Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2977, del 10 giugno 2014
Rifiuti.Legittimità ordinanza del Sindaco che ha ordinato alla Regione di rimuovere e di smaltire i rifiuti, con la conseguente bonifica, dall’area al di sotto della strada di proprietà regionale
Il Sindaco non ha esercitato il potere contingibile ed urgente previsto dall’art. 54 del T.U. Enti locali n. 267 del 2000, ma quello specificamente disciplinato dall’art. 192 del decreto legislativo n. 152 del 2006, che disciplina il “divieto di abbandono”. L’art. 192 qualora vi sia la concreta esposizione al pericolo che su un bene si realizzi una discarica abusiva di rifiuti anche per i fatti illeciti di soggetti ignoti, attribuisce rilevanza esimente alla diligenza del proprietario, che abbia fatto quanto risulti concretamente esigibile, e impone invece all’amministrazione di disporre le misure ivi previste nei confronti del proprietario che, per trascuratezza, superficialità o anche indifferenza o proprie difficoltà economiche, nulla abbia fatto e non abbia adottato alcuna cautela volta ad evitare che vi sia in concreto l’abbandono dei rifiuti. La condotta illecita del terzo, ovvero la proliferazione delle condotte illecite dei terzi, non è di per sé una causa che rende non imputabile al proprietario l’evento (la trasformazione del suo terreno in discarica abusiva), né frattura il nesso di causalità tra la sua condotta colposa (id est, caratterizzata dalla trascuratezza e dall’incuria), quando costituisce un fatto prevedibile e prevenibile. L’ordinanza dell’Adunanza Plenaria 21/2013 ha rilevato come l’art. 192 attribuisce espressamente rilievo alla colpa del proprietario per il quale sussiste la colpa anche nel caso di mancanza degli accorgimenti e delle cautele che l’ordinaria diligenza suggerisce per realizzare un’efficace custodia e protezione dell’area, così impedendo che possano essere in essa indebitamente depositati rifiuti nocivi. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 02977/2014REG.PROV.COLL.
N. 04483/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4483 del 2013, proposto dal Comune di Frattamaggiore, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Francesco Damiano, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ferruccio Auletta, in Roma, via della Balduina, n. 120/5;
contro
La Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Angelo Marzocchella, con domicilio eletto in Roma, via Poli, n. 29;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. Campania – Napoli, Sezione V, n. 2586/2013, resa tra le parti, che ha accolto il ricorso proposto dalla Regione Campania ed ha annullato l’atto del Sindaco di Frattamaggiore n. 15 del 25 gennaio 2013, che ha ordinato alla Regione di rimuovere e di smaltire i rifiuti, con la conseguente bonifica, dall’area sita in Frattamaggiore, al di sotto della strada di proprietà regionale, denominata “Asse Mediano”, alla via Vicinale Siepe Nuova;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Campania;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Viste le proprie ordinanze 24 luglio 2013, n. 2831, e 16 dicembre 2013, n. 5000;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 febbraio 2014 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti l’avvocato Enrico Follieri, su delega dell'avvocato Francesco Damiano, e l’’avvocato Rosanna Panariello, su delega dell'avvocato Angelo Marzocchella;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Il Sindaco del Comune di Frattamaggiore, con ordinanza n. 15 del 25 gennaio 2013 emessa ex art. 192 del d lgs. n. 152 del 2006, ha intimato alla Regione Campania (proprietaria del sito sottostante la strada regionale denominata “Asse Mediano”, alla via Vicinale Siepe Nuova) di rimuovere e di avviare a recupero o allo smaltimento, con ripristino dello stato dei luoghi, di tutti i rifiuti di vario genere, anche speciali o pericolosi (come meglio descritti nel redatto verbale di sopralluogo), da tempo abbandonati nel sito suddetto.
2. Col ricorso di primo grado n. 1687 del 2013 (proposto al TAR per la Campania), la Regione Campania ha impugnato tale ordinanza, deducendo che si tratta di un tratto di sedime molto esteso, per il quale non sarebbero stati possibili controlli stringenti ed adeguata sorveglianza, al fine di impedire l’abbandono abusivo di rifiuti da parte di ignoti, a causa della carenza di sufficienti mezzi e personale.
3. Il T.A.R., con la sentenza in epigrafe indicata, ha accolto il ricorso ed ha annullato l’ordinanza del Sindaco di Frattamaggiore.
