Consiglio di Stato, Sez. Vi, n. 3165, del 23 giugno 2014
Rifiuti.Legittimità formalizzazione dei disposti dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/97 nei confronti della proprietà

Non rileva la pretesa irretroattività della direttiva posto che tale irretroattività comporta comunque l’emergere, quale parametro di giudizio, della normativa nazionale (nella specie, il d.lgs. n. 22 del 1997). A conforto dell’applicabilità del suddetto decreto legislativo alla fattispecie in esame, la considerazione che l’emissione accertata nel 1999 a causa del degrado della vasca posizionata in loco è da stimare derivante (in base agli indici di presumibilità considerati sufficienti dalla Corte di Giustizia) dalla pregressa attività industriale della Montedison, i cui effetti sono perdurati nel tempo e non possono, pertanto, essere considerati esauriti. Pertanto anche per tale via l’applicazione della disciplina entrata in vigore nel 1997 alla situazione di pericolo, permanente nel 1999, non configura un’ipotesi di applicazione retroattiva della norma, ma ne costituisce piena e legittima conseguenza dell’ordinaria efficacia temporale. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 03165/2014REG.PROV.COLL.

N. 01707/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1707 del 2012, proposto da: 
Edison s.p.a. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Alessandra Sandulli e Roberto Invernizzi, presso la prima elettivamente domiciliata in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 349;

contro

Comune di Rho in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Mario Viviani, con domicilio eletto presso E. Associati s.r.l. Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18; 
Regione Lombardia in persona del presidente in carica della giunta regionale, rappresentata e difesa dall'avvocato Marco Cederle, con domicilio eletto presso Giuliano Pompa in Roma, via Vittorio Veneto N. 108; 
Autotrasporti Forlani Umberto e C. s.n.c. e Eurolega s.n.c. di Enrico Baggi & C. in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, rappresentate e difese dagli avvocati Federico Boezio, Antonio Mannironi, Claudia Galdenzi, Maria Stefania Masini, con domicilio eletto presso Maria Stefania Masini in Roma, via Antonio Gramsci, 24; 
Edera Immobiliare s.r.l. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Sanino e Liberto Losa, con domicilio eletto presso Mario Sanino in Roma, viale Parioli, 180;
Provincia di Milano, Amiacque srl già Consorzio per l'acqua potabile ai Comuni della Provincia di Milano, Panificio Pastori snc di Pastori Roberto e C., Comune di Pero, Asl 309 - Asl della Provincia di Milano 1, Associazione temporanea di professionisti c/o Dott. Alberto Venegoni, Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Lombardia, Consorzio idrico e di tutela delle acque del nord Milano;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE I n. 1808/2011, resa tra le parti, concernente messa in sicurezza, bonifica e ripristino area.



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate, sopra specificate;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 maggio 2014 il consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti gli avvocati Invernizzi, Giovanni Monte per delega dell’avvocato Viviani, Pompa in dichiarata delega dell’avvocato Cederle, Masini, Boezio e Sanino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

La società Edison p.a. chiede la riforma della sentenza, in epigrafe indicata, con la quale il Tribunale amministrativo della Lombardia ha accolto in parte, per il resto respinto e dichiarato inammissibili, previa riunione, tre ricorsi proposti avverso, rispettivamente, il provvedimento n. 39180 dell’11 luglio 2000 del Comune di Rho recante intimazione di provvedere alla messa in sicurezza d’emergenza e di bonifica della parte nord dell’area denominata “Chimica Bianchi” ai sensi dell’art. 17 d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio) e del relativo regolamento di esecuzione, di cui al decreto ministeriale 25 ottobre 1999 n. 471, la successiva nota dell’11 giugno 2002 con cui il medesimo Comune ha comunicato l’inizio della messa in sicurezza della falda, anticipando l’intenzione di rivalersi delle spese sostenute e gli atti concernenti l’approvazione del relativo progetto.

