Cass. Sez. III n.39074 del 10 agosto 2017 (Ud 18 lug 2017)
Presidente: Amoresano Estensore: Aceto Imputato: Poldi
Rifiuti.Gesso di defecazione

Il gesso  di  defecazione può  essere  messo  in  commercio come fertilizzante solo  se  rispetta i requisiti tecnici  e  sono  adempiute le  prescrizioni riportate nel  regolamento (CE)  n.  2003/2003 del  13/10/2003 e nel  d.lgs. n.  75 del 2010  (così  l'art. 4, comma   l, d.lgs.  n. 75)  che ne impongono la etichettatura, la   tracciabilità  e   la   preventiva   iscrizione  del   fabbricante   nel   "Registro  dei fabbricanti di fertilizzanti" (art. 8, d.lgs.  n.  75).  Tutti  i fertilizzanti devono  inoltre recare  le   indicazioni  contenute  nell'art.   9,   comma    l,  lett. a),    reg.   (CE) 2003/2003. Per il gesso  di  defecazione, in  caso  di imballaggio, l'etichetta  deve obbligatoriamente indicare anche  il materiale biologico idrolizzato (così  l'allegato 3 al d.lgs.  n. 75, cit.). Ove venduto sfuso  tali  indicazioni devono  essere  riportare nel documento di accompagnamento (artt.  7 e 9, reg.  CE).Solo  se sono  rispettate tutte le  condizioni indicate nei due  punti che  precedono il  gesso  di  defecazione cessa  di  essere  rifiuto e  può essere  immesso nel mercato come  fertilizzante.



1.II   sig.    Niccolò  Poi di   ricorre  per   l'annullamento  della    sentenza  del 19/10/2016 del Tribunale di  Mantova  che l'ha  condannato alla  pena  di 7.500,00 euro  di  ammenda  per  il  reato   di  cui  all'art. 256,  d.lgs.   n.  152  del  2006  (così qualificato   il  fatto  originariamente  contestato ai  sensi   degli   artt.  112,   137, comma   14,  legge   n.   152  del  2006)   perché,   quale   proprietario  dell'omonima azienda  agricola e locatario di un terreno agricolo, aveva  effettuato l'utilizzazione agronomica di  gesso  di  defecazione per  complessivi 1600,00 mc.  al di fuori  dei casi  e  delle   procedure previste  perché   non  inserite  nel  Piano  di  Utilizzazione Agronomica  (PUA)  e  per   non  aver   eseguito  lo  stoccaggio  a  mezzo   di  platea preventivamente  impermeabilizzata  munita  di   idoneo  cordolo  o   di   muro perimetrale  di   contenimento,  né   attraverso  atro  idoneo  contenitore adeguatamente  impermeabilizzato  al  fine   di  evitare  percolazioni e  dispersioni dell'effluente che  invece  generava  nella  zona  circostante un  colaticcio che, privo  di drenaggio, si spandeva sul  campo  violando la delibera  di Giunta  Regionale  n. IX/2008 della  Regione  Lombardia e il D.M. n.  209  del 2006.  Il fatto è contestato come  commesso in Bagnolo  San Vito il 06/08/2012.

l.l.Con il primo motivo eccepisce  la violazione degli  artt. 50, 516,  518,  519, 520 e 521, cod. proc.  pen.. Lamenta, al riguardo, la diversità del fatto ritenuto in sentenza  rispetto a quello  originariamente contestato sotto  i vari  profili: a)  della diversità dell'oggetto materiale della  condotta accertata; b)  della  diversità della stessa condotta accertata rispetto a quella  contestata. Ne deriva, quale  ulteriore profilo di violazione di legge,  l'usurpazione dell'azione penale  da parte  del giudice  a discapito delle  prerogative esclusive del pubblico ministero.
1.2.Con  il   secondo    motivo  deduce    che   il   gesso   di   defecazione  è   un fertilizzante e  in  quanto  tale   non  è  un  rifiuto; eccepisce,   di  conseguenza,  la violazione degli  artt. 183,  comma   l, lett. a)  e 256,  commi l  e 2, d.lgs.  n.  152 del   2006,  nonché  vizio  di   motivazione  mancante,  contraddittoria   e manifestamente illogica in ordine alla qualificazione del gesso come  rifiuto.
1.3.Con il  terzo  motivo eccepisce  la  violazione degli  artt. 26,  legge  n.  221  del  2015  e 2, cod.  pen..

