Cass. Sez. III n. 35862 del 31 agosto 2016 (Ud. 31 mag 2016)
Presidente: Rosi Estensore: Scarcella Imputato: Varvarito e altro
Rifiuti.Responsabilità del direttore tecnico di azienda
La responsabilità per la corretta esecuzione delle operazioni di gestione dei rifiuti grava sul direttore tecnico al quale, per la molteplicità dei compiti istituzionali o per la complessità della organizzazione aziendale, la gestione medesima sia stata delegata con attribuzione in suo favore di tutti i poteri necessari per l'integrale rispetto delle norme di legge e regolamentari, quando si accerti che il titolare non abbia interferito nella sua attività.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 12/01/2012, depositata in data 27/03/2012, il tribunale di PRATO dichiarava V.M., V.F. e T.L. colpevoli del reato di cui all'art. 113 c.p. e art. 256, comma 1, lett. a) e comma 4, in relazione al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 216, comma 2, lett. a), limitatamente alla violazione delle prescrizioni dell'autorizzazione della Provincia di Prato (determina n. 3420) relative alla messa in riserva dei rifiuti (perchè, nelle qualità descritte nell'imputazione, gestivano un impianto di recupero di rifiuti speciali non pericolosi rappresentati da inerti nell'impianto posto in Prato, in violazione delle prescrizioni della predetta autorizzazione relative alle modalità gestionali dell'impianto, segnatamente per aver effettuato un messa in riserva dei rifiuti in modo difforme da quanto previsto nella planimetria allegata alla documentazione tecnica), in relazione a fatti accertati in data 24/11/2009, condannandoli alla pena di Euro 1000,00 di ammenda ciascuno.
2. Hanno proposto ricorso V.M., V.F. e T.L., a mezzo del comune difensore fiduciario cassazionista, impugnando la sentenza predetta con cui deducono sei motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p.: a) mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione.
2.1. Deducono, con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.c., lett. b), in relazione al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 e art. 216.
In sintesi la censura investe l'impugnata sentenza in quanto, sostengono i ricorrenti, il giudice avrebbe commesso un errore di diritto; segnala, in particolare, che l'art. 216 riguarda le prescrizioni previste per il rilascio di una autorizzazione al trattamento dei rifiuti in forma semplificata; lo stesso si differenzia sostanzialmente, quanto al contenuto delle prescrizioni, dall'articolo 210 del testo unico ambientale, che prevede la procedura ordinaria; è pacifico degli atti la società del V. è stata autorizzata con procedura ordinaria; ne discende dunque che la fattispecie penale, in relazione all'art. 216 citato, non poteva essere in alcun modo commessa dal V. in quanto la predetta fattispecie penale riguarda soggetti autorizzati in forma semplificata, mentre la società è autorizzata in forma ordinaria.
2.2. Deducono, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) e c), in relazione all'art. 157 c.p. e all'art. 531 c.p.p., comma 2.
In sintesi la censura investe l'impugnata sentenza in quanto, sostengono i ricorrenti, dagli atti risulta che il sopralluogo dell'organo di vigilanza era avvenuto il (OMISSIS); il teste sentito in dibattimento aveva dichiarato di aver verificato il cumulo indifferenziato dei rifiuti, estraendo una foto aerea di un periodo non meglio precisato ma comunque antecedente e non di poco al (OMISSIS); lo stesso teste aveva riferito che le prescrizioni cui attenersi dovevano fare riferimento tra l'altro alla documentazione tecnica depositata il 29/12/2006 e successive integrazioni, comunque non databili oltre il 12/6/2008; la pubblica accusa, cui spettava l'onere della prova, non avrebbe offerto alcun elemento in ordine alla data del commesso reato, che invece sarebbe stata facilmente ricavabile ove fossero stati acquisiti i formulari di trasporto dei rifiuti, da cui si sarebbe potuto ricavare il giorno di ingresso e la tipologia del rifiuto; sussisterebbero pertanto elementi in atti per far risalire l'epoca di formazione del cumulo sicuramente ad una data antecedente al sopralluogo e probabilmente anche risalendo al 2006; il reato pertanto sarebbe estinto per prescrizione.
