Cass. Sez. III sent.2206 del 19 gennaio 2006 (ud. 12 ottobre 2005)
Pres. Lupo Est. Onorato Imp. Bruni
Rifiuti – Discarica abusiva. Responsabilità del proprietario del terreno
Il presupposto di operativià del principio di causalità omissiva è la esistenza
di un obbligo stabilito proprio per impedire eventi del genere di quello che si
verifica nel reato considerato.
Svolgimento del processo
1 - Con sentenza del 29 settembre 2004 la corte d'appello di Bari ha
integralmente confermato quella resa il 15 dicembre 2003 dal tribunale
monocratico di Trani, che aveva dichiarato Giovanni Bruni colpevole del reato di
cui all’art. 51, comma 3, D.Lgs, 22/1997, per avere - quale amministratore della
Midimarmi s.r.l. - realizzato una discarica abusiva di rifiuti van in un terreno
di sua proprietà (in Bisceglie il 16 maggio 2000), e per l'effetto l’aveva
condannato a pena di giustizia.
In punto di responsabilità, la corte barese ha osservato che si contestava al
Bruni di non aver impedito sversamenti di rifiuti van, effettuati ripetutamente
da terzi per almeno un anno nel fondo di sua proprietà, che egli aveva
precedentemente sfruttato come cava per l'estrazione di roccia e poi aveva
abbandonato, probabilmente all'inizio del 1999.
Nel provvedimento regionale del 25 settembre 1997 che concedeva alla società
Midimarmi la facoltà di coltivazione della cava, era espressamente previsto
l'obbligo di "realizzare, entro tre mesi dalla data di notifica del presente
decreto, le opere di recinzione lungo il perimetro della zona da coltivare con
rete e paletti aventi altezza non inferiore a 1,50 mt. fuori terra, oppure con
muratura di pari altezza".
Il fatto di non aver mai assolto a questo obbligo di recinzione, e di aver poi
abbandonato il fondo ormai "desertificato" senza alcuna vigilanza - secondo la
corte distrettuale - configuravano un reato omissivo improprio ai sensi
dell’art. 40 cpv. c.p. a carico del Bruni, giacché, mediante le sue omissioni,
egli aveva concorso con terzi rimasti ignoti alla realizzazione positiva di una
discarica.
2 - Il difensore del Bruni ha proposto ricorso per cassazione, deducendo erronea
applicazione dell'art. 51, comma 3, D.Lgs. 22/1997 e dell'art. 40 cpv. c.p.,
nonché mancanza e manifesta illogicità di motivazione sul punto.
In sintesi, sostiene che il Bruni aveva esercitato sul terreno de quo
un'attività di estrazione perfettamente legittima, sicché non poteva imputarsi
al medesimo il fatto che la conseguente "desertificazione" della zona ne avesse
favorito l'uso come ricettacolo di rifiuti da parte di terzi; che l’obbligo di
recinzione al quale il Bruni non aveva ottemperato era diretto a regolamentare
l'attività estrattiva, non certo a impedire l'evento contestato di cui all'art.
51, comma 3, D.Lgs.. Per conseguenza non poteva applicarsi il principio di
causalità omissiva di cui all'art. 40 cpv. c.p..
Aggiunge che i criteri stabiliti dalla giurisprudenza per verificare il nesso di
causalità omissiva richiedono di accertare mentalmente che 1'evento non si
sarebbe verificato senza l'omissione colpevole ovverosia sarebbe stato impedito
con certezza dalla esecuzione dell'azione dovuta. Ma nel caso di specie la
sentenza impugnata è viziata sotto il profilo motivazionale, perchè non ha
accertato tale nesso in termini di certezza o quanto meno di elevata credibilità
razionale.
Motivi della decisione
3 - Il ricorso è fondato e va accolto.
Il problema della natura del reato di discarica abusiva era stato già affrontato
sotto il vigore del D.P.R. n. 915 del 10 settembre 1982, in casi in cui si
trattava di decidere se fosse o no responsabile del reato il proprietario di un
terreno abbandonato nel quale terzi estranei avevano depositato ripetutamente
rifiuti, o anche colui che era subentrato nella proprietà di un terreno adibito
a discarica dal precedente proprietario e che, pur non compiendo ulteriori atti
di gestione o movimentazione di rifiuti, non si era attivato per la rimozione
dei rifiuti depositati.
Al riguardo, una isolata pronuncia aveva sostenuto che "il concetto di
Ma poco prima il problema era già stato risolto in senso contrario dalle Sezioni
Unite, avendo queste statuito che "i reati di realizzazione e gestione di
discarica non autorizzata e stoccaggio di rifiuti tossici e nocivi senza
autorizzazione hanno natura di reati permanenti, che possono realizzarsi
soltanto in forma commissiva. Ne consegue che essi non possono consistere nel
mero mantenimento della discarica o dello stoccaggio da altri realizzati, pur in
assenza di qualsiasi partecipazione attiva e in base alla sola consapevolezza
della loro esistenza" (Sez. Un. n. 12753 del 28 dicembre 1994, ud. 5 ottobre
1994, Zaccarelli, rv. 199385).