MOTIVI  DELLA DECISIONE

2.11 ricorso  è infondato.

3.11 primo motivo è infondato.

3.1.Secondo il  consolidato  insegnamento di   questa    Corte,  per   aversi mutamento  del  fatto  occorre   una  trasformazione  radicale,  nei  suoi   elementi essenziali, della  fattispecie concreta   nella  quale  si  riassume la  ipotesi   astratta prevista  dalla  legge,  sì   da   pervenire  ad   un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui  scaturisca un  reale  pregiudizio dei diritti della  difesa;  ne consegue che  l'indagine volta   ad  accertare la  violazione del  principio suddetto non   va   esaurita  nel   pedissequo  e   mero   confronto  puramente  letterale  fra contestazione e sentenza  perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa,  la violazione  è  del   tutto  insussistente quando   l'imputato,  attraverso  !"'iter"  del processo, sia  venuto a trovarsi nella  condizione concreta di difendersi in  ordine all'oggetto  dell'imputazione  (Sez.   U,   n.   36551  del   15/07/2010,  Carelli,    Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619).

3.2.Nel  caso  di  specie,   l'oggetto  materiale della   condotta  per  il quale   è intervenuta la  condanna è identico (gesso   di  defecazione); identica è anche  la condotta sanzionata, lo stoccaggio, espressamente addebitata nella  rubrica e che costituisce una  specifica   forma   di  smaltimento del  rifiuto (art. 183,  comma   l,
lett. n, d.lgs.  n. 152  del 2006).

3.3.L'imputato, inoltre, è  stato   messo  nelle  condizioni di  interloquire  sulla possibile diversa  qualificazione del fatto  (come  da lui ammesso) e non  deduce  di aver quantomeno sollecitato l'assunzione di nuove  prove.
3.4.Che il  fatto, così come  contestato, contenesse "in  nuce"  la sua  astratta riconducibilità  alla   fattispecie  correttamente  ritenuta  dal   Tribunale  si  evince  altresì  dalla  descrizione del  modo  con  cui  era  stato  effettuato lo  stoccaggio del gesso  e dal  richiamo al D.M.  7  aprile   2006  n.  209  che,  in  caso  di  utilizzazione agronomica,   impone  il   rispetto  delle   condizioni  la   cui   violazione  determina l'applicabilità  della  normativa  sui  rifiuti (in  questo   senso,  Sez.  3,  n.  9104  del
15/01/2008, Manunta, Rv. 238997).

3.5.Non è perciò  pertinente invocare la titolarità esclusiva  dell'azione penale  da  parte  del  pubblico ministero asseritamente usurpata dal  giudice  (il  quale  - si ribadisce - non ha invitato il PM a modificare la contestazione ma  ha solo invitato le parti a  interloquire sull'eventualità di una   diversa  qualificazione del fatto);  la titolarità  dell'azione si esprime nel  potere esclusivo  di contestare il  fatto, non  di qualificarlo  giuridicamente: della  prima (l'azione) é padrone il PM, della  seconda (la  qualificazione)  il Giudice.

4.11 secondo  motivo è infondato.

