Pres. Vitalone Est. Petti Ric. Puca
Aria. Rapporti tra vecchia e nuova disciplina
Con la decisione in esame, la Corte si pronuncia nuovamente sul tema dei rapporti tra il cosiddetto Testo Unico ambientale e la disciplina normativa da quest’ultimo abrogata. Nel caso di specie, riguardante la disciplina dettata in materia di inquinamento atmosferico dall’abrogato d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, la Corte ha, da un lato, affermato che il reato di inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione (od imposte dall’autorità competente), prima previsto dall’art. 24, comma quarto, del d.P.R. citato, si pone in rapporto di continuità normativa con la fattispecie penale oggi contemplata dall’art. 279, comma secondo, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152; dall’altro, ha ritenuto ravvisabile la nullità della sentenza per difetto di contestazione ex art. 522 cod. proc. pen., avendo il giudice pronunciato condanna per il reato di inosservanza delle prescrizioni autorizzative, a fronte di una contestazione di omessa comunicazione dei dati relativi alle emissioni in atmosfera (reato prima previsto dall’art. 24, comma terzo, d.P.R. n. 203 del 1988, oggi contemplato dall’art. 279, comma quarto, D.Lgs. n. 152 del 2006), non ravvisandosi, a giudizio della Corte, alcun rapporto di continenza tra le due violazioni poiché il fatto contestato non era ricompreso in quello, più ampio, ritenuto in sentenza.
Puca Luigi è stato tratto al giudizio del tribunale di Vallo della
Lucania perché rispondesse del reato di cui all'articolo 24 del D.P.R.
n 203 del 1988, perché, quale titolare della Vernil, esercente attività
idonee a produrre emissioni inquinanti in atmosfera, non comunicava
all'ente regionale i dati relativi alle emissioni.
All'esito del giudizio è stato ritenuto responsabile del reato di cui
agli artt. 7 e 24 comma quarto del D.P.R. n 203 del 1988 (ora 279 comma
secondo del decreto legislativo n 152 del 2006), per non avere
ottemperato alla prescrizione di cui alla lettera e) del decreto
dirigenziale n. 751 del 28 maggio del 2001, nella parte in cui aveva
omesso di effettuare i controlli sulle emissioni almeno due volte
l'anno e di trasmettere i risultati al settore provinciale di Salerno.
Nel corso del dibattimento era emerso, infatti, che, con decreto
dirigenziale n. 751 del 28 maggio del 2001, la Vernil era stata
autorizzata in via provvisoria all'emissione in atmosfera per
l'attività di verniciatura auto, con la prescrizione di effettuare i
controlli sulle emissioni almeno due volte l'anno e trasmettere le
relative risultanze al settore provinciale di Salerno. Dalle indagini
espletate era emerso che nel primo semestre del 2002 non erano state
effettuate analisi e che quelle eseguite il 30 dicembre dello stesso
anno erano state trasmesse nel mese di marzo del 2003. Il tribunale
precisava che la qualificazione del fatto nei termini dianzi indicati
non configurava la violazione del principio di correlazione tra accusa
e sentenza, posto che la norma incriminatice di cui al comma 4
dell'articolo 24 D.P.R. n 203 del 1988 comprende anche l'omessa
comunicazione prescritta dal provvedimento autorizzatorio e, d'altra
parte, il nuovo fatto non si trovava in rapporto di eterogeneità o
incompatibilità con quello originariamente contestato, bensì in
rapporto di continenza e tale circostanza escludeva la violazione
dell'articolo 521 c.p.p.; che il reato non si era prescritto avuto
riguardo al periodo durante il quale il dibattimento era stato sospeso
per impedimento del difensore.
Ricorre per cassazione l'imputato per mezzo del proprio difensore
denunciando:
- la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza
poiché l'affermazione di responsabilità era stata pronunciata per un
fatto diverso da quello contestato;
- la violazione della norma incriminatrice per l'insussistenza del
fatto poiché il testo vigente dell'articolo 279 del decreto legislativo
n. 152 del 2006 non sanziona più la generica inosservanza delle
prescrizioni contenute nell'autorizzazione;
- la violazione degli artt. 129 c.p.p. 157 e 159 c.p. perché il reato
si è estinto per prescrizione, in quanto ai fini della sospensione si
deve considerare il solo periodo di sessanta giorni decorrenti dalla
cessazione dell'impedimento del difensore secondo l'attuale
formulazione dell'articolo 160 c.p., già vigente all'epoca della
celebrazione del dibattimento.
IN DIRITTO
Il primo motivo è fondato.