4. Con l’appello in esame, il Comune di Frattamaggiore ha chiesto che – in riforma della sentenza del TAR – il ricorso di primo grado sia respinto.
5. Con atto depositato il 5 luglio 2013, si è costituita in giudizio la Regione Campania,la quale ha evidenziato che l’abbandono dei rifiuti non è ad essa imputabile (perché continuamente posto in essere da ignoti) e che dovrebbe affrontare ingenti spese, in assenza di specifiche risorse, ove dovesse dare esecuzione all’ordinanza del Sindaco di Frattamaggiore.
6. Con l’ordinanza 24 luglio 2013, n. 2831, la Sezione ha accolto la istanza di sospensione della sentenza impugnata.
7. Con atto notificato il 16 ottobre 2013 e depositato il 24 ottobre 2014, la Regione Campania ha chiesto la revoca della ordinanza cautelare n. 2831 del 2013, rilevando che la presenza di rifiuti sull’area in questione sia dovuta al “lancio” degli stessi da parte di terzi ignoti sui fondi sottostanti l’Asse Mediano, il che impedirebbe l’adozione di misure atte a prevenire detti comportamenti ed escluderebbe ogni ipotesi di comportamento anche solo colposo e la responsabilità della Regione.
La Regione ha aggiunto che essa non è competente a disporre ed ad effettuare le bonifiche, perché il decreto legislativo n. 152 del 2006 in linea di principio attribuisce le relative competenze alla Provincia.
La Regione ha altresì rappresentato che:
- il proprio Settore Demanio, in sede di esecuzione dell’ordinanza cautelare n. 2831 del 2013, “per carenza di fondi e di mezzi” ha rinforzato la sbarra che chiude la recinzione di una “stradina di accesso all’area in questione” e ha apposto ‘cartelli monitori’;
- con la nota dirigenziale del 9 settembre 2013, il Comune di Frattamaggiore ha contestato alla Regione l’inottemperanza a detta ordinanza ed ha disposto l’avvio delle opere di bonifica in suo danno.
7.1. Con memoria depositata il 30 ottobre 2014, il Comune di Frattamaggiore ha eccepito la inammissibilità della istanza di revoca della ordinanza cautelare della Sezione, non sussistendo le condizioni di cui agli artt. 98 e 58 del c.p.a. (in quanto non basata su mutamenti nelle circostanze), e ne ha chiesto il rigetto.
7.2. Con l’ordinanza 16 dicembre 2013, n. 5000, la Sezione ha respinto la istanza di revoca dell’ordinanza cautelare n. 2831 del 2013, così ribadendo la sussistenza degli effetti dell’ordinanza sindacale del 25 gennaio 2013.
8. Con memoria depositata il 9 gennaio 2014, la Regione ha dedotto l’infondatezza dell’appello, in particolare richiamando i principi affermati dal Consiglio di Stato con la sentenza della Adunanza plenaria n. 21 del 2013, secondo la quale il proprietario - non responsabile dell’inquinamento - è tenuto solo ad adottare le misure di prevenzione di cui all’art. 242 del d. lgs. n. 152 del 2006.
9. Alla pubblica udienza dell’11 febbraio 2014, la causa è stata trattenuta per la decisione.
10. Così ricostruite le vicende che hanno caratterizzato la controversia in esame, la Sezione ritiene che sia fondato l’appello del Comune di Frattamaggiore e che il provvedimento impugnato in primo grado non sia affetto dai vizi rilevati dal TAR.
10.1. Per comprendere l’effettiva portata delle questioni controverse tra le parti, va premesso che con il ricorso di primo grado la Regione Campania ha dedotto l’illegittimità dell’ordinanza sindacale n. 15 del 2013, deducendo che:
a) le ordinanze contingibili ed urgenti possono essere emanate dal Sindaco solo in caso di situazioni eccezionali ed impreviste di grave pericolo non affrontabili con i normali rimedi (e non di situazioni risalenti nel tempo);
b) i proprietari di aree invase di rifiuti sono tenuti a rimuoverli ed a smaltirli (e alle relative conseguenze sanzionatorie) solo se risultano responsabili a titolo di dolo o colpa del loro abbandono, sicché non vi sarebbe la legittimazione passiva della Regione ad eseguire l’ordinanza sindacale, che sarebbe stata emessa a seguito di inadeguata ed errata istruttoria (con riguardo alla natura dei rifiuti e alla reale situazione di pericolo) e pur se il Comune non ha mai dubitato che risultano ignoti i responsabili dell’abbandono dei rifiuti.