4.1.11 "gesso di  defecazione", previsto  dall'allegato  3  del  d.lgs.   n.  75  del 2010, è un  fertilizzante appartenente alla  famiglia degli  "elementi chimici della fertilità"  e,   in   particolare,  alla   specie   dei   "correttivi",  materiali, cioè,   <<da aggiungere al suolo  in  situ  principalmente per  modificare e migliorare proprietà chimiche anomale del  suolo  dipendenti da  reazione, salinità, tenore in  sodio>> (art.  2, comma   l, lett. aa, d.lgs.  n. 75 del 2010). Tra questi, il gesso di defezione è definito  al  punto   21 nel  numero 2 dell'allegato 3, come  prodotto ottenuto da idrolisi (ed eventuale attacco  enzimatico) di materiali biologici mediante calce  e/ o acido  solforico e successiva  precipitazione del solfato  di calcio.
4.2.E' per  questa   ragione  che  l'imputato ne  ha  fortemente  contestato  la natura di rifiuto.
4.3.Sennonché,  come    già   spiegato  da   questa    Corte    in   analogo   caso (espressamente  richiamato  dal   Tribunale)  <<la   pur   riconosciuta  natura    di sostanza   fertilizzante da  attribuirsi al  materiale gesso  di  defecazione  (...)  non vale  ad  escludere che  lo  stesso  possa  essere  qualificato come  rifiuto  allorché esso  sia  depositato con  modalità tali  da farne  presumere la destinazione non  ad un uso  produttivo ma  esclusivamente al suo smaltimento. Nel caso che interessa
invero è chiaramente emerso, e tali  dati  sono stati  adeguatamente valorizzati dal Tribunale (...)  che  il  predetto materiale, in  quantità pari  a  diverse centinaia di tonnellate secondo  quanto risultante dalle  pretese fatture di vendita emesse  dal fornitore del  materiale, fosse   depositato -  per  altro   unitamente a  residui di demolizioni edili  - a cielo aperto per una  parte  all'interno di due trincee scavate  nel  terreno e per  il  resto  in  un  informe cumulo formato nel  terreno oggetto del sequestro, con modalità di stoccaggio che apparivano del tutto incompatibili con un  uso  agricolo  di  detto   materiale. In tal   senso   è del   tutto  dirimente  la circostanza che  questo era  posto a diretto contatto col terreno e con  gli agenti atmosferici che  non  potevano non  determinarne nel  tempo ed  in considerazione  della  stagione  invernale  una   sensibile  degradazione; circostanza questa   che  ne  evidenzia con  adeguata certezza, tenuto  conto  della presente  fase  cautelare  nella   quale   è  sufficiente,  ai  fini   della   adozione  della misura  sostanzialmente  censurata, la  semplice ricorrenza  del  fumus   commissi delicti, la destinazione non  certamente ad un  uso  produttivo. Ulteriore indizio in   tal  senso,  anch'esso tenuto  correttamente  in   considerazione dal Tribunale (...), è il fatto che  per  procurarsi tale non  comune quantità di materiale, ammontante a circa  1.000.000 di kg,  l'esborso affrontato dai ricorrenti  sarebbe stato pari  5  Euro   e  23  centesimi; elemento  questo che,  al  di  là  della documentazione formale, deve fare ragionevolmente ritenere  che  il reale fornitore di prestazione economicamente valutabile non  fosse stato il preteso venditore del  gesso  di defecazione, quanto chi tale materiale  ha  ricevuto, in  tal modo consentendone lo  smaltimento. Smaltimento  eseguito, però  con  modalità che,  alla  luce  degli  elementi cognitivi caratteristici  della  presente fase  del  procedimento, appaiono illegittime>>  (Sez. 3, n. 16903  del 30/10/2014, dep.  2015, Albi, n.m.).

