Cass. Sez. III n. 36836 del 22 settembre 2009 (Ud. 9 lug. 2009)
Pres. Onorato Est. Lombardi Ric. Riezzo
Rifiuti. Responsabilità proprietario dell’area
Nell\'ipotesi in cui il terreno viene concesso in uso per l’esercizio di un’attività soggetta ad autorizzazione e la cui disciplina configura come fattispecie penali la violazione delle relative prescrizioni, incombe sul proprietario l’obbligo, anche al fine di assicurare la funzione sociale riconosciuta dall’art. 42 della Costituzione al diritto di proprietà, di verificare che l’utilizzazione dell’immobile avvenga nel rispetto della legalità, e, quindi, che il terzo, cui ha concesso in uso il terreno, sia in possesso dell’autorizzazione necessaria per l’attività di gestione di rifiuti che su detto terreno viene effettuata e rispetti le prescrizioni in essa contenute. In tale caso, invero, il proprietario non solo è a conoscenza, ma ha contribuito attivamente alla verificazione della fattispecie penale, concedendo l’uso dell’immobile a tale scopo. Pertanto, anche escludendosi il concorso dell’imputato con il titolare dell’azienda avicola, giudicato separatamente, nell’attività di smaltimento dei rifiuti, correttamente ne è stata egualmente affermata la responsabilità, per quanto rilevato in ordine all’obbligo da parte del locatore di impedire l’uso illecito della cosa locata, allorché ne sia consapevole o possa esserne consapevole mediante l’ordinaria diligenza, in applicazione del disposto di cui all’art. 40, comma secondo, c.p..
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Lecce ha affermato la colpevolezza di Riezzo Andrea Salvatore in ordine al reato di cui all’art 51, comma primo lett. a) e comma secondo, del D.Lgs. n. 22/97, di cui all’originaria imputazione, in base alla quale il Riezzo era stato tratto a giudizio, mentre ha escluso che l’imputato avesse realizzato e gestito una discarica senza la prescritta autorizzazione, come ritenuto dal giudice di primo grado.
La sentenza impugnata ha ravvisato la fattispecie contravvenzionale di cui alla affermazione di colpevolezza per avere l’imputato effettuato, senza la prescritta autorizzazione, attività di trasporto mediante mezzi di proprietà di terzi e smaltimento di rifiuti provenienti dalla “Azienda Avicola di Serio Alessandro e Paolo”, costituiti da materie fecali di origine animale, versandoli sul proprio terreno.
Per l’effetto la Corte territoriale ha rideterminato la pena inflitta all’imputato nella misura precisata in epigrafe.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, che la denuncia per violazione di legge.
Motivi della decisione
Con un unico mezzo di annullamento il ricorrente deduce, in sintesi, che l’imputato non poteva essere ritenuto colpevole della violazione ascrittagli per avere concesso il terreno sul quale era avvenuto il versamento dei rifiuti alla Azienda avicola Serio per lo smaltimento della pollina; che, pertanto, era onere del produttore e gestore dei rifiuti munirsi delle prescritte autorizzazioni, mentre nessuna responsabilità poteva essere attribuita a carico del proprietario del suolo in conseguenza di una condotta meramente omissiva.
Si osserva inoltre che nella specie doveva essere altresì ravvisata un’ipotesi di utilizzazione agronomica, ai sensi dell’art. 74 del D.Lgs. n. 152/06, costituita dallo spandimento irriguo o fertirriguo degli effluenti di allevamento e, in ogni caso, che, esclusa l’esistenza di una discarica, il fatto ascritto all‘imputato doveva essere inquadrato nella sola ipotesi di cui all’art 51, commi primo e secondo, del D.Lgs. n. 22/97, con ogni conseguente effetto.
Il ricorso è fondato limitatamente alla censura, meglio esplicitata dal difensore nella discussione orale, afferente alla conferma della statuizione della sentenza di primo grado relativa alla misura di sicurezza patrimoniale della confisca dell’area.
Sono, invece, infondate le deduzioni del ricorrente avverso l’affermazione di colpevolezza per il reato di cui all’art. 51, commi primo e secondo, del D.Lgs. n. 22/97, attualmente art. 256 del D.Lgs. n. 152/06.
Va premesso in punto di fatto che la stessa sentenza impugnata ha dato atto dell’esistenza di una scrittura privata del 16 dicembre 2000, con la quale l’imputato aveva concesso l’uso del terreno all’azienda avicola Serio per lo smaltimento della pollina.
Sul punto, però, il ricorrente, in relazione al rapporto instaurato con il responsabile della predetta azienda avicola, richiama erroneamente la giurisprudenza di questa Suprema Corte, con la quale si è affermata l’inesistenza di un obbligo specifico del proprietario del suolo di impedire a terzi lo smaltimento illecito di rifiuti sulla sua proprietà.
Il citato indirizzo interpretativo (cfr. sez. III, 12.10.2005 n. 2206 del 2006, Bruni, RV 233007), infatti, si riferisce al generico obbligo di custodia e sorveglianza di un’area da parte del suo proprietario e non all’ipotesi in cui lo stesso abbia concesso in uso detta area al terzo proprio perché la utilizzi per lo smaltimento di rifiuti.
In tale ipotesi, invero, in cui il terreno viene concesso in uso per l’esercizio di un’attività soggetta ad autorizzazione e la cui disciplina configura come fattispecie penali la violazione delle relative prescrizioni, incombe sul proprietario l’obbligo, anche al fine di assicurare la funzione sociale riconosciuta dall’art. 42 della Costituzione al diritto di proprietà, di verificare che l’utilizzazione dell’immobile avvenga nel rispetto della legalità, e, quindi, che il terzo, cui ha concesso in uso il terreno, sia in possesso dell’autorizzazione necessaria per l’attività di gestione di rifiuti che su detto terreno viene effettuata e rispetti le prescrizioni in essa contenute.
In tale caso, invero, il proprietario non solo è a conoscenza, ma ha contribuito attivamente alla verificazione della fattispecie penale, concedendo l’uso dell’immobile a tale scopo.
Peraltro, è stato correttamente osservato nella impugnata sentenza in ordine alla fattispecie contravvenzionale di cui alla contestazione che l’autore della stessa è chiamato a risponderne anche a titolo di colpa.
Pertanto, anche escludendosi il concorso dell’imputato con il titolare dell’azienda avicola, giudicato separatamente, nell’attività di smaltimento dei rifiuti, correttamente ne è stata egualmente affermata la responsabilità, per quanto rilevato in ordine all’obbligo da parte del locatore di impedire l’uso illecito della cosa locata, allorché ne sia consapevole o possa esserne consapevole mediante l’ordinaria diligenza, in applicazione del disposto di cui all’art. 40, comma secondo, c.p.. Deve essere inoltre osservato, con riferimento alle ulteriori deduzioni del ricorrente, che la condotta di cui alla contestazione ed oggetto di accertamento in punto di fatto integra l’ipotesi dello smaltimento di rifiuti, ai sensi dell’art. 51, comma primo, del D.Lgs. n. 22/97, ed attualmente dell’art. 256, comma primo, del D.Lgs. n. 152/06, fattispecie che non costituisce reato proprio, come già rilevato nella sentenza impugnata.
Nella specie mancano altresì del tutto i presupposti per l’applicazione della normativa in materia di fertirrigazione, trattandosi dello smaltimento di rifiuti solidi, trasportati in un luogo diverso da quello di produzione.
Per la stessa ragione non può trovare applicazione l’art. 101, comma 7 lett. b), del D.Lgs. n. 152/06 che si riferisce agli “scarichi” provenienti da imprese dedite all’allevamento di bestiame.
Si deve rilevare inoltre che nella specie manca la prova di una utilizzazione dei rifiuti di origine animale nell’attività agricola, essendosi verificato, secondo l’accertamento di fatto, il mero smaltimento delle materie fecali.
La sentenza impugnata inoltre ha già escluso che il fatto ascritto all’imputato integri il reato di cui all’art. 51, comma terzo, del D.Lgs. n. 22/97 e ritenuto l’ipotesi meno grave di cui all’art. 51, commi primo e secondo, del medesimo decreto legislativo.
Come dedotto dal ricorrente la Corte territoriale, però, non ha tratto le conseguenze di tale diverso inquadramento del fatto con riferimento alla confisca del terreno, che è stata implicitamente confermata
Orbene, si deve osservare in ordine a detta misura di sicurezza patrimoniale che la sua applicazione, con riferimento ai terreni, non è prevista dalla legislazione speciale, che disciplina la materia dei rifiuti, in relazione all’ipotesi di reato di cui alla affermazione di colpevolezza dell’imputato, mentre la sentenza è totalmente carente di indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti di ordine generale che consentono la confisca ex art. 240 c.p..
Sicché si deve ritenere che la conferma di detta statuizione da parte dei giudici di appello sia conseguenza di mero errore.
Per effetto di quanto osservato la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla disposta confisca dell’area, che va eliminata.
Il ricorso deve essere rigettato nel resto.