2.3. Deducono, con il terzo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. c), in relazione agli artt. 521 e 522 c.p.p., in tema di corrispondenza tra l'imputazione contestata e la sentenza.
In sintesi la censura investe l'impugnata sentenza in quanto, sostengono i ricorrenti, gli stessi, così come risulta nella epigrafe della sentenza dì cui alla imputazione, avrebbero violato le prescrizioni dell'autorizzazione della provincia di Firenze, là dove il giudice ha pronunciato condanna per la violazione delle prescrizioni dell'autorizzazione della provincia di Prato; è evidente, pertanto, che vi sarebbe la violazione delle norme processuali sopraindicate, atteso che, nonostante tale discrasia fosse stata rilevata durante il processo, il pubblico ministero non avrebbe provveduto alla modifica dell'imputazione sicchè, il giudice avrebbe pronunciato condanna violando il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.
2.4. Deducono, con il quarto motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e), sotto il profilo della mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine all'affermazione della responsabilità penale di tutti gli imputati.
In sintesi la censura investe l'impugnata sentenza in quanto, sostengono i ricorrenti, il giudice ha pronunciato condanna assumendo come punto di riferimento la autorizzazione alla gestione dei rifiuti risalente al 2008; detta autorizzazione era stata oggetto di un'istanza di variazione nell'agosto del 2009; sostengono i ricorrenti che, quantunque la variazione fosse stata concessa successivamente, l'efficacia modificativa dell'autorizzazione del 2008 decorrerebbe dall'agosto del 2009, data della richiesta di modifica, precedente alla data del commesso reato; pubblica accusa e giudice, pur giudicando nel 2012 e risultando dagli atti che la variazione era stata approvata (e dunque idonea ad incidere sulla fattispecie penale posta alla loro attenzione), non avrebbero in alcun modo fornito nè richiesto la prova del contenuto di questa ulteriore variazione; da qui vi sarebbe la contraddittorietà della motivazione, in quanto il giudice avrebbe valutato il fatto alla luce di un impianto normativo - amministrativo già variato al momento dell'asserito compimento del fatto; il mancato riscontro della autorizzazione avrebbe dunque impedito al giudice di comprendere la reale portata della stessa; il giudice, avrebbe infatti ritenuto, che essendo disegnate nell'autorizzazione specifiche linee grafiche identificative della separazione del materiale in cantiere, le stesse dovessero essere anche millimetricamente rispettate nella realtà fisica del cantiere; diversamente il teste sentito dibattimento avrebbe confermato l'esistenza di containers separati, ciascuno carico dello specifico rifiuto che l'autorizzazione assegnava ad una zona autonoma del cantiere, ciò configurando non solo il sostanziale rispetto dell'autorizzazione - cioè che ciascuna tipologia di rifiuto risultava autonomamente separata dalle altre - ma anche formalmente, poichè i containers avevano posto laddove nel disegno per ciascuno era indicata la collocazione di tale tipologia di rifiuto; quanto al cumulo indistinto su cui giudice fonda la condanna, si osserva come lo stesso fosse già previsto nell'autorizzazione del 2008, là dove era stato trovato; invero, a fianco del cumulo indistinto da lavorare, l'autorizzazione prevedeva il più grosso di tutti i cumuli di rifiuti per il quale la società è autorizzata, cioè quello da terre e rocce da scavo; tale secondo cumulo era posizionato nell'autorizzazione in aderenza a quello indistinto da lavorare; i ricorrenti, dopo aver illustrato la modalità di svolgimento del trattamento di rifiuti dell'impianto autorizzato, osservano come nella prima fase di lavorazione esista sempre un cumulo indifferenziato di materiale, ossia quello che è stato ritrovato dagli accertatori; risulterebbe però chiaramente sia dalla testimonianza del teste del pubblico ministero che da quello indotto dalla difesa, che nell'agosto 2009 l'impianto di trattamento rifiuti aveva raggiunto quasi il massimo della sua capacità, sicchè era stata richiesta la nuova autorizzazione che conteneva tra l'altro l'ampliamento dei quantitativi; per saturazione delle quantità autorizzate, non