4.4.Certo,  i  due  casi  -  come  sostiene il  ricorrente -  non  sono  totalmente sovrapponibili ma  quel  che  conta  è il principio: non  è la natura  di fertilizzazione del  gesso  di  defecazione a escluderne a priori   la  natura di  rifiuto come  ipotizza l'imputato secondo  il quale  <<allorché è  uscito  dai  cancelli della  Sicit  (azienda produttrice)  il   gesso   non   era   certamente  rifiuto  dal   momento  che,   in   sé considerato,  è  riconosciuto  dall'ordinamento  quale   fertilizzante>>.  E'  proprio quello  <<in sé considerato>> che mina  alla radice  la bontà  della  tesi difensiva.
4.5.11  ricorrente  spiega   che   <<Sicit  dal  carniccio ricava   un  materiale  di pregio, e cioè  le proteine idrolizzate, mediante apposito ciclo  di  lavorazione, che frutta pure  una  sostanza dal  significato economico molto minore, vale  a dire  il gesso  di  defecazione, offerta gratuitamente agli  agricoltori, rimanendo a carico della  Sicit  pure  il trasporto>>. Sennonché l'acquisto di 1600  mc. di gesso- come nel  caso  in  esame   -  al  prezzo  irrisorio di  l euro  misura  non  tanto l'interesse economico alla  sua  acquisizione, quanto il reale  interesse sotteso  all'operazione che, in  analogia a quanto affermato dalla  sentenza  appena  citata, <<deve fare ragionevolmente ritenere che  il  reale  fornitore di  prestazione economicamente valutabile non  fosse  stato  il  preteso venditore del  gesso  di  defecazione, quanto chi  tale  materiale ha  ricevuto, in  tal  modo  consentendone lo smaltimento> >. E' cioè  francamente illogico che  l'impresa produttrice di  gesso  di defecazione (che l'imputato stesso  riconosce trattarsi di  materiale poco  nobile  derivante dal  ciclo produttivo delle   ben  più   redditizie  proteine  idrolizzate)  si  accolli   il  costo   del trasporto  pagando addirittura  la  somma   di  150/200 euro  a  viaggio tenendone indenne l'acquirente finale. Pare evidente, in ultima analisi, che la natura irrisoria del  prezzo  di  cessione  denunzi piuttosto  l'interesse del  venditore a disfarsi del gesso  di defecazione che quello  dell'acquirente a procurarselo.
4.6.Tale  argomento logico  si salda  alle  ulteriori considerazioni che seguono.

4.7.Il "carniccio" è  considerato come  rifiuto  derivante dalla  lavorazione di pelli e pellicce, nonché  dell'industria tessile  dall'allegato D alla  parte  quarta   del d.lgs.  n.  152  del  2006   (punto  040101).  Dall'attività di  recupero derivano gli idrolizzati proteici (D.M.  5 febbraio 1998, sub-allegato l, punto  8.8.4).
4.8.11 "gesso di   defecazione'   invece,   appartiene  alla   famiglia  dei  rifiuti destinati alla  produzione di  fertilizzanti e, in  particolare, costituisce un  prodotto della  lavorazione dell'acido solforico che  può  essere  impiegato nella  produzione di  fertilizzanti  conformi al  d.lgs.   n.  75  del  2010  (D.M.   5  febbraio  1998, sub­ allegato l, punto  18.9).
4.9.La   tesi   difensiva  che   il  gesso   di  defecazione  in  sé  considerato  non costituisce rifiuto è dunque smentita dal dato  positivo.
4.10.A   norma dell'art.  184-ter, d.lgs.   n.  152  del  2006, un  rifiuto cessa  di essere  tale,  quando   è  stato   sottoposto a  un'operazione di  recupero, incluso   il riciclaggio  e  la  preparazione  per   il  riutilizzo,  e  soddisfi   i  criteri  specifici,  da adottare  nel   rispetto  delle   seguenti  condizioni:  a)   la  sostanza   o  l'oggetto  è comunemente utilizzato per  scopi specifici; b)  esiste  un mercato o una  domanda per tale  sostanza  od oggetto; c) la sostanza  o l'oggetto soddisfa  i requisiti tecnici  per  gli scopi specifici  e rispetta la normativa e gli  standard esistenti applicabili ai prodotti;   d)   l'utilizzo  della   sostanza    o   dell'oggetto  non   porterà  a   impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla  salute  umana.
4.ll.Dunque,  perché    il  gesso   di   defecazione  cessi   di   essere   rifiuto  è necessario che:  a) sia recuperato a seguito  di procedura semplificata nel rispetto delle condizioni e prescrizioni previste dall'art. 216,  d.lgs.  n. 152  del 2006  e dal D.M.  5 febbraio 1998, ivi  compresa, prima  di ogni  altra, l'iscrizione dell'impresa nel registro di cui al comma terzo  dell'art. 216;  b) sia impiegato nella  produzione di fertilizzanti conformemente al d.lgs.  n. 75 del 2010.