10.2. Il T.A.R. ha accolto il ricorso di primo grado, rilevando che:
- ai sensi dell’art. 192 del d lgs. n. 152 del 2006, il soggetto proprietario o gestore della strada ha l’obbligo di provvedere alla pulizia della stessa, in modo da non creare danno o pericoli alla circolazione, con conseguente obbligo di procedere alla raccolta dei rifiuti abbandonati da terzi sull’area di sedime della strada stessa, a prescindere dalla sussistenza di propri dolo o colpa;
- l’art. 192 ha previsto una sanzione di tipo reintegratorio adottabile, anche in assenza di urgenza, in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area (purché ad essi la violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa);
- l’ordinanza sindacale del 15 gennaio 2013 sarebbe viziata, sia per inadeguata istruttoria e per l’assenza di motivazione tale da evidenziare l’imputabilità alla Regione Campania dell’abbandono dei rifiuti (almeno a titolo di colpa), sia perché il Comune non ha alcun potere di imporre al gestore “la pulizia delle strade” affinché vi sia la sicurezza e la fluidità della circolazione.
11. Ciò posto, si può passare all’esame dell’appello, con cui innanzitutto il Comune di Frattamaggiore ha dedotto che il TAR ha errato nella ricostruzione dei fatti accaduti, incorrendo in un vizio che ha comportato anche l’erronea ricostruzione del quadro normativo applicabile.
Il Comune ha dedotto che il TAR avrebbe deciso in assenza di una adeguata valutazione delle circostanze, errando nell’affermare che l‘ordinanza sindacale ha riguardato l’area di sedime della strada regionale “Asse Mediano” percorsa dai veicoli, perché in realtà essa ha riguardato l’area ad essa sottostante, anch’essa di proprietà della Regione.
Inoltre, il Comune ha rilevato che l’ordinanza sindacale è stata emessa in presenza di tutti i relativi presupposti, poiché:
- essa ha fatto seguito al sopralluogo tecnico effettuato dall’ARPAC in data 24 ottobre 2012, il cui verbale ha evidenziato la presenza in loco di un “cumulo continuo di terreno, misto a rifiuti di diverse tipologie”, tra cui lastre in cemento amianto, rifiuti urbani indifferenziati, pneumatici fuori uso, parti di autoveicoli, rifiuti da demolizioni, e che ha sollecitato che abbia luogo “la messa in sicurezza di emergenza, a cura del soggetto obbligato, di tutti i rifiuti scoperti”;
- essa si è basata su una articolata istruttoria e su una adeguata motivazione circa l’imputabilità soggettiva alla Regione Campania della situazione venutasi a verificare, sicché non è stato violato l’art. 192 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
- essa è stata emanata nel rispetto del principio sul previo contraddittorio con la Regione, sia perché l’ARPAC è un ente regionale, sia perché vi è stata nei suoi confronti la trasmissione dell’avviso di avvio del procedimento.
11. La Sezione ritiene che tutte tali censure dell’appellante siano fondate e vadano accolte.
11.1. In punto di fatto, risulta dalla documentazione acquisita che il Sindaco di Frattamaggiore ha emanato l’ordinanza del 15 gennaio 2014 non per fare effettuare la pulizia del tratto sopraelevato della strada regionale ‘Asse Mediano’, ma per far rimuovere e smaltire i rifiuti di ogni tipo che si sono accumulati nel tempo al di sotto della medesima strada, e cioè nell’area del piano di campagna – anch’essa di proprietà regionale – che si pone in linea di continuità tra i terreni adiacenti ai due lati alla strada.
Tale contenuto dell’ordinanza emerge con assoluta evidenza dalla lettura testuale della stessa ordinanza e dal verbale redatto dall’ARPAC.
Sarebbe stato d’altra parte ben strano che il Sindaco avesse disposto la rimozione di una discarica di rifiuti realizzata ‘sulla strada’, che – come pacificamente emerge dagli scritti delle parti – è una strada a scorrimento veloce.
Dunque, l’ordinanza sindacale contestata dalla Regione ha riguardato non la strada sopraelevata a scorrimento veloce, ma la corrispondente area di proprietà regionale, che si pone nel ‘cono d’ombra verticale’ della strada.
