Consiglio di Stato Sez. IV n. 4965 del 3 giugno 2024
Danno ambientale.Azioni di prevenzione
La norma che attribuisce al Ministero il potere di chiedere agli operatori informazioni si inserisce in una disciplina che ha una chiara funzione di natura preventiva dei danni ambientali (lo segnala la stessa rubrica dell’art. 304, intitolata alle “Azioni di prevenzione”), ed è diretta a fissare le condizioni per l’effettività delle successive misure di prevenzione e di messa in sicurezza (che l’art. 245 impone anche ai proprietari non inquinatori, per cui il riferimento testuale alla figura dell’operatore deve intendersi qui fatto anche al proprietario non responsabile dell’inquinamento). Il presupposto per l’adozione delle ordinanze ai sensi dell’art. 304, comma 3, lettera a), non può essere costituito, quindi, da una (preliminare e) approfondita analisi e verifica di tutti gli elementi che giustificherebbero l’adozione delle misure di prevenzione. Per riprendere il testo della disposizione, è sufficiente il sospetto di una minaccia imminente di danno ambientale.
Pubblicato il 03/06/2024
N. 04965/2024REG.PROV.COLL.
N. 00245/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 245 del 2022, proposto da
Consorzio di Bonifica e Sviluppo Trento Nord – Società Consortile a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alessandro Lolli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero della Transizione Ecologica, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
nei confronti
Sequenza S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Alberto Salmaso, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale regionale giustizia amministrativa di Trento 26 ottobre 2021, n. 172, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Transizione Ecologica e di Sequenza S.p.A.;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria del giorno 6 marzo 2024 il Cons. Giorgio Manca e viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con l’appello in trattazione, il Consorzio di Bonifica e Sviluppo Trento Nord Società Consortile a r.l. (in seguito anche solo Consorzio) chiede la riforma della sentenza, meglio indicata in epigrafe, che ha respinto il ricorso proposto dal Consorzio per l’annullamento dell’ordinanza n. 207/2020 con la quale il Ministero della transizione ecologica (MITE) gli ha chiesto, come misura di prevenzione, di fornire entro 120 giorni «gli elementi e gli approfondimenti necessari per definire l’insorgenza, l’entità e le caratteristiche della situazione riconducibile ad una minaccia di danno ambientale, procedendo, in particolare, ad indagare in termini di dettaglio la fonte e le modalità di diffusione dell’inquinamento ovvero di un idoneo approfondimento relativo a sorgenti e vie di migrazione in tale sito».
1.1. In particolare, il riferimento è ai terreni di proprietà di Sequenza S.p.a. (Sequenza), non facenti parte del perimetro del sito d’interesse nazionale (S.I.N.) “Trento Nord”, in particolare del comparto ex Sloi, nel territorio del Comune di Trento, gestito, ai fini della bonifica, dal Consorzio. Le aree, caratterizzate dall’inquinamento della falda acquifera sottostante, sono state inserite nella pianificazione urbanistica comunale con la prescrizione dell’uso a scopi edificatori solo a seguito della integrale bonifica del SIN di “Trento Nord” (cfr. art. 42-quater, ai commi 4 e 5, delle NTA del PRG del Comune di Trento, zona C6).
1.2. Nel 2019 la società Sequenza ha proposto ricorso innanzi al T.r.g.a. di Trento avverso l’inerzia del Comune di Trento, che non concludeva il procedimento di imposizione di misure di prevenzione a carico del Consorzio, e – con motivi aggiunti – per l’annullamento del successivo provvedimento di archiviazione di tale procedimento. Con sentenza del 15 novembre 2019, n. 154, il Tribunale regionale ha respinto il ricorso, ritenendo la competenza di spettanza del Ministero, nell’ambito delle norme sul danno ambientale (parte sesta: «Norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente», del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152).
1.3. In esecuzione della pronuncia, il Ministero dell’ambiente ha dapprima coinvolto (con nota prot. 24354 del 27 novembre 2019) il Sistema Nazionale per la Protezione dell'Ambiente (SNPA), chiedendo, tra l’altro, con riferimento alle aree esterne al S.I.N. “Trento Nord”, di: a) determinare la sussistenza di un danno ambientale o di una minaccia di danno ambientale; b) determinare il nesso causale con le attività pregresse relative all’area industriale dismessa ex Sloi, denominata Comparto di Via Maccani, valutando eventuali fonti di contaminazione esterne all’area medesima; c) definire le specifiche misure di riparazione/prevenzione eventualmente da realizzare e il relativo costo.
