l.vo 36/2003.
Per quale motivo far riferimento a “vecchie” condizioni e limiti di accettabilità (ovvero valori limite e condizioni di ammissibilità) fino al 16 luglio 2005, per discariche la cui autorizzazione è stata rilasciata dopo l’entrata in vigore del D.L.vo 36/2003 (27.03.03 e pertanto sono definite nuove), oltre che successivamente a nuove disposizioni contenenti “criteri di ammissione in discarica di rifiuti” cioè il D.M. 13.03.2003 (entrato in vigore il 21.03.2003, giorno della sua pubblicazione in G.U.)?
Nessun motivo logico, almeno sul piano giuridico. Sicuramente la previsione di sopravvivenza delle “vecchie” disposizioni è dovuta al fatto che il D.L.vo 36/2003 è stato “tenuto in caldo” in attesa di pubblicazione per diversi mesi, e non si riteneva che la Decisione del Consiglio dell’Unione Europeo da cui deriva il nostro D.M. 13.03.2003 sarebbe stata emanata in tempi brevi. In realtà la Decisione adottata il 19.12.2002 è stata pubblicata sulla GUCE il 16.01.2003 e il D.M. 13.03.2003 è entrato in vigore addirittura prima della norma italiana che lo prevede (art. 7 comma 5 D.L.vo 36/2003)!
Pertanto, per “normative vigenti” ai sensi dell’art.7 D.L.vo 36/2003 dovremmo intendere il D.M. 13.03.2003, vigente al momento dell’entrata in vigore del D.L.vo 36/2003, ritenendo ininfluente ed obsoleto quanto previsto nel comma 2 dell’art. 17 D.L.vo 36/2003 ( così SANNA, La disciplina transitoria delle discariche, Ambiente e Sicurezza, giugno 2003). Se non fosse stato pubblicato, peraltro, sarebbero giustamente state valide le disposizioni della D.I. del 1984, sia pur limitatamente a quelle relative a valori limite e condizioni di ammissibilità, senza bisogno del comma 2 art. 17 D.L.vo 36/2003.
Diversamente pare argomentare la Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome, che nel Documento approvato il 04.03.2004, contenente sostanzialmente linee guida per le Regioni utili all’adozione dei programmi di riduzione dei rifiuti urbani biodegradabili in discarica (previsti con scadenza 27.03.2004 dall'art.5 del Decreto Legislativo 13 gennaio 2003 n° 36), recita :
“c) la collocazione in discarica dei soli rifiuti trattati (art. 7 comma 1 del D.L.vo 36/2003),
riguardo a cui è prevista una deroga fino al 16/07/2005 (art. 17 del D.L.vo 36/2003)”;
e inoltre:
“Tuttavia, …….omissis…….., occorrerà comunque prevedere una programmazione di breve periodo che tenga conto di come intervenire sul rifiuto urbano indifferenziato che a partire dal luglio 2005 dovrà essere sottoposto a trattamento prima di esser collocato in discarica.”
Sembrerebbe che il trattamento come definito dall’art. 2 lettera h) D.L.vo 36/2003 sia finalizzato al rispetto dei limiti di accettabilità e delle condizioni del D.M. 13.03.2003 e, pertanto, secondo la Conferenza suddetta, non necessario nella vigenza, prorogata dall’art. 17 D.L.vo 36/2003, della D.I. del 27.07.1984.
Più semplicemente, il trattamento dei rifiuti urbani indifferenziati non sarebbe obbligatorio fino al 16 luglio 2005, data dalla quale dovrà essere effettuato per rispettare i limiti e le condizioni del D.M. 13.03.2003 e per garantire la riduzione dei rifiuti urbani biodegradabili conferiti in discarica. Per tale ultimo obiettivo la Conferenza suggerisce di intervenire sia con interventi di Raccolta Differenziata, sia con interventi (e impianti) di selezione e biostabilizzazione, aggiungendo, peraltro che “Appare evidente che la riduzione complessiva dei rifiuti – ed in particolare dei rifiuti biodegradabili - da conferire in discarica prevista nel medio - lungo termine deve essere conciliata nel medio periodo con l'esigenza di conferire in discarica rifiuti trattati, e con i tempi indispensabili per la realizzazione dei termovalorizzatori necessari per consentire il recupero energetico dei rifiuti.
Pertanto la collocazione in discarica di rifiuto trattato, ed in particolare biostabilizzato, deve essere considerata una soluzione transitoria e non definitiva, necessaria per conseguire gli obiettivi complessivi di recupero dei rifiuti in termini di materia e di energia.”
Invero, il trattamento previsto e definito dal Decreto 36/2003 e dalla direttiva 31/1991/CE comprende (anche) attività diverse da quelle finalizzate alla biostabilizzazione dei rifiuti.
