Consiglio di Stato Sez. IV n. 7373  del 3 settembre 2024
Rifiuti.Realizzazione di discariche di materiali contenenti amianto e coordinamento tra interessi pubblici e tutela della salute privata

L’ordinamento consente la realizzazione di discariche di materiali contenenti amianto e le disposizioni di legge incidenti sulla libera iniziativa economica privata, ove vertenti su precisi e rilevanti interessi pubblici, devono essere interpretate secundum Constitutionem. L’art. 41 della Costituzione individua quale possibile limite alla libera intrapresa: “l’utilità sociale”, intesa come utilità generale della collettività, che la realizzazione di una discarica di (materiali contenenti) amianto soddisfa in via diretta; la “sicurezza umana”, dunque la salute di ciascun individuo, di cui, tuttavia, deve constare una almeno teorica sottoposizione a rischio, che può escludersi ove la dispersione aerea di fibre sia meramente ipotetica e, comunque, resti al di sotto delle soglie potenzialmente patogenetiche indicate dalla vigente normativa nazionale. 

Pubblicato il 03/09/2024

N. 07373/2024REG.PROV.COLL.

N. 02758/2023 REG.RIC.

N. 07115/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2758 del 2023, proposto dalla società Acqua&Sole s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pietro Ferraris ed Enzo Robaldo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Enzo Robaldo in Milano, piazza Eleonora Duse, n. 4;

contro

Consorzio di Tutela della Dop Riso di Baraggia Biellese e Vercellese, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Battista Bramard, Mario Sanino, Alessandro Sciolla e Sergio Viale, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Mario Sanino in Roma, viale Parioli, n. 180;

nei confronti

Ministero della Cultura, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Biella, Novara, Verbanocusio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Provincia di Biella, Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale del Piemonte – A.R.P.A. Piemonte, Azienda Sanitaria Locale di Biella – ASL Biella, Comune di Salussola, Consorzio Smaltimento Rifiuti Area Biellese – Co.S.R.A.B., A.T.O. Biella, Comune di Dorzano, Regione Piemonte, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituiti in giudizio;


sul ricorso numero di registro generale 7115 del 2023, proposto dalla società Acqua&Sole s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pietro Ferraris ed Enzo Robaldo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Enzo Robaldo in Milano, piazza Eleonora Duse, n. 4;

contro

le società Tenuta Agricola Castello di Turletti Carlo e C. s.s., P.A.B. Produzioni Agricole Brianco s.s., Bovindoc s.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché le signore Piera Anna Turletti, Marisa Turletti, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Hebert D'Herin e Riccardo Viriglio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Legambiente Nazionale Aps – Rete Associativa Ets, Legambiente Circolo Biellese “Tavo Burat” Odv, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Riccardo Viriglio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Comune di Santhià, Comune di Carisio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Michele Rosario Luca Lioi e Michele Greco, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Provincia di Biella, Regione Piemonte, Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale del Piemonte – A.R.P.A. Piemonte, Azienda Sanitaria Locale di Biella – ASL Biella, Comune di Salussola, Comune di Dorzano, Consorzio Smaltimento Rifiuti Area Biellese – Co.S.R.A.B,. A.T.O. Biella, Consorzio di Tutela della Dop Riso di Baraggia Biellese e Vercellese, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituiti in giudizio;

per la riforma

quanto al ricorso n. 2758 del 2023:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione Seconda, n. 1119 del 15 dicembre 2022, resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 7115 del 2023:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione Seconda, n. 619 del 16 giugno 2023, resa tra le parti;


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Cultura, della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Biella, Novara, Verbanocusio, del Consorzio di Tutela della Dop Riso di Baraggia Biellese e Vercellese, della società Tenuta Agricola Castello di Turletti Carlo e C. s.s., di Legambiente Nazionale Aps – Rete Associativa Ets, del Comune di Santhià, del Comune di Carisio, di Legambiente Circolo Biellese “Tavo Burat” Odv, della società P.A.B. Produzioni Agricole Brianco s.s., della società Bovindoc s.s., della signora Piera Anna Turletti e della signora Marisa Turletti;

Visti gli appelli incidentali presentati:

- nel ricorso n. 2758 del 2023 dal Consorzio di Tutela della Dop Riso di Baraggia Biellese e Vercellese;

- nel ricorso n. 7115 del 2023 dalle società Tenuta Agricola Castello di Turletti Carlo e C. s.s., P.A.B. Produzioni Agricole Brianco s.s. e Bovindoc s.s., nonché dalle signore Piera Anna Turletti e Marisa Turletti; dai Comuni di Santhià e Carisio; da Legambiente Nazionale Aps – Rete Associativa Ets e Legambiente Circolo Biellese “Tavo Burat” Odv;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 giugno 2024 il Cons. Luca Lamberti e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

A) IL GIUDIZIO N. 2758 DEL 2023

Con sentenza n. 1119 del 15 dicembre 2022, il T.a.r. per il Piemonte ha, in parziale accoglimento del ricorso proposto dal Consorzio di Tutela della Dop Riso di Baraggia Biellese e Vercellese, annullato il provvedimento provinciale n. 1128 del 21 luglio 2021, recante il riconoscimento di compatibilità ambientale con prescrizioni e la contestuale AIA del progetto di discarica di materiale da costruzione contenente amianto presentato dall’odierna appellante, ubicato in Comune di Salussola.