I) Nell’area considerata dai provvedimenti oggetto del giudizio di primo grado, sita nel territorio del Comune di Rho, via Magenta 77, la società Montedison ha esercitato attività produttiva nel settore dell’industria chimica, cessata intorno agli anni settanta del secolo scorso. Nel 1982 è stato realizzato un intervento di messa in sicurezza dell’area, mediante incapsulamento della vasca interrata per il recupero dei solventi e l’area è stata alienata ed edificata per attività di tipo artigianale. Nel 1999 la Provincia di Milano ha individuato il settore settentrionale dell’area quale centro di contaminazione della falda acquifera, a causa del percolamento derivante dalla predetta vasca, e ha invitato il Comune di Rho a procedere alla“formalizzazione dei disposti dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/97 nei confronti della proprietà”; di conseguenza, con ordinanza in data 29 febbraio 2000 il Comune ha intimato al Condominio Artigianale di via Magenta, proprietario dell’area, la messa in sicurezza d’emergenza, di bonifica e di ripristino ambientale, ma tale ordinanza è stata sospesa in via cautelare dal Tribunale amministrativo della Lombardia.

Ordine di identico contenuto è stato quindi reiterato con il provvedimento in data 11 luglio 2000 nei confronti della società Montedison, quale responsabile dell’inquinamento: tale provvedimento costituisce l’oggetto del primo dei ricorsi decisi con la sentenza impugnata.

Con l’ordinanza n. 2724 del 2000 il Tribunale amministrativo ha accolto la domanda cautelare contenuta nel ricorso, rilevando che nel persistente difetto di ogni definitivo accertamento in ordine alle cause e alla responsabilità dell’inquinamento spetta all’ente locale di attivarsi direttamente; in conseguenza, il Comune ha provveduto ad approvare e a realizzare un progetto per la costruzione di una barriera idraulica a sud dell’area, salva la rivalsa nei confronti del responsabile del danno ambientale: anche i relativi atti sono oggetto dei ricorsi decisi con la sentenza impugnata.

II) Tale sentenza premette che il thema decidendum è costituito dalla legittimità del provvedimento dell’11 luglio 2000, e che l’interesse della ricorrente a contestare gli atti con i quali il Comune ha comunicato l’intenzione di provvedere in proprio alla messa in sicurezza dell’area si concentra avverso l’annunciata intenzione di intraprendere un’azione di rivalsa nei confronti del responsabile, compiutamente individuato nella società Montedison già nel provvedimento del 2000. Nel merito, la sentenza ha considerato infondata la censura relativa alla applicazione retroattiva dell’art. 17 d.lgs. n. 22 del 1997 e del decreto ministeriale n. 471 del 1999, ha accolto le censure inerenti la mancata partecipazione della società interessata al procedimento, ha dichiarato inammissibili quelle relative alle modalità dell’esecuzione d’ufficio concretamente poste in essere dall’Amministrazione, ha respinto gli ulteriori motivi, e ha quindi annullato il provvedimento dell’11 luglio 2000 solo per la mancanza di avviso di avvio del procedimento. Poiché, peraltro, tale provvedimento è stato seguito dagli altri atti, pure autonomamente impugnati, tutti preceduti dal prescritto avviso procedimentale, l’accoglimento del motivo, ha precisato la sentenza, non estende i propri effetti al successivo procedimento, che risulta immune dai vizi dedotti.

III) La società Edison impugna la sentenza per la parte in cui i ricorsi sono stati respinti o dichiarati inammissibili.

Il Comune di Rho ha proposto appello incidentale per la parte in cui è stato accolto il secondo motivo del primo ricorso, attinente al mancato avviso dell’avvio procedimentale, di cui all’art. 7 della legge n. 241 del 1990.

IV) L’appello incidentale del Comune (dal quale il Collegio ritiene di prendere le mosse) è fondato.