4.12. Il gesso  di  defecazione, infatti, può  essere  messo  in  commercio come fertilizzante solo  se  rispetta i requisiti tecnici  e  sono  adempiute le  prescrizioni riportate nel  regolamento (CE)  n.  2003/2003 del  13/10/2003 e nel  d.lgs. n.  75 del 2010  (così  l'art. 4, comma   l, d.lgs.  n. 75)  che ne impongono la etichettatura, la   tracciabilità  e   la   preventiva   iscrizione  del   fabbricante   nel   "Registro  dei fabbricanti di fertilizzanti" (art. 8, d.lgs.  n.  75).  Tutti  i fertilizzanti devono  inoltre recare  le   indicazioni  contenute  nell'art.   9,   comma    l,  lett. a),    reg.   (CE) 2003/2003. Per il gesso  di  defecazione, in  caso  di imballaggio, l'etichetta  deve obbligatoriamente indicare anche  il materiale biologico idrolizzato (così  l'allegato 3 al d.lgs.  n. 75, cit.). Ove venduto sfuso  tali  indicazioni devono  essere  riportare nel documento di accompagnamento (artt.  7 e 9, reg.  CE).
4.13.In  conclusione, solo  se sono  rispettate tutte le  condizioni indicate nei due  punti che  precedono il  gesso  di  defecazione cessa  di  essere  rifiuto e  può essere  immesso nel mercato come  fertilizzante.
4.14.Nel  caso  di  specie  il  ricorrente non  deduce  alcunché nemmeno  sulla iscrizione  di  Sicit   (di  cui  pur  conosce   il  processo   produttivo)  al  registro  delle imprese  autorizzate  al   recupero  dei   rifiuti,  al   registro  dei   fabbricanti   di fertilizzanti, né sul possesso  dei documenti di accompagnamento di cui all'art. 7, Reg.  CE,  cit.,   di  cui  pur   dovrebbe  essere   in  possesso.   Le  stesse   modalità  e circostanze dell'acquisto (enorme quantità di gesso  sfuso, acquistato al costo  di un   euro,  senza alcuna etichettatura,   imballaggio o   documento  di accompagnamento)  denunciano  un'evidente   anomalia  dell'operazione  se   si considera che  il  gesso  di  defecazione deve  essere  normalmente  sottoposto ad operazione di recupero in vista  proprio della  sua immissione nel mercato.
4.15.11 fatto che il gesso  sia stato  messo  in commercio senza  il rispetto delle prescrizioni previste e nell'incertezza che la Sicit  fosse persino autorizzata al suo recupero impedisce che possa  essere  qualificato come  un "non  rifiuto".
4.16.A    non   diverse  conclusioni  si   giunge  ove   si   ritenga il  gesso   di defecazione un  sottoprodotto della  lavorazione del  carniccio e,  in  quanto tale, soggetto alla  disciplina prevista dall'art. 184-bis, d.lgs.  n. 152  del  2006.  Questo è  quanto sembra   adombrare il  ricorrente  quando sostiene che  <<nel  processo produttivo delle   proteine idrolizzate Sicit   affronta, tra  gli  altri, pure  un  costo, rappresentato  dalla  realizzazione  di   un   prodotto  di   molto  minor  pregio economico,  qual'è   il  gesso,   costo   che   viene   affrontato  con  i  maggiori  ricavi ottenibili  dalle   proteine  idrolizzate  le   cui   qualità  e  prezzi    sono   facilmente riscontrabili, digitando internet,  voce  "proteine idrolizzate': con  utilizzazioni in cosmetica, integratori, insetticidi, ecc.>>
4.17.Sennonché,  anche   volendo  seguire    l'impostazione  difensiva,  perché una   sostanza    possa   essere    considerata  sottoprodotto   e   non   un   rifiuto   è necessaria la  sua  utilizzazione certa  da  parte  del  produttore stesso  o del  terzo (art.  184-bis, comma   l,  lett. b,  d.lgs.  n.  152  del  2006)   e  tale  certezza   deve preesistere  alla   sua   produzione.  E'  altresì   necessario  che   la  sostanza   possa essere   utilizzata direttamente  senza  alcun   ulteriore  trattamento  diverso  dalla normale pratica industriale (art. 184-bis, comma   l, lett. c, d.lgs.  n.  152,  cit.)  e che il suo ulteriore utilizzo sia legale  (art 184-bis, comma  l, lett. d).
4.18.Le circostanze di fatto valorizzate dal Tribunale escludono tali  certezze.