Il T.a.r., in particolare, ha preliminarmente rigettato l’eccezione di inammissibilità del ricorso per assunta carenza, in capo al Consorzio, di legittimazione e interesse a ricorrere, sostenendo che:

- il Consorzio è stato istituito in base alla legge (art. 14, comma 15, l. n. 526 del 1999) al fine di svolgere una “funzione generale di tutela di tutti gli interessi connessi alla denominazione DOP” del riso tipico della zona;

- il Comune di Salussola, ove verrebbe ubicato l’impianto de quo, è interamente ricompreso nell’area di coltivazione di tale riso DOP;

- la circostanza che allo stato il terreno ove ricade il progetto non sia coltivato a riso non rileverebbe in senso contrario, “poiché ciò che il Consorzio paventa è l’insediamento di un’attività a rilevante impatto ambientale, tale da coinvolgere un’area più vasta di quella destinata alla localizzazione puntuale della discarica, cioè un territorio che contribuisce alla definizione <<identitaria>> della Dop”.

Nel merito, il T.a.r. ha così deciso, in relazione alle censure articolate dal ricorrente Consorzio:

I – ha rigettato la censura sub I, sostenendo che l’organo tecnico che ha curato l’istruttoria, benché costituito nell’ambito della Provincia (peraltro in esecuzione dell’art. 7 l.r. n. 40 del 1998, vigente ratione temporis) e presieduto dallo stesso dirigente che ha poi firmato l’atto gravato, avrebbe operato in ambito meramente endo-procedimentale, con funzioni istruttorie e competenze specialistiche, “così esaurendosi l’operatività di detta struttura nella dialettica interna con l’autorità chiamata a pronunciarsi con l’emanazione del provvedimento finale”; pertanto, anche in virtù della sua composizione e delle modalità di funzionamento nella specie seguite, non si porrebbero i paventati problemi di autonomia;

II – ha dichiarato inammissibile e, comunque, infondata la censura sub II, poiché la contrarietà al progetto da parte del Comune interessato, motivata da ragioni di carattere urbanistico, non potrebbe essere fatta valere dal Consorzio (posto che l’Ente locale non ha impugnato autonomamente il provvedimento in questa sede gravato) e, comunque, ai sensi dell’art. 208 d.lgs. n. 152 del 2006 per come interpretato dalla giurisprudenza maggioritaria, il provvedimento impugnato determinerebbe ex se una variante urbanistica, per cui l’opposizione del Comune non sarebbe ostativa;

III – ha accolto la censura sub III (difetto di istruttoria per quanto attiene agli aspetti agronomici), osservando che il terreno, benché classificato dal P.R.G. del Comune di Salussola come “area agricola” e non come “area agricola a risaia” ed allo stato incolto, sarebbe comunque ricompreso nelle aree classificate come “risaia” dagli allegati al Piano Territoriale Provinciale, presenterebbe caratteri potenzialmente idonei alla coltivazione a riso (per la presenza degli argini in terra e perché circondato da risaie), sarebbe stato coltivato a riso sino al 2012 e ricadrebbe nell’ambito territoriale di un Comune interamente ricompreso nell’area di produzione del riso DOP;

IV – ha rigettato la censura sub IV, sostenendo che il parere favorevole di compatibilità ambientale espresso in conferenza di servizi dalla Provincia per l’allocazione dell’impianto “senza valutare la possibilità di insediare l’impianto presso siti alternativi, in particolare ex cave, individuati dalla stessa controinteressata” non sarebbe per ciò illegittimo, posto che non vi sarebbe alcuna disposizione normativa che imponga di allocare impianti siffatti “all’interno di siti dismessi oggetto di precedenti attività estrattive o comunque in quelli dichiarati idonei dalla Regione” o che, comunque, precluda l’allocazione su aree agricole; oltretutto, le possibili alternative sarebbero state specificamente vagliate, anche con un apposito supplemento istruttorio, e giudicate complessivamente deteriori (o, al più, non migliorative).

La società Acqua&Sole ha interposto appello, censurando le statuizioni a sé contrarie (ossia la reiezione dell’eccezione di inammissibilità del ricorso e l’accoglimento del III motivo di ricorso formulato ex adverso) e osservando che:

- con sentenza n. 839 del 25 luglio 2019 (confermata in appello con sentenza di questo Consiglio n. 7792 del 2020), il T.a.r. aveva annullato una precedente determinazione provinciale contraria all’impianto; in tali sentenze si sarebbe affrontato anche il tema agronomico, che dunque sarebbe oramai definitivamente superato;

- comunque, l’area interessata dal progetto non solo non sarebbe, allo stato, coltivata a riso DOP, ma non sarebbe obbligatorio che lo fosse; per di più, con ogni verosimiglianza non potrebbe esserlo per l’impossibilità di addurvi legittimamente acqua; di converso, il Consorzio, soggetto privato che riunisce ventisette aziende risicole, sarebbe deputato a tutelare un prodotto e non potrebbe pretendere di sindacare, a monte, l’uso dei terreni ricompresi nel proprio ambito.

Il Consorzio, a sua volta, ha proposto appello incidentale avverso le statuizioni del T.a.r. a sé contrarie (ossia la reiezione dei motivi I, II e IV del ricorso di prime cure).

A seguito della rinuncia dell’appellante all’istanza cautelare inizialmente formulata, il ricorso è stato fissato per il merito alla pubblica udienza del 6 giugno 2024.