Il provvedimento impugnato in principalità è stato, infatti, preceduto dall’ordinanza n. 3143 del 2 giugno 2000, con la quale il Comune ha dato atto a Montedison s.p.a. dell’accertata presenza di inquinanti nel sottosuolo nell’area ex Chimica Bianchi e della necessità di procedere celermente alla“formalizzazione dei disposti dell’art. 17 del d.lgs. 22/1997”, e che a norma di tale articolo legittimato passivo dell’obbligo di bonifica è in via principale il soggetto che ha causato l’inquinamento, dovendosi “l’ordine […] essere rivolto, oltre ai proprietari delle aree interessate, anche alla soc. Montedison s.p.a. che ha cagionato o ha concorso a cagionare la situazione di inquinamento rilevata”. Il contenuto di tale ordinanza, depositata in atti nel ricorso di primo grado, preannuncia, quindi, come ha eccepito in giudizio il Comune, quello del successivo provvedimento dell’11 luglio 2000: erroneamente il primo giudice non ne ha tenuto conto, pur a fronte di una specifica eccezione dell’Amministrazione resistente, e ha riferito l’eccezione alla diversa ordinanza del 29 febbraio 2000, rilevando, nel contenuto di quest’ultima, elementi non riconducibili al contenuto del successivo provvedimento.

Per altro verso, la censura accolta in primo grado è inammissibile per carenza di interesse: è evidente che, nel successivo svolgersi del procedimento, l’ordine diretto alla Montedison contenuto nel provvedimento impugnato, sospeso dal Tribunale amministrativo, è stato sostituito dai successivi atti, del pari impugnati e preceduti dall’avviso ex art. 7 della legge n. 241 del 1990 con i quali il Comune si è assunto l’onere di provvedere, salvo rivalsa.

Se può così convenirsi nell’individuare in tali successivi atti la natura provvedimentale in ragione dell’essere indirizzati a Montedison quale soggetto responsabile dell’inquinamento (e quindi soggetto tenuto alla successiva rivalsa in favore dell’Amministrazione: qualificazione, questa, che consolida l’interesse al ricorso sia con riguardo sia al primo provvedimento, sia a quelli successivi, nei limiti che si diranno), nondimeno appare evidente che l’effetto lesivo della qualificazione, lamentato dalla ricorrente è rimasto il medesimo, ed è stato preannunciato proprio dall’ordinanza del 2 giugno 2000.

Peraltro, i successivi atti che hanno fatto seguito alla sospensione dell’originario ordine diretto, disposta dal Tribunale amministrativo, e che tale ordine hanno sostituito con l’intervento diretto del Comune, sono stati preceduti, come si è detto, dall’avviso ex art. 7: rispetto a tali nuovi provvedimenti, quindi, il vizio procedimentale non sussiste.

Infine (ed è considerazione, sul punto, conclusiva), l’art. 7 non prevede un adempimento formale, ma solo un mezzo per permettere all’interessato di conoscere del ed interloquire nel procedimento che lo riguarda, perciò l’avviso non è necessario se l’interessato ne abbia comunque avuto conoscenza. Tale è il caso di specie, nel quale la società ricorrente, al momento della conclusione del procedimento, bene era a conoscenza dell’assunto della responsabilità (sempre) ritenuta dal Comune a suo carico, in forza delle vicende, anche processuali, delle quali è stata protagonista, come sopra si è detto.

V) L’interesse al ricorso, e la materia del contendere, si concentrano, come ha rilevato il primo giudice, nella pretesa illegittimità sia dell’attribuzione alla società Edison della responsabilità dell’inquinamento, sia dell’onere di rivalsa ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997 (poi abrogato dall'art. 264 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e da quello sostituito, ma vigente quando furono adottati i provvedimenti impugnati in primo grado).

L’appellante ribadisce, come in primo grado, la carenza di istruttoria nella determinazione della responsabilità, l’applicazione retroattiva dell’art. 17 citato, la caducazione dei successivi provvedimenti a causa dell’annullamento dell’ordine impugnato con il primo ricorso.

Quanto a quest’ultimo aspetto, le considerazioni sopra svolte, che hanno condotto all’accoglimento dell’appello incidentale, valgono a farne emergere l’infondatezza, poiché, come si è detto, i successivi provvedimenti non sono consequenziali, ma sostitutivi dell’ordine sospeso dal Tribunale amministrativo.

Neppure può essere condivisa la censura relativa alla carenza di istruttoria (declinata nel senso del mancato approfondimento in ordine alle effettive responsabilità dello stato di fatto).

La circostanza che sia stata Edison s.p.a. a reagire in giudizio avverso gli atti indirizzati a Montedison s.p.a. (il ricorso di primo grado è stato proposto da Edison s.p.a, già Montedison s.p.a.) vale, da sola, a rendere palese l’infondatezza della censura nella parte relativa al mancato approfondimento dei rapporti tra le due società; d’altra parte, la titolarità di Montedison dell’insediamento produttivo in esercizio dal 1907 sotto il nome di Società Chimica Lombarda Bianchi costituisce circostanza inoppugnata in causa, e testimoniata dalla documentazione versata nel giudizio di primo grado dal Comune di Rho, attestante come nel 1976 la società Montedison era “titolare dell’insediamento produttivo costituito da impianti chimici […] in esercizio dal 1907 sotto il nome di Società Chimica Lombarda Bianchi, sito in Rho, via Magenta 77” (nell’area, dunque, in cui si sono rinvenuti i materiali inquinanti a seguito delle indagini esperite nel 1999).

Per ciò che concerne, invece, la pretesa incompletezza dell’istruttoria, le indagini appena ricordate, che hanno accertato la situazione di contaminazione delle acque e la conseguente necessità di provvedere a un nuovo sbarramento idraulico, in ragione della inidoneità della vasca incapsulata dalla Montedison nel 1982 a contenere le sostanze inquinanti, oltre alla circostanza che l’attività dell’industria chimica per lungo tempo svolta dalle società del gruppo su tale area si è protratta fino agli anni settanta, sono idonee a confortare la legittimità dell’individuazione della ricorrente come soggetto da ritenere, ai fini che occupano, responsabile dell’inquinamento riscontrato e dunque da gravare delle misure ripristinatorie cui questa azione amministrativa è nell’interesse generale orientata. D’altra parte, quel che rileva, e che conduce al riscontro della legittimità dell’applicazione dell’art. 17 operata dal Comune, non è l’incontestabile certezza a proposito dell’imputazione della responsabilità (alla quale conseguirebbe l’obbligo diretto di bonifica, ai sensi del comma 2 del medesimo articolo), ma semplicemente la situazione prevista dal successivo comma 9 ai fini dell’attivazione sostitutiva dell’Amministrazione.

La situazione di accentuata plausibilità della riconduzione delle cause dell’inquinamento, i cui effetti vanno rimossi, all’attività della Montedison accertata dall’istruttoria preliminare al provvedimento dell’11 luglio 2000 è, pertanto, utile anche al fine della legittimità dei successivi atti.

E’ pertanto condivisibile la conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata, che a tale proposito ha fatto riferimento alla relazione tecnica della Provincia di Milano del 16 novembre 1999 e il verbale del 1° febbraio 2000 del gruppo di lavoro istituito presso di quella, e ha ricordato che il campionamento effettuato nel corso delle indagini .aveva riguardato sostanze del medesimo tipo di quelle impiegate dalla Chimica Bianchi e dalla Montedison.