4.19.Anche a volerne ipotizzare il  possibile uso  diretto  (circostanza che  la dottrina  desume  dal   fatto    che   tra   le   possibili  operazioni  di   recupero  sono compresi il compostaggio e le altre  trasformazioni biologiche di cui alla lettera R3 dell'allegato C alla  parte quarta del d.lgs. n. 152  del 2006)  quel  che manca  nella specie   è  qualsiasi  deduzione  sulla   conformità  del  gesso   staccato  ai  requisiti tecnici stabiliti dal d.lgs. n. 75 del  2010  e dal reg.  (CE) 2003/2003, cit.  e dunque la prova  della  legalità del suo utilizzo.
4.20.Manca  anche   la  prova   della   certezza   dell'uso,  preesistente  alla  sua produzione.
4.21.La già  evidenziata macroscopica anomalia della  sua  cessione  al prezzo di  un  euro  dietro  assunzione, da  parte   del  produttore, del  costo  di  spedizione (condotta  apparentemente contraria ai  più  elementari principi dell'economia di mercato), la  mancata denuncia del  gesso  nel  piano  di  utilizzazione agronomica relativo  all'anno  2011/2012  (in   quello   precedente  era   stato   dichiarato  nella misura   di  489   mc.), le  modalità  della   detenzione  (a  cielo   aperto  e  a  diretto contatto  con   il  terreno),  la   quantità  della   sostanza   e   la  durata  della   sua detenzione (da  due  mesi), la  mancanza  -  persino in  questa   sede  -  di  qualsiasi indicazione sull'uso certo  al quale  sin  dall'inizio avrebbe dovuto essere  destinato (certezza esclusa  proprio dalla  mancata inclusione del PUA 2011/2012), rendono non  manifestamente illogica la  conclusione che  tale  prodotto abbia  perpetuato, sin  dalla  fase  produttiva, la  sua  natura di  rifiuto, reclamata dai  fatti così  come apparsi agli operanti e descritti dal Giudice.
4.22.L'imputato se  ne  duole, ma  in  tema   di  rifiuti è  onere   di  chi  intende dimostrare  il  contrario  addurre elementi che    contrastano   quel  che ragionevolmente  appare,  secondo   un   principio  generale  applicato  da  questa Corte in  tema  di attività di raggruppamento ed incenerimento di residui vegetali previste dall'art. 182, comma  sesto  bis, primo e secondo  periodo, d. lgs.  3 aprile 2006   n.   152   (Sez.   3,   n.   5504   del   12/01/2016,  Lazzarini, Rv.  265839),  di deposito temporaneo  di  rifiuti (Sez.  3,  n.  29084   del   14/05/2015, Favazzo, Rv. 264121), di terre e rocce  da scavo  (Sez.  3, n.  16078  del 10/03/2015, Fortunato, Rv.  263336), di  interramento in  sito  della  posidonia e  delle  meduse spiaggiate presenti sulla  battigia per  via  di mareggiate o di altre  cause  naturali (Sez.  3, n. 3943  del  17/12/2014, Aloisio,  Rv. 262159), di qualificazione come  sottoprodotto di  sostanze  e materiali (Sez.  3, n.  3202  del  02/10/2014, Giaccari, Rv. 262129; Sez.  3, n.  41836  del  30/09/2008, Castellano, Rv. 241504), di deroga  