La Corte costituzionale boccia la legge regionale veneta contro il c.d. disturbo alla caccia.
di Stefano DELIPERI
La Corte costituzionale, con sentenza n. 148 dell’11 luglio 2018, ha dichiarato l’illegittimità delle norme regionali del Veneto che puniscono qualsiasi attività ostruzionistica della caccia.
Il Giudice delle Leggi è stato molto chiaro: “le norme impugnate … attengono a comportamenti che pregiudicano la «ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale» (tra le altre, sentenze n. 108 del 2017, n. 300 del 2011, n. 274 del 2010, n. 129 del 2009), e in quanto tali sono riconducibili alla materia «ordine pubblico e sicurezza» di cui alla lettera h) del secondo comma dell’art. 117 Cost.” di esclusiva competenza statale.
Infatti, “in linea di principio … la disciplina in tema di sanzioni accede a quella sostanziale. Essa, cioè, non costituisce una materia a sé stante e spetta al soggetto nella cui sfera di competenza rientra la disciplina la cui inosservanza costituisce l’atto sanzionabile (ex multis, sentenze n. 90 del 2013, n. 240 del 2007, n. 384 del 2005 e n. 12 del 2004)”, tuttavia emerge palesemente che “la finalità perseguita non è quella di assicurare il rispetto di specifici obblighi settoriali posti dal legislatore per regolamentare l’esercizio delle attività venatoria o piscatoria”. Al contrario, la finalità perseguita dal Legislatore regionale veneto “è, invece, quella di garantire il diritto all’esercizio delle attività in questione al riparo da interferenze esterne e di prevenire la possibilità di reazione della persona offesa”.
La materia, inequivocabilmente, è di competenza statale esclusiva.
Stefano Deliperi
SENTENZA N. 148
ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 della legge della Regione Veneto 17 gennaio 2017, n. 1 (Norme regionali in materia di disturbo all’esercizio dell’attività venatoria e piscatoria: modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme regionali per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio” e alla legge regionale 28 aprile 1998, n. 19 “Norme per la tutela delle risorse idrobiologiche e della fauna ittica e per la disciplina dell’esercizio della pesca nelle acque interne e marittime interne della Regione Veneto”), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 17-22 marzo 2017, depositato in cancelleria il 27 marzo 2017, iscritto al n. 33 del registro ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;
udito nell’udienza pubblica del 5 giugno 2018 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;
uditi l’avvocato dello Stato Marina Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Ezio Zanon e Luigi Manzi per la Regione Veneto.
Ritenuto in fatto
1.− Con ricorso n. 33 del 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto in via principale questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto la legge della Regione Veneto 17 gennaio 2017, n. 1 (Norme regionali in materia di disturbo all’esercizio dell’attività venatoria e piscatoria: modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme regionali per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio” e alla legge regionale 28 aprile 1998, n. 19 “Norme per la tutela delle risorse idrobiologiche e della fauna ittica e per la disciplina dell’esercizio della pesca nelle acque interne e marittime interne della Regione Veneto”), per violazione degli artt. 117, secondo comma, lettere h) ed l), nonché 3, 25 e 27 della Costituzione.
1.1.− L’art. 1 della legge regionale impugnata inserisce nella legge della Regione Veneto 9 dicembre 1993, n. 50 (Norme regionali per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio), l’art. 35-bis (Disturbo all’esercizio dell’attività venatoria e molestie agli esercenti l’attività venatoria), che così dispone: «1. Chiunque, con lo scopo di impedire intenzionalmente l’esercizio dell’attività venatoria ponga in essere atti di ostruzionismo o di disturbo dai quali possa essere turbata o interrotta la regolare attività di caccia o rechi molestie ai cacciatori nel corso delle loro attività, è punito con la sanzione amministrativa da euro 600,00 a euro 3.600,00. 2. All’accertamento e alla contestazione delle violazioni procedono gli organi cui sono demandate funzioni di polizia. 3. La Regione esercita le funzioni amministrative riguardanti l’applicazione delle sanzioni amministrative previste dalla presente legge e ne introita i proventi. 4. Non integrano, in ogni caso, la fattispecie di cui al comma 1, gli atti rientranti nell’esercizio dell’attività agricola, di cui all’articolo 2135 del Codice Civile, nel rispetto dell’articolo 842 del Codice Civile».