Del resto, come ha ritenuto questo Consiglio di Stato in altra fattispecie (sez. V, 5 dicembre 2008, n. 6055), anch’essa relativa a impianti riconducibili all’odierna appellante, l'ipotetica esistenza di altri concorrenti fattori causativi dell'inquinamento dei siti in discorso non escluderebbe di per sé la responsabilità della Montedison, ampiamente suffragata dagli esiti dell'istruttoria compiuta, convergendo in tal senso plurimi, gravi, precisi e concordanti elementi, come si è detto, a fronte dei quali la Edison non avrebbe potuto limitarsi a ventilare genericamente il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi, ma dovendo piuttosto precisare, e con sufficiente specificazione, quale fosse stata - diversamente da quanto opinato dalle amministrazioni - la reale, diversa dinamica degli avvenimenti e a quale diverso soggetto dovesse addebitarsi la condotta causativa dell'inquinamento.

Questa conclusione è coerente con la normativa europea, in particolare con il principio “chi inquina paga”, introdotto dal Trattato di Maastricht (1992) e poi stabilito dalla direttiva 2004/35/CE (e oggi recepito all’art. 3-ter d.lgs. n. 152 del 2006). Come ha rilevato la Corte di giustizia europea con la sentenza 9 marzo 2010, n. 378/08, la normativa di uno Stato membro può prevedere che l'autorità competente abbia facoltà di imporre misure di riparazione del danno ambientale presumendo l'esistenza di un nesso di causalità tra l'inquinamento accertato e le attività del singolo o dei diversi operatori, e ciò in base alla vicinanza degli impianti di questi ultimi con il menzionato inquinamento. Tra gli indizi capaci di dar fondamento alla presunzione rientrano la vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività. La ricorrenza, nella fattispecie qui in esame, di tali indici conforta, pertanto, la legittimità dei provvedimenti impugnati in primo grado.

VI) Che l’applicazione dell’art. 17 d.lgs. n. 22 del 1997 e del relativo regolamento di cui al decreto ministeriale 25 ottobre 1999, n. 471 a situazioni di inquinamento derivanti da attività cessate prima dell’entrata in vigore di dette norme non ne configuri una applicazione retroattiva è principio già ritenuto da questo Consiglio di Stato.

In particolare, con la sentenza di questa VI Sezione 9 ottobre 2007, n. 5283 è stato affermato, in coerenza con l'orientamento della giurisprudenza penale (cfr. Cass., 28 aprile 2000, n. 1783) che questa normativa trova applicazione a qualunque situazione di inquinamento inteso come effetto in atto al momento dell'entrata in vigore del decreto legislativo. Infatti, l'inquinamento dà luogo a una situazione di carattere permanente che perdura fino a che non ne vengano rimosse le cause e i parametri ambientali alterati vanno riportati entro i limiti normativamente accettabili: perciò si deve convenire, in armonia con i puntuali rilievi svolti dal primo giudice, che le previsioni dell’allora vigente d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 trovano applicazione per qualunque sito che risulti in atto inquinato, indipendentemente dal momento in cui possa essere avvenuto il fatto o i fatti generatori dell'attuale situazione patologica.

La formulazione della norma collega infatti la sanzione non al momento in cui viene cagionato l'inquinamento o il relativo pericolo ma alla mancata realizzazione, da parte del responsabile, della necessaria bonifica, ai sensi dell'art. 17.

Non si tratta quindi di portata retroattiva della disposizione precettiva, ma dell'applicazione ratione temporis della legge onde fare cessare gli effetti di una condotta omissiva a carattere permanente, che possono essere elisi solo con la bonifica. Detto altrimenti, viene sanzionato non il comportamente inquinante precedentemente prodotto, ma la mancata rimozione dei suoi effetti, i quali permangono nonostante il fluire del tempo.

In sintonia con detta ricostruzione la giurisprudenza penale della Corte di Cassazione (Cass., n. 1783/2000 cit.) ha per l'appunto osservato che "la contravvenzione di cui all'art. 51-bis del d.lgs. n. 22/1997 si configura come reato omissivo di pericolo presunto che si consuma ove il soggetto non proceda all'adempimento dell'obbligo di bonifica secondo le cadenze procedimentalizzate dall'art. 17. La predetta si applica anche a situazioni verificatesi in epoca anteriore all'emanazione del regolamento di cui al D.M. 471/1999".