1.4. Ricevuta la risposta da parte del SNPA, il Ministero - considerato che il Consorzio, proprietario e gestore dell'area, pur non responsabile della contaminazione, non aveva attuato le misure di prevenzione di cui agli artt. 245 e 242 del d.lgs. n. 152 del 2006, con provvedimento del 23 settembre 2020, adottato ai sensi dell’art. 304, comma 3, lettera a) del medesimo decreto legislativo, ha ordinato al Consorzio e alle società T.I.M. S.r.l., M.I.T. S.r.l, I.M.T. S.r.l. di fornire entro 120 giorni gli elementi e gli approfondimenti necessari per definire l’insorgenza, l’entità e le caratteristiche della situazione riconducibile ad una minaccia di danno ambientale, procedendo, in particolare ad indagare in termini di dettaglio la fonte e le modalità di diffusione dell’inquinamento ovvero di un idoneo approfondimento relativo a sorgenti e vie di migrazione in tale sito. Secondo quanto riportato nel provvedimento, il comportamento del Consorzio configurerebbe una responsabilità per omissione, contribuendo inoltre alla possibile diffusione della contaminazione.
2. Il provvedimento è stato impugnato dal Consorzio con ricorso al T.r.g.a. di Trento, che lo ha respinto con la sentenza qui appellata.
3. Resiste in giudizio il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, chiedendo che l’appello sia respinto.
4. Si è costituita in giudizio anche la società Sequenza, chiedendo la riunione dell’appello in epigrafe con il ricorso in appello R.G. n. 709/2020 presentato dalla stessa società avverso la sentenza del T.r.g.a. di Trento che ha respinto il suo ricorso per l’annullamento del provvedimento del 13 maggio 2019 con il quale il Comune di Trento aveva archiviato il procedimento per l’adozione dell’ordinanza di cui all’art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2006, declinando la propria competenza in materia.
Nel merito conclude per la reiezione dell’appello.
5. All’udienza straordinaria del 6 marzo 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
6. L’istanza di riunione presentata dalla società Sequenza, appellata, va respinta, non essendo sorretta da alcuna ragione specifica che la giustifichi, sia perché sono diverse le sentenze appellate (e quindi non ricorre il caso tipico di cui all’art. 96, comma 1, c.p.a.), sia perché l’eventuale accoglimento dell’appello proposto da Sequenza (R.G. 709/2020) comporterebbe il riconoscimento della competenza del Comune di Trento ad adottare l’ordinanza ai sensi degli articoli 244 e 245 del d.lgs. n. 152 del 2006, ma non inciderebbe direttamente sull’ordinanza ministeriale oggetto della sentenza appellata dal Consorzio, che è stata emanata ai sensi dell’art. 304, comma 3 del medesimo decreto legislativo; pertanto. non ricorrono nemmeno quelle ragioni di opportunità che potrebbero giustificare la riunione delle due impugnazioni (anche in considerazione del fatto che ambedue gli appelli sono stati chiamati e decisi all’odierna udienza straordinaria).
7. Passando all’esame del merito, con il primo motivo (pp. 9-12 dell’atto di appello) l’appellante deduce l’ingiustizia della sentenza nella parte in cui il primo giudice sostiene che il Consorzio non potrebbe invocare una modalità di azione consensuale (ossia la modifica o rinegoziazione degli accordi con la Provincia di Trento) per sottrarsi all’applicazione delle disposizioni dell’ordinanza ministeriale impugnata e per ostacolare l’intervento unilaterale del MITE, né potrebbe contestare i metodi di analisi indicati senza proporne di alternativi.