al regime autorizzatorio  ordinario per  gli  impianti di  smaltimento e  di  recupero, prevista dall'art.  258  comma   15  del  D.Lgs.   152  del  2006   relativamente  agli  impianti mobili che  eseguono la sola riduzione volumetrica e la separazione delle  frazioni estranee (Sez.  3, n. 6107  del 17/01/2014, Minghini, Rv. 258860), di riutilizzo di materiali provenienti  da  demolizioni stradali (Sez.  3, n.  35138  del  18/06/2009,  Bastone, Rv. 244784).
4.23.0rbene, un cumulo enorme di sostanza  economicamente inutile per  chi l'ha  prodotta (tanto da pagare  il suo trasporto) e destinata ad usi incerti da parte  di  chi  l'ha  ricevuta, detenuta peraltro nei  termini e modi  descritti dalla  rubrica, rende ragionevole ritenere che oggetto della  condotta fosse proprio un rifiuto del quale  il  produttore aveva  inteso  disfarsi. Non mancavano di certo  all'imputato le facoltà    processuali  per   dimostrare  il  contrario;  anche a   fronte  della preannunciata diversa  qualificazione del fatto è rimasto del tutto inerte.
4.24.Le ulteriori  allegazioni non  valgono  a  mutare il  quadro  descritto  dal Giudice,  non  in  questa  sede  di  legittimità; il  fatto così come  decritto colloca  la condotta nella  giusta  fattispecie ritenuta in sentenza  dalla  quale  non  può  essere sradicata   in  virtù delle  inammissibili deduzioni fattuali che,  oltre   a fondarsi su una  lettura errata   della  normativa sui  rifiuti e sui  fertilizzanti, non  assolvono   in alcun   modo  all'onere  di   spiegare  in   modo  rigoroso  quali  indicatori  di un'utilizzazione certa  del  gesso  sin  dalla  fase  della  sua  produzione siano  stati sottoposti alla valutazione del giudice  e, in tesi, negletti.

5.E' di conseguenza infondato anche  l'ultimo motivo.
5.1.La  corretta qualificazione di  rifiuto dell'oggetto materiale della  condotta è in tal senso decisiva.

5.2.L'art. 26, legge  n. 221 del  2015,  disciplina l'utilizzazione agronomica del gesso di defecazione e del carbonato di calcio  di defecazione qualora  ottenuti  da processi   che  prevedono l'utilizzo  di  materiali  biologici classificati come   rifiuti, disponendo  che  tale   utilizzo  deve  garantire il  rispetto  dei  limiti di  apporto di azoto nel  terreno di cui  al codice  di  buona  pratica  agricola, adottato con D.M.  - Ministro per  le politiche agricole-  19 aprile  1999, e che l'etichetta deve  riportare
il titolo di azoto
5.3.La  regiudicanda parla  di rifiuti: i due diversi oggetti non si intercettano e non legano  al fatto, così come  accertato, l'invocata fattispecie che presuppone un utilizzo legale  del gesso di calcificazione.
pagamento delle  spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta  il   ricorso  e   condanna  il   ricorrente  al   pagamento  delle   spese
processuali.

Così deciso  in Roma, il 18/07/2017.