si intenderebbe che la società V. non avesse in discarica cumuli di materiali pari alle tonnellate trattabili, perchè una volta trattati i materiali sono destinati ad essere venduti ed utilizzati in altri cantieri; ne discenderebbe pertanto che, avendo ormai esaurito la lavorazione di tutto il materiale autorizzato, non vi era presenza nell'impianto di un cumulo di terre e rocce da scavo, perchè era già stato venduto e riutilizzato; ciò spiegherebbe l'enigma del perchè sia stato rinvenuto un cumulo indifferenziato, quello cioè da lavorare; di tutti tale elementi il giudice non avrebbe tenuto alcun conto, donde la contraddittorietà del ragionamento del giudice laddove riconosce l'esistenza di un cumulo autorizzato, e poi - senza chiedersi quale sia la naturale evoluzione di questo cumulo - ne fa scaturire l'accertamento della violazione a carico degli imputati; altro profilo di contraddittorietà ed illogicità riguarderebbe quanto dichiarato dal teste M., il quale avrebbe riferito che il giorno del controllo nel sito societario si trovavano quantità di rifiuti conformi all'autorizzazione (il che significherebbe che il teste ha riscontrato la quantità di rifiuti indifferenziati in entrata, quantità differenziate di rifiuti in uscita, quantità distinte per ciascuna tipologia presenti in cantiere); ciascuna tipologia dunque sarebbe stata a posto e il fatto che, come testimoniato dal teste M., secondo cui egli non poteva sapere che cosa c'era sotto il cumulo, tradirebbe in sostanza un omesso controllo che contraddirebbe lo stesso testimone laddove afferma di aver verificato le quantità di rifiuti in cantiere, ciò che tuttavia non può far ritenere colpevoli gli imputati dell'eventuale negligenza di chi doveva eseguire il controllo; ribadiscono i ricorrenti infine che i rifiuti sono tracciati tramite formulari e non essendo gli stessi stati acquisiti al processo (laddove avrebbero descritto la genesi del rifiuto da indifferenziato a differenziato), mancherebbe la prova della relativa violazione.
2.5. Deducono, con il quinto motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e), sotto il profilo della mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine all'affermazione della responsabilità penale degli imputati T. e V.F. quali procuratori.
In sintesi la censura investe l'impugnata sentenza in quanto, sostengono i ricorrenti, il giudice avrebbe condannato in modo indifferenziato per una condotta necessariamente operativa, ossia aver tenuto un cumulo di rifiuti asseritamente in maniera contrastante con l'autorizzazione ricevuta, anche il T. ed il V.F.; il giudice avrebbe dunque erroneamente considerato i procuratori della società quali amministratori delegati, ritenendo che agli stessi fosse consentito un autonomo potere di determinazione della volontà della società, come avviene nella delega organica in materia societaria ai singoli amministratori delegati; diversamente la procura conferita al T. e al V.F. consentiva agli stessi solo di manifestare la volontà dell'ente ma non di determinarla; in altri termini i procuratori risultano essere dei mandatari ad acta che hanno solo potestà di firma ma non si assumono la responsabilità delle decisioni che non hanno il potere di determinare.
2.6. Deducono, con il sesto ed ultimo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e), sotto il profilo della mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla determinazione della pena ed alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
In sintesi la censura investe l'impugnata sentenza in quanto, sostengono i ricorrenti, il giudice, nell'eseguire il calcolo ai fini della determinazione della pena, avrebbe individuato una pena base di Euro 3000 di ammenda, senza motivare le ragioni per le quali la stessa veniva determinata in misura superiore al minimo edittale, pur a fronte di soggetti incensurati e riconosciuti meritevoli delle attenuanti generiche; il giudice avrebbe altresì contraddittoriamente motivato, dapprima affermando che in sede dibattimentale l'impianto accusatorio si sarebbe ridimensionato, poi però muovendo nel calcolo della pena ben oltre il minimo edittale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. I ricorsi sono inammissibili per manifesta infondatezza.
