Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18805 del 27/04/2006 Ud. (dep. 26/05/2006 ) Rv. 234335
Presidente: De Maio G. Estensore: Petti C. Relatore: Petti C. Imputato: Barbero. P.M. Favalli M. (Diff.)
(Rigetta, App. Torino, 9 dicembre 2003)
PRODUZIONE, COMMERCIO E CONSUMO - IN GENERE - Detenzione di esemplari di fauna in via di estinzione - Legge n. 150 del 1992 - Confisca degli esemplari - Sentenza di condanna - Necessità - Esclusione - Condizioni.

La detenzione di esemplari di fauna selvatica minacciati di estinzione, in violazione dei divieti contenuti negli artt. 1 e 2 della legge 7 febbraio 1992 n. 150, attuativa della Convenzione di Washington del 3 marzo 1973 sul commercio internazionale della flora e della fauna selvatica, loro prodotti e derivati, comporta la confisca prevista dall'art. 4 della citata legge n. 150, atteso che questa ha natura speciale e si applica indipendentemente da una sentenza di condanna.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica

Dott. DE MAIO Guido - Presidente - del 27/04/2006

Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - SENTENZA

Dott. PETTI Ciro - Consigliere - N. 697

Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - REGISTRO GENERALE

Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere - N. 16971/2004

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

difensore di Barbero Giorgio, nato a Canale il 23 luglio del 1929;

avverso la sentenza della Corte d'Appello di Torino del 9 dicembre del 2003;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Ciro Petti;

sentito il Sostituto Procuratore Generale nella persona del Dott. Favalli Mario, il quale ha concluso per l'annullamento senza rinvio;

sentito il difensore avv. Chiappero Luigi, il quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso;

letti il ricorso e la sentenza denunciata.

Osserva quanto segue:

IN FATTO

La Corte d'Appello di Torino, con sentenza del 23 gennaio del 2004, in parziale riforma di quella pronunciata dal Tribunale della medesima città il 19 giugno del 2002, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'imputato in ordine ai reati per i quali era stata pronunciata la condanna per intervenuta prescrizione e confermava la misura di sicurezza della confisca. In primo grado il Barbero era stato condannato alla pena di anni uno e mesi due di arresto, quale responsabile del reato continuato di cui alla L. 7 febbraio 1992, n. 150, art. 1, per avere importato e detenuto numerosi esemplari di specie animali protette. Con la medesima sentenza era stata disposta la confisca degli esemplari in sequestro (quattordici).

L'imputato si era difeso sostenendo che tutti gli esemplari detenuti erano stati importati prima del 1980 allorché non era richiesta alcuna autorizzazione.

La Corte territoriale, dopo avere premesso che tutti gli animali erano stati importati dopo il 1980 come già accertato dal Tribunale, a fondamento dell'obbligatorietà della confisca osservava, in sintesi, che quella prevista dalla L. n. 150 del 1992, art. 4, costituiva una misura di sicurezza speciale rispetto alla confisca prevista dall'articolo 240 c.p.; che essa deve essere disposta anche in caso di semplice illecito amministrativo e quindi a fortiori in caso di estinzione del reato per prescrizione; che la restituzione degli esemplari, peraltro, avrebbe dato luogo ad un nuovo reato trattandosi di condotta non sanabile e perciò non v'era comunque alcun contrasto con il dettato di cui all'articolo 240 c.p.. Ricorre per Cassazione l'imputato, per mezzo del suo difensore, sulla base di un unico articolato motivo.

IN DIRITTO

Il difensore, dopo avere richiamato il quadro normativo di riferimento così come ricostruito dalla Corte territoriale ossia che fino al 1 gennaio del 1980 l'importazione e la detenzione di tali esemplari erano totalmente lecite; che dal primo gennaio l'importazione in Italia di esemplari A/1 ed A/2 privi di autorizzazione CITES configurava un illecito amministrativo, che dal 9 marzo 1992 configurava un reato, che dal primo gennaio 1990 la detenzione di esemplari A/1 priva di autorizzazione CITES costituiva un illecito amministrativo e che dal 1 marzo 1992 era reato e, dopo avere ribadito che gli esemplari in sequestro erano stati importati prima del 1980, deduce la violazione della L. n. 150 del 1992, art. 4, non essendo consentita la confisca in ipotesi di proscioglimento per prescrizione, come già statuito da questa Corte in una fattispecie analoga. Assume invero che non trattasi di confisca obbligatoria perché la detenzione degli esemplari protetti non è vietata in modo assoluto. Inoltre la loro detenzione prima del 1980 era lecita e nella fattispecie non si era accertato con sentenza passata in giudicato che il fatto era stato commesso in epoca successiva.