Nella memoria ex art. 73 c.p.a., l’appellante, in particolare, ha osservato che l’area interessata dal progetto:

- ricade fra un bosco a nord, la strada provinciale ad ovest, la ferrovia ad est e una struttura industriale dismessa a sud (peraltro di recente trasformata in impianto FORSU);

- non sarebbe strutturalmente alimentabile con acqua: fino al 2012, infatti, sarebbe stata sì coltivata a riso, ma mediante un abusivo sistema di adduzione d’acqua, poi sanzionato dalla Provincia;

- le zone coltivate a riso sarebbero situate oltre la strada da un lato e la ferrovia dall’altro.

B) IL GIUDIZIO N. 7115 DEL 2023

Con la sentenza n. 619 del 16 giugno 2023 il T.a.r. per il Piemonte, in accoglimento di tre distinti ricorsi riuniti (proposti uno da alcuni privati, un altro da associazioni ambientaliste, il terzo da due Comuni non direttamente interessati dall’impianto), ha annullato il medesimo provvedimento provinciale già oggetto della precedente sentenza n. 1119 del 15 dicembre 2022.

Per quanto qui di interesse, alla pubblica udienza dell’11 maggio 2022, in cui il ricorso poi oggetto della sentenza n. 1119 era stato trattenuto in decisione, il T.a.r. ha, per i tre ricorsi in oggetto, disposto la riunione e una contestuale consulenza tecnica di ufficio circa la direttrice dei venti nella zona e le modalità di abbancamento dei materiali contenenti amianto nella progettata discarica.

Espletato l’incombente istruttorio, con la sentenza impugnata ha, preliminarmente, respinto l’eccezione di carenza di interesse ad agire in capo ai due Comuni, sostenendo che siano legittimati e interessati in virtù rispettivamente dell’ubicazione a valle della direttrice dei venti dominanti e delle possibili ricadute dirette in termini di traffico veicolare.

Nel merito, il T.a.r. ha così deciso, in relazione alle censure articolate dai ricorrenti:

- ha respinto la censura sub I, sostenendo che entro cinquecento metri dall’impianto non vi sarebbero “centri abitati” per come definiti dal d.lgs n. 36 del 2003 (tale non essendo la “Cascina Brianco …, ospitando essa solo 4 residenti e personale impiegato stagionalmente”; oltretutto, la Cascina sarebbe deputata non alla residenza, ma ad attività agricole), né vi sarebbero pozzi per l’approvvigionamento idrico a scopo potabile nel raggio di duecento metri dall’impianto;

- ha respinto la censura sub II, sostenendo che la società Acqua&Sole avrebbe, nella sostanza, rispettato il procedimento disposto dell’art. 11 d.P.R. n. 120 del 2017 (che impone la redazione di un piano di indagine ove, come nella specie, le terre e rocce da scavo presentino concentrazioni di taluni parametri analitici – segnatamente quelli indicati nell’Allegato 4 del d.P.R. stesso – superiori alle CSC), avendo predisposto in proposito, nel 2017, “un apposito studio per la determinazione dei valori di fondo naturale in relazione alla matrice terreno dell’area interessata dalla realizzazione dell’impianto”, debitamente vagliato dall’organo tecnico competente;

- ha accolto la censura sub III, ove riferita alla “violazione dell’art. 9 commi 1, 2 e 3 del D.P.R. 120/2007, nella parte in cui prevedono che nei cantieri di grandi dimensioni connessi ad attività o opere sottoposte a VIA e/o AIA deve essere inclusa nel Piano di Utilizzo la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà in cui si attesta che i materiali sono sottoprodotti e non rifiuti”, sostenendo che tale dichiarazione sostitutiva, che “non ha carattere meramente formale, ma costituisce elemento sostanziale del Piano di Utilizzo” (posto che “tramite detta attestazione il proponente garantisce che i materiali gestiti possano essere qualificati come sottoprodotti e non come rifiuti – da cui deriva, conseguentemente, la possibilità del loro riutilizzo all’interno del cantiere”), non sarebbe stata inviata agli enti competenti nell’ambito della procedura de qua; ha respinto, per il resto, la censura quanto ai profili urbanistici con essa sollevati, richiamando sul punto la citata sentenza n. 1119 del 2022;

- ha accolto la censura sub IV, incentrata sul difetto di istruttoria afferente ad aspetti agronomici, richiamando sul punto la citata sentenza n. 1119 del 2022;

- ha dichiarato inammissibile e, comunque, infondata la censura sub V, sostenendo che il dissenso del Comune ospitante l’impianto non avrebbe carattere ostativo, per le ragioni già espresse nella sentenza n. 1119;

- ha respinto la censura sub VI, ritenendo che il parere favorevole di compatibilità ambientale espresso in conferenza di servizi dalla Provincia per l’allocazione dell’impianto “senza valutare la possibilità di insediare l’impianto presso siti alternativi, in particolare ex cave, individuati dalla stessa controinteressata” non sarebbe per ciò illegittimo, per le ragioni già espresse nella sentenza n. 1119;

- ha respinto la censura sub VII, inerente a profili procedimentali (“una sola persona avrebbe ricoperto il triplice ruolo di responsabile del procedimento di VIA e di AIA nell’ambito del quale si è giunti alla variante urbanistica, di presidente dell’OT-CT che ha condotto l’istruttoria e di firmatario del provvedimento di rilascio del giudizio positivo di compatibilità ambientale e di AIA”), per le ragioni già espresse nella sentenza n. 1119;

- ha, infine, respinto le censure afferenti ad aspetti prettamente tecnici del progetto, sostenendo che, sulla scorta degli esiti della consulenza tecnica di ufficio, “le contestazioni dei ricorrenti non hanno fondamento”;

- ha posto l’onere della consulenza tecnica d’ufficio, contestualmente liquidato in complessivi € 14.762,66 oltre iva, accessori di legge e rimborso delle spese documentate, “a carico della Provincia di Biella e di Acqua & Sole s.r.l., per metà ciascuna”.