Il Collegio condivide queste considerazioni, alle quali non è d’ostacolo l’elaborazione comunitaria.

Con la sentenza 9 marzo 2010, n. 378/08, già citata, la Corte di Giustizia europea ha chiarito che la direttiva 2004/35/CE si applica ai danni causati da un'emissione, un evento o un incidente avvenuti dopo il 30 aprile 2007 quando questi danni derivano o da attività svolte successivamente a tale data, o da attività svolte anteriormente a tale data, ma non ultimate prima della scadenza della medesima.

Peraltro, continua questa sentenza, qualora il giudice del rinvio dovesse giungere alla conclusione che la direttiva 2004/35 non è applicabile nella causa di cui è investito, un'ipotesi del genere dovrà essere allora disciplinata dall'ordinamento nazionale, la cui interpretazione spetta, in forza dell'art. 267 TFUE, basato sulla separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte europea, solo al giudice nazionale. Non rileva, pertanto, la pretesa irretroattività della direttiva (affermata dall’appellante), posto che, come detto, tale irretroattività comporta comunque l’emergere, quale parametro di giudizio, della normativa nazionale (nella specie, il d.lgs. n. 22 del 1997).

Proprio in base agli enunciati appena ricordati può ancora aggiungersi, a conforto dell’applicabilità del suddetto decreto legislativo alla fattispecie in esame, la considerazione che l’emissione accertata nel 1999 a causa del degrado della vasca posizionata in loco è da stimare derivante (in base agli indici di presumibilità considerati sufficienti dalla Corte di Giustizia) dalla pregressa attività industriale della Montedison, i cui effetti sono perdurati nel tempo e non possono, pertanto, essere considerati esauriti.

Pertanto anche per tale via l’applicazione della disciplina entrata in vigore nel 1997 alla situazione di pericolo, permanente nel 1999, non configura un’ipotesi di applicazione retroattiva della norma, ma ne costituisce piena e legittima conseguenza dell’ordinaria efficacia temporale.

VII) Quanto agli ulteriori profili relativi alle censure dichiarate infondate o inammissibili dalla sentenza impugnata, l’appello è infondato (a prescindere dall’esaminare l’ammissibilità delle censure riproposte in appello e non argomentate quali vizi della sentenza stessa).

Inammissibile è la censura relativa all’esiguità del termine per la messa in sicurezza (del resto coerente con quello indicato nell’art. 17 del d.lgs. n. 22, nel testo in allora vigente), di cui all’ordine dell’11 luglio 2000, essendo stato tale provvedimento sostituito dalle successive determinazioni di attuazione ex officio degli adempimenti necessari.

Inammissibili sono anche le censure che si appuntano sulle modalità dell’esecuzione d’ufficio, essendo estranee all’interesse che, come sopra si è detto, è condizione dei ricorsi di primo grado e che è relativo alla contestazione della qualificazione di responsabilità in capo alla ricorrente: rispetto a tale interesse, la concreta attuazione e specificazione dell’intervento comunale è elemento del tutto ininfluente.

VIII) In conclusione, l’appello principale risulta infondato e deve essere respinto; mentre l’appello incidentale proposto dal Comune di Rho risulta fondato e va accolto, con consequenziale riforma della sentenza impugnata nella sola parte relativa all’accoglimento del secondo motivo del ricorso di primo grado n. 3425/2000 e conferma per la restante parte.

Le spese del giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe indicato, lo respinge; accoglie l’appello incidentale e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado n. 3425/2000, confermando, per il resto, la sentenza stessa.

Condanna la società appellante a rifondere alle parti resistenti le spese del giudizio, nella misura di 5.000,00 (cinquemila/00) euro, oltre IVA e CPA per ognuna di esse per entrambi i gradi.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Vito Carella, Consigliere

Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore

Carlo Mosca, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/06/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)