Cass. Sez. III n. 7459 del 19 febbraio 2008 (ud. 15 gen. 2008)
Pres. Lupo Est. Petti Ric. Sbrighi
Rifiuti. Luogo di produzione
A norma dell\'articolo 6 lettera i) decreto Ronchi (ora articolo 183 lettera i decreto legislativo n 152 del 2006) , si considera luogo di produzione dei rifiuti uno o più edifici o stabilimenti o siti infrastrutturali collegati tra loro all\'interno di un\'area delimitata in cui si svolgono le attività di produzione dalle quali originano i rifiuti. Quindi qualsiasi area delimitata facente parte del complesso aziendale deve considerarsi luogo di produzione del rifiuto.
Pres. Lupo Est. Petti Ric. Sbrighi
Rifiuti. Luogo di produzione
A norma dell\'articolo 6 lettera i) decreto Ronchi (ora articolo 183 lettera i decreto legislativo n 152 del 2006) , si considera luogo di produzione dei rifiuti uno o più edifici o stabilimenti o siti infrastrutturali collegati tra loro all\'interno di un\'area delimitata in cui si svolgono le attività di produzione dalle quali originano i rifiuti. Quindi qualsiasi area delimitata facente parte del complesso aziendale deve considerarsi luogo di produzione del rifiuto.
In fatto
Con sentenza del 22 febbraio del 2007, il tribunale di Forlì, sezione distaccata di Cesena, condannava Sbrighi Pompeo alla pena di € 6.000 di ammenda, interamente condonata, quale responsabile del reato di cui all’articolo 51 commi 1 e 2 decreto legislativo n. 22 del 1997, per avere, quale responsabile dell’omonima ditta, stoccato in un’area agricola contigua al proprio negozio di vendita di prodotti per l’edilizia rifiuti speciali non pericolosi costituiti da tubi in cemento, barelle in legno, macerie edili ed altri scarti provenienti da demolizioni nonché imballaggi in materiale plastico. Fatto accertato in San Giorgio di Cesena fino al mese dì ottobre del 2004.
A fondamento della decisione il tribunale osservava che non sussistevano dubbi sulla configurabilità del reato per quanto concerneva le macerie edili abusivamente smaltite dal prevenuto sul suolo di sua proprietà; invece, per quanto concerneva gli imballaggi di nylon, ancorché correttamente smaltiti tramite consegna a Raggi Benito, non era configurabile il deposito temporaneo di cui all’articolo 6 lettera m) del decreto Ronchi, come sostenuto dalla difesa, perché quel materiale non era stato depositato sul luogo di produzione, ma su un terreno agricolo confinante, ancorché di proprietà del medesimo prevenuto.
Ricorre per cassazione l’imputato per mezzo del proprio difensore denunciando l’inosservanza dell’articolo 6 lettera i) del decreto Ronchi nonché manifesta illogicità della motivazione sul punto e travisamento della deposizione del testimone Patrignani, nella parte in cui aveva riferito che il terreno agricolo dove era stato depositato il materiale era “esattamente unito al piazzale della ditta” e che ad esso “si accedeva tramite ingresso privato, solo dal piazzale”, e del teste Abbondanza, nella parte in cui aveva dichiarato che il terreno adiacente alla ditta era regolarmente utilizzato come deposito.
In diritto
Il ricorso va respinto perché infondato anche se la motivazione della decisione impugnata deve essere in parte rettificata.
L’ articolo 6 lettera m) del decreto Ronchi definiva il deposito temporaneo come il raggruppamento di rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui erano prodotti alle condizioni qualitative e quantitative indicate dalla norma medesima. Il deposito temporaneo non poteva quindi riguardare rifiuti prodotti da terzi, ma solo rifiuti propri. Erano previsti limiti quantitativi e temporali entro i quali i rifiuti dovevano essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento. In ogni caso il deposito non poteva avere durata superiore ad un anno. Tali principi sono stati recepiti e ribaditi anche con il decreto legislativo n. 152 del 2006 (articolo 183).
Secondo il tribunale, con riferimento peraltro al solo materiale plastico, il luogo dove detto materiale era stato depositato non poteva identificarsi con quello dell’azienda, trattandosi di terreno agricolo confinante ancorché contiguo a quello dove il prevenuto esercitava l’attività di commerciante.
L’assunto non è fondato. A norma dell’articolo 6 lettera i) decreto Ronchi (ora articolo 183 lettera i decreto legislativo n. 152 del 2006), si considera luogo di produzione dei rifiuti uno o più edifici o stabilimenti o siti infrastrutturali collegati tra loro all’interno di un’area delimitata in cui si svolgono le attività di produzione dalle quali originano i rifiuti. Quindi qualsiasi area delimitata facente parte del complesso aziendale deve considerarsi luogo di produzione del rifiuto. Nella fattispecie il luogo dove il materiale plastico era depositato era recintato e collegato con il piazzale della ditta e ad esso si poteva accedere solo dal piazzale della ditta. Trattandosi quindi di area facente parte del complesso aziendale si deve identificare con il luogo di produzione del rifiuto. Non è quindi per la ragione indicata dal tribunale che la responsabilità del prevenuto, con riferimento al materiale plastico, poteva essere affermata. In realtà, come rilevato dal tribunale, con riferimento alle macerie edili ed all’altro materiale di scarto, il deposito temporaneo non è configurabile perché quel materiale non era stato temporaneamente depositato nel luogo di produzione, ma proveniva da altri luoghi ed era stato ivi abbandonato con il consenso dell’imputato.