Le ipotesi di confisca obbligatoria citate dalla Corte territoriale riguardavano fattispecie diverse da quella in esame. Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.

La tesi della non obbligatorietà della confisca di cui alla L. n. 150 del 1992, art. 4, ancorché sostenuta dalla decisione di questa Corte citata dal ricorrente (la n. 2154 del 1997 Zattini) e da altra dello stesso periodo (la n. 4252 del 1997) entrambe però contrastate da una più recente decisione (la n. 49454 del 2003, Schino Kee Kan nella quale si è ritenuto, sia pure in maniera generica, applicabile l'articolo 240 c.p., per la mancanza di autorizzazione), non va condivisa perché quella contenuta nella L. n. 150 del 1992, art. 4 costituisce una misura di sicurezza speciale che deroga alla disciplina generale di cui all'articolo 240 c.p., come correttamente sostenuto dalla Corte distrettuale, e configura un'ipotesi di confisca obbligatoria.

A siffatta conclusione si perviene sia in base ad un'interpretazione letterale della norma, sia soprattutto in base alla sua ratio ed alle sue origini.

In proposito occorre anzitutto premettere che, contrariamente all'assunto del ricorrente, nella fattispecie si è accertato che l'importazione e la detenzione si sono verificate dopo il 1 gennaio del 1980. Invero la Corte d'appello ha sì dichiarato estinto il reato per prescrizione, ma dopo avere respinto l'impugnazione dell'imputato diretta ad ottenere l'assoluzione e dopo avere appunto accertato che gli animali erano stati importati e detenuti in violazione dei divieti prescritti dalla L. n. 150 del 1992, artt. 1 e 2. La sentenza della Corte territoriale non è stata impugnata per la mancata pronuncia assolutoria, ma solo con riferimento all'applicazione della confisca. Quindi l'accertamento della Corte territoriale in ordine all'illiceità dell'importazione e della detenzione si può ritenere definitivo.

Ciò premesso, si rileva che la norma nel testo vigente all'epoca del fatto così recitava: "In caso di violazione dei divieti di cui alla L. n. 150 del 1992, artt. 1 e 2 è disposta....." Appare quindi chiaro che la confisca era subordinata, non ad una pronuncia di condanna , ma al semplice accertamento di uno dei divieti di cui alla citata L. n. 150 del 1992, artt. 1 e 2, tra i quali erano compresi quelli dell'importazione e detenzione senza la prescritta certificazione, a prescindere dall'eventuale imputabilità o colpevolezza del detentore, trasportatore o importatore. Nella fattispecie si è accertata, come già detto, la violazione degli anzidetti divieti. Nel secondo comma la norma precisava: "a seguito della confisca di esemplari vivi....." Orbene, se si fosse trattato di una confisca facoltativa il legislatore non si sarebbe espresso nei termini innanzi indicati, ma avrebbe detto" in caso di confisca...." L'espressione usata lascia invece chiaramente intendere l'obbligatorietà della confisca. La riprova è costituita dal fatto che dopo la pronuncia delle prime decisioni in merito alla natura della confisca in questione, il legislatore con il D.L. n. 275 del 2001, al comma 1, della norma in questione, per fugare ogni dubbio sull'obbligatorietà della confisca, ha aggiunto l'avverbio "sempre". Tale modificazione non ha natura innovativa ma confermativa e tale natura interpretativa si desume dal fatto che la legge in questione, come risulta dalla sua intestazione, era stata adottata in esecuzione di un regolamento comunitario e di una convenzione internazionale nella quale la confisca era prevista come obbligatoria. Si allude alla Convenzione sul commercio internazionale di specie della fauna e della flora selvatiche detta CITES, firmata da molti Stati, compresa l'Italia, a Washington il 3 marzo del 1973 ed entrata in vigore sul piano internazionale il 1 luglio del 1975. Tale Convenzione è stata resa esecutiva in Italia con la legge del 19 dicembre del 1975 n 874, con cui si è data piena ed intera esecuzione alla citata convenzione a decorrere dalla sua data di entrata in vigore in Italia (dal 31 dicembre 1979 cioè 90 giorni dopo la data della ratifica della CITES da parte dell'Italia, avvenuta il 2 ottobre del 1979, come previsto dall'art. 22, par 2, della Convenzione stessa).