Questo secondo orientamento aveva finito per affermarsi in modo incontrastato
(v. per tutte, Sez. III, n. 8944 del 31 gennaio 1997, Gangemi, rv. 208624; Sez.
III, n. 1073 del 7 febbraio 1992, Sacchetto, rv. 189149).
4 - La natura commissiva del reato è stata poi riconosciuta anche sotto il
vigore del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, pur precisandosi che a norma dell'art.
40 cpv. c.p. è possibile realizzare il reato commissivo mediante omissione
(reato omissivo improprio). Come noto, infatti, questa norma consacra un
principio di equivalenza secondo cui "non impedire un evento che si ha l'obbligo
giuridico di impedire, equivale a cagionarlo".
In questa linea è stato affermato che "i reati di realizzazione e gestione di
discarica non autorizzata e stoccaggio di rifiuti tossici non possono consistere
nel mero mantenimento della discarica o dello stoccaggio realizzati da terzi
estranei nel fondo di proprietà, salvo che risulti integrata una condotta
concorsuale mediante condotta omissiva, nei casi in cui il soggetto aveva
l'obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell'evento
lesivo" (Sez. III, n. 44274 del 12 novembre 2004, Preziosi, rv. 230173). Nello
stesso senso, in tema di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti di cui
all'art. 51, comma 2, D.Lgs. 22/1997, si e precisato che "la consapevolezza da
parte del proprietario del fondo dell'abbandono sul medesimo di rifiuti da parte
di terzi non è sufficiente ad integrare il concorso nel reato (...), atteso che
la condotta omissiva può dar luogo a ipotesi di responsabilità solo nel caso in
cui ricorrano gli estremi del comma secondo dell’art. 40 c.p., ovvero sussista
l'obbligo giuridico di impedire l'evento".
5 - La corte di merito segue quest'ultima impostazione, ma ritiene che
l’imputato Bruni, quale amministratore della società che aveva gestito la cava,
assunse in sostanza una posizione di garanzia ex art. 40, comma 2, c.p. quando
si impegnò esplicitamente a realizzare una recinzione lungo il perimetro della
zona destinata all'estrazione di roccia, come condizione per il rilascio della
concessione estrattiva. Il fatto di non aver ottemperato a quest'obbligo -
secondo la sentenza impugnata - lo costituisce responsabile del reato
contestato, atteso che se avesse costruito la recinzione, dopo la cessazione
dell'attività estrattiva, i terzi non avrebbero potuto abbandonare in loco
rifiuti in modo tale da realizzarvi una discarica.
Ma l'argomentazione è giuridicamente infondata.
6 - Si prescinde in questa sede dalla tesi formulata dalla più autorevole
dottrina, secondo cui il principio di causalità normativa o ipotetica consacrato
nel capoverso dell'art. 40 c.p. non è applicabile ai reati di pura condotta -
come quello di specie - atteso che per sua natura esso richiede la struttura dei
reati di evento. In altri termini, quel principio è strutturalmente compatibile
solo con i reati integrati da un evento naturalistico, concettualmente e
fenomenicamente separato dalla condotta e a questa legato da un nesso di
causalità; e più esattamente con i reati di evento a forma libera (detti anche
reati causali puri), che comprendono tipicamente i reati contro la vita e
l’incolumità individuale e i reati contro l'incolumità pubblica.
A questa tesi si potrebbe infatti replicare che l'evento naturalistico previsto
dall'art. 40 cpv. può essere integrato anche da un'azione illecita altrui, non
separabile dall'evento, rispetto alla quale 1'omissione della condotta doverosa
(il non facere quod debetur) si pone come antecedente causale.
7 - La considerazione che invalida in radice l'impostazione della sentenza
impugnata è, invece, un'altra.
Invero, il principio di tassatività delle fattispecie penali impone di
considerare come presupposto di applicabilità della norma in questione non tanto
un obbligo generico di attivarsi derivante da fonte giuridica (legale o
contrattuale), quanto piuttosto un obbligo giuridico specifico di compiere
proprio quella azione che avrebbe impedito l'evento di reato. Ancora più
esattamente il presupposto di operatività del principio di causalità omissiva è
la esistenza di un obbligo stabilito proprio per impedire eventi del genere di
quello che si verifica nel reato considerate.