La società Acqua&Sole ha interposto appello, contestando le statuizioni del T.a.r. a sé contrarie.

Le parti ricorrenti in prime cure si sono costituite in resistenza, svolgendo tutte, altresì, appello incidentale avverso le statuizioni a sé contrarie.

A seguito della rinuncia dell’appellante all’istanza cautelare inizialmente formulata, il ricorso è stato fissato per il merito alla pubblica udienza del 6 giugno 2024.

C) LA DECISIONE DEI GIUDIZI RIUNITI

Il Collegio, preliminarmente, riunisce ex art. 70 c.p.a. i due giudizi, avvinti da palese connessione oggettiva e parzialmente soggettiva.

Il Collegio osserva che nel presente grado, in virtù degli opposti gravami, è riemerso pressoché interamente il thema decidendum di prime cure: pertanto, nella trattazione, per ragioni di linearità espositiva, si seguirà direttamente l’ordine delle censure formulate dinanzi al T.a.r. (scilicet, nei limiti in cui sono state riproposte nel presente grado), prendendo le mosse dal ricorso di prime cure cui inerisce l’appello n. 2758 e passando, quindi, alle ulteriori doglianze svolte nei tre ricorsi riuniti di prime cure cui inerisce l’appello n. 7115.

Il Collegio, inoltre, osserva sin da ora che le censure prese in considerazione sono solo quelle formulate ed argomentate in prime cure: come noto, infatti, in grado di appello non possono svolgersi nuovi motivi di impugnazione, né articolare ulteriori ragioni a fondamento delle censure già svolte (cfr. art. 104, comma 1, c.p.a.); in termini generali, invero, il perimetro del thema decidendum viene definitivamente tracciato dal ricorrente all’atto dell’introduzione del giudizio ed il relativo ampliamento può essere conseguito esclusivamente con la formulazione (tempestiva) di motivi aggiunti di ricorso, laddove le memorie sono deputate alla mera illustrazione delle argomentazioni defensionali (cfr. art. 73 c.p.a.) e l’appello funge soltanto da veicolo per adire, in una prospettiva critica del decisum di primo grado, il Giudice d’appello (cfr. art. 101 c.p.a.).

I - La composizione dell’organo tecnico deputato a svolgere l’attività istruttoria non presenta i profili di illegittimità lamentati.

In primo luogo, è la stessa l.r. n. 40 del 1998 che, all’art. 7, prevede l’istituzione di un tale organo “presso l’autorità competente”: siffatta dizione rimanda, con ogni evidenza testuale, ad una struttura radicata nell’ambito ed all’interno dell’autorità competente, quale nucleo istruttorio per tabulas privo di autonoma soggettività di diritto pubblico rispetto alla medesima.

Nella specie, inoltre, la composizione di tale organo non determina profili di sostanziale confusione o commistione: invero, l’organo risulta sì presieduto dal dirigente provinciale competente per la materia de qua, ma è altresì composto da rappresentanti della struttura regionale deputata alle valutazioni di protezione ambientale (l’ARPA) e della locale Azienda Sanitaria (ASL), Ente strumentale della Regione.

Consta, inoltre, che l’organo abbia sempre operato insieme con il Comitato tecnico per i problemi ambientali della Provincia.

Esulano, dunque, profili concreti che possano lumeggiare una oggettiva, sostanziale ed effettiva assenza di autonomia (istruttoria) in capo all’organo medesimo; del resto, il principio di economicità dell’azione amministrativa, riflesso operativo del superiore canone costituzionale di buon andamento, impone alle Amministrazioni, specie se di dimensioni non particolarmente ampie, di articolare la propria organizzazione e l’esercizio delle proprie funzioni nella maniera meno onerosa possibile, facendo il più efficace affidamento sulle risorse umane e strumentali già in dotazione.

II - La contrarietà al progetto da parte del Comune di Salussola, nel cui territorio ricade la discarica in esame, non ha rilievo ex se ostativo, posto che, come correttamente osservato dal T.a.r., ai sensi dell’art. 208 d.lgs. n. 152 del 2006 il provvedimento autorizzatorio sostituisce ad ogni effetto, tra l’altro, “autorizzazioni e concessioni di organi … comunali”, “costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico” e comporta, altresì, “la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori”: il provvedimento, in altre parole, determina una variante urbanistica ex lege.

Tale effetto prescinde in toto dall’assenso del Comune interessato: una tale conclusione, infatti, si scontra con l’assenza, nel testo normativo, di alcuna previsione da cui fondatamente trarre la valenza ostativa del dissenso comunale.

Del resto:

- da un lato, gli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti perseguono un interesse generale della collettività (di rilievo certo ultra-comunale), non qualificato dalla legge come recessivo rispetto alle scelte urbanistiche dei singoli Comuni;

- dall’altro, i provvedimenti autorizzativi di tali impianti sono emanati a seguito di procedimento conferenziale deputato proprio ad un vaglio contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti (ivi inclusi quelli di cui il Comune nel cui territorio è progettato l’impianto è Ente esponenziale) e che, nell’attuale contesto ordinamentale, non richiede l’unanimità dei soggetti pubblici partecipanti.