Invero, mentre nel capo d'imputazione è stata contestata l'omessa
comunicazione dei dati relativi alle emissioni in atmosfera senza
alcuna specificazione, nella sentenza si è affermata la responsabilità
dell'imputato per l'inosservanza delle prescrizioni contenute
nell'autorizzazione e più precisamente per avere l'imputato omesso di
eseguire e comunicare le analisi relative al primo semestre del 2002 e
per avere eseguito e spedito con ritardo quelle relative al secondo
semestre. Queste ultime sono state effettuate il 30 dicembre del 2002 e
spedite nel marzo del 2003 mentre, secondo il tribunale, avrebbero
dovuto essere effettuate e spedite entro la fine del 2002. Orbene, il
fatto ritenuto in sentenza è indubbiamente diverso da quello
contestato. Il fatto può considerarsi diverso quando viene modificato
un elemento essenziale della fattispecie: la condotta, l'evento, nesso
causale o la condizione di procedibilità. Secondo l'opinione prevalente
presso questa corte, per configurare la nullità di cui all'articolo 522
c.p.p., non è sufficiente una qualsivoglia diversità ma è necessario
che essa abbia inciso sul diritto di difesa (per tutte Cass. 14101 del
1999 Modauto). Nel caso in esame il fatto, non solo è diverso da quello
contestato, ma ha anche inciso in concreto sul diritto di difesa. La
diversità non riguarda la semplice omessa comunicazione dei dati delle
analisi, nel qual caso sarebbe stato valido il ragionamento del
tribunale, ma anche l'omessa effettuazione delle analisi che è cosa
diversa dalla semplice comunicazione. In definitiva il fatto ritenuto
in sentenza è diverso è più ampio di quello originariamente contestato
perché, oltre alla specificazione dell'inosservanza con riferimento al
decreto di autorizzazione provvisoria (nella contestazione si parlava
genericamente di omessa comunicazione senza alcun riferimento al
decreto autorizzativo), contiene anche il riferimento all'omessa
effettuazione delle analisi relative al primo semestre del 2002, si
riferisce cioè anche ad un fatto che è completamente fuori della
contestazione. Non si può parlare di continenza, come affermato dal
tribunale, perché non è il fatto ritenuto in sentenza che è compreso in
quello più ampio di cui alla contestazione ma caso mai il contrario.
Tale diversità ha inciso sul diritto di difesa poiché il prevenuto,
chiamato a rispondere solo dell'omessa comunicazione dei dati relativi
alle emissioni senza alcuna specificazione , si è limitato a
sottolineare che i dati erano stati trasmessi, sia pure nel mese di
marzo del 2003, e non ha preso in considerazione l'ipotesi, poi
ritenuta in sentenza, ossia quella relativa all'omessa effettuazione
delle analisi relative al primo semestre del 2002, che costituisce
l'inosservanza più grave tra quelle ritenute in sentenza proprio perché
le analisi relative al primo semestre non erano state effettuate. In
definitiva l'imputato è stato condannato anche per una condotta che non
era in alcun modo contemplata nel capo d'imputazione e sulla quale non
ha avuto la possibilità di difendersi proprio perché non contemplata
nell'accusa. Invece l'ampliamento dell'imputazione imponeva una
contestazione suppletiva. La riprova che il fatto ritenuto in sentenza
è diverso da quello contestato si trae dalla circostanza che i due
fatti sono previsti da norme diverse. Invero, mentre la condotta
specificata nel capo d'imputazione (omessa comunicazione dei dati
relativi alle emissioni) era prevista dall'articolo 24 comma terzo del
D.P.R. n 203 del 1988 ed ora dal comma quarto dell'articolo 279 decreto
legislativo n 152 del 2006, quella ritenuta in sentenza (inosservanza
delle prescrizioni dell'autorizzazione) era prevista dal comma 4
dell'articolo 24 del citato D.P.P. ed ora è contemplata dal comma
secondo dell'articolo 279 del decreto legislativo n 152 del 2006.
Alla stregua delle considerazioni svolte, in accoglimento del primo
motivo, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio e gli atti
vanno trasmessi al pubblico ministero.
Gli altri motivi si devono ritenere assorbiti.
Va solo sottolineato che dagli atti non emergono cause evidenti di
proscioglimento nel merito.
Invero, il fatto ritenuto in sentenza, inosservanza delle prescrizioni
imposte con l'autorizzazione, già previsto dall'articolo 24 comma 4 del
D.P.R. n. 203 del 1988, è ora contemplato dall'art 279 comma secondo
del decreto legislativo n. 152 del 2006, il quale prevede
esplicitamente proprio l'inosservanza delle prescrizioni, per cui,
contrariamente all'assunto del difensore, non si è verificata alcuna abolitio
criminis.
Il reato non è prescritto.
In tema di successione di leggi penali, ai fini dell'individuazione
della normativa di favore per il reo, non si può procedere a una
combinazione delle disposizioni più favorevoli della nuova legge con
quelle più favorevoli della vecchia, in quanto ciò comporterebbe la
creazione di una terza legge diversa, sia da quella abrogata, sia da
quella in vigore, ma occorre applicare integralmente quella delle due
che, nel suo complesso, risulti, in relazione alla vicenda concreta
oggetto di giudizio, più vantaggiosa al reo (cfr Cass. 23274 del 2004,
n.7632 del 2000). Nella fattispecie la disciplina più favorevole al reo
è quella vigente prima della riforma introdotta con la legge n. 251 del
2005, perché prevede termini prescrizionali più brevi. Tale disciplina
però, secondo l'interpretazione di questa corte, impone, ai fini della
sospensione del corso della prescrizione per impedimento dell'imputato
o del suo difensore, di computare anche il periodo occorrente per la
fissazione della nuova udienza che nella fattispecie decorre dal 24
aprile del 2004 al 29 novembre del 2004 e dal 12 ottobre del 2006 al 14
maggio del 2007. Pertanto, computati tali periodi, allo stato, il reato
non si è prescritto.
P.Q.M.
LA CORTE
Letti gli articoli 521, 522 e, 620 c.p.p.
Dichiara
La nullità della sentenza impugnata ed ordina trasmettersi gli atti al
Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Vallo della Lucania.
Così deciso in Roma il 16novembre del 2007