4. Seguendo l'ordine sistematico suggerito dalla struttura dell'impugnazione di legittimità, deve essere esaminato anzitutto il primo motivo, con cui i ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui è stata contestata la violazione dell'art. 216 del Testo unico ambientale anzichè dell'art. 210 del medesimo Testo unico, con riferimento alla procedura - in forma semplificata anzichè in forma ordinaria- di rilascio dell'autorizzazione. E' pacifico, infatti, che la società fosse titolare di autorizzazione rilasciata in forma ordinaria, essendo invero sufficiente osservare che la contestazione in fatto rendeva in maniera evidente e (chiaramente) superabile l'errore di indicazione della norma che si assumeva violata (l'art. 216 anzichè l'art. 210), essendosi peraltro puntualmente difesi i ricorrenti proprio dalla contestazione corretta, articolando le loro difese in relazione alla violazione delle prescrizioni dell'autorizzazione n. (OMISSIS), che, ovviamente, era stata rilasciata, in relazione alla tipologia di attività autorizzata, nelle forme dell'art. 210 del Testo unico ambientale.
Del resto, si osserva, per consolidato principio giurisprudenziale di legittimità, sarebbe stato affetto da abnormità il provvedimento con cui il giudice avesse dichiarato la nullità del decreto di citazione a giudizio perchè l'imputazione, relativa ad una fattispecie di reato con diverse ipotesi di condotte incriminatrici, non conteneva l'indicazione della norma esatta (l'art. 210 anzichè il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 216) alla quale fare riferimento, sebbene la specifica norma violata ben potesse evincersi agevolmente dal complesso della contestazione (arg. ex Sez. 4^, n. 24668 del 21/04/2004 - dep. 31/05/2004, P.M. in proc. Di Paolo, Rv. 228793). La stesse Sezioni Unite di questa Corte, del resto, hanno autorevolmente chiarito che ai fini della contestazione dell'accusa, ciò che rileva è la compiuta descrizione del fatto, non l'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati (Sez. U, n. 18 del 21/06/2000 - dep. 01/08/2000, Franzo e altri, Rv. 216430), aggiungendo con la celeberrima sentenza Di Francesco che, con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996 - dep. 22/10/1996, Di Francesco, Rv. 205619). Ciò che è quanto verificatosi nel caso di specie.
5. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo, con cui si svolgono censure in relazione alla presunta estinzione del reato per prescrizione. Osserva il collegio come la affermazione secondo cui la data di consumazione sarebbe antecedente a quella dell'accertamento ((OMISSIS)), ed addirittura risalente ad epoca tra il 2006 e il 2009 - dunque nemmeno espressa in termini di certezza ma veramente ipotetici - è chiaramente inidonea a supportare la prospettazione difensiva.
A tal proposito, è sufficiente richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa forte secondo cui il ricorrente che invochi nel giudizio di cassazione la prescrizione del reato, assumendo per la prima volta in questa sede che la data di consumazione è antecedente rispetto a quella contestata, ha l'onere di riscontrare le sue affermazioni fornendo elementi incontrovertibili, idonei da soli a confermare che il reato è stato consumato in data anteriore a quella contestata, e non smentiti nè smentibili da altri elementi di prova acquisiti al processo (Sez. 4^, n. 47744 del 10/09/2015 - dep. 02/12/2015, Acacia Scarpetti, Rv. 265330). Elementi incontrovertibili che, proprio la natura ipotetica della variabilità cronologica descritta dai ricorrenti (tra il 2006 ed il 2009), non si ravvisano nel caso in esame.
6. Non miglior sorte merita il terzo motivo, con cui si censura la presunta violazione del combinato disposto gli artt. 521 e 522 c.p.p., in quanto sarebbe stata contestata la violazione delle prescrizioni dell'autorizzazione rilasciata dalla Provincia di Firenze a fronte di una condanna per aver violato i ricorrenti le prescrizioni contenute nell'autorizzazione rilasciata dalla Provincia di Prato.
E' di palmare evidenza come non possa ravvisarsi, nel caso di specie, alcuna violazione delle predette norme processuali, essendosi i ricorrenti chiaramente difesi dalla contestazione relativa alla violazione delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione rilasciata dalla provincia di Prato.