Il successivo art. 2, a sua volta, inserisce, nella legge della Regione Veneto 28 aprile 1998 n. 19 (Norme per la tutela delle risorse idrobiologiche e della fauna ittica e per la disciplina dell’esercizio della pesca nelle acque interne e marittime interne della Regione Veneto), l’art. 33-ter (Disturbo all’esercizio dell’attività piscatoria e molestie agli esercenti l’attività piscatoria), dal seguente tenore: «1. Chiunque, con lo scopo di impedire intenzionalmente l’esercizio dell’attività piscatoria ponga in essere atti di ostruzionismo o di disturbo dai quali possa essere turbata o interrotta la regolare attività di pesca o rechi molestie ai pescatori nel corso delle loro attività, è punito con la sanzione amministrativa da euro 600,00 a euro 3.600,00. 2. All’accertamento e alla contestazione delle violazioni procedono gli organi cui sono demandate funzioni di polizia. 3. La Regione esercita le funzioni amministrative riguardanti l’applicazione delle sanzioni amministrative previste dalla presente legge e ne introita i proventi».
L’art. 3, infine, contiene la clausola di neutralità finanziaria.
2.− Secondo il ricorrente, le disposizioni sopra riportate inciderebbero su materie riservate alla competenza legislativa statale dall’art. 117, secondo comma, lettere h) ed l), Cost.
Infatti, sanzionando a titolo di illecito amministrativo comportamenti quali il «disturbo», l’«ostruzionismo» e la «molestia», esse colpirebbero «condotte emulative dirette al solo fine di arrecare nocumento a beni fondamentali quali l’integrità delle persone e la sicurezza, sussumibili nella categoria dell’ordine pubblico e della sicurezza, sulle quali lo Stato ha potestà legislativa esclusiva» (art. 117, comma secondo, lettera h, Cost.).
A supporto della propria censura, viene rilevato che le condotte prese in esame dalla legge regionale impugnata sarebbero agevolmente riconducibili alla fattispecie di reato di cui all’art. 660 del codice penale, posto che le condotte di disturbo o molestia − coincidenti con quelle contemplate dalla impugnata legge regionale − avrebbero per indefettibile presupposto il loro compimento in luogo pubblico o aperto al pubblico (tali essendo i luoghi tipici in cui si svolgono le attività venatoria e piscatoria) e che sarebbe senza dubbio meritevole di biasimo la finalità della condotta diretta a recare disturbo a chi svolge un’attività lecita.
La scelta del legislatore regionale di sanzionare come illecito amministrativo una condotta che è già prevista e punita dalla legge statale a titolo di illecito penale ex art. 660 cod. pen. dimostrerebbe, altresì, l’interferenza della norma regionale con un ambito (l’ordinamento penale, appunto) che alla legislazione regionale è sottratto (ex art. 117, comma secondo, lettera l, Cost.)
La legge regionale censurata inciderebbe anche su un’altra materia (l’ordinamento civile) di competenza statale (ai sensi della medesima lettera l del citato secondo comma dell’art. 117 Cost.), posto che gli interessi che la legge regionale mirerebbe a tutelare sarebbero già oggetto di una tutela di tipo privatistico, idonea a garantire la risarcibilità dei danni arrecati dalle condotte prese in esame dalle norme impugnate.
Le denunciate disposizioni regionali violerebbero, inoltre, i principi di legalità, razionalità e non discriminazione rinvenibili negli artt. 3, 25 e 27 Cost.
Esse, infatti, sanzionerebbero a titolo di illecito amministrativo condotte descritte in termini generici e privi del sufficiente grado di determinatezza, tali da prospettare difficoltà a livello applicativo e, più in generale, da determinare un contrasto con i princìpi costituzionali di legalità e razionalità, validi anche per gli illeciti amministrativi ed espressamente richiamati dalla legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale).
Verrebbe inoltre in rilievo, oltre alla mancata previsione della clausola di riserva «salvo che il fatto non costituisca reato», la considerazione che le sanzioni amministrative introdotte dalle norme regionali in esame (da euro 600,00 a euro 3.600,00) sarebbero decisamente sproporzionate, sia in comparazione con quelle previste dall’art. 35 della legge reg. Veneto n. 50 del 1993, il cui massimo edittale, nei casi più gravi, è fissato in euro 1.200,00 sia rispetto a quelle previste a carico del cacciatore per le violazioni commesse ai sensi dell’art. 31 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), il cui massimo edittale è inferiore a quello previsto dalla legge regionale impugnata.
L’Avvocatura generale dello Stato rileva, infine, come dall’illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge reg. Veneto n. 1 del 2017 discenderebbe la necessità di caducare anche il successivo art. 3, in quanto, recando solo una clausola di neutralità finanziaria, sarebbe privo di autonoma portata precettiva.
3.− Si è costituita in giudizio la Regione Veneto, chiedendo che il ricorso sia dichiarato non fondato e sostenendo che il sospetto di illegittimità costituzionale delineato nel ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri sarebbe «il frutto di un radicale travisamento della ontologia e della teleologia della legge regionale».
Quest’ultima, infatti, introdurrebbe due fattispecie parallele di sanzioni amministrative, le quali, a differenza di quanto affermato dal ricorrente, non presenterebbero alcuna coincidenza con la fattispecie penale descritta nell’art. 660 cod. pen., né sotto il profilo materiale, né tanto meno sotto il profilo del bene giuridico protetto.
Ed infatti, la disposizione penale punirebbe genericamente qualsiasi comportamento di molestia o di disturbo che sia compiuto in un luogo pubblico o aperto al pubblico, interferendo nell’altrui vita privata e relazionale, mentre, per configurare gli illeciti amministrativi introdotti dalla impugnata legge regionale, non sarebbe sufficiente il compimento di atti diretti a recare molestia, ma occorrerebbe una condotta che illecitamente e scientemente interferisca con il regolare svolgimento delle attività di caccia e di pesca. Si tratterebbe, dunque, di condotte materiali distinte e solo parzialmente sovrapponibili, in ragione, peraltro, dell’ampiezza e della residualità della fattispecie penale.
Tale diversità si dispiegherebbe anche sotto il profilo teleologico, in quanto il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice sarebbe l’ordine pubblico inteso come pubblica tranquillità, senza che assuma alcun rilievo l’ambito di attività o di vita su cui incide la molestia. Contrariamente, invece, le sanzioni amministrative regionali non mirerebbero in alcun modo a tutelare l’ordine pubblico, avendo come loro finalità primaria ed esclusiva quella di garantire il regolare e ordinato esercizio dell’attività venatoria e piscatoria. Tanto si evincerebbe non solo dalla descrizione della condotta materiale degli illeciti amministrativi, ma anche dal profilo soggettivo degli stessi, che richiede una forma di dolo intenzionale al fine del concretizzarsi dell’illecito, ovverosia lo scopo di impedire l’esercizio dell’attività di caccia o pesca.
La Regione Veneto rileva, inoltre, che le disposizioni de quibus dovrebbero essere ricomprese nell’ambito competenziale cui afferisce la relativa materia sostanziale, ovverosia la caccia, di spettanza regionale.
A suo parere, andrebbe esclusa qualsivoglia lesione della competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e penale, stante la diversa natura, il differente regime e la distinta finalità perseguita dalla disciplina regionale. D’altronde ben sarebbe ammissibile la compresenza di rimedi penali, amministrativi e civili, senza che derivi alcuna compromissione della legittimità degli uni rispetto agli altri, operando gli stessi su piani diversi e solo accidentalmente sovrapponibili.
Infondato sarebbe anche il secondo motivo di ricorso.
Gli illeciti amministrativi introdotti dalla legge impugnata sarebbero, infatti, descritti in modo esaustivo e dettagliato sia sotto il profilo oggettivo sia sotto il profilo soggettivo.
La condotta materiale sarebbe delineata in maniera puntuale, dovendo consistere in atti di «ostruzionismo» e di «disturbo», ossia comportamenti volontari che si pongono come un ostacolo, un impedimento o un intralcio all’altrui agire. A tale condotta si assocerebbe, poi, uno specifico eventus damni, sostanziantesi nella turbativa o nell’impedimento dell’attività venatoria o piscatoria ovvero in una molestia ai danni del cacciatore o del pescatore nell’esercizio di attività che sono oggetto di una specifica perimetrazione normativa rinvenibile, tra l’altro, nell’art. 12 della legge n. l57 del 1992 e, ancora, nell’art. 24 della legge reg. Veneto n. 19 del l998. Sarebbe, infine, richiesto, per l’integrazione dell’illecito, sotto il profilo psicologico, lo scopo di impedire l’esercizio delle predette attività.
Peraltro, per perimetrare la condotta di molestia presa in considerazione dal legislatore regionale, l’interprete avrebbe a propria disposizione la ricca e risalente tradizione interpretativa della fattispecie di cui all’art. 660 cod. pen.
Quanto al rilievo legato alla assenza della clausola di riserva «salvo che il fatto non costituisca reato», la Regione ancora una volta richiama la diversità ontologica e teleologica delle fattispecie disciplinate dalla legge regionale, sottolineando, peraltro, la possibile coesistenza di sanzioni penali ed amministrative.
Con riguardo all’asserita sproporzione della sanzione pecuniaria prevista dalla legge regionale, infine, sostiene che tali fattispecie di illecito amministrativo in esame costituiscono norme di chiusura, strumento di salvaguardia dell’intero sistema, dirette non a sanzionare la violazione di singoli obblighi settoriali ma a salvaguardare il regolare e ordinato svolgimento delle attività venatoria e piscatoria. Ciò giustificherebbe quindi la scelta sanzionatoria e la sua asimmetria rispetto alle ipotesi richiamate dal ricorrente.
Considerato in diritto
1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, in riferimento agli artt. 3, 25, 27 e 117, secondo comma, lettere h) ed l), della Costituzione, questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Veneto 17 gennaio 2017, n. 1 (Norme regionali in materia di disturbo all’esercizio dell’attività venatoria e piscatoria: modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme regionali per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio” e alla legge regionale 28 aprile 1998, n. 19 “Norme per la tutela delle risorse idrobiologiche e della fauna ittica e per la disciplina dell’esercizio della pesca nelle acque interne e marittime interne della Regione Veneto”).
Gli artt. 1 e 2 della legge regionale impugnata inseriscono, rispettivamente, l’art. 35-bis nella legge della Regione Veneto 9 dicembre 1993, n. 50 (Norme regionali per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio) e l’art. 33-ter nella legge della Regione Veneto 28 aprile 1998, n. 19 (Norme per la tutela delle risorse idrobiologiche e della fauna ittica e per la disciplina dell’esercizio della pesca nelle acque interne e marittime interne della Regione Veneto), disponendo che venga punito con la sanzione amministrativa da euro 600,00 a euro 3.600,00 chiunque, con lo scopo di impedire intenzionalmente l’esercizio dell’attività (rispettivamente) venatoria e piscatoria, ponga in essere atti di ostruzionismo o di disturbo dai quali possa essere turbata o interrotta la regolare attività di caccia o pesca o rechi molestie ai cacciatori o ai pescatori nel corso delle loro attività.
L’art. 3, infine, contiene la clausola di neutralità finanziaria.
2.− Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna la legge nella sua interezza, prospettando una molteplicità di questioni.
3.− Per economia di giudizio, e facendo ricorso al potere di decidere l’ordine delle questioni da affrontare, eventualmente dichiarando assorbite le altre (sentenza n. 98 del 2013), si esamina anzitutto l’eccepita violazione del riparto delle competenze legislative tra Stato e Regione, in quanto pregiudiziale sotto il profilo logico-giuridico rispetto a quelle che investono il contenuto della scelta operata con la norma regionale, riferite a parametri non compresi nel Titolo V della Parte II della Costituzione (sentenza n. 81 del 2017).
4.− La questione è fondata.
5.− Lo scrutinio delle censure implica, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, l’individuazione dell’ambito materiale al quale vanno ascritte le disposizioni impugnate, tenendo conto della loro ratio, della finalità, del contenuto e dell’oggetto della disciplina (ex plurimis, sentenze n. 108 e n. 32 del 2017).
5.1.– In linea di principio, per pacifico orientamento di questa Corte, la disciplina in tema di sanzioni accede a quella sostanziale. Essa, cioè, non costituisce una materia a sé stante e spetta al soggetto nella cui sfera di competenza rientra la disciplina la cui inosservanza costituisce l’atto sanzionabile (ex multis, sentenze n. 90 del 2013, n. 240 del 2007, n. 384 del 2005 e n. 12 del 2004).
Ma nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione Veneto, le sanzioni non possono essere ricondotte alla materia “caccia e pesca”. Non si tratta, infatti, di sanzioni amministrative poste a presidio di prescrizioni relative all’esercizio di tali attività, come nel caso dell’art. 35 della legge reg. Veneto n. 50 del 1993 e dell’art. 33 della legge reg. Veneto n. 19 del 1998, che al contrario contengono un elenco di fattispecie di inosservanze di puntuali obblighi e adempimenti posti a carico di coloro che le esercitano.
La condotta presa in considerazione si sostanzia in atti di «ostruzionismo» o «disturbo», rispetto ai quali la caccia e la pesca rilevano solo al fine di delimitare l’ambito delle persone offese e l’elemento psicologico.
La finalità perseguita non è quella di assicurare il rispetto di specifici obblighi settoriali posti dal legislatore per regolamentare l’esercizio delle attività venatoria o piscatoria. È, invece, quella di garantire il diritto all’esercizio delle attività in questione al riparo da interferenze esterne e di prevenire la possibilità di reazione della persona offesa.
5.2.– Le norme impugnate, quindi, attengono a comportamenti che pregiudicano la «ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale» (tra le altre, sentenze n. 108 del 2017, n. 300 del 2011, n. 274 del 2010, n. 129 del 2009), e in quanto tali sono riconducibili alla materia «ordine pubblico e sicurezza» di cui alla lettera h) del secondo comma dell’art. 117 Cost., pur nella lettura rigorosa che questa Corte ha operato della stessa.
6.− Restano assorbiti gli ulteriori motivi di censura.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Veneto 17 gennaio 2017, n. 1 (Norme regionali in materia di disturbo all’esercizio dell’attività venatoria e piscatoria: modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme regionali per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio” e alla legge regionale 28 aprile 1998, n. 19 “Norme per la tutela delle risorse idrobiologiche e della fauna ittica e per la disciplina dell’esercizio della pesca nelle acque interne e marittime interne della Regione Veneto”).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Giancarlo CORAGGIO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2018.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA