Relazioni Penali della Corte di Cassazione 1087-2003
SANITA\' PUBBLICA - IN GENERE -
Gestione dei rifiuti - Materiali da demolizione di manufatti - Natura di rifiuto - Esclusione o meno - Contrasto di giurisprudenza.
SANITA\' PUBBLICA - IN GENERE -
Gestione dei rifiuti - Materiali da demolizione di manufatti - Natura di rifiuto - Esclusione o meno - Contrasto di giurisprudenza.
Testo del Documento
Rel. n. 87/03
Roma, 27 novembre 2003
OGGETTO: 614001 - Sanita\' pubblica - In genere - Gestione dei
rifiuti - Materiali da demolizione di manufatti - Natura di rifiuto
- Esclusione o meno - Contrasto di giurisprudenza.
RIF. NORM.: D. L.vo 5 febbraio 1997 n. 22 art. 6, 8; l. 8 agosto
2002 n. 178 art. 14; l. 21 dicembre 2001 n. 443 art. 1, comma 17.
Con decisione n. 1256, assunta nella camera di consiglio del 25
giugno 2003 e depositata il 2 ottobre 2003 (n. 37508) rv. 225929, la
Sez. III penale di questa Corte, in proc. Papa P., ha affermato il
principio di diritto cosi\' massimato da questo Ufficio:
"I materiali inerti derivanti dalla demolizione di un manufatto e
reimpiegati nell\'ambito dello stesso cantiere non assumono la natura
di rifiuto, stante la interpretazione autentica della nozione di
"rifiuto" contenuta nel decreto legge 8 luglio 2002 n. 138,
convertito con legge 8 agosto 2002 n. 178, atteso che sono
conseguenza di un processo di produzione, comprendente la
demolizione del manufatto ed il reimpiego integrale sul posto, e
l\'assenza di prova di un reale pericolo per l\'ambiente."
Tale posizione si pone in contrasto con quanto affermato dalla
stessa Terza Sezione con decisione 19 febbraio 2003, dep. 7 aprile
2003, n. 16012, Cavallaro A, rv. 224481: "In tema di gestione dei
rifiuti, anche dopo la entrata in vigore della legge 21 dicembre
2001 n. 443 (delega al governo in materia di infrastrutture ed
insediamenti produttivi - cd. legge obiettivo) i rifiuti derivanti
da attivita\' di demolizione continuano a costituire rifiuti
speciali, in quanto strutturalmente diversi dai materiali
provenienti da scavo per i cui prodotti l\'art. 1, comma 17, della
citata legge prevede l\'esclusione dall\'ambito di applicazione dei
rifiuti"; che, sia pure incentrata sulla negazione del riverbero
degli effetti della citata legge n. 443 sulla disciplina dei
materiali da demolizione, risulta emessa dopo la entrata in vigore
della legge n. 178 del 2002 e continua ad affermare la natura di
rifiuti dei beni in questione.
In precedenza si erano espresse in senso conforme al dictum della
decisione Cavallaro: Cass. Sez. III 15 gennaio 2002, dep. 26
febbraio 2002 n. 7430, Dessena, rv. 221382, per la quale "i
materiali derivanti da attivita\' di demolizione e costruzione,
incidendo su edifici, sono strutturalmente diversi dall\'attivita\' di
scavo, che incide su terreni, e per i cui prodotti soltanto l\'art.
1, comma 17, della legge n. 44e3 prevede la esclusione dall\'ambito
di applicazione del decreto legislativo n. 22"; Cass Sez. III 14
marzo 2002, dep. 6 maggio 2002, n. 16383, Li Petri, rv. 221331.
La problematica in questione puo\' trovare maggiori motivi di
chiarificazione ricordando come nel nostro ordinamento le
caratteristiche che, in ambito comunitario, individuano la nozione
di "rifiuto" sono riprodotte nell\'art. 6, comma 1 - lett. a), del
d.lgs. 5.2.1997, n. 22 (che ha recepito le modifiche del 1991 alle
due direttive comunitarie sui rifiuti) secondo cui "e\' rifiuto
qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate
nell\'Allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o
abbia l\'obbligo di disfarsi".
Il primo elemento essenziale della nozione di "rifiuto", e\'
costituito, pertanto, dall\'appartenenza ad una delle categorie di
materiali e sostanze individuate nel citato Allegato A), ma l\'elenco
delle 16 categorie di rifiuti in esso contenuto non e\' esaustivo ed
ha un valore puramente indicativo, poiche\' lo stesso Allegato "A) -
Parte 1" comprende due voci residuali capaci di includere qualsiasi
sostanza od oggetto, da qualunque attivita\' prodotti.
Tali tre diverse previsioni del concetto di "disfarsi" hanno trovato
recente "interpretazione autentica" nell\'art. 14 del d.l. 8.7.2002,
n. 138, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale e
convertito nella legge 8.8.2002, n. 178, secondo il quale per:
a) "si disfi" deve intendersi: qualsiasi comportamento attraverso il
quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un
bene sono avviati o sottoposti ad attivita\' di smaltimento o di
recupero, secondo gli allegati B) e C) del d.lgs. n. 22/1997;
b) "abbia deciso di disfarsi" deve intendersi: la volonta\' di
destinare sostanze, materiali o beni ad operazioni di smaltimento e
di recupero, secondo gli allegati B) e C) del d.lgs. n. 22/1997;
c) "abbia l\'obbligo di disfarsi" deve intendersi: l\'obbligo di
avviare un materiale, una sostanza o un bene ad operazioni di
recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o
da un provvedimento delle pubbliche autorita\' o imposto dalla natura
stessa del materiale, della sostanza e del bene o dal fatto che i
medesimi siano compresi nell\'elenco dei rifiuti pericolosi di cui
all\'allegato D) del d.lgs. n. 22/1997 (che riproduce la lista di
rifiuti che, a norma della direttiva n. 91/689/CEE, sono
classificati come pericolosi)
La stessa normativa prevede, introducendo una doppia deroga alla
nozione generale di rifiuto, che le fattispecie di cui alle lettere
b) e c) non ricorrono - per beni o sostanze e materiali residuali di
produzione o di consumo - ove sussista una delle seguenti condizioni:
1) gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente
riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o
di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento
e senza recare pregiudizio all\'ambiente;
2) gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente
riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o
di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo, senza che si
renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle
individuate nell\'allegato C) del d.lgs. n. 22/1997.
Piu\' in particolare vanno ricordate le posizioni recentemente
espresse dalla Corte di legittimita\' nell\'affrontare l\'argomento
della nuova definizione di rifiuto di cui al decreto legge 8 luglio
2002 n. 138, convertito con legge 8 agosto 2002 n. 178.
La soluzione piu\' radicale risulta espressa dalla decisione n. 2125
della Terza Sezione 27 novembre 2002 n. 2125, Ferretti (est.
Novarese), rv. 223291, per la quale la recente normativa nazionale
dovrebbe non essere applicata in quanto in contrasto con la
definizione di rifiuto contenuta nel Regolamento del Consiglio CEE 1
febbraio 1993 n. 259 (sui trasporti transfrontalieri), attesa la
natura della fonte (regolamento) che la contiene.
Diversamente in Cass. Sez. III 13 novembre 2002, dep. 29 gennaio
2003 n. 4052, Passerotti , rv. 223532 (est. Onorato), si e\'
affermato che le nuove disposizioni sono vincolanti per il giudice
in quanto introdotte con atto avente pari efficacia legislativa
della precedente normativa sebbene venga modificata la nozione di
rifiuto dettata dall\'art. 1 della Direttiva 91/156/CEE. La decisione
ricorda altresi\' correttamente che tale direttiva non e\'
autoapplicativa (self executing) e che in proposito non puo\' adirsi
direttamente la Corte di Giustizia per acquisire una interpretazione
pregiudiziale ex art. 234 (ex 177) atteso che a dovere essere
interpretata e\' non gia\' la norma europea, bensi\' quella nazionale;
con la conseguenza che unico strumento operativo, peraltro attivato,
e\' quello della procedura di infrazione contro lo Stato italiano ed
il successivo ricorso alla Corte di Giustizia in caso di non
adeguamento dello Stato al parere motivato della stessa Commissione,
ai sensi dell\'art. 226 (gia\' 169) del Trattato di Roma.