Nel caso di specie l’imputato era giuridicamente obbligato a recintare la cava
non per impedire a terzi di utilizzarla come discarica, bensì per fini di
polizia amministrativa relativi alle attività estrattive e minerarie, quali la
necessita di delimitare la zona in cui era consentita l'estrazione, l'esigenza
di proteggere l'incolumità pubblica a fronte di attività strumentali pericolose
(come il brillamento di mine), e simili. Una volta cessata l'attività estrattiva
da parte della società da lui amministrata, l'imputato non era più gravato da
questo obbligo; e - come qualsiasi altro proprietario - non era attinto da alcun
altro obbligo giuridico di scongiurare la "desertificazione" del territorio
(come si esprime la corte territoriale) o di recintare il terreno al fine di
evitare che terzi estranei vi abbandonassero rifiuti. In altri termini, nel caso
di specie, la "desertificazione" e la mancata recinzione del terreno hanno
indubbiamente favorito, sotto il profilo causale, la realizzazione della
discarica de qua; ma questa non può essere imputata al proprietario a titolo di
responsabilità omissiva, giacché sul proprietario in quanto tale non grava
alcuna posizione di garanzia in ordine ai rifiuti, atteso che gli obblighi di
corretta gestione e smaltimento dei rifiuti sono posti esclusivamente a carico
dei produttori e dei detentori dei rifiuti medesimi (art. 10 D.Lgs. 22/1997).
La dottrina ha specificato l'obbligo di garanzia che grava sul proprietario come
obbligo di controllo su fonti di pericolo per 1'incolumità di terzi (es. gli
obblighi di controllo del proprietario di cose o animali pericolosi ex artt.
2051, 2052 e 2053 c.c.). Orbene, nessun obbligo giuridico di controllo può
ravvisarsi a carico del proprietario in relazione a rifiuti gestiti e smaltiti
da altri. Tale non è, evidentemente, l'obbligo di ripristino che ai sensi
dell'art. 14 D.Lgs. 22/1997 grava sul proprietario del terreno in solido col
responsabile del deposito incontrollato di rifiuti sullo stesso terreno, giacché
in tal caso il contenuto dell'obbligo ha carattere riparatorio e non preventivo.
Parte della dottrina ha sottolineato al riguardo l'analogia della materia
ambientale con quella urbanistica, nella quale è ormai consolidata la tesi
secondo cui il proprietario dell'area edificata non è responsabile del reato di
costruzione abusiva se non sia stato committente né partecipe all'esecuzione dei
lavori.
Al riguardo è pur vero che esiste una significativa differenza tra le due
ipotesi, giacché la fattispecie di discarica abusiva di cui all'art. 51, comma
3, D.Lgs. 22/1997 é reato comune, che può essere commesso da "chiunque" pone in
essere la condotta vietata, mentre l'abuso urbanistico di cui all’art. 20 legge
47/1985 (ora art. 44 D.P.R. 380/2001) é reato proprio, che può essere commesso
solo dai soggetti di cui all'art. 6 legge 47/1985 (ora art. 29 D.P.R. 380/2001),
che sono il titolare della concessione (ora permesso di costruire), il
committente, il costruttore e il direttore dei lavori, e non il proprietario. E'
altrettanto vero, però, che in entrambi i casi il proprietario non è titolare di
una posizione di garanzia (di controllo) a tutela del bene urbanistico o del
bene ambientale, cioè non è destinatario di un obbligo specifico di impedimento
contro abusi urbanistici o ambientali perpetrati da terzi.
8 - In conclusione, deve mettersi in evidenza che la responsabilità omissiva
sancita nell'art. 40 cpv. trova fondamento nel principio solidaristico che
ispira la Costituzione repubblicana, e in particolare nell'art. 2 (che richiede
a tutti i soggetti l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale), nell'art. 41, comma 2 (secondo il quale
l'iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in
modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana) e
nell'art. 42, comma 2 (laddove demanda alla legge il compito di stabilire i
limiti alla proprietà privata allo scopo di assicurarne la funzione sociale).
Ma contemporaneamente essa trova un limite in altri principi costituzionali e
segnatamente nel principio di legalità della pena consacrato nell'art. 25, comma
2, il quale si articola nella riserva di legge statale e nella tassatività e
determinatezza delle fattispecie incriminatrici.
E' proprio in ragione di questo limite che la responsabilità omissiva non può
fondarsi su un dovere indeterminate o generico, anche se di rango costituzionale
come quelli solidaristici o sociali di cui alle norme citate; ma presuppone
necessariamente l'esistenza di obblighi giuridici specifici, posti a tutela del
bene penalmente protetto, della cui osservanza il destinatario possa essere
ragionevolmente chiamato a rispondere.
In particolare, la funzione sociale della proprietà di cui all'art. 42/2 Cost.,
può costituire il proprietario in una posizione di garanzia a tutela di beni
socialmente rilevanti, e quindi può fondare una sua responsabilità omissiva per
i fatti di reato lesivi di quei beni, solo se essa si articola in obblighi
giuridici positivi e determinati, diretti a impedire l'evento costitutivo del
reato medesimo.
9 - Per tutte queste ragioni deve escludersi nel caso di specie che l'imputato
fosse destinatario di uno specifico obbligo impeditivo rispetto alla
realizzazione della discarica da parte di terzi.
Diventa quindi ultronea la verifica del rapporto causale tra la condotta
asseritamente doverosa e l'evento di reato, che pure è stata dedotta dal
ricorrente.
Il Bruni andava pertanto assolto per non aver commesso il fatto.