Personalmente, ritengo che non sia errato affermare che il D.M. 13.03.2003 “Criteri di ammissione in discarica dei rifiuti” costituisce disposizione successiva e regolante l’intera materia già regolata dalla D.I. 27.07.1984 (par. 4.2 e le parti attinenti allo stoccaggio definitivo dei par. 5 e 6), e come tale abrogherebbe tali disposizioni anche se non espressamente previsto (art. 15 delle Preleggi). Seguendo questo ultimo ragionamento, si evidenzia che la norma del D.L.vo 36/2003, che salva fino al 16 luglio 2005 i limiti e le condizioni di ammissione in discarica (non tutte le disposizioni abrogate espressamente) interviene su norme già abrogate implicitamente (art.15 Preleggi), essendo il D.L.vo entrato in vigore successivamente al D.M. regolante ex novo la materia della ammissione dei rifiuti in discarica (già regolata tecnicamente dalla D.I. del 1984). Evidente la confusione, ma ancor più evidente la buona logica giuridica di non considerare il comma 2 dell’art. 17 D.L.vo 36/2003.
Proseguendo le argomentazioni fin qui svolte, si può esaminare anche la questione della validità delle disposizioni contenute nel paragrafo 1.1.1 della D.I. 27.07.1984.
Tali disposizioni sulla ammissibilità dei rifiuti speciali allo smaltimento in impianti di discarica aventi le caratteristiche stabilite dal paragrafo 4.2.2 della stessa D. I. dovrebbero essere considerate abrogate implicitamente dal D.M. 13.03.2003, a maggior ragione se il paragrafo 4.2.2 (discariche di prima categoria) è da ritenersi abrogato.
Con l’emanazione del D.L.vo 36/2003, destinate a ricevere rifiuti urbani (intendendo come tali anche quelli speciali assimilati dai Comuni con apposito regolamento!) sono le discariche di rifiuti non pericolosi, aventi caratteristiche specifiche sia di costruzione che di gestione e per l’ammissione nelle quali dei rifiuti occorre rispettare le condizioni e i limiti del D.M. 13.03.2003.
Da tale ragionamento discende che senza aspettare il 16 luglio 2005 attualmente tutti i rifiuti urbani non pericolosi classificati con codice 20 nel C.E.R. (art. 3 comma 1 lettera a) D.M. 13.03.2003) possono essere ammessi in discarica per non pericolosi se previamente sottoposti a trattamento (paradossalmente anche quando non serve); ugualmente (ma nulla si dice circa il trattamento o meno!?) “le frazioni non pericolose dei rifiuti domestici raccolti separatamente” (!?) e “gli stessi rifiuti non pericolosi di altra origine ma di analoga composizione” (art.3 D.M. 13.03.2003). Tali rifiuti non dovranno essere neppure sottoposti a caratterizzazione analitica.
Inoltre, senza aspettare il 16.07.2005, nelle discariche per non pericolosi, possono essere smaltiti rifiuti (non pericolosi) diversi da quelli poco sopra ricordati, con concentrazione di sostanza secca non inferiore a 25% e con eluato avente caratteristiche specifiche (è evidente la necessità di caratterizzazione analitica, così come è evidente che l’indice “di sostanza secca” è alquanto vago e genera dubbi: forse si intendeva limitare l’accesso a rifiuti biodegradabili? Oppure è proprio l’umidità il parametro da misurare?).
A questo punto, è bene ricordare che all’obbligo di trattamento dei rifiuti, se si intende collocarli in discarica, è possibile derogare se tale trattamento risulterebbe inutile. Dalla lettura dell’art. 7 comma 1 D.L.vo 36/2003 sembra che sia utile il trattamento che riduce la quantità dei rifiuti (conferiti in discarica) o i rischi ad essi collegati per la salute umana e l’ambiente, e consente di rispettare i limiti fissati dalla normativa vigente (per l’ammissione in discarica). Non dovendo caratterizzare analiticamente i rifiuti urbani, un trattamento che riduca la quantità dei rifiuti e i rischi ad essi connessi (come valutarlo?), sarebbe sufficiente a garantire il rispetto dell’obbligo.
Al momento, del resto, non esistono a livello nazionale disposizioni che impongano limiti circa la biodegradabilità consentita per il conferimento in discarica (la direttiva in materia che stabilisce i valori di Indice Respirometrico è ferma alla seconda bozza), ma esistono disposizioni regionali, approvate o in via di approvazione definitiva, che seguono le linee guida della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome.
“TRATTAMENTO”
Considerata la definizione di trattamento del D.L.vo 36/2003, e non volendo cedere alla tentazione suggerita da alcuni studiosi inglesi di considerare la raccolta differenziata una cernita “anticipata”, sembrerebbe che tutte le operazioni indicate rientrino tra quelle previste e definite come smaltimento dal D.L.vo 22/97 (in quanto preliminari al conferimento in discarica).
Se così fosse, i flussi in uscita da tali trattamenti operati su rifiuti urbani, avviati in discarica (e avremmo trattato i rifiuti proprio per collocarli in discarica), dovrebbero essere considerati (flussi) di rifiuti speciali (art. 7 comma 3 lettera g)), e ammesso che siano non pericolosi rientrerebbero tra quelli che devono rispettare il limite di concentrazione di sostanza secca non inferiore al 25 % e il contenuto specifico dell’eluato.