Ancora una volta pertanto, non può che richiamarsi il principio autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite Carelli secondo il quale in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010 - dep. 13/10/2010, Carelli, Rv. 248051).
7. Ad analoga censura di inammissibilità per manifesta infondatezza presta il fianco il quarto motivo di ricorso, con cui i ricorrenti si dolgono della presunta sussistenza del vizio di motivazione della sentenza impugnata per aver il giudice tenuto conto solo di quanto prescritto nell'autorizzazione rilasciata nell'anno 2008, senza considerare che le modifiche al contenuto prescrittivo dell'autorizzazione avrebbero avuto efficacia sin dalla presentazione della richiesta di modifica.
Si tratta di affermazione priva di pregio perchè non corretta in diritto, posto che è pacifico le modifiche ad un atto autorizzativo intervenute per effetto di un provvedimento amministrativo successivo hanno efficacia "ex nunc" e non "ex tunc", non retroagendo le stesse al momento della richiesta di modifica, ma spiegando la loro efficacia solo successivamente alla loro approvazione (nella specie intervenuta con la determina n. 148 del 26/1/2010, successiva all'accertamento). Trattasi, del resto, di un principio più volte ribadito dalla giurisprudenza amministrativa con riferimento al tema dell'efficacia dell'atto amministrativo che ha di regola carattere costitutivo. Rispetto all'efficacia dell'atto amministrativo, infatti, la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. St., sez. 6^, 7 agosto 2002, n. 4126) è pacifica nell'affermare che i provvedimenti amministrativi hanno carattere costitutivo e producono effetti a decorrere dalla data della loro emanazione, con la sola eccezione dei casi in cui una norma disponga diversamente (perchè richiede il superamento di un controllo preventivo di legittimità ovvero la notifica dell'atto al suo destinatario), oppure dei casi in cui un obbligo di fare (ad esempio imposto con un provvedimento contingibile ed urgente) divenga concretamente esigibile a seguito della sua comunicazione al destinatario.
Alla luce di quanto sopra, pertanto nessuna contraddittorietà è ravvisabile nella motivazione della sentenza che ha considerato, al fine di valutare la violazione delle prescrizioni, il provvedimento rilasciato nel 2008, essendo questo, alla data dell'accertamento, l'unico applicabile e valutabile da parte del giudice.
8. Per quanto, poi, concerne le ulteriori censure sviluppate con il predetto motivo (dalla questione relativa all'esistenza di separati containers di cui avrebbe parlato il teste M., a quella del cumulo indistinto di materiali prodromico alla gestione della fase operativa descritta alla pag. 10 del ricorso, fino alla censura svolta all'operato del verbalizzante che avrebbe omesso di eseguire il controllo su ciò che vi era "sotto" il cumulo dei rifiuti), all'evidenza le stesse sviluppano censure di merito che si risolvono nel tentativo di coinvolgere questa Corte Suprema in una operazione di rivalutazione degli elementi fattuali emersi nel corso dell'istruttoria, così pretendendo di sostituire il giudizio di questa Corte di legittimità a quello, esclusivamente di merito, del giudice che ha emesso l'impugnata sentenza, operazione come è noto del tutto inibita in questa sede. Deve qui essere nuovamente ricordato che in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (da ultimo: Sez. 6^, n. 47204 del 07/10/2015 - dep. 27/11/2015, Musso, Rv. 265482). Deve, ancora una volta, cioè sottolinearsi il principio - spesso sovente trascurato in sede di impugnazione davanti a questa Corte, equivocando sull'ambito dei poteri cognitivi ad Essa spettanti - che l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (per tutte, v.: Sez. U, n. 24 del 24/11/1999 - dep. 16/12/1999, Spina, Rv. 214794).