Oltretutto, consta che le osservazioni critiche del Comune siano state diffusamente affrontate nel corso dei lavori conferenziali (cfr. provvedimento impugnato, pag. 12 e ss.).

L’infondatezza nel merito della censura rende superfluo lo scrutinio della relativa ammissibilità.

III - Non risultano gli allegati difetti istruttori quanto ai profili agronomici.

Preliminarmente, il Collegio svolge alcune considerazioni.

Le aree de quibus non sono allo stato – per quanto agli atti – coltivate a riso DOP, per cui l’allocazione dell’impianto non determina una perdita attuale di superficie produttiva e, in prospettiva, di output.

L’inserimento del territorio del Comune di Salussola nell’ambito delle aree di produzione del riso DOP non impone che le zone agricole di tale Comune debbano necessariamente essere deputate alla coltivazione del riso DOP.

Difetta, invero, alcuna previsione normativa da cui fondatamente trarre una sorta di vincolo funzionale all’uso dei terreni agricoli ricadenti in siffatto ambito: una tale conclusione, del resto, si scontrerebbe con l’ordinaria signoria che, di regola, il proprietario ha sulle modalità di godimento del proprio fondo, che possono sì essere conformate dall’Autorità, senza, tuttavia, che tale potestà possa spingersi sino alla vincolante indicazione di quale specifica coltivazione risicola svolgere nel fondo medesimo; di converso, portando all’estremo questo ragionamento, si dovrebbe – per via interpretativa – ritenere implicitamente limitata, a monte, la stessa facoltà pianificatoria del Comune, ciò che cozza con la fisiologica ripartizione delle competenze amministrative in capo ai vari Enti territoriali, per come scolpita dalla vigente normativa.

L’attuale destinazione urbanistica delle aree è, in base allo strumento urbanistico comunale, “agricola” e non “agricola a risaia”.

La tutela normativa delle produzioni risicole DOP è sì un valore giuridico lato sensu pubblico, che tuttavia, in difetto di specifiche previsioni di segno diverso, si coordina ed armonizza con gli altri valori giuridici lato sensu pubblici parimenti qualificati dall’ordinamento, tra cui quello alla corretta gestione del ciclo dei rifiuti.

Ciò posto, il Collegio rileva che la questione in parola è stata affrontata diffusamente in sede istruttoria (cfr. doc. 18 di prime cure della società Acqua&Sole, pag. 14 e ss.), dove, a fronte della riscontrata “sostanziale incongruenza” fra gli elaborati agronomici presentati dall’impresa proponente e dal Consorzio ricorrente, si è ritenuto che “dal punto di vista urbanistico l’individuazione più precisa e a scala locale del territorio agricolo del Comune è nel PRGC di Salussola”, che appunto assegna all’area de qua valenza di (mera) zona agricola.

Il Collegio rileva, incidentalmente, che tale approfondita, rinnovata e complessiva valutazione dei profili agronomici consapevolmente operata dall’Amministrazione in sede istruttoria esclude ogni possibile valenza preclusiva del pregresso contenzioso occorso in materia, come invece sostenuto dall’appellante.

Orbene, l’esposta conclusione raggiunta in sede istruttoria (e poi confluita nel provvedimento gravato) non palesa macroscopici profili di illogicità, posto che:

- da un lato, il Comune è l’Ente territoriale più prossimo ai luoghi e, dunque, quello oggettivamente più consapevole circa le puntuali caratteristiche produttivo/funzionali degli stessi, per come concretamente sviluppantesi nel tempo;

- dall’altro, non rileva in senso contrario l’indicazione (“risaia” e “seminativo irriguo”) reperibile negli atti catastali, che come noto hanno rilievo fiscale e sono privi, in punto di destinazione d’uso, di valenza probatoria privilegiata o, comunque, prevalente sugli strumenti urbanistici;

- dall’altro ancora, il Piano paesaggistico regionale non ha valenza indistintamente e direttamente prescrittiva (cfr. art. 26 delle relative NTA), ma, al contrario, si limita ad indirizzare prospetticamente la potestà urbanistica comunale al fine, tra l’altro, di “garantire la permanenza e il potenziamento delle attività agricole esistenti”: le aree di causa, tuttavia, non risultano, allo stato, coltivate (per quanto qui di interesse) a riso DOP (recte, non risultano coltivate tout court).

Oltretutto, per quanto agli atti (cfr. doc. 40 di prime cure depositato dalla società Acqua&Sole) l’area in parola risulta interclusa fra la strada provinciale ad ovest, la ferrovia ad est, un bosco a nord ed una struttura industriale dismessa a sud (di recente, a quanto consta, trasformata in impianto FORSU).

Ne consegue che:

- difetta un’omogeneità e, soprattutto, una continuità territoriale rispetto ai terreni coltivati a risaia insistenti nella zona;

- constano impedimenti fisici alla realizzazione delle opere necessarie a garantire l’ineludibile adduzione idrica.

Infine, il Collegio rileva che lo scrutinio giurisdizionale esercitabile nella presente sede di legittimità, per di più a fronte di un atto connotato da un elevato margine di discrezionalità, non si protende sino ad una generale rivalutazione ab interno dell’operato amministrativo, ma si arresta al mero rilievo ab externo di illogicità, contraddittorietà o travisamenti di fatto, di cui, nella specie, non si ravvisano concreti elementi.