Un terzo orientamento risulta contenuto nella decisione 15 gennaio
2003, dep. 15 aprile 2003 n. 1766, Gonzales, rv. 224716 (est.
Fiale), per la quale, al fine di delineare la nozione di rifiuto,
sussiste la necessita\' dell\'applicazione immediata, diretta e
prevalente, nell\'ordinamento nazionale, dei principi fissati dai
Regolamenti comunitari (vedi Corte cost., ord. 144/1990) e dalle
sentenze della Corte Europea di Giustizia (vedi Corte cost., sent.
389/1999, 255/1999 e 113/1985) atteso che le decisioni della Corte
di Giustizia, allorche\' l\'esegesi del diritto comunitario sia
incontrovertibile e la normativa nazionale ne appaia in contrasto,
sono immediatamente e direttamente applicabili in sede nazionale
sussistendo l\'obbligo di non applicazione delle disposizioni
nazionali in contrasto con quelle comunitarie provenienti da tali
fonti.
In particolare, con la sentenza 18.4.2002, Palin Granit Oy, la Corte
di Giustizia aveva ribadito che "la nozione di rifiuto non puo\'
essere interpretata in senso restrittivo", tenendo conto che "la
politica della Comunita\' in materia ambientale mira a un elevato
livello di tutela ed e\' fondata in particolare sui principi della
precauzione e dell\'azione preventiva".
Tale decisione ha introdotto, pero\', una "apertura" sicuramente
significativa per la vicenda in esame, analizzando l\'ipotesi "che un
bene, un materiale o una materia prima, che deriva da un processo di
fabbricazione o di estrazione che non e\' principalmente destinato a
produrlo, puo\' costituire non tanto un residuo quanto un
sottoprodotto, del quale l\'impresa non ha intenzione di disfarsi ai
sensi dell\'art. 1, lett. a), comma 1, della direttiva 75/442, ma che
essa intende sfruttare o commercializzare a condizioni per lei
favorevoli, in un processo successivo, senza operare trasformazioni
preliminari".
Secondo la Corte di Giustizia, una situazione del genere "non
contrasterebbe con le finalita\' della direttiva 75/442. In effetti
non vi sarebbe alcuna giustificazione per assoggettare alle
disposizioni di quest\'ultima, che sono destinate a prevedere lo
smaltimento o il recupero dei rifiuti, beni, materiali o materie
prime che dal punto di vista economico hanno valore di prodotti,
indipendentemente da qualsiasi trasformazione, e che, in quanto
tali, sono soggetti alla normativa applicabile a tali prodotti.
Tuttavia, tenuto conto dell\'obbligo ... di interpretare in maniera
estensiva la nozione di rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i
danni dovuti alla loro natura, occorre circoscrivere tale
argomentazione, relativa ai sottoprodotti, alle situazioni in cui il
riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima sia
non solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare e nel
corso del processo di produzione. Appare quindi evidente che, oltre
al criterio derivante dalla natura o meno di residuo di produzione
di una sostanza, il grado di probabilita\' di riutilizzo di tale
sostanza, senza operazioni di trasformazione preliminare,
costituisce un secondo criterio utile ai fini di valutare se essa
sia o meno un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442. Se, oltre
alla mera possibilita\' di riutilizzare la sostanza, il detentore
consegue un vantaggio economico nel farlo, la probabilita\' di tale
riutilizzo e\' alta. In un\'ipotesi del genere la sostanza in
questione non puo\' piu\' essere considerata un ingombro di cui il
detentore cerchi di disfarsi, bensi\' un autentico prodotto".
La sentenza Palin Granit Oy diviene cosi\' la prima ad avere
affrontato esplicitamente la questione della distinzione tra
prodotti e rifiuti ed i criteri per operare una distinzione siffatta
sono stati individuati nell\'assenza di operazioni di trasformazione
preliminare e nella certezza del riutilizzo senza recare pregiudizio
all\'ambiente. Non deve trattarsi, pertanto,di sostanze di cui il
detentore e\' obbligato a disfarsi per espressa volonta\' del
legislatore o della pubblica Amministrazione, perche\' in tal caso il
"rifiuto" e\' tale gia\' prima che il detentore se ne disfi o abbia
l\'intenzione di disfarsene ed a prescindere da tali evenienze (come
accade per i rifiuti pericolosi).