Secondo il Consorzio sarebbe contrario ai principi generali dell’ordinamento limitare in tal modo il diritto di un amministrato a contestare un atto amministrativo, essendo sufficiente, ai sensi dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, la individuazione dei vizi di legittimità dell’atto, mentre non è prevista un vizio dell’atto che rilevi solo se il ricorrente evidenzia la strada alternativa. L’errore su questo punto del giudice di primo grado sarebbe significativo anche perché il Consorzio avrebbe prodotto documenti che attestano che il metodo adottato dall’Agenzia per l’ambiente per l’analisi di piombo dietele e trietile non è corretto, come avrebbe riconosciuto anche il Ministero nel provvedimento impugnato (nel punto in cui si osserva che «la Conferenza di Servizi istruttoria del 18.6.2019.. : …2) ha chiesto al Consorzio di presentare la revisione dell’analisi di rischio a valle della esecuzione delle attività inerenti i metodi analitici e il nuovo monitoraggio delle acque di falda, in contraddittorio con APPA, per le quali si prevedeva una tempistica pari a circa 60 giorni»).
In ogni caso il Consorzio si è adoperato per svolgere analisi sul sito prima dell’analisi di rischio (ADR), affidando anche incarichi professionali per arrivare a un metodo scientifico affidabile. Gli esiti attesterebbero che il Consorzio ha concluso la ricerca svolta ed è pronto in tempi certi a riprendere il percorso dell’accordo, su un metodo analitico condiviso, con nuova ADR non essendo disponibile a svolgere analisi sulla base del metodo errato previsto dall’Agenzia per l’ambiente (Appa), come richiesto dall’ordinanza ministeriale e dalla sentenza impugnata.
8. Con il secondo motivo (pp. 12 - 20 dell’atto di appello), l’appellante contesta la sentenza rilevando come il danno ambientale, quando si parla di contaminanti, non è una figura definita in modo arbitrario dall’amministrazione, come afferma la sentenza, ma è definito dalla legge attraverso la misura di tali contaminanti nei termini previsti dalla normativa sulle contaminazioni.
Nel caso di specie, non sarebbe documentato alcun aggravamento e nemmeno sospetto di aggravamento: le analisi alla base delle scelte operate dal Ministero dell’Ambiente nell’atto impugnato sarebbero state riportate in modo errato (aumentato) rispetto alla realtà, e comunque, anche in tale modo errato, non adombrano alcuna minaccia imminente: anche prendendole per buone la contaminazione è in netto calo nel tempo.
9. In subordine (pp. 20-23 dell’appello), l’appellante sottolinea come quelli imposti dall’ordinanza ministeriale sarebbero comportamenti non esigibili in capo a un proprietario incolpevole, a differenza di quanto afferma la sentenza. La normativa sul danno ambientale prevede infatti una responsabilità soggettiva sui generis, in cui spetta al danneggiante provare la diligenza (cioè la mancanza di dolo o colpa). Ciò alla luce sia della direttiva U.E. n. 35/2004 (il richiamo è fatto al considerando 20 e all’art. 8, commi 3 e 4), sia del diritto nazionale (art. 308 del d.lgs. n. 152 del 2006, che ai commi 4 e 5 riproduce l’art. 8 direttiva, che prevede una responsabilità per dolo o colpa con inversione dell’onere della prova: il responsabile deve provare che il danno non era una conseguenza prevedibile dell’azione: «4. Non sono a carico dell'operatore i costi delle azioni di precauzione, prevenzione e ripristino adottate conformemente alle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto se egli può provare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno: a) è stato causato da un terzo e si è verificato nonostante l'esistenza di misure di sicurezza astrattamente idonee; b) è conseguenza dell'osservanza di un ordine o istruzione obbligatori impartiti da una autorità pubblica, diversi da quelli impartiti a seguito di un'emissione o di un incidente imputabili all'operatore; in tal caso il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare adotta le misure necessarie per consentire all'operatore il recupero dei costi sostenuti»; «5. L'operatore non è tenuto a sostenere i costi delle azioni di cui al comma 5 [rectius: comma 4] intraprese conformemente alle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto qualora dimostri che non gli è attribuibile un comportamento doloso o colposo e che l'intervento preventivo a tutela dell'ambiente è stato causato da: a) un'emissione o un evento espressa mente consentiti da un'autorizzazione conferita ai sensi delle vigenti disposizioni legislative e regolamentari recanti attuazione delle misure legislative adottate dalla Comunità europea di cui all'allegato 5 della parte sesta del presente decreto, applicabili alla data dell'emissione o dell'evento e in piena conformità alle condizioni ivi previste; b) un'emissione o un'attività o qualsiasi altro modo di utilizzazione di un prodotto nel corso di un'attività che l'operatore dimostri non essere stati considerati probabile causa di danno ambientale secondo lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento del rilascio dell'emissione o dell'esecuzione dell'attività»).
La norma opererebbe come principio generale interpretativo anche delle richieste urgenti formulate ai sensi dell’art. 304, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006.
Nel caso di specie, tale responsabilità soggettiva con inversione dell’onere probatorio non sarebbe provata, non essendo stato riscontrato nessun aggravamento, unico elemento che può far chiamare in responsabilità il proprietario non inquinatore. Inoltre, il Consorzio non sarebbe qualificabile come un operatore nel senso della citata direttiva U.E. ma un mero proprietario il quale agirebbe al solo fine di risanare il bene in proprietà.
10. Con il terzo motivo (pp. 24-33 dell’appello), l’appellante ribadisce, diversamente da quanto ritiene la sentenza, che la contaminazione non è in aumento ma in netto e stabile calo: nessuna minaccia tanto meno imminente, sia per l’elemento del “piombo totale” che per quelli del piombo tetraetile, del piombo trietile e del piombo dietile. La sentenza non terrebbe conto dei documenti agli atti che attestano quanto sopra e si riferisce unicamente alle asserzioni non documentate del MITE su un sospetto di aumento dell’inquinamento. Non si giustifica dunque l’esercizio del potere da parte del ministero in assenza di minaccia imminente, anche solo sospettata.
Anche le analisi dell’Agenzia per l’ambiente effettuate nel 2019, poste alla base del provvedimento, non esprimevano alcun peggioramento. Le analisi successive del 2020, lievemente peggiori, non possono giustificare un provvedimento precedente, e comunque non sono in grado di cambiare il trend in calo; né si potrebbe affermare, come fatto in sentenza, che le analisi 2020 siano confermative di quelle 2019.
Sotto altro profilo, l’appellante deduce l’erroneità della sentenza anche nella parte in cui non ha tenuto conto che il Consorzio ha visto pregiudicato il diritto di partecipare in contraddittorio all’attività analitica, anche al fine di contestare il metodo non affidabile. E ciò anche quando le analisi sono svolte sul terreno limitrofo.
Si deduce pertanto il difetto di istruttoria e la violazione delle norme sul contraddittorio, con riferimento a un elemento centrale per la tesi del Ministero che avrebbe trovato accesso solo nel corso del processo, senza consentire al ricorrente alcuna garanzia di contraddittorio rispetto a tali analisi, ai sensi degli artt. 7 e segg. della legge 241 del 1990.
Inoltre, l’appellante rileva come il provvedimento impugnato attesta che la fonte dell’inquinamento è a monte del sito Sequenza (area dell’appellante e sistema delle rogge in cui la ex Sloi scaricava) mentre la sentenza senza ragione o supporto probatorio erroneamente restringe tale profilo al solo sito dell’appellante.
11. I motivi esposti si prestano a una trattazione congiunta, per la stretta connessione degli argomenti.
Essi sono infondati.
12. Si può prescindere dall’esame della prima parte del primo motivo dal momento che le questioni sostanziali sono state ampiamente riproposte dall’appellante nei successivi mezzi di gravame.
13. Proprio venendo al piano sostanziale, occorre muovere dal contenuto dell’ordinanza ministeriale del 23 settembre 2019, con il quale il Ministero dell’ambiente ha ordinato al Consorzio (nella sua qualità di proprietario dell’area del SIN, ma non responsabile dell’inquinamento) «di fornire, entro il termine di 120 giorni dalla notifica della presente; gli elementi e gli approfondimenti necessari per definire l'insorgenza, l'entità e le caratteristiche della situazione riconducibile ad una minaccia di danno ambientale, procedendo, in particolare ad indagare in termini di dettaglio la fonte e le modalità di diffusione dell'inquinamento ovvero di un idoneo approfondimento relativo a sorgenti e vie di migrazione in tale sito».
13.1. In sostanza, l’ordinanza ha disposto nei confronti dell’operatore interessato, ai sensi dell’art. 304, comma 3, lett. a), del d.lgs. n. 152 del 2006, l’acquisizione di tutte le informazioni necessarie per stabilire se sussista una «qualsiasi minaccia imminente di danno ambientale» o anche solo «su casi sospetti di tale minaccia incombente»; ossia quelle informazioni necessarie per le eventuali misure di prevenzione che l’art. 245, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 impone anche ai proprietari non responsabili. La norma che attribuisce al Ministero il potere di chiedere agli operatori dette informazioni si inserisce in una disciplina che ha una chiara funzione di natura preventiva dei danni ambientali (lo segnala la stessa rubrica dell’art. 304, intitolata alle “Azioni di prevenzione”), ed è diretta a fissare le condizioni per l’effettività delle successive misure di prevenzione e di messa in sicurezza (che, si ripete, l’art. 245 impone anche ai proprietari non inquinatori, per cui il riferimento testuale alla figura dell’operatore deve intendersi qui fatto anche al proprietario non responsabile dell’inquinamento).
13.2. Il presupposto per l’adozione delle ordinanze ai sensi dell’art. 304, comma 3, lettera a), non può essere costituito, quindi, da una (preliminare e) approfondita analisi e verifica di tutti gli elementi che giustificherebbero l’adozione delle misure di prevenzione (come invece sostiene il Consorzio appellante, quando insistentemente si sofferma sulla mancanza di un metodo analitico scientificamente attendibile o sulla mancata instaurazione del contraddittorio procedimentale per la valutazione dei dati forniti dall’Appa; tutti profili che semmai potranno acquisire rilevanza in una fase successiva).
Per riprendere il testo della disposizione, è sufficiente il sospetto di una minaccia imminente di danno ambientale. E nel caso di specie tale sospetto era sufficientemente supportato dalle analisi effettuate dall’Agenzia per l’ambiente, dall’Ispra e dal SNPA (come ampiamente esposto nella motivazione dell’ordinanza impugnata).
Per cui va disatteso anche il dedotto difetto di istruttoria.
13.3. Né assume rilevanza, al fine di ordinare all’operatore (anche se si tratti – come detto – del proprietario del bene) di reperire e fornire le informazioni, la prova dell’aver determinato un aggravamento dell’inquinamento (secondo l’appellante l’unico elemento che giustificherebbe la responsabilità in solido del proprietario non inquinatore), elemento che semmai potrà essere valutato dopo l’assunzione delle informazioni e analisi.
13.4. Anche le asserzioni contenute nell’ordinanza circa il fatto che il Consorzio «non ha definito un metodo analitico alternativo, ancorché più volte sollecitato», non appaiono, in questa fase, rilevanti né quindi lesive per il Consorzio, al quale sono stati ordinati unicamente «gli approfondimenti necessari per definire l’insorgenza, l’entità e le caratteristiche della situazione riconducibile ad una minaccia di danno ambientale», senza tuttavia l’imposizione di uno specifico metodo analitico o un particolare procedimento di rilevazione dei dati.
13.5. Allo stesso modo non rileva nemmeno che la sentenza identifichi la fonte dell’inquinamento nel sito dell’appellante, posto che tale asserzione potrà essere efficacemente contrastata nelle successive fasi della vicenda, proprio sulla base dei dati e degli elementi che il provvedimento impugnato impone a Consorzio di fornire.
14. Le censure sopra esposte sono pertanto da respingere integralmente.
15. Infine, va respinta anche la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’U.E. (p. 34 dell’appello, in cui si formula il seguente quesito: «Se l’art. 192 Trattato UE, e in particolare il principio chi inquina paga nonché il principio ambientale per il quale l’amministrazione pubblica deve agire ispirandosi alla scienza, e la direttiva 35/2004 UE, debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa interna inerente ai poteri del Ministero dell’ambiente, quale quella di cui all’art. 304 del codice dell’ambiente, in base alla quale il Ministero dell’Ambiente possa ordinare indagini e caratterizzazioni in capo al proprietario incolpevole, sulla base di valutazioni scientifiche casuali e non giustificate da un’analisi di rischio che il Ministero e le Amministrazioni hanno omesso di adottare»).
15.1. La Corte di giustizia dell’U.E. (sez. II, 13 luglio 2017, C-129/16) ha affrontato la questione sotto il profilo della responsabilità per i danni ambientali del proprietario del bene immobile dal quale l'inquinamento ha avuto origine, in relazione a una normativa nazionale secondo la quale - salvo prova contraria da parte del proprietario non responsabile dell’inquinamento - la responsabilità ricadeva in solido tanto sul proprietario quanto sull'utilizzatore dell'immobile «in cui ha avuto luogo la condotta dannosa per l'ambiente o recante minaccia rischio per l'ambiente», e che la responsabilità del proprietario sia esclusa soltanto se indichi l'utilizzatore effettivo dell'immobile e dimostri, al di là di ogni ragionevole dubbio, di non aver causato egli stesso il danno.
In tale contesto normativo, la Corte U.E. (cfr. punti 58 ss.) ha ritenuto che non sia compromesso il principio del “chi inquina paga” e quindi della responsabilità in capo all'utilizzatore; e che la normativa nazionale abbia «la finalità di evitare una carenza di diligenza da parte del proprietario e di incoraggiare lo stesso ad adottare misure e a sviluppare pratiche idonee a minimizzare i rischi di danni ambientali» e di contribuire a prevenire il danno ambientale e realizzare gli obiettivi della direttiva 2004/35: «tale normativa nazionale comporta che i proprietari di beni immobili nello Stato membro interessato, per evitare di essere ritenuti solidalmente responsabili, debbano sorvegliare il comportamento degli utilizzatori dei loro beni e segnalarli all'autorità competente in caso di danno ambientale o minaccia di tale danno» (punto 59).
Tale normativa «rafforza il meccanismo previsto dalla direttiva 2004/35 identificando una categoria di persone che possono essere ritenute responsabili in solido con gli utilizzatori [e] trova fondamento nell'articolo 16 della direttiva 2004/35, il quale, letto congiuntamente all'articolo 193 TFUE autorizza misure di protezione rafforzate, purché compatibili con i Trattati UE e TFUE e notificate alla Commissione europea».
Pertanto, conclude sul punto la Corte, «le disposizioni della direttiva 2004/35, lette alla luce degli articoli 191 e 193 TFUE devono essere interpretate nel senso che non ostano a una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che identifica, oltre agli utilizzatori dei fondi su cui è stato generato l'inquinamento illecito, un'altra categoria di persone solidamente responsabili di un tale danno ambientale, ossia i proprietari di detti fondi, senza che occorra accertare l'esistenza di un nesso di causalità tra la condotta dei proprietari e il danno constatato, a condizione che tale normativa sia conforme ai principi generali di diritto dell'Unione, nonché ad ogni disposizione pertinente dei Trattati UE e FUE e degli atti di diritto derivato dell'Unione» (punto 63 e dispositivo).
15.2. Sulla scorta della riferita giurisprudenza della Corte di giustizia e alla luce dei criteri elaborati dalla stessa Corte, di recente riassunti nella sentenza 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management, C-561/19 (che – in particolare ai punti 33 ss. – ha precisato i criteri della c.d. giurisprudenza Cilfit sottolineando come, per escludere l’obbligo del rinvio, può considerarsi non solo il precedente riguardante un caso identico, ma anche una o più pronunce relative a situazioni analoghe a quella oggetto del giudizio nazionale, oltre ai casi in cui la questione sollevata sia irrilevante ai fini della decisione della controversia pendente presso il giudice nazionale ovvero la questione sia chiaramente risolta dalla normativa europea), si deve concludere che, per le questioni sollevate dall’appellante, non sussiste l’obbligo di rinvio pregiudiziale previsto dall’art. 267, terzo comma, del Trattato per il giudice nazionale di ultima istanza.
16. In conclusione, l’appello va integralmente respinto.
17. La disciplina delle spese giudiziali per il presente grado di appello segue la regola della soccombenza, nei termini di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese giudiziali del grado di appello, in favore del Ministero dell’Ambiente e di Sequenza S.p.a., che liquida in euro 4.000,00 (quattromila/00) per ciascuna appellata, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2024, tenuta da remoto, con l'intervento dei magistrati:
Oreste Mario Caputo, Presidente FF
Giovanni Tulumello, Consigliere
Giorgio Manca, Consigliere, Estensore
Ugo De Carlo, Consigliere
Roberta Ravasio, Consigliere