Solo per il materiale plastico sarebbe stato eventualmente configurabile il deposito temporaneo, qualora si fosse provato che esso proveniva sicuramente dall’attività esercitata dall’imputato, ma tale circostanza non è stata dedotta neppure dal difensore nei motivi di ricorso e non è stata esplicitamente e chiaramente affermata dal tribunale. In ogni caso, quand’anche si volesse presumere che il materiale plastico provenisse dall’attività di vendita esercitata dal prevenuto, la circostanza non avrebbe escluso il reato ma lo avrebbe, peraltro in minima parte, solo attenuato, giacché tutto l’altro materiale ivi accatastato proveniva sicuramente da terzi ossia da attività di demolizioni, come risulta dallo stesso capo d’imputazione.
Con sentenza del 22 febbraio del 2007, il tribunale di Forlì, sezione distaccata di Cesena, condannava Sbrighi Pompeo alla pena di € 6.000 di ammenda, interamente condonata, quale responsabile del reato di cui all’articolo 51 commi 1 e 2 decreto legislativo n. 22 del 1997, per avere, quale responsabile dell’omonima ditta, stoccato in un’area agricola contigua al proprio negozio di vendita di prodotti per l’edilizia rifiuti speciali non pericolosi costituiti da tubi in cemento, barelle in legno, macerie edili ed altri scarti provenienti da demolizioni nonché imballaggi in materiale plastico. Fatto accertato in San Giorgio di Cesena fino al mese dì ottobre del 2004.
A fondamento della decisione il tribunale osservava che non sussistevano dubbi sulla configurabilità del reato per quanto concerneva le macerie edili abusivamente smaltite dal prevenuto sul suolo di sua proprietà; invece, per quanto concerneva gli imballaggi di nylon, ancorché correttamente smaltiti tramite consegna a Raggi Benito, non era configurabile il deposito temporaneo di cui all’articolo 6 lettera m) del decreto Ronchi, come sostenuto dalla difesa, perché quel materiale non era stato depositato sul luogo di produzione, ma su un terreno agricolo confinante, ancorché di proprietà del medesimo prevenuto.
Ricorre per cassazione l’imputato per mezzo del proprio difensore denunciando l’inosservanza dell’articolo 6 lettera i) del decreto Ronchi nonché manifesta illogicità della motivazione sul punto e travisamento della deposizione del testimone Patrignani, nella parte in cui aveva riferito che il terreno agricolo dove era stato depositato il materiale era “esattamente unito al piazzale della ditta” e che ad esso “si accedeva tramite ingresso privato, solo dal piazzale”, e del teste Abbondanza, nella parte in cui aveva dichiarato che il terreno adiacente alla ditta era regolarmente utilizzato come deposito.
In diritto
Il ricorso va respinto perché infondato anche se la motivazione della decisione impugnata deve essere in parte rettificata.
L’ articolo 6 lettera m) del decreto Ronchi definiva il deposito temporaneo come il raggruppamento di rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui erano prodotti alle condizioni qualitative e quantitative indicate dalla norma medesima. Il deposito temporaneo non poteva quindi riguardare rifiuti prodotti da terzi, ma solo rifiuti propri. Erano previsti limiti quantitativi e temporali entro i quali i rifiuti dovevano essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento. In ogni caso il deposito non poteva avere durata superiore ad un anno. Tali principi sono stati recepiti e ribaditi anche con il decreto legislativo n. 152 del 2006 (articolo 183).
Secondo il tribunale, con riferimento peraltro al solo materiale plastico, il luogo dove detto materiale era stato depositato non poteva identificarsi con quello dell’azienda, trattandosi di terreno agricolo confinante ancorché contiguo a quello dove il prevenuto esercitava l’attività di commerciante.
L’assunto non è fondato. A norma dell’articolo 6 lettera i) decreto Ronchi (ora articolo 183 lettera i decreto legislativo n. 152 del 2006), si considera luogo di produzione dei rifiuti uno o più edifici o stabilimenti o siti infrastrutturali collegati tra loro all’interno di un’area delimitata in cui si svolgono le attività di produzione dalle quali originano i rifiuti. Quindi qualsiasi area delimitata facente parte del complesso aziendale deve considerarsi luogo di produzione del rifiuto. Nella fattispecie il luogo dove il materiale plastico era depositato era recintato e collegato con il piazzale della ditta e ad esso si poteva accedere solo dal piazzale della ditta. Trattandosi quindi di area facente parte del complesso aziendale si deve identificare con il luogo di produzione del rifiuto. Non è quindi per la ragione indicata dal tribunale che la responsabilità del prevenuto, con riferimento al materiale plastico, poteva essere affermata. In realtà, come rilevato dal tribunale, con riferimento alle macerie edili ed all’altro materiale di scarto, il deposito temporaneo non è configurabile perché quel materiale non era stato temporaneamente depositato nel luogo di produzione, ma proveniva da altri luoghi ed era stato ivi abbandonato con il consenso dell’imputato.
Solo per il materiale plastico sarebbe stato eventualmente configurabile il deposito temporaneo, qualora si fosse provato che esso proveniva sicuramente dall’attività esercitata dall’imputato, ma tale circostanza non è stata dedotta neppure dal difensore nei motivi di ricorso e non è stata esplicitamente e chiaramente affermata dal tribunale. In ogni caso, quand’anche si volesse presumere che il materiale plastico provenisse dall’attività di vendita esercitata dal prevenuto, la circostanza non avrebbe escluso il reato ma lo avrebbe, peraltro in minima parte, solo attenuato, giacché tutto l’altro materiale ivi accatastato proveniva sicuramente da terzi ossia da attività di demolizioni, come risulta dallo stesso capo d’imputazione.