IV - Sempre in ordine ai profili lato sensu agronomici, da un lato non consta alcun divieto normativo di allocare impianti quali quello di specie in zone agricole (e, prima ancora, un dovere di allocazione “all’interno di siti dismessi oggetto di precedenti attività estrattive o comunque in quelli dichiarati idonei dalla Regione”, come del resto riconosciuto dallo stesso Consorzio – cfr., da ultimo, memoria depositata in data 3 maggio 2024, pag. 32), dall’altro le possibili alternative, ivi inclusa l’opzione zero, sono state debitamente vagliate in sede istruttoria (cfr. doc. 18 di prime cure della società Acqua&Sole, pag. 26 e ss.) e giudicate:

- o deteriori (l’alternativa dimensionale ridotta, a motivo del “traffico indotto” e del “consumo di suolo” conseguenti all’ineludibile realizzazione di “un’altra discarica o altro sito di smaltimento della quota di volumetria necessaria per garantire lo smaltimento della stessa quantità di rifiuti”; l’alternativa zero, giudicata addirittura “la peggiore”, a motivo delle “emissioni derivanti dal traffico indotto, soprattutto in considerazione della prevalente destinazione all’estero, Germania, dei rifiuti”);

- o, comunque, prive di parametri migliorativi (le due alternative localizzative proposte, ubicate in due cave dismesse).

V - Non sussiste la circostanza tout court ostativa rappresentata dall’insistenza, entro il raggio di cinquecento metri dall’impianto, di “centri abitati”.

La locuzione in parola (utilizzata in subiecta materia, a livello legislativo, dal d.lgs n. 36 del 2003) deve, con ogni evidenza, interpretarsi come riferita ad un agglomerato di più edifici a scopo residenziale connotato da sostanziale continuità spaziale (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 19 ottobre 2021, n. 7007, che ha riformato in parte qua proprio la sentenza del T.a.r. per il Piemonte n. 574 del 2019, cui ripetutamente si riferiscono le censure articolate in prime cure).

Orbene, la Cascina Brianco difetta delle richiamate caratteristiche, posto che non si inserisce in un più ampio, per quanto contenuto, ambito insediativo composto anche da altri, distinti, autonomi e separati edifici (solo ciò integrando la nozione di “centro” abitato), costituendo, viceversa, un complesso edilizio singolo e strutturalmente unitario.

La Cascina, oltretutto, è funzionalmente e dichiaratamente deputata ad attività agricole, cui la (anagrafica) residenza in loco di alcuni soggetti è teleologicamente collegata (cfr. ricorso al T.a.r. introduttivo del giudizio n.r.g. 890 del 2021, pag. 2-3; appello incidentale dei privati svolto nell’ambito dell’appello n. 7115 del 2023, pag. 9-10).

Né può valere il riferimento, contenuto nel Piano territoriale provinciale, alle “aree residenziali”: tale locuzione, invero, già lessicalmente non rimanda ad insediamenti puntiformi, ma ad una più ampia ed estesa zona (appunto, ad una “area”), peraltro deputata primariamente a fini residenziali, non agricoli o produttivi.

La Cascina, in definitiva, è sussumibile, al più, entro il ben diverso concetto giuridico di “insediamento sparso”, la cui insistenza entro i cinquecento metri dalla discarica è, in base alla disciplina di Piano provinciale, mero fattore penalizzante, ma non tout court ostativo.

Ne consegue l’infondatezza di tutte le doglianze incentrate sulla modalità di computo delle relative distanze dalla discarica.

VI - Non ha, in concreto, rilievo invalidante l’assenza, nell’apposito studio presentato dall’impresa appellante circa l’uso in cantiere delle terre e rocce da scavo, della dichiarazione sostitutiva prevista dall’art. 9, comma 2, d.P.R. n. 120 del 2017, afferente alla sussistenza, nei materiali da utilizzarsi nel cantiere, delle condizioni stabilite dall’art. 4 del medesimo d.P.R. per la relativa qualificazione come sotto-prodotti e non come rifiuti.

Il Collegio premette che tale studio è, de facto, contenutisticamente equipollente al Piano di indagine richiesto dalla normativa: ciò consente di confermare il decisum del T.a.r. reiettivo, in parte qua, della censura svolta in prime cure (per vero neppure stigmatizzato dagli appellanti incidentali), anche perché lo scrutinio giurisdizionale deve dar prevalenza ai profili sostanziali rivelativi di effettivi vizi della funzione e, viceversa, evitare derive formalistiche.

Orbene, posto che la carenza di cui supra richiederebbe, al più, un’integrazione documentale, il Collegio evidenzia che, all’esito dell’articolata fase istruttoria, la Provincia, in ottemperanza all’art. 9, comma 5, del d.P.R. in parola, ha riscontrato positivamente la presenza di tutti i requisiti di cui al cennato art. 4 d.P.R. n. 120 del 2017.

La competente Amministrazione, in altre parole, ha positivamente accertato ex post l’effettiva sussistenza dei requisiti la cui presenza la società doveva ex ante auto-certificare.

Dunque, poiché tale auto-certificazione (recte, dichiarazione sostitutiva) serviva proprio a responsabilizzare l’operatore, sotto un profilo pure penale, in ordine al rispetto dell’art. 4 in parola, la successiva valutazione amministrativa circa l’effettiva sussistenza dei presupposti previsti dalla legge priva la censura di valenza invalidante.

In sostanza, contrariamente a quanto ritenuto dal T.a.r., la doglianza in esame ha carattere meramente formale e, stante lo sviluppo e gli esiti del procedimento, non disvela alcun sostanziale vizio della funzione; del resto, lo scrutinio giurisdizionale di legittimità non si dipana in astratto, ma attiene sempre alla singola e specifica vicenda amministrativa nella sua integralità, di cui deve appurare, in base alle censure mosse dal ricorrente, l’eventuale distonia (concreta, attuale ed effettiva) con il superiore quadro normativo.

Sotto altra prospettiva, il T.a.r. afferma che “la determinazione impugnata non <<approva>> il Piano di Utilizzo … Del resto, il DPR n. 120/2017 non prevede l’approvazione del Piano di Utilizzo, ma soltanto la sua trasmissione all’autorità competente almeno 90 giorni prima dell’inizio dei lavori o, come nella fattispecie, prima della conclusione del procedimento attivato per il rilascio della valutazione di compatibilità ambientale e della contestuale AIA, ferma restando la verifica successiva in ordine alla completezza della documentazione trasmessa (art. 9, comma 3) e alla sussistenza dei requisiti di cui all’articolo 4 – come attestati nella dichiarazione sostitutiva – da effettuarsi sulla base dei dati contenuti nel piano di utilizzo (art. 9, comma 5)”; per tale ragione, il T.a.r. conclude che il “motivo va accolto per i profili sopra evidenziati e, per l’effetto, va disposto l’annullamento del provvedimento impugnato limitatamente alla parte in cui fa riferimento al Piano di Utilizzo (punto 14 della determinazione) e lo include tra gli elaborati progettuali, essendo tale documento incompleto nei termini sopra illustrati. Rimane fermo il potere dell’amministrazione di emendare il procedimento, acquisendo e valutando il Piano di Utilizzo delle terre e rocce da scavo nella sua integrale composizione”.

Osserva sul punto il Collegio che, se il Piano di utilizzo non è destinato ad approvazione (ma a mera trasmissione all’Amministrazione ai fini del controllo circa il rispetto del medesimo da parte dell’operatore), a fortiori l’assenza della dichiarazione sostitutiva non ridonda in illegittimità del provvedimento autorizzatorio che, all’esito del positivo riscontro istruttorio dell’effettiva esistenza dei requisiti di legge, abbia definito la vicenda in senso favorevole all’operatore.

VII - Infine, il supplemento istruttorio disposto in prime cure (connotato, fra l’altro, dall’esame da parte dell’ausiliario dell’ufficio delle osservazioni dei consulenti di parte – cfr. la relazione conclusiva) ha consentito di appurare che il progetto della discarica in parola (rientrante nel genus “discarica per rifiuti non pericolosi” di cui al d.lgs. n. 36 del 2003) “è allineato alle soluzioni nascenti dalle più aggiornate conoscenze scientifiche e alle migliori e più prudenti regole tecniche disponibili nel pieno rispetto della normativa vigente”, posto che:

- lo “studio modellistico” circa la “rosa dei venti”, a suo tempo commissionato dalla società appellante e posto a base del progetto, “è stato condotto con metodiche idonee”, in quanto, tra l’altro, ha preso in considerazione i dati statistici dell’ultimo decennio, dunque ben oltre i cinque anni richiesti, come termine minimo, dalla legge: tale studio consente di escludere “criticità” in ordine alla possibile dispersione aerea di fibre di amianto (ossia il superamento della relativa soglia indicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità) già “in corrispondenza delle case sparse collocate nelle vicinanze della discarica”, dunque, a fortiori, anche “in corrispondenza del centro abitato più prossimo … lungo la direzione prevalente dei venti”, ossia quello di Carisio, distante 5,6 km;

- comunque, le modalità di abbancamento dell’amianto (in fossa per una profondità di 15 metri ed in rilevato per un’altezza di 10 metri, con “copertura giornaliera ed infrastrato”, come da Piano di gestione operativa), lo stato in cui esso perviene in discarica (“in matrice compatta e non friabile … già trattato con vernice incapsulante e imballato”), nonché i presidi procedurali (“i rifiuti possono essere accettati in discarica solo dopo aver seguito una procedura di rimozione regolamentata da normativa specifica”) ed operativi (riportati in dettaglio nella relazione di CTU, pag. 32 e ss.) previsti, escludono la possibilità di dispersione nell’aria delle fibre, teoricamente ipotizzabile “solo a seguito di eventi eccezionali, quali rotture, incidenti, cadute di carico dai mezzi, ecc.”, fermo restando che, anche in tale ipotesi eccezionale, le “fibre rimarrebbero intrappolate nello strato di terreno infrastrato con poca probabilità di riuscire ad attraversare lo strato di 40 cm [trattasi dell’apposita “copertura infrastrato” di cui supra] e quindi liberarsi nell’atmosfera”;

- inoltre, sono previsti periodici monitoraggi delle acque di falda e della qualità dell’aria, oltre che della salute del personale operante in discarica.

Sul punto, il Collegio condivide l’affermazione del T.a.r, secondo cui “la regola precauzionale ora richiamata [par. 2.1 dell’Allegato 1 al d.lgs. n. 36 del 2003, secondo cui “per le discariche di rifiuti pericolosi e non pericolosi che accettano rifiuti contenenti amianto, la distanza dai centri abitati in relazione alla direttrice dei venti dominanti deve essere oggetto di specifico studio, al fine di evitare qualsiasi possibile trasporto aereo delle fibre”] finirebbe per paralizzare ogni attività di smaltimento di materiali contenenti amianto laddove fosse intesa in valore assoluto. La stessa va quindi interpretata nel senso che, nella progettazione dell’insediamento di una discarica per il conferimento di materiale contenente amianto, deve essere evitata qualsiasi dispersione di fibra d’amianto considerata <<rilevante>>, cioè non tollerabile secondo le migliori conoscenze tecniche e scientifiche del momento”.

Del resto, questa è l’unica esegesi compatibile sia con il fatto che l’ordinamento consente (recte richiede – cfr. l’obiettivo 2 del Piano Regionale Amianto 2016-2020 della Regione Piemonte) la realizzazione di discariche di materiali contenenti amianto, sia con la più generale considerazione che le disposizioni di legge incidenti sulla libera iniziativa economica privata (tanto più ove questa, come nella specie, soddisfi direttamente precisi e rilevanti interessi pubblici) devono essere interpretate secundum Constitutionem.

L’art. 41 Cost. individua quale possibile limite alla libera intrapresa:

- “l’utilità sociale”, intesa come utilità generale della collettività, che, come detto, la realizzazione di una discarica di (materiali contenenti) amianto soddisfa in via diretta;

- la “sicurezza umana”, dunque in primis la salute di ciascun individuo, di cui, tuttavia, deve constare una almeno teorica sottoposizione a rischio, che può escludersi ove la dispersione aerea di fibre sia meramente ipotetica (recte, confinata a circostanze e casi teorici ed assolutamente “eccezionali”) e, comunque, resti al di sotto delle soglie potenzialmente pato-genetiche indicate dalla vigente normativa nazionale (art. 254 d. lgs. n. 81 del 2008 – cfr., sul punto, la relazione di CTU, pag. 23; v. anche i documenti depositati in prime cure in data 1 marzo 2023 nei giudizi già riuniti nn. 890, 891 e 896 del 2021 dalla società Acqua&Sole, in particolare il documento INAIL, pag. 19 e ss.).

Sotto altro profilo, il carattere mono-rifiuto della discarica rende irrilevante la questione della “spaziatura fra le celle”, che, viceversa, interessa le sole discariche interessate a plurime tipologie di rifiuti, per l’ovvia esigenza di impedire la commistione fra rifiuti di diversa natura, come tali sottoposti a diverse modalità di smaltimento; né, per altro aspetto, consta che i mezzi operativi dell’appellante passino direttamente sopra i rifiuti (con il conseguente rischio di frantumarli), essendo all’uopo previste apposite “piste interne” percorribili solo a seguito di specifici accorgimenti (cfr. Piano di gestione operativa, pag. 20 e ss), del cui scrupoloso rispetto, evidentemente, l’appellante è responsabile ad ogni effetto di legge.

L’infondatezza nel merito dei ricorsi di prime cure rende superfluo lo scrutinio delle seguenti eccezioni in rito svolte dall’odierna appellante:

- l’eccezione di difetto di legittimazione a ricorrere in capo al Consorzio di Tutela della Dop Riso di Baraggia Biellese e Vercellese;

- l’eccezione di difetto di legittimazione a ricorrere in capo ai Comuni di Santhià e di Carisio;

- l’eccezione di tardività dell’appello incidentale del Consorzio di Tutela della Dop Riso di Baraggia Biellese e Vercellese.

La complessità della vicenda rende congrua l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio fra tutte le parti.

L’onere delle spese della CTU disposta in prime cure nei giudizi riuniti n. 890, 891 e 896 del 2021, come liquidato nella sentenza impugnata n. 619 del 2023, viene posto a carico solidale dei Comuni di Santhià e Carisio, delle società Tenuta Agricola Castello di Turletti Carlo e C. s.s., P.A.B. Produzioni Agricole Brianco s.s. e Bovindoc s.s., delle signore Piera Anna Turletti e Marisa Turletti, nonché di Legambiente Nazionale Aps – Rete Associativa Ets e Legambiente Circolo Biellese “Tavo Burat” Odv, con eventuale diritto di rivalsa a favore della società Acqua & Sole s.r.l. e della Provincia di Biella.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, come in epigrafe proposti, decide come segue:

- accoglie gli appelli principali svolti dalla società Acqua&Sole S.r.l.;

- rigetta gli appelli incidentali svolti: dal Consorzio di Tutela della Dop Riso di Baraggia Biellese e Vercellese; dai Comuni di Santhià e di Carisio; da Tenuta Agricola Castello di Turletti Carlo e C. s.s., P.A.B. Produzioni Agricole Brianco s.s., Bovindoc s.s., Piera Anna Turletti e Marisa Turletti; da Legambiente Nazionale Aps – Rete Associativa Ets e Legambiente Circolo Biellese “Tavo Burat” Odv;

- per l’effetto, in parziale riforma delle sentenze impugnate, rigetta integralmente i ricorsi di prime cure;

- compensa integralmente fra tutte le parti le spese del doppio grado di giudizio;

- pone l’onere della CTU disposta in prime cure nei giudizi riuniti n. 890, 891 e 896 del 2021, come liquidato nella sentenza impugnata n. 619 del 2023, a carico solidale dei Comuni di Santhià e Carisio, delle società Tenuta Agricola Castello di Turletti Carlo e C. s.s., P.A.B. Produzioni Agricole Brianco s.s. e Bovindoc s.s., delle signore Piera Anna Turletti e Marisa Turletti, nonché di Legambiente Nazionale Aps – Rete Associativa Ets e Legambiente Circolo Biellese “Tavo Burat” Odv, con eventuale diritto di rivalsa a favore della società Acqua & Sole s.r.l. e della Provincia di Biella.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Carbone, Presidente

Luca Lamberti, Consigliere, Estensore

Silvia Martino, Consigliere

Michele Conforti, Consigliere

Luca Monteferrante, Consigliere