Redattore: Alfredo Montagna
Il vice direttore
(Giovanni Canzio)
Rel. n. 87/03
Roma, 27 novembre 2003
OGGETTO: 614001 - Sanita\' pubblica - In genere - Gestione dei
rifiuti - Materiali da demolizione di manufatti - Natura di rifiuto
- Esclusione o meno - Contrasto di giurisprudenza.
RIF. NORM.: D. L.vo 5 febbraio 1997 n. 22 art. 6, 8; l. 8 agosto
2002 n. 178 art. 14; l. 21 dicembre 2001 n. 443 art. 1, comma 17.
Con decisione n. 1256, assunta nella camera di consiglio del 25
giugno 2003 e depositata il 2 ottobre 2003 (n. 37508) rv. 225929, la
Sez. III penale di questa Corte, in proc. Papa P., ha affermato il
principio di diritto cosi\' massimato da questo Ufficio:
"I materiali inerti derivanti dalla demolizione di un manufatto e
reimpiegati nell\'ambito dello stesso cantiere non assumono la natura
di rifiuto, stante la interpretazione autentica della nozione di
"rifiuto" contenuta nel decreto legge 8 luglio 2002 n. 138,
convertito con legge 8 agosto 2002 n. 178, atteso che sono
conseguenza di un processo di produzione, comprendente la
demolizione del manufatto ed il reimpiego integrale sul posto, e
l\'assenza di prova di un reale pericolo per l\'ambiente."
Tale posizione si pone in contrasto con quanto affermato dalla
stessa Terza Sezione con decisione 19 febbraio 2003, dep. 7 aprile
2003, n. 16012, Cavallaro A, rv. 224481: "In tema di gestione dei
rifiuti, anche dopo la entrata in vigore della legge 21 dicembre
2001 n. 443 (delega al governo in materia di infrastrutture ed
insediamenti produttivi - cd. legge obiettivo) i rifiuti derivanti
da attivita\' di demolizione continuano a costituire rifiuti
speciali, in quanto strutturalmente diversi dai materiali
provenienti da scavo per i cui prodotti l\'art. 1, comma 17, della
citata legge prevede l\'esclusione dall\'ambito di applicazione dei
rifiuti"; che, sia pure incentrata sulla negazione del riverbero
degli effetti della citata legge n. 443 sulla disciplina dei
materiali da demolizione, risulta emessa dopo la entrata in vigore
della legge n. 178 del 2002 e continua ad affermare la natura di
rifiuti dei beni in questione.
In precedenza si erano espresse in senso conforme al dictum della
decisione Cavallaro: Cass. Sez. III 15 gennaio 2002, dep. 26
febbraio 2002 n. 7430, Dessena, rv. 221382, per la quale "i
materiali derivanti da attivita\' di demolizione e costruzione,
incidendo su edifici, sono strutturalmente diversi dall\'attivita\' di
scavo, che incide su terreni, e per i cui prodotti soltanto l\'art.
1, comma 17, della legge n. 44e3 prevede la esclusione dall\'ambito
di applicazione del decreto legislativo n. 22"; Cass Sez. III 14
marzo 2002, dep. 6 maggio 2002, n. 16383, Li Petri, rv. 221331.
La problematica in questione puo\' trovare maggiori motivi di
chiarificazione ricordando come nel nostro ordinamento le
caratteristiche che, in ambito comunitario, individuano la nozione
di "rifiuto" sono riprodotte nell\'art. 6, comma 1 - lett. a), del
d.lgs. 5.2.1997, n. 22 (che ha recepito le modifiche del 1991 alle
due direttive comunitarie sui rifiuti) secondo cui "e\' rifiuto
qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate
nell\'Allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o
abbia l\'obbligo di disfarsi".
Il primo elemento essenziale della nozione di "rifiuto", e\'
costituito, pertanto, dall\'appartenenza ad una delle categorie di
materiali e sostanze individuate nel citato Allegato A), ma l\'elenco
delle 16 categorie di rifiuti in esso contenuto non e\' esaustivo ed
ha un valore puramente indicativo, poiche\' lo stesso Allegato "A) -
Parte 1" comprende due voci residuali capaci di includere qualsiasi
sostanza od oggetto, da qualunque attivita\' prodotti.
Tali tre diverse previsioni del concetto di "disfarsi" hanno trovato
recente "interpretazione autentica" nell\'art. 14 del d.l. 8.7.2002,
n. 138, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale e
convertito nella legge 8.8.2002, n. 178, secondo il quale per:
a) "si disfi" deve intendersi: qualsiasi comportamento attraverso il
quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un
bene sono avviati o sottoposti ad attivita\' di smaltimento o di
recupero, secondo gli allegati B) e C) del d.lgs. n. 22/1997;
b) "abbia deciso di disfarsi" deve intendersi: la volonta\' di
destinare sostanze, materiali o beni ad operazioni di smaltimento e
di recupero, secondo gli allegati B) e C) del d.lgs. n. 22/1997;
c) "abbia l\'obbligo di disfarsi" deve intendersi: l\'obbligo di
avviare un materiale, una sostanza o un bene ad operazioni di
recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o
da un provvedimento delle pubbliche autorita\' o imposto dalla natura
stessa del materiale, della sostanza e del bene o dal fatto che i
medesimi siano compresi nell\'elenco dei rifiuti pericolosi di cui
all\'allegato D) del d.lgs. n. 22/1997 (che riproduce la lista di
rifiuti che, a norma della direttiva n. 91/689/CEE, sono
classificati come pericolosi)
La stessa normativa prevede, introducendo una doppia deroga alla
nozione generale di rifiuto, che le fattispecie di cui alle lettere
b) e c) non ricorrono - per beni o sostanze e materiali residuali di
produzione o di consumo - ove sussista una delle seguenti condizioni:
1) gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente
riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o
di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento
e senza recare pregiudizio all\'ambiente;
2) gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente
riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o
di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo, senza che si
renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle
individuate nell\'allegato C) del d.lgs. n. 22/1997.
Piu\' in particolare vanno ricordate le posizioni recentemente
espresse dalla Corte di legittimita\' nell\'affrontare l\'argomento
della nuova definizione di rifiuto di cui al decreto legge 8 luglio
2002 n. 138, convertito con legge 8 agosto 2002 n. 178.
La soluzione piu\' radicale risulta espressa dalla decisione n. 2125
della Terza Sezione 27 novembre 2002 n. 2125, Ferretti (est.
Novarese), rv. 223291, per la quale la recente normativa nazionale
dovrebbe non essere applicata in quanto in contrasto con la
definizione di rifiuto contenuta nel Regolamento del Consiglio CEE 1
febbraio 1993 n. 259 (sui trasporti transfrontalieri), attesa la
natura della fonte (regolamento) che la contiene.
Diversamente in Cass. Sez. III 13 novembre 2002, dep. 29 gennaio
2003 n. 4052, Passerotti , rv. 223532 (est. Onorato), si e\'
affermato che le nuove disposizioni sono vincolanti per il giudice
in quanto introdotte con atto avente pari efficacia legislativa
della precedente normativa sebbene venga modificata la nozione di
rifiuto dettata dall\'art. 1 della Direttiva 91/156/CEE. La decisione
ricorda altresi\' correttamente che tale direttiva non e\'
autoapplicativa (self executing) e che in proposito non puo\' adirsi
direttamente la Corte di Giustizia per acquisire una interpretazione
pregiudiziale ex art. 234 (ex 177) atteso che a dovere essere
interpretata e\' non gia\' la norma europea, bensi\' quella nazionale;
con la conseguenza che unico strumento operativo, peraltro attivato,
e\' quello della procedura di infrazione contro lo Stato italiano ed
il successivo ricorso alla Corte di Giustizia in caso di non
adeguamento dello Stato al parere motivato della stessa Commissione,
ai sensi dell\'art. 226 (gia\' 169) del Trattato di Roma.
Un terzo orientamento risulta contenuto nella decisione 15 gennaio
2003, dep. 15 aprile 2003 n. 1766, Gonzales, rv. 224716 (est.
Fiale), per la quale, al fine di delineare la nozione di rifiuto,
sussiste la necessita\' dell\'applicazione immediata, diretta e
prevalente, nell\'ordinamento nazionale, dei principi fissati dai
Regolamenti comunitari (vedi Corte cost., ord. 144/1990) e dalle
sentenze della Corte Europea di Giustizia (vedi Corte cost., sent.
389/1999, 255/1999 e 113/1985) atteso che le decisioni della Corte
di Giustizia, allorche\' l\'esegesi del diritto comunitario sia
incontrovertibile e la normativa nazionale ne appaia in contrasto,
sono immediatamente e direttamente applicabili in sede nazionale
sussistendo l\'obbligo di non applicazione delle disposizioni
nazionali in contrasto con quelle comunitarie provenienti da tali
fonti.
In particolare, con la sentenza 18.4.2002, Palin Granit Oy, la Corte
di Giustizia aveva ribadito che "la nozione di rifiuto non puo\'
essere interpretata in senso restrittivo", tenendo conto che "la
politica della Comunita\' in materia ambientale mira a un elevato
livello di tutela ed e\' fondata in particolare sui principi della
precauzione e dell\'azione preventiva".
Tale decisione ha introdotto, pero\', una "apertura" sicuramente
significativa per la vicenda in esame, analizzando l\'ipotesi "che un
bene, un materiale o una materia prima, che deriva da un processo di
fabbricazione o di estrazione che non e\' principalmente destinato a
produrlo, puo\' costituire non tanto un residuo quanto un
sottoprodotto, del quale l\'impresa non ha intenzione di disfarsi ai
sensi dell\'art. 1, lett. a), comma 1, della direttiva 75/442, ma che
essa intende sfruttare o commercializzare a condizioni per lei
favorevoli, in un processo successivo, senza operare trasformazioni
preliminari".
Secondo la Corte di Giustizia, una situazione del genere "non
contrasterebbe con le finalita\' della direttiva 75/442. In effetti
non vi sarebbe alcuna giustificazione per assoggettare alle
disposizioni di quest\'ultima, che sono destinate a prevedere lo
smaltimento o il recupero dei rifiuti, beni, materiali o materie
prime che dal punto di vista economico hanno valore di prodotti,
indipendentemente da qualsiasi trasformazione, e che, in quanto
tali, sono soggetti alla normativa applicabile a tali prodotti.
Tuttavia, tenuto conto dell\'obbligo ... di interpretare in maniera
estensiva la nozione di rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i
danni dovuti alla loro natura, occorre circoscrivere tale
argomentazione, relativa ai sottoprodotti, alle situazioni in cui il
riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima sia
non solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare e nel
corso del processo di produzione. Appare quindi evidente che, oltre
al criterio derivante dalla natura o meno di residuo di produzione
di una sostanza, il grado di probabilita\' di riutilizzo di tale
sostanza, senza operazioni di trasformazione preliminare,
costituisce un secondo criterio utile ai fini di valutare se essa
sia o meno un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442. Se, oltre
alla mera possibilita\' di riutilizzare la sostanza, il detentore
consegue un vantaggio economico nel farlo, la probabilita\' di tale
riutilizzo e\' alta. In un\'ipotesi del genere la sostanza in
questione non puo\' piu\' essere considerata un ingombro di cui il
detentore cerchi di disfarsi, bensi\' un autentico prodotto".
La sentenza Palin Granit Oy diviene cosi\' la prima ad avere
affrontato esplicitamente la questione della distinzione tra
prodotti e rifiuti ed i criteri per operare una distinzione siffatta
sono stati individuati nell\'assenza di operazioni di trasformazione
preliminare e nella certezza del riutilizzo senza recare pregiudizio
all\'ambiente. Non deve trattarsi, pertanto,di sostanze di cui il
detentore e\' obbligato a disfarsi per espressa volonta\' del
legislatore o della pubblica Amministrazione, perche\' in tal caso il
"rifiuto" e\' tale gia\' prima che il detentore se ne disfi o abbia
l\'intenzione di disfarsene ed a prescindere da tali evenienze (come
accade per i rifiuti pericolosi).
Redattore: Alfredo Montagna
Il vice direttore
(Giovanni Canzio)