Evidentemente, quanto alle modalità costruttive, la strada è stata realizzata con le seguenti scelte progettuali: la sopraelevazione si regge su piloni, mentre l’area sottostante si pone in linea di continuità con i terreni circostanti e non è stata chiusa ai lati, né vi è stato il riempimento del ‘cono d’ombra verticale’ (ciò che avviene di solito quando invece si realizza un tratto ferroviario, che deve reggere il peso dei convogli).
L’area di proprietà regionale, che si trova ‘al di sotto’ dell’Asse Mediano, è raggiungibile da una stradina (su cui la Regione ha ‘rinforzato’ una preesistente sbarra per impedirne l’accesso, a seguito della ordinanza cautelare di questa Sezione n. 2831 del 2013) ed è diventata da tempo una vera e propria discarica abusiva, ove soggetti rimasti ignoti hanno scaricato (e verosimilmente continuano a scaricare) di tutto, e in particolare lastre in cemento, amianto, rifiuti urbani indifferenziati, pneumatici fuori uso, parti di autoveicoli, rifiuti da demolizioni (vedi la relazione dell’ARPAC).
11.2. Ciò comporta l’erroneità della sentenza del TAR, non solo nella parte in cui ha ricostruito i fatti accaduti, ma anche nella parte in cui ha ravvisato l’illegittimità dell’ordinanza sindacale, ritenendo che il Comune non abbia il potere di ordinare la pulizia di una strada regionale per ragioni riguardanti “la sicurezza e la fluidità della circolazione”, giacché l’ordinanza non ha riguardato affatto la strada regionale.
11.3. La Sezione ritiene che neppure sussistano i vizi di difetto di istruttoria e di mancanza del previo contraddittorio con la Regione Campania.
Quanto all’istruttoria, res ipsa loquitur: ‘i fatti parlano da soli’.
La allarmata relazione dell’ARPAC – di data 24 ottobre 2012 - ha non solo evidenziato quali e quanti rifiuti di ogni tipo, anche pericolosi, si siano nel tempo accumulati in loco, ma ha anche sollecitato “la messa in sicurezza di emergenza, a cura del soggetto obbligato, di tutti i rifiuti scoperti” e con la installazione di telecamere ed il posizionamento di recinzioni.
Quanto al previo contraddittorio con la Regione, la impugnata ordinanza è stata preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento n. 25583 del 18 dicembre 2012 (di per sé tale da poter poi contestare la sussistenza della colpa della Regione per la mancanza di accorgimenti e di cautele idonee alla realizzazione di una efficace custodia e protezione dell’area in questione, idonea a impedire che potessero essere facilmente depositati rifiuti di vario genere).
Essa è stata emessa sulla base delle risultanze della relazione dell’ARPAC del 24 ottobre 2012, in cui si elencavano le varie tipologie di rifiuti rinvenuti nell’area in questione, che è stata trasmessa alle Autorità regionali con nota n. 22305 del 12 novembre 2012.
La trasmissione della relazione dell’ARPAC e la comunicazione dell’avvio del procedimento devono ritenersi sufficienti mezzi di instaurazione del contraddittorio con la Regione proprietaria dell’area, come previsto dall’art. 192 del d. lgs. n. 152 del 2006.
D’altra parte, l’ARPAC è un Ente strumentale della Regione Campania, previsto dalla legge n. 61 del 1994 e istituito con la legge della Regione Campania n.10 del 1998, il quale ha specifiche competenze per sviluppare le attività di monitoraggio, di prevenzione e di controllo, orientate a tutelare la qualità del territorio e favorire il superamento delle molteplici criticità ambientali della Campania, sicché la sua attività – anche quella che si è manifestata con allarmata relazione del 24 ottobre 2012 - è senz’altro imputabile alla Regione ricorrente in primo grado.
11.4. Risulta inoltre erronea – come puntualmente dedotto dal Comune appellante – anche la statuizione del TAR secondo cui – poiché l’ordinanza del 15 gennaio 2013 avrebbe natura di atto contingibile ed urgente – tale provvedimento sarebbe illegittimo, perché emanato per affrontare una situazione non eccezionale ed imprevedibile, ma risalente nel tempo.
Infatti, il Sindaco non ha esercitato il potere contingibile ed urgente previsto dall’art. 54 del testo unico sugli enti locali n. 267 del 2000, ma quello specificamente disciplinato dall’art. 192 del decreto legislativo n. 152 del 2006, che disciplina il “divieto di abbandono”.
Risulta pertanto anche non pertinente il richiamo che la sentenza impugnata ha effettuato alla sentenza della Corte Costituzionale n. 115 del 2011 (che ha dichiarato la parziale incostituzionalità dell’art. 54, comma 4, del testo unico).
12. Resta da accertare se effettivamente il comportamento della Regione con riguardo all’abbandono di rifiuti nel sito sottostante la strada vada qualificato come colposo (sulla base degli elementi probatori acquisiti) e se sussista un nesso di causalità tra tale comportamento e la verificazione dell’evento (l’esistenza stessa della discarica abusiva)..
13. Al riguardo, va premesso che la natura stessa dei rifiuti in questione, come prima elencati, rende palesemente inattendibile la tesi difensiva della Regione Campania, per la quale gli stessi sarebbero gettati sotto il viadotto in questione da auto di passaggio (con dedotta impossibilità di adozione di idonee misure di prevenzione dell’abbandono dei rifiuti).
Appare infatti inverosimile che lastre di cemento, amianto, parti di autoveicoli, pneumatici ed altro possano essere sversati da ‘auto di passaggio’ non ai bordi della strada in questione, ma addirittura nell’area sottostante il viadotto.
Al di là delle difficoltà materiali cui andrebbe incontro chi intenda gettare materiali dalla strada ‘sotto la strada’ (anche per l’intenso traffico veicolare che, come è fatto notorio, interessa l’asse viario in questione), risulta evidente che i rifiuti vengano abbandonati nell’area sottostante l’Asse Mediano accedendo ad essa dalla stradina cui è fatto cenno negli atti processuali, la cui recinzione la Regione afferma (con la istanza di revoca della ordinanza cautelare disposta dalla Sezione) di aver sbarrato con una asta in ferro, rinforzata a seguito della emanazione della medesima ordinanza.
14. Quanto quindi alla questione se sia configurabile la colpa della Regione Campania con riguardo alla adozione di misure adeguate a prevenire l’abbandono dei rifiuti in questione, ritiene la Sezione che ad essa debba darsi risposta affermativa.
14.1. Poiché non sussistono i vizi di difetto di istruttoria e di motivazione rilevati dal TAR, si deve infatti passare all’esame della questione centrale del presente giudizio, e cioè se siano fondate le censure di primo grado (richiamate dalla Regione Campania e sulle quali vi è stato un articolato contraddittorio tra le parti) sulla violazione dell’art. 192 del decreto legislativo n. 152 del 2006, per il quale le misure della rimozione dei rifiuti e della riduzione in pristino dell’area possono essere emanate nei confronti del proprietario solo se sussista il suo dolo o la sua colpa..
14.2. Il TAR ha ritenuto che l’ordinanza sindacale del 15 gennaio 2013 non avrebbe indicato alcun elemento da cui possa evincersi la colpa della proprietaria Regione
Nel proprio atto d’appello, il Comune di Frattamaggiore ha rilevato in sostanza che l’art. 192, comma 3, consente l’emanazione delle misure ivi previste nei confronti del proprietario del suolo quando è ravvisabile la sua negligenza, perché non assume iniziative per evitare l’abbandono dei rifiuti ed ha osservato che proprio nell’atto impugnato vi è una specifica motivazione sulla sussistenza della colpa della Regione, perché essa non ha posto in essere “gli accorgimenti e le cautele idonee” alla realizzazione di una efficace custodia e della protezione dell’area e non ha impedito che potessero essere facilmente depositati rifiuti di vario genere.
La Regione Campania, al contrario, nel sostenere che l’abbandono è effettuato da ignoti (che ‘dalle auto di passaggio’ sull’Asse Mediano lancerebbero verso il basso i rifiuti) ha rilevato che non ha i mezzi e le risorse né per impedire per l’abbandono avvenga, né per rimuovere e smaltire i rifiuti, né per bonificare l’area ed ha rimarcato come - a seguito dell’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 2831 del 2013 - essa abbia ‘rinforzato’ la sbarra che chiude la recinzione della “stradina di accesso all’area in questione” ed ha apposto “cartelli monitori”.
14.3. Osserva il Collegio che – per la definizione della controversia in esame – occorre individuare l’ambito di applicazione dell’art. 192 del testo unico n. 152 del 2006, il quale, per quanto rileva nel presente giudizio, dispone:
- al comma 1, che “L'abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati”;
- al comma 3, che, “Fatta salva l'applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate”.
Dal dato testuale del comma 3 (e dalla parola ‘dispone’), si evince come il potere-dovere di ordinare la rimozione e il ripristino dello stato dei luoghi vada esercitato senza indugio non solo nei confronti di chi abbandona sine titulo i rifiuti (il quale realizza la propria condotta col dolo e con l’animus derelinquendi), ma anche del proprietario o del titolare di altro diritto reale cui la “violazione sia imputabile a titolo di dolo o di colpa”.
In un quadro normativo volto a tutelare l’integrità dell’ambiente, il comma 3 non prevede una ipotesi di responsabilità oggettiva o per fatto altrui: se vi è un abbandono di rifiuti avente il carattere della repentinità e della irresistibilità. Se avvisa dell’accaduto la pubblica autorità e pone in essere le misure esigibili per evitare il ripetersi dell’accaduto, il proprietario non può essere considerato responsabile, per il suo solo titolo di proprietario.
Tuttavia, non dissimilmente ad altre disposizioni del settore, il comma 3 ritiene sufficiente la colpa.
Tra le ipotesi tipiche di colpa, rientra la negligenza.
Nel suo significato lessicale (risalente anche al diritto romano, e prima ancora che la nozione fosse riferita alle singole obbligazioni), la negligentia (vale a dire la mancata diligentia) consisteva e consiste nella trascuratezza, nella incuria nella gestione di un proprio bene, e cioè nella assenza della cura, della vigilanza, della custodia e della buona amministrazione del bene.
L’art. 192 del testo unico n. 152 del 2006 attribuisce rilievo proprio alla negligenza del proprietario, che – a parte i casi di connivenza o di complicità negli illeciti (qui non prospettabili) - si disinteressi del proprio bene per una qualsiasi ragione e resti inerte, senza affrontare concretamente la situazione, ovvero la affronti con misure palesemente inadeguate.
L’art. 192 – qualora vi sia la concreta esposizione al pericolo che su un bene si realizzi una discarica abusiva di rifiuti anche per i fatti illeciti di soggetti ignoti – attribuisce rilevanza esimente alla diligenza del proprietario, che abbia fatto quanto risulti concretamente esigibile, e impone invece all’amministrazione di disporre le misure ivi previste nei confronti del proprietario che - per trascuratezza, superficialità o anche indifferenza o proprie difficoltà economiche – nulla abbia fatto e non abbia adottato alcuna cautela volta ad evitare che vi sia in concreto l’abbandono dei rifiuti.
La condotta illecita del terzo – ovvero la proliferazione delle condotte illecite dei terzi – dunque non è di per sé una causa che rende non imputabile al proprietario l’evento (la trasformazione del suo terreno in discarica abusiva), né frattura il nesso di causalità tra la sua condotta colposa (id est, caratterizzata dalla trascuratezza e dalla incuria), quando costituisce un fatto prevedibile e prevenibile.
14.4. Nella specie, ritiene la Sezione che sussista effettivamente la colpa dell’amministrazoone regionale e che risultano non condivisibili le argomentazioni che la Regione ha formulato, per escludere la propria responsabilità.
Ovviamente, quando proprietario dell’area non sia una persona fisica, ma sia una persona giuridica pubblica o privata, va esclusa una concezione ‘antropomorfica’ dell’elemento soggettivo, rilevando soprattutto il dato oggettivo della disfunzione della struttura organizzativa e il dato in sé – quando si tratti della gestione di un bene – della obiettiva trascuratezza ed incuria della gestione.
Con riferimento all’area in questione, posta al di sotto dell’Asse Mediano, tranne il ‘rafforzamento’ della sbarra posta sulla stradina di accesso all’area da tempo adibita a discarica, nel corso del giudizio non è risultata alcuna concreta attività precedente, volta ad evitare che il suo terreno diventasse una discarica e che su di esso si continui a sversare rifiuti di ogni genere.
14.5. La Sezione non può che constatare la singolarità della situazione venutasi a verificare.
Proprietaria dell’area – oggetto delle misure previste dall’art. 192 - risulta proprio l’Ente che, anche in base alle regole costituzionali, ha plurime competenze per la salvaguardia dell’ambiente.
La linea principale della difesa della Regione è consistita nella deduzione secondo cui essa non ha “i mezzi e le risorse” per impedire che l’abbandono avvenga, o per rimuovere e smaltire i rifiuti, o per bonificare l’area.
Al riguardo, la Sezione rileva che – in ordine all’ambito di applicazione dell’art. 192, comma 3 – non importa se il proprietario dell’area sia un soggetto pubblico o un soggetto privato.
Anzi, proprio la qualità di soggetto pubblico implica che l’amministrazione debba dare esempio del rispetto della legalità (CEDU, Sez. I, 19 giugno 2001, Zwiewrzynsi c. Polonia, § 73).
E ciò a maggior ragione quando si tratti di realtà locali – come quella in questione – caratterizzate dalla perduranza di situazioni emergenziali, dalla assenza diffusa di senso civico delle cittadinanze, da una diffusa omertà e dalla presenza di organizzazioni criminali proprio nel settore del trasporto e dello smaltimento dei rifiuti: le pubbliche autorità possono concretamente esigere ed ottenere il rispetto della legalità, solo quando esse stesse ne danno l’esempio, applicando le leggi quando ne sono destinatarie e imponendo la loro applicazione, quando agiscano nell’esercizio dei loro doveri istituzionali.
14.6. Quando sia proprietaria di un terreno, la Regione – come qualsiasi altro proprietario – deve rispettare le leggi a tutela dell’ambiente (e della salute): in ragione del valore primario di tale tutela, essa non può sottrarsi all’obbligo di utilizzare le proprie risorse secondo un ordine di priorità, realizzando le misure che le sono imposte dalla legge (o da atti conformi alla legge) per la salvaguardia dell’ambiente e della salute.
Non spetta al giudice amministrativo indicare quale ordine di priorità delle spese debba essere programmato dalla Regione, ma non v’è dubbio che – in considerazione delle complessive risorse del bilancio regionale – essa deve subordinare l’erogazione di ‘spese facoltative’ alla previa erogazione delle somme che non solo occorrano per svolgere le proprie funzioni essenziali, ma anche che occorrano per adempiere gli obblighi alla quale è tenuta nella qualità di proprietaria.
Poiché la Regione non ha provato che le proprie risorse sono tutte destinate allo svolgimento di funzioni essenziali, ed essendo plausibile che essa eroghi somme sulla base di proprie scelte discrezionali sull’an, e poiché comunque anche le difficoltà economiche del proprietario non costituiscono una esimente circa l’ambito di applicazione dell’art. 192, resta priva di rilievo la tesi difensiva della Regione sulla assenza di mezzi e risorse per affrontare la situazione.
14.7. Neppure risultano condivisibili le ulteriori argomentazioni difensive della Regione.
Essa ha reiteratamente dedotto che l’abbandono è effettuato da ignoti, che ‘dalle auto di passaggio’ sull’Asse Mediano lancerebbero verso il basso i rifiuti, e che pertanto essi non potrebbero essere ‘controllati’.
Pur se è evidente che i responsabili dei fatti siano rimasti ignoti, tale prospettazione difensiva non risulta però plausibile, perché, come sopra si è osservato, l’ordinanza sindacale ha riguardato i rifiuti che si trovano ‘al di sotto’ dell’Asse Mediano: il lancio di rifiuti verso il basso, ipotizzato dalla difesa regionale, porterebbe al loro accumulo nelle aree adiacenti (che non sono state invece oggetto di misure nei confronti della Regione).
Non è dunque sostenibile che gli autori degli abbandoni siano coloro che transitano sull’Asse Mediano: i rifiuti non possono che essere abbandonati da chi accede all’area sottostante, probabilmente ma non esclusivamente dalla stradina di accesso.
La Regione ha inoltre evidenziato come, a seguito dell’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 2831 del 2013, essa abbia ‘rinforzato’ la sbarra che chiude la recinzione della “stradina di accesso all’area in questione” ed abbia apposto “cartelli monitori”.
La Sezione osserva però che tali circostanze non possano avere (per di più ex post) un rilievo esimente ed anzi avvalorano la ragionevolezza della motivazione posta a base dell’atto impugnato in primo grado (la negligenza della Regione è perdurata nel tempo e solo nel corso del secondo grado del giudizio vi è stata una tale iniziativa): il provvedimento del 15 gennaio 2013 è stato emesso in considerazione dello stato di degrado derivante dalla trascuratezza, dall’incuria e dalla mancanza di vigilanza e i fatti sopravvenuti – a parte ogni considerazione sulla loro ininfluenza sulla situazione oggettiva - non incidono sulla valutazione della sua legittimità.
14.8. Dalla documentazione acquisita, risulta dunque che la Regione nulla ha fatto per impedire che il proprio terreno divenisse una discarica abusiva.
Non vi è stata una adeguata recinzione di sufficiente altezza e robustezza, ovvero la interdizione degli accessi all’area con robuste chiusure, la sistemazione di videocamere o apparecchi fotografici funzionanti solo all’atto del rilevamento di presenze sul luogo tramite sensori (le c.d. “foto trappole”), oppure una convenzione con istituti di vigilanza: l’incuria e la trascuratezza hanno agevolato che l’area in questione sia diventata un ricettacolo di ogni genere di rifiuti, con danni all’ambiente e verosimilmente alla salute degli abitanti della zona.
14.9. Le osservazioni che precedono inducono dunque la Sezione a ritenere che sia del tutto legittima l’ordinanza impugnata in primo grado, poiché la Regione Campania non ha svolto in concreto alcuna attività di custodia, vigilanza e protezione dell’area di cui trattasi, rimasta facilmente accessibile “senza alcun mezzo di inibizione” del deposito di rifiuti da parte di ignoti.
14. 10. La difesa regionale – nei propri scritti difensivi – ha invocato i principi formulati dalla ordinanza della Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato n. 21 del 2013, la quale ha affrontato le questioni interpretative, riguardanti l’art. 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006, dandone una interpretazione, per la cui ‘compatibilità comunitaria’ ha trasmesso gli atti all’esame della Corte di Giustizia.
Osserva al riguardo la Sezione che tale richiamo – con le questioni affrontate con la citata ordinanza – non rilevi per definire il presente giudizio, poiché:
- l’Adunanza Plenaria si è occupata dell’ambito di applicazione delle disposizioni del titolo V della Parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, sulle misure conseguenti alla contaminazione (in un quadro normativo per il quale è previsto l’onere reale disciplinato dall’art. 253 del medesimo decreto legislativo), mentre l’ordinanza impugnata in primo grado è stata emanata ai sensi dell’art. 192, il quale prende in specifica considerazione la colpa del proprietario;
- in quella sede, le società proprietarie delle aree - destinatarie dell’ordine di porre in essere le misure di messa in sicurezza e di presentare il progetto di bonifica – risultavano acquirenti delle relative aree in un periodo successivo allo svolgimento dell’attività inquinante svolta dalla società dante causa, mentre l’ordinanza impugnata in primo grado è stata emanata nei confronti del soggetto che è risultato il perdurante proprietario dell’area sostanzialmente trasformata in discarica incontrollata di rifiuti;
- la stessa ordinanza della Adunanza Plenaria, al § 23, ha rilevato come l’art. 192 attribuisce espressamente rilievo alla colpa del proprietario ed ha richiamato l’orientamento delle Sezioni Unite (25 febbraio 2009, n. 4472) per il quale sussiste la colpa anche nel caso di mancanza “degli accorgimenti e delle cautele che l’ordinaria diligenza suggerisce per realizzare un’efficace custodia e protezione dell’area, così impedendo che possano essere in essa indebitamente depositati rifiuti nocivi”;
- nel presente giudizio, è indubitabile la sussistenza della colpa del soggetto destinatario dell’ordinanza ex art. 192, in ragione della trascuratezza, dell’incuria e dell’assenza di vigilanza e di custodia, che hanno caratterizzato la vicenda in esame.
15.- Per le ragioni che precedono, considerato che non risulta riproposto ex art. 101, comma 2, del c.p.a. il secondo motivo del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, l’appello deve essere conclusivamente accolto e, in riforma della prima decisione, va respinto il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado n. 1687 del 2013.
16.- Nella complessità e parziale novità delle questioni trattate il collegio ravvisa eccezionali ragioni per compensare, ai sensi degli artt. 26, comma 1, del c.p.a. e 92, comma 2, del c.p.c., le spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, accoglie l’appello n. 4483.2013 in esame e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, respinge il ricorso originario proposto dinanzi al T.A.R. n. 1687 del 2013.
Compensa integralmente le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore
Fulvio Rocco, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere
|
|
|
|
|
|
L'ESTENSORE |
|
IL PRESIDENTE |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/06/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)