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Cass. Sez. III sent.. 45084 del 12-12-2005 (C.c. 26 ottobre 2005)
Pres. Lupo Est. Ianniello Ric. Marino
Rifiuti – Ecopiazzole – Qualificazione dell’attività
L’attività svolta nelle c.d. ecopiazzole non può qualificarsi, per difetto dei presupposti di legge, come “deposito temporaneo” trattandosi, invece, di stoccaggio sub specie di deposito preliminare di rifiuti speciali e, quindi, di una fase di smaltimento degli stessi, successiva al trasporto dal luogo di produzione, come tale soggetta alle procedure autorizzatorie previste per tale attività. E’ irrilevante la circostanza che l’attività in tal modo effettuata risulti del tutto inoffensiva e sia finalizzata ad assicurare una maggiore tutela della salute dei cittadini attraverso la raccolta differenziata dei rifiuti destinati al recupero, poiché il bene protetto dalla norma incriminatrice riguarda l’affidamento all’autorità pubblica, secondo le competenze stabilite dal D.Lv. 22-1997, del controllo sulla gestione di materiale potenzialmente pericoloso per la salute dei cittadini, come sono i rifiuti.
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Svolgimento del processo
Con ordinanza del 23 settembre 2004, il Tribunale di Savona, in sede di riesame, ha rigettato il ricorso proposto dal Sindaco di Laigueglia Giuseppe Giuliano e dal responsabile dell'Ufficio Tecnico Comunale arch. Giulio Marino avverso il provvedimento di convalida del sequestro preventivo adottato dal locale G.I.P. il 30 luglio 2004 e concernente un'area recintata di circa 160 mq., nella disponibilità della Dusty s.r.l., impresa appaltatrice dal Comune della gestione del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani ed ac-cessori.
L'area era stata adibita alla raccolta di rifiuti differenziati conferiti dai cittadini del Comune nonché, secondo l'accusa, allo stoccaggio di rifiuti di altro genere raccolti e ivi trasportati dalla Dusty s. r. l. (rappresentanti il 40% del totale dei rifiuti) e non provenienti dalla raccolta differenziata né destinati al recupero (rifiuti speciali prodotti da demolizioni edilizie).
Nell'ordinanza il Tribunale, dopo aver accennato al contrasto giurisprudenziale esistente in ordine alla qualificazione delle piazzole ecologiche in termini di messa in riserva finalizzata al recupero oppure di deposito temporaneo di rifiuti raccolti in maniera differenziata, optando per la tesi più rigorosa, che sottopone l'istituzione e la gestione di tali siti alle procedure autorizzative di cui al decreto Ronchi, rileva comunque che la presenza nella piazzola anche di rifiuti ivi trasportati dall'impresa indicata e non destinati al recupero qualifica sicuramente l'operazione realizzata come stoccaggio sub specie di deposito preliminare successivo al trasporto dal luogo di produzione e quindi come attività soggetta ad autorizzazione.
Avverso tale ordinanza propone ricorso l'indagato Giulio Marino, deducendo violazione di legge per l'errata applicazione dell'art. 51 D.Lgs. n. 22 del 1997 in relazione agli artt. 6, 7, comma 2°, 15, comma 4° e 21 del medesimo decreto, per aver qualificato come stoccaggio non autorizzato l'attività svolta nella piazzola ecologica, che andrebbe viceversa qualificata come deposito temporaneo, il quale non necessita di preventiva autorizzazione ex artt. 27 e 28 del decreto legislative ne del titolo autorizzativo semplificato di cui agli artt. 31 e 33 del medesimo. Ciò varrebbe anche con riguardo ai rifiuti conferiti direttamente dalla Dusty, nell'ambito delle operazioni di raccolta differenzia-ta.
Con un secondo motivo di ricorso, l'indagato deduce l’illegittima applicazione dell'art. 43 cod. pen. in relazione agli artt. 253, 257, 309 e 324 cod. proc. pen., per non avere il Tribunale tenuto conto di un elemento che escluderebbe la colpa, rappresentato dal fatto che il Comune aveva comunicato alla Provincia di Savona l’attivazione già da un anno del centro ambientale, chiedendo il rilascio di eventuale autorizzazione per il funzionamento e ricevendo dalla Provincia suddetta la risposta che non era necessaria alcuna autorizzazione.
Infine deduce l’illegittimità dell'ordinanza per violazione dell'art. 49 cod. pen., per non avere il Tribunale valutato l’'assoluta inoffensività della condotta contestata, la quale anzi aveva assicurato ai cittadini del Comune una migliore tutela igienico-sanitaria.
Ha quindi concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata.
Il Procuratore generale ha concluso come in atti.
Motivi della decisione
1 - Questa sezione ha recentemente affrontato, proprio con riferimento all'istituzione di una ecopiazzola in un Comune della Provincia di Savona effettuata sulla base di linee guida emanate da tale Provincia, il tema della incidenza del potere attribuito dall'art. 21, comma 1° del D. Lgs. n. 22/97 ai Comuni di esercitare in regime di privativa la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento sul regime autorizzatorio e sulle procedure semplificate che lo stesso decreto legislativo, agli artt. 28 e 31, impone per le attività di smaltimento o di recupero esercitate nell'ambito della più vasta gestione dei rifiuti, affermando che l’una competenza non esclude l'altra (Cass. sez. III, 18 luglio 2005 n. 26379).
Il problema della ricorrenza o meno del regime autorizzatorio o delle procedure semplificate per la istituzione e per la gestione di piazzole ecologiche da parte del Comune e in questa sede riproposta sotto un diverse profilo, attinente alla qualificazione della relativa attività.
2 - Col primo motivo, l'arch. Marino deduce infatti che l'attività di raccolta differenziata di rifiuti urbani direttamente ad opera dei cittadini del Comune di Laigueglia e della Dusty s.r.l. nella piazzola ecologica istituita dal Comune medesimo e qualificabile in termini di deposito temporaneo di rifiuti ai sensi dell'art. 6, lett. m) del D. Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, il quale pertanto, nei limiti, anche di durata e alle condizioni stabilite dal medesimo decreto, non necessita di alcuna autorizzazione. A ciò conseguirebbe che erroneamente il Tribunale, in sede di sequestro preventivo dell'area, ha ritenuto che la istituzione e gestione della stessa in assenza di autorizzazione possa concretare il reato di cui all'art. 51, comma 1°, lett. a) del medesimo decreto.
La norma invocata dal ricorrente definisce il deposito temporaneo come "raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nei luogo in cui sono prodotti”.
Lo stesso articolo definisce inoltre alla lett. i) la nozione di luogo di produzione dei rifiuti, come "uno o più edifici o stabilimenti o siti infrastrutturali collegati tra di loro all'interno di un 'area delimitata in cui si svolgono le attività di produzione dalle quali originano i rifiuti".
Sostiene la difesa dell'indagato che in quest'ultima nozione rientrerebbe anche l'intero territorio di un Comune rispetto ai rifiuti prodotti dai cittadini dello stesso e quindi che la nozione di deposito temporaneo sarebbe applicabile anche al raggruppamento differenziato di rifiuti urbani su conferimento diretto dei cittadini nelle piazzole ecologiche istituite dai Comuni.
Del resto, la nozione di rifiuto urbano (possibile oggetto di raccolta differenziata), quale desumibile dal secondo comma dell'art. 7 del medesimo Decreto (che elenca ad es. i rifiuti domestici, quelli derivanti dallo spazzamento delle strade, i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, etc.), implicherebbe, a giudizio del ricorrente, che la relativa produzione possa prescindere dalla individuazione di un luogo chiuso in cui viene svolta, comportando viceversa la possibile estensione del relativo ambito a tutta l'area urbanizzata.
Il motivo è infondato.
La tesi difensiva così riassunta è stata già contrastata efficacemente dal giudice del riesame, il quale ha correttamente rilevato come essa non trovi alcun riscontro nel tenore letterale della legge, che fa espresso riferimento ad un luogo di produzione dei rifiuti che, se non consiste in uno o più edifici o stabilimenti, si estende al massimo a ricomprendere siti infrastrutturali collegati tra loro all'interno di un'area delimitata.
Ne consegue che anche a voler ritenere tutto il territorio comunale quell'area delimitata di cui parla la legge, non è comunque questo l'ambito definibile in termini di luogo di produzione, ma altro minore situato all’interno di esso, articolato in siti infrastrutturali collegati, nei quali è impossibile identificare l'intera area del Comune.
Del resto, l'assunto difensivo indicato, se condotto alle sue estreme conseguenze, comporterebbe una dilatazione insostenibile della nozione di luogo di produzione, capace di ricomprendere, oltre al territorio di Comuni molto estesi, anche quello eccedente tale ambito, purchè in qualche modo organizzato, quale il territorio della intera provincia nell'ambito dell'area della regione o a quello di quest'ultima all'interno del territorio nazionale, etc.
A queste considerazioni, di conferma della correttezza dell'interpretazione data dal giudice del riesame alla normativa di cui al Decreto Ronchi sullo specifico argomento esaminato, va poi comunque aggiunto l’autonomo rilievo, operato anch'esso dal Tribunale, per cui nella ecopiazzola del Comune di Laigueglia confluivano in notevole quantità, secondo l'ipotesi accusatoria, anche rifiuti raccolti e ivi trasportati direttamente dalla Dusty s.r.l.
Poiché si tratta di rifiuti speciali prodotti da demolizioni edilizie non destinati a recupero, anche per questo motivo correttamente l’ordinanza impugnata ha decisamente escluso che l'accumulo di questi nella piazzola potesse qualificarsi come deposito temporaneo nei termini di cui al decreto legislativo citato, ravvisandovi viceversa un fatto di stoccaggio sub specie di deposito preliminare di rifiuti speciali e quindi una fase dello smaltimento degli stessi, successiva al trasporto dal luogo di produzione, come tale soggetta alle procedure autorizzative previste per tale attività.
3 - Col secondo motivo di ricorso l'indagato lamenta che l'ordinanza impugnata non ha tenuto conto di un fatto decisivo che escluderebbe la colpa.
Nel corso della gestione dell'ecopiazzola, il Comune aveva infatti ritenuto di interpellare la Provincia di Savona, comunicando l'attivazione, già da un anno, della stessa e chiedendo il rilascio di eventuale autorizzazione per il relativo funzionamento. A tale richiesta la Provincia aveva risposto nel senso che non era necessaria alcuna autorizzazione.
Il che, a giudizio del ricorrente escluderebbe ogni sua colpa nella eventuale commissione del reato indicato, esclusione che il giudice di riesame avrebbe dovuto rilevare.
Anche questo motivo e infondato.
Al riguardo va infatti ricordato come, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra tante, la sent. 18 maggio 2004, n. 23214 o quella n. 288 del 9 gennaio 2004, ambedue di questa sezione), nei procedimenti di riesame dei provvedimenti di sequestro la verifica delle condizioni di legittimità della misura da parte del Tribunale non può tradursi in una anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità concreta dell'indagato in ordine al reato oggetto di indagine, ma deve limitarsi a un controllo di compatibilità tra fattispecie concreta e fattispecie legale ipotizzata, mediante la valutazione dell’antigiuridicità penale del fatto così come contestato, tenendosi conto, nell'accertamento della sussistenza del "fumus commissi delicti", degli elementi processuali acquisiti da valutare anche in rapporto alla finalità perseguita con la misura.
In questo ambito e con riferimento ad ogni tipo di sequestro, non vi è pertanto spazio per l’accertamento dell'eventuale sussistenza della colpa in concreto, riservato al giudice del merito.
In particolare, ove si tratti, come nel caso in esame di un sequestro preventive, ciò che conta ai fini della legittimità della misura è l’'apparenza dell'obbiettività del reato ipotizzato e il pericolo che la disponibilità della cosa possa aggravarne o protrarne le conseguenze. Rispetto alla conseguente cau-tela appare pertanto del tutto indifferente la presenza o meno dell'elemento soggettivo della colpa nel presunto autore del reato.
4 - Con l'ultimo motivo di ricorso, l'indagato deduce l'assoluta inoffensività della condotta attribuitagli, che anziché ledere o mettere in pericolo beni della collettività avrebbe assicurato ai cittadini del Comune una migliore tutela della loro salute, attraverso la raccolta differenziata dei rifiuti destinati al recupero. Anche tale inoffensività della condotta avrebbe dovuto essere rilevata dal Tribunale di riesame, a norma dell’art. 49 c.p.
Anche tale ultimo motivo e infondato.
Esso costituisce infatti il frutto dell'erronea identificazione del bene protetto dalla norma incriminatrice del fatto-reato per cui è indagato il ricorrente.
Tale bene non consiste nell’utilità finale rappresentata dalla salubrità dei luoghi a tutela della salute dei cittadini, ma nell'affidamento all'autorità pubblica, secondo la ripartizione di competenze operata dal decreto Ronchi, del controllo sulla gestione di materiale potenzialmente pericoloso per la salute dei cittadini, come sono i rifiuti.
E siffatto bene è sicuramente offeso dall’elusione del sistema di autorizzazioni contestata al ricorrente.
5 - Alla luce delle considerazioni svolte, il ricorso va respinto, col conseguente aggravio per il ricorrente delle spese processuali, ai sensi dell'art. 616 c.p.p.