A meno che non possiamo dire che si tratti di rifiuti di analoga composizione a quella delle porzioni di rifiuti domestici raccolti separatamente o a quella dei rifiuti urbani (comprendono anche gli speciali assimilati dai Comuni) del capitolo 20 del C.E.R. (sottoposti a trattamento).
Ovviamente se l’attività di trattamento producesse tipologie di rifiuti (materiali metallici ad esempio) che possono trovare destinazione diversa dalla discarica (magari un impianto di recupero), si tratterebbe di corretta gestione di rifiuti prodotti dall’attività di trattamento.
Attualmente, in molte discariche di rifiuti non pericolosi (già di prima categoria), per rispettare l’obbligo di trattamento, vengono conferiti i rifiuti provenienti da un trattamento sommario dei rifiuti urbani (raccolti dal servizio pubblico in modo indifferenziato), che si rivela praticamente inutile, ma comunque costoso. Rifiuti che spesso sono divisi in due flussi separati: il cosiddetto secco destinato ufficialmente e chiaramente all’interramento, e il cosiddetto biostabilizzato per ricoprire. Ovviamente senza specifiche sulla “qualità” del biostabilizzato non si saprà mai se tale materiale può essere considerato materia prima seconda o un rifiuto di un processo non concluso.
Un trattamento di selezione secco/umido (sarebbe meglio parlare di biodegradabile/non biodegradabile) e di biostabilizzazione, con il conferimento in discarica del secco (non bio), dovrebbe garantire il limite di concentrazione di sostanza secca non inferiore al 25 % e il contenuto specifico dell’eluato.
Dall’altra parte, il flusso di biostabilizzato, considerabile tale entro determinati limiti di Indice Respirometrico ( il limite più accreditato è di 1000 milligrammi di ossigeno per kg di solido volatile per ora) potrà essere utilizzato per copertura delle discariche (di qualsiasi tipo?) senza indagare sulla presenza di inquinanti.
Qualora il biostabilizzato non rispettasse l’Indice Respirometrico, sarebbe un rifiuto speciale da caratterizzare analiticamente, perché il parametro Indice Respirometrico nulla dice circa la presenza di inquinanti.

Diversamente, se il trattamento de quo dei rifiuti non fosse operazione di smaltimento cosa potrebbe essere?
Un’operazione di recupero? In tal caso nulla cambierebbe, poiché a fronte del recupero (di materia e/o di energia) avremmo comunque una quota di rifiuti speciali, da destinare a discarica o ad altre operazioni (di smaltimento o recupero)
Il punto è che il trattamento obbligatorio ha finalità ben precise, che possono anche coincidere con quelle perseguite con operazioni di smaltimento o di recupero, ma potrebbero essere anche raggiunte attraverso attività diverse.
Basti pensare al trattamento fisico (triturazione e vagliatura) che modifica le caratteristiche dei rifiuti allo scopo di ridurne il volume, di facilitare il trasporto (manipolazione per la direttiva in inglese) e di favorirne lo smaltimento in sicurezza. Non è una operazione di smaltimento per il D.L.vo 22/97, salvo situazioni in cui, per effettuarlo, c’è necessità di accumulare i rifiuti, ma in tal caso è lo stoccaggio ad essere operazione di smaltimento per il D.L.vo 22/97.
Del resto, un trattamento termico (incenerimento), modifica le caratteristiche dei rifiuti, per ridurne il volume, facilitarne il trasporto, agevolare lo smaltimento in sicurezza (delle ceneri).
Personalmente, credo che la mancanza di coordinamento sistematico tra le disposizioni e spesso tra le definizioni, crei margini di confusione e, nella confusione, margini di errore o di dolo.
Un po’ di chiarezza dovrebbe derivare dall’obbligo di indicare nelle autorizzazioni delle discariche i rifiuti che in esse possono essere collocati, classificandoli con il codice CER, ma sembra che alcune discariche italiane siano autorizzate senza rispettare tale obbligo, chiamandole ancora “di prima categoria” o “di rifiuti urbani” pur in presenza di autorizzazioni rilasciate successivamente al 27.03.2003, sperando che queste indicazioni minime, magari poste nell’oggetto dell’atto autorizzatorio, e/o qua e là nell’atto, siano sufficienti a limitare giuridicamente l’ingresso ai soli rifiuti urbani, e non rendendosi conto che, se tale limitazione fosse giuridicamente efficacie, i rifiuti provenienti dai trattamenti, non essendo più urbani, ma speciali, finirebbero con entrare sotto mentite spoglie oppure chiaramente non rispettando le “prescrizioni” autorizzative.
Se la gestione dei rifiuti urbani deve essere programmata e gestita secondo priorità ormai ben conosciute, sarebbe meglio imporre per essi forme di trattamento (operazioni di recupero o smaltimento) con specifiche dei materiali e dei flussi di rifiuti (dell’attività di trattamento) in uscita. A tali rifiuti applicare, in caso di collocamento degli stessi in discarica, le norme specifiche, senza più menzionare i rifiuti urbani, i rifiuti domestici e quelli similari.

Dott. Giovanni Lengueglia
Consulente legale di Diritto Ambientale