La CITES è un trattato che persegue l'obiettivo di tutelare le specie minacciate in modo indiretto, e cioè attraverso misure che limitano o vietano il loro commercio internazionale. Essa fa obbligo alle parti d'infliggere sanzioni penali ai responsabili di violazione delle sue norme e di confiscare gli esemplari vivi o morti oggetto di commercio illecito o di restituirli allo Stato di provenienza. La Convenzione in questione sul punto si esprime nei seguenti termini:

"The Parties shall take appropriate measures to enforce the provisions of the present Convention and to prohibit trade in specimens in violation thereof, These shall include measures:

a) to penalize trade in, or possession of, such specimens, or both;

And:

b) to provide far the confiscation or return to the State of export of such specimens" (art. 8, paragrafo 1).

I due obblighi anzidetti - determinazione della sanzione penale nei confronti dei responsabili e confisca - sono tra loro indipendenti. Quindi l'impossibilità, per qualsiasi ragione, di adempiere uno dei due non esclude l'applicabilità dell'altro.

Dal tenore letterale della norma emerge che l'adozione della confisca o restituzione allo Stato di provenienza è obbligatoria, non essendo lasciata allo Stato parte alcuna valutazione discrezionale circa l'opportunità di adottare la misura stessa mentre rimane discrezionale la sola determinazione della pena per i trasgressori. La L. n. 874 del 1975 che ha dato esecuzione alla Convenzione conteneva la consueta formula in base alla quale era fatto obbligo a chiunque spetti di farla osservare.

Di conseguenza, ancora prima della L. n. 150 del 1992, la citata Convenzione era applicabile in Italia, con l'ulteriore conseguenza che in caso di trasgressione poteva essere disposta la confisca degli esemplari anche se nei confronti del trasgressore, in Italia, per il principio di cui all'art. 25 Cost., non poteva essere irrogata alcuna sanzione penale, posto che il nostro Paese solo dopo oltre 13 anni, dando esecuzione ad uno degli impegni assunti con la citata Convenzione, ha determinato la sanzione penale. La confisca poteva invece essere disposta a prescindere dalla condanna del responsabile giacché essa era prevista nella L. n. 875 del 1975 che dava esecuzione alla Convenzione e, d'altra parte, per la normativa statale la confisca, nei casi previsti dalla legge, può essere disposta anche a prescindere dalla condanna del trasgressore (art. 205, prima parte, richiamato dall'articolo 236). Quindi, per gli impegni assunti dal nostro Paese in sede internazionale, all'avverbio "sempre" inserito nel testo della norma non può essere attribuito un significato diverso da quello diretto a chiarire che si trattava ab origine di confisca obbligatoria,

Il richiamo alla sentenza delle Sezioni unite di questa Corte (la n. 5 del 1993 Effettuato dal difensore nel corso della discussione davanti a questo collegio per escludere la natura interpretativa dell'avverbio "sempre" inserito nel testo del D.Lgs. n. 275 del 2001, art. 4, non è pertinente in quanto l'interpretazione delle Sezioni unite si riferiva ad una fattispecie diversa (art. 722 c.p.) e ad un oggetto diverso ossia al denaro che costituisce un bene fungibile per eccellenza. Con l'anzidetta decisione le Sezioni unite hanno chiarito che l'avverbio "sempre" contenuto nell'articolo 722 c.p., significava che il denaro deve sempre essere confiscato a condizione che sia pronunciata condanna per gioco d'azzardo. Anzi in quella stessa decisione le Sezioni unite hanno ribadito il principio che l'estinzione del reato non è astrattamente incompatibile con la confisca e che per stabilire se essa debba o no avere luogo si deve fare riferimento o al disposto di cui all'articolo 240 c.p., o alle varie disposizioni speciali che prevedono casi di confisca. In base alle considerazioni sopra svolte si può affermare il principio in forza del quale la confisca prevista dalla L. n. 150 del 1992, l'articolo 4, e successive modificazioni ha natura speciale e si applica a prescindere dalla condanna del responsabile a condizione che venga comunque accertata la violazione di qualcuno dei divieti imposti dalla citata legge, artt. 1 e 2.

L'avverbio "sempre" inserito nel testo della norma con il D.Lgs. 18 maggio del 2001, n. 275, art. 4, ha natura interpretativa, giacché la confisca degli animali - vivi o morti - appartenenti alle specie protette era già prevista come obbligatoria dalla Convezione sul commercio internazionale di specie della fauna e della flora selvatiche (cosiddetta CITES) firmata, anche dall'Italia, a Washington il 3 marzo del 1973 e resa esecutiva nel nostro Paese con la L. 19 dicembre 1975, n. 874.

Ad abundantiam va rilevato che nella fattispecie la confisca sarebbe stata legittima anche a norma dell'articolo 240 c.p.. Invero, secondo l'opinione dominante in dottrina, la confisca deve essere obbligatoriamente disposta non solo quando trattasi di cose la cui fabbricazione, detenzione ecc. sia vietata in modo assoluto, ma anche per quelle cose vietate in modo relativo nel senso che l'uso, la detenzione, il porto costituisce reato solo a determinate condizioni, la cui mancanza integra l'illecito penale, a condizione che si accerti in concreto, la mancanza dell'autorizzazione o della condizione che legittima l'impiego della cosa. In termini sostanzialmente analoghi si è pronunciata questa Sorte a Sezioni unite con la decisione del 26 aprile 1983 n. 3802 Mannelli. Con tale decisione si è invero statuito che la norma di cui all'art. 240 c.p., comma 2, n. 2, è da intendere nel senso che, ai fini della confisca delle cose, occorre aver riguardo al fatto illecito, così com'è stato accertato dagli organi di polizia giudiziaria e dal magistrato e, quindi, alle condizioni e alle caratteristiche del prodotto all'epoca di tali accertamenti, senza potersi tener conto di una diversa utilizzazione delle cose prevista in via ipotetica, eventualmente attraverso particolari trattamenti o speciali autorizzazioni - (nella specie, sulla base dell'enunciato principio, si è giudicata legittima la confisca di vino non denaturato nonostante la pronuncia d'improcedibilità per estinzione del reato, ribadendosi l'irrilevanza della circostanza relativa alla utilizzazione del prodotto per altri usi, quali la certificazione o la distillazione). In termini analoghi, tra le altre, si è pronunciata Cass Sez. 5^, 8 febbraio 1993 n 2015 Nicastri. Si è invero affermato: "Ai fini della confisca obbligatoria secondo il dettato dell'art. 240 c.p., cpv. n. 2, non è dato distinguere tra le cose intrinsecamente criminose e quelle che non sono tali. Nè rilevano le possibili diverse utilizzazioni che dalle cose si possono trarre mediante particolari trattamenti o speciali autorizzazioni, dal momento che occorre avere riguardo al fatto illecito così come accertato dagli organi di polizia giudiziaria e dal magistrato e quindi alle condizioni e alle caratteristiche del prodotto all'epoca di tali accertamenti". (Fattispecie in tema di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi e frode in commercio, relativa a confezioni di shampoo recanti etichette contraffatte. La Suprema Corte ha disatteso le argomentazioni del ricorrente, che ne aveva richiesto la restituzione adducendo la facoltatività della confisca, sia perché le cose non erano intrinsecamente criminose, sia perché suscettibili di sostituzione o di regolarizzazione da parte della ditta produttrice).

Da ultimo, con riferimento all'applicabilità della confisca di cui all'articolo 240 c.p., cpv., agli esemplari di specie protette allorché manchi l'autorizzazione, cfr. cass. 49454 del 2003 già citata.

In definitiva in base all'art. 240 c.p., u.c., le cose relativamente criminose ossia quelle che possono essere detenute previa autorizzazione, una volta accertata l'obiettiva illiceità del fatto, vanno restituite solo se appartengono a persona estranea al reato e se al momento della decisione il soggetto al quale dovrebbero essere restituite sia in possesso di regolare autorizzazione. Per la restituzione devono concorrere entrambe le anzidette condizioni (Cass. 413 del 1997).

Nella fattispecie in base agli accertamenti compiuti dai giudici del merito il prevenuto non può considerarsi estraneo al reato e non risulta allo stato essere in possesso di alcuna autorizzazