Consiglio si Stato Sez, IV sentenza n.452 del 14 febbraio 2005
Emissioni elettromagnetiche. Fissazione limiti esposizione. Competenza
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N.452/2005 Reg.
Dec. N.
4450 Ric. Anno 2004 |
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la
seguente
D
E C I S I O N E
Sul ricorso r.g.n. 4450/2004
proposto in appello da Rete Ferroviaria Italiana spa, in persona del legale
rappresentante prot tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ivone
Cacciavillani; Chiara Cacciavillani e Luigi Manzi, con domicilio eletto presso
lo studio di quest’ultimo in Roma, via Confalonieri n.5,
contro
Comune di Codroipo, in persona del legale
rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Roberto Paviotti con
domicilio eletto in Roma via quattro fontane 10 presso lo studio legale Ghia,
e
Regione Friuli Venezia Giulia, in persona del
legale rappresentante pro tempore, non costituita,
per
l’annullamento
della sentenza del TAR Friuli Venezia Giulia-
Trieste n.115/2004 resa inter partes, concernente la negata
autorizzazione di autorizzazione edilizia per la realizzazione di stazione
radio-base di telefonia cellulare, che ha dichiarato in parte la irricevibilità
del ricorso e in parte la inammissibilità.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del
comune appellato;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno
delle rispettive difese;
Relatore alla udienza pubblica del 23 novembre
2004 il Consigliere Sergio De Felice;
Uditi gli avvocati C. Cacciavillani, L. Manzi e R.
Paviotti;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto
segue;
FATTO
La società appellante espone di essere la
affidataria della gestione della infrastruttura ferroviaria nazionale, che
comprende anche la costruzione e messa in esercizio dei sistemi e delle
tecnologie di controllo e sicurezza connessi alla circolazione ferroviaria.
La società appellante, nell’esercizio delle sue
attività, chiedeva al comune appellato autorizzazione alla installazione di
stazione radio-base di telefonia cellulare, destinata alla comunicazione mobile
del personale ferroviario, sia a fini di sicurezza che in genere di circolazione
ferroviaria.
Il comune di Codroipo negava
la autorizzazione sulla base di un presunto contrasto con quanto prescritto
dalle norme tecniche di attuazione (art. 23) del piano regolatore generale
comunale.
Contro tale diniego insorgeva
in primo grado la società odierna appellante, deducendo vizi di violazione di
legge ed eccesso di potere sotto vari profili.
Si deduceva che la contrarietà dell’intervento
con il regolamento comunale era contrario al principio secondo il quale ai
comuni non spettano competenze in materia di inquinamento elettromagnetico e
tutela della salute, stante la limitazione dei regolamenti comunali di
minimizzazione a soli fini edilizi ed urbanistici.
Non sono ammessi, inoltre, divieti generalizzati
in talune zone, o le prescrizioni di distanze minime, senza adeguate
giustificazioni di tipo esclusivamente edilzio-urbanistico.
Venivano rappresentate anche le esigenze tipiche
dei suddetti interventi, funzionalizzati specificamente al servizio ferroviario.
Con la impugnata sentenza, il giudice di primo
grado dichiarava il ricorso in parte irricevibile e in parte inammissibile.
La irricevibilità veniva ritenuta in base
all’asserito principio in base al quale il termine per impugnare prescrizioni
pianificatorie di ogni tipo decorrerebbe dalla pubblicazione sul B.U.R.,
ampiamente decorsa nella specie; conseguenzialmente, era da ritenersi
inammissibile, per mancata tempestiva impugnazione nei termini dell’atto
presupposto, la impugnativa del successivo atto consequenziale (il diniego di
autorizzazione), che contenutisticamente riproduceva il divieto di cui alle
norme tecniche di attuazione.
Avverso la suddetta sentenza propine appello la
Rete Ferroviaria Italiana spa, deducendo la ingiustizia ed erroneità della
pronuncia, in quanto, in primo luogo, nella specie non sussisteva l’onere di
immediata impugnazione dell’atto generale, che poteva ben essere impugnato a
seguito della effettiva lesione.
Nel merito, si insiste nella illegittimità di
regolamenti comunali che impongano distanze minime e divieti in via
generalizzata, in contrasto con i generali principi in materia di installazione
di stazioni radio-base di telefonia cellulare. Si sottolinea, inoltre, la
specificità delle stazioni di telefonia cellulare addette al funzionamento
della rete ferroviaria, che ne giustifica, a maggior ragione, la vicinanza (non
la distanza) rispetto alle stazioni ferroviarie.
Si è costituito il comune appellato, che insiste
nel rigetto dell’appello e ribadisce la legittimità del suo operato.
Con ordinanza resa in data 30 luglio 2004 questa
sezione del Consiglio di Stato ha accolto la richiesta di sospensione cautelare
di efficacia della sentenza, fissando per il merito la udienza pubblica del 23
novembre 2004.
Alla udienza pubblica del 23 novembre 2004 la
causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.In primo luogo, e in via preliminare, va
affrontata la questione della decorrenza del termine per impugnare norme
regolamentari del comune, che (all’interno delle norme tecniche di attuazione
al piano regolatore comunale) impongano divieti generalizzati di installazione
di stazioni radio-base di telefonia cellulare.
La sentenza di primo grado, contestata sul punto
dall’appellante, ha ritenuto che l’onere di impugnazione decorrerebbe in
ogni caso con la pubblicazione di tale atto regolamentare, anche per i soggetti
non immediatamente lesi da tali atti.
Ad opinione del Collegio il motivo di appello è
fondato.
A prescindere dalla eventualità dell’utilizzo
dello strumento della disapplicazione, nei confronti di atti aventi valenza
normativa, pur non impugnati (nei termini), il giudice di primo grado non ha
infatti tenuto conto della distinzione tra regolamenti c.d. volizioni
preliminari, che, caratterizzati da requisiti di generalità e astrattezza,
contengono previsioni normative astratte e programmatiche, che non si
traducono in una immediata incisione della sfera giuridica del destinatario, a
nulla rilevando che ciò possa accadere in futuro, e i regolamenti c.d.
volizioni-azioni, che contengono, almeno in parte, previsioni destinate alla
immediata applicazione, in quanto capaci di produrre un immediato effetto lesivo
della sfera giuridica del destinatario.
Soltanto in quest’ultimo caso può valere la
regola, erroneamente applicata dal primo giudice, dell’onere di immediata
impugnazione, che si concreta, per esempio, in caso di proprietario di suolo che
il programma sottopone ad una destinazione di zona di un certo tipo (per
esempio, agricola).
In tale ipotesi sarebbe corretta una pronuncia di
tardiva impugnazione, perché proposta solo successivamente, in via congiunta
con l’impugnazione di diniego di autorizzazione o concessione (in tal senso C.
Stato, V, 12.6.1984, n.455).
I regolamenti comunali possono (nel senso che
devono) essere oggetto di autonoma e immediata impugnazione solo quando
sono suscettibili di produrre, in via diretta e immediata una concreta e attuale
lesione dell’interesse di un determinato soggetto; se invece la lesione deriva
dall’atto di applicazione concreta, le disposizioni regolamentari vanno
impugnate solo congiuntamente al provvedimento applicativo, che, solo, rende
attuale e certa la lesione dell’interesse protetto (Consiglio di Stato, IV,
12.10.1999, n.1558; 27.7.1987, n.449).
Pertanto, non tanto rileva la decorrenza del
termine (dalla pubblicazione o da altro momento), quanto l’effettivo contenuto
– nella specie non immediatamente lesivo - dell’impugnato regolamento
comunale.
D’altronde, a ragionare in senso contrario, si
anticiperebbe eccessivamente la soglia della lesività, che sarebbe riscontrata
anche nei confronti di atti caratterizzati per astrattezza e generalità, aventi
natura solo potenzialmente lesiva, anche in difetto di atti applicativi.
Pertanto, in accoglimento dell’appello, deve
ritenersi errata la sentenza nel punto in cui ha dichiarato la irricevibilità
per tardività della impugnazione (e conseguentemente la inammissibilità della
impugnativa dell’atto consequenziale).
2.Con l’atto di appello si deduce altresì la
illegittimità del regolamento comunale, nel punto in cui impone divieti
generalizzati in alcune zone e distanze, in merito alla possibilità di
installazione di stazioni radio-base di telefonia cellulare.
La censura è fondata.
La fissazione di limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici diversi da quelli stabiliti con normativa statale non rientra
nell’ambito delle competenze attribuite ai comuni dall’art. 8 L.36/2001.
Alla stregua della
disposizione in esame, inoltre, non è consentito che il comune, attraverso il
formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adotti misure
che nella sostanza costituiscono una deroga ai predetti limiti di esposizione
fissati dallo Stato, quali ad esempio il generalizzato divieto di installazione
di stazioni radio-base per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali
omogenee, ovvero la introduzione di misure che pur essendo tipicamente
urbanistiche (distanze, altezze, e così via), non siano in realtà funzionali
al governo del territorio, quanto piuttosto alla tutela della salute dai rischi
dell’elettromagnetismo (in tal senso, Consiglio di Stato, V, 30.5.2003,
n.2997; VI, 1.4.2003, n.1226; VI, 30.7.2003, n.4391; VI, 26.8.2003, n.4841).
Non spetta ai comuni
disciplinare, nei regolamenti edilizi (nella specie, si tratta di regolamenti
c.d. di minimizzazione, ai sensi dell’art. 8 L.36/2001), la installazione di
stazioni radio-base di telefonia cellulare, con limitazioni e divieti
generalizzati riferiti alle zone territoriali omogenee o con la introduzione
di distanze fisse, da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi
destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino,
allorché tale potere sia rivolto a disciplinare la compatibilità di detti
impianti con la tutela della salute umana al fine di prevenire i rischi
derivanti dalla esposizione della popolazione a campi elettromagnetici, anziché
a controllare soltanto il rispetto dei limiti delle radiofrequenze fissati dalla
normativa statale e a disciplinare profili tipicamente urbanistici.
L’atto di diniego di autorizzazione impugnato è
pertanto da ritenersi viziato, per illegittimità derivata, in quanto riproduttivo
contenutisticamente dell’illegittimo
regolamento comunale che consente una limitata ubicazione, con divieto assoluto
di ubicazione in alcune zone.
Inoltre, a prescindere dalla legislazione
regionale richiamata dall’appellante (art. 6 comma 23 L.R.13/2000, che impone
di tenere conto, ai fini del rilascio di autorizzazioni e concessioni per la
installazione di stazioni radio-base di telefonia cellulare, delle esigenze di
copertura del servizio sul territorio e delle misure adottate al fine di ridurre
l’impatto ambientale degli impianti), deve considerasi che, nella specifica
situazione sottoposta all’esame di questo Collegio, la installazione di
telefonia cellulare, destinata alle comunicazioni ferroviarie di servizio, non
potrebbe che essere collocata nella prossimità dei binari, pena il
malfunzionamento del servizio.
3.Il diniego di autorizzazione risulta
illegittimo, come rilevato e dedotto nell’appello, anche per vizi suoi propri.
E’ illegittimo, anche per difetto di
motivazione, oltre che per violazione di legge, un generico e generalizzato atto
negativo (di autorizzazione, concessione o divieto di prosecuzione in caso di
denuncia di inizio di attività) che venga adottato, in forza dell’asserita
contrarietà dell’intervento richiesto con la previsione del regolamento
comunale di minimizzazione degli effetti dell’inquinamento elettromagnetico,
senza ulteriori specificazioni motivazionali.
4.Si considerano assorbiti gli altri profili di
censura.
Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va
accolto, con conseguente riforma della impugnata sentenza, e conseguenziale
annullamento degli atti impugnati in primo grado.
La condanna alle spese di giudizio segue il
principio della soccombenza. Le spese sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale, sezione quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso
indicato in epigrafe, così provvede:
accoglie l’appello
principale e per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza, annulla gli
atti impugnati con il ricorso di primo grado.
Condanna il comune appellato al pagamento delle
spese del doppio grado di giudizio, liquidandole in euro cinquemila, al netto di
I.V.A. e C.A.P.;.
Ordina che la presente decisione sia eseguita
dalla autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
23 novembre 2004, con l’intervento dei magistrati:
Gaetano TROTTA,
Presidente
Costantino SALVATORE,
Consigliere
Carlo DEODATO,
Consigliere
Sergio DE FELICE,
Consigliere, est.
Adolfo METRO,
Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Sergio De Felice
Gaetano Trotta
IL SEGRETARIO
Rosario Giorgio
Carnabuci
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
14/2/2005
(art. 55, L. 27.4.1982, 186)
per Il Dirigente
dott. Giuseppe Testa