9. Manifestamente infondato è, ancora, il quinto motivo, con cui si contesta la sentenza impugnata per aver ritenuto responsabili dei fatti i ricorrenti T. e V. in qualità di procuratori. A tal proposito è sufficiente evidenziare come la sentenza impugnata dia chiaramente atto che gli stessi non soltanto erano procuratori, ma soprattutto erano direttori tecnici e che, dalla visura camerale della società, risultava dovessero provvedere alla organizzazione del cantiere e dell'ufficio tecnico, con attribuzione ai medesimi di tutti i poteri utili e/o necessari per l'integrale rispetto delle norme di legge e regolamentari. Un ruolo, dunque, operativo e gestionale e non solo, come vorrebbe sostenere la difesa dei ricorrenti, quali meri procuratori e "nunci" della volontà della società. Trova, dunque, applicazione la copiosa giurisprudenza di questa Corte che in subiecta materia responsabilizza il ruolo dei direttori tecnici (Sez. 2^, n. 9378 del 22/08/2000 - dep. 30/08/2000, Guarnone R, Rv. 217415; Sez. 3^, n. 3077 del 17/12/2002 - dep. 22/01/2003, Zanotti, Rv. 223219). Infatti, se il titolare di una azienda, per la molteplicità dei compiti istituzionali o per la complessità dell'organizzazione aziendale, affidi, in base a precise disposizioni preventivamente adottate secondo le disposizioni statutarie, la direzione di singoli rami o impianti a persone, dotate di capacità tecnica ed autonomia decisionale, la responsabilità penale ricade su questi ultimi soggetti, quando si accerti che il titolare stesso non abbia interferito nella loro attività (v., tra le tante: Sez. 3^, n. 2330 del 20/01/1992 - dep. 03/03/1992, Veronesi ed altro, Rv. 189176). Circostanza, quest'ultima, non emersa dalla sentenza impugnata.
10. Non si sottrae, da ultimo, alla declaratoria di manifesta infondatezza l'ultimo motivo di ricorso, con cui si censura il vizio di motivazione della sentenza con riferimento alla determinazione della pena ed al beneficio della sospensione condizionale della pena.
A tal proposito, osserva il Collegio, il motivo inerente al trattamento sanzionatorio viene espressamente affrontato dal giudice di merito valutando la pena come "congrua", peraltro muovendo da una pena prossima al minimo edittale (Euro 3000 a fronte di un minimo edittale di Euro 2600), sicchè la motivazione può sul punto ritenersi adeguata e sufficiente ad assolvere l'onere motivazionale richiesto dalla legge. Ed invero, è stato più volte affermato da questa Corte che in tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 c.p., (Sez. 4^, n. 46412 del 05/11/2015 - dep. 23/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283).
Quanto, infine, alla beneficio della sospensione condizionale della pena, è ben vero che nella motivazione della sentenza non si ravvisa alcuna indicazione sul punto, ma la difesa dei ricorrenti si limita solo ad enunciare il motivo senza poi svilupparlo nel corpo del medesimo, senza dunque specificare le ragioni per le quali il giudice avrebbe dovuto riconoscere il beneficio. Trova quindi applicazione il principio secondo cui il giudice non è obbligato a motivare la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, nè ad esaminare la questione, qualora l'imputato non abbia fatto espressa richiesta di applicazione del beneficio (Sez. 3^, n. 23228 del 12/04/2012 - dep. 13/06/2012, Giovanrosa, Rv. 253057). Per completezza, peraltro, dall'esame del verbale di udienza 12/01/2012 tenutasi davanti al giudice di merito, in sede di conclusioni, risulta che la difesa dei ricorrenti avesse concluso esclusivamente con richiesta di assoluzione per insussistenza del fatto, senza proporre alcuna richiesta subordinata. Ne consegue che la difesa dei ricorrenti non può, pertanto, dolersi della mancanza della motivazione in relazione alla assenza di indicazione delle ragioni del mancato riconoscimento di un beneficio non richiesto dai medesimi.
11. Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 1.500,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
In applicazione della consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite, non rileva la circostanza che, medio tempore, sia maturato il termine di prescrizione del reato alla data del 24/11/2014, atteso che la declaratoria di inammissibilità del ricorso osta alla possibilità per questa Corte di rilevare la causa di estinzione del reato, essendo stata pronunciata la sentenza impugnata in data antecedente al predetto termine (ossia il 12/01/2012). Ed invero, l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (per tutte: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 - dep. 21/12/2000, D. L., Rv. 217266, relativa a fattispecie, identica alla presente, in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della Suprema Corte di Cassazione, il 31 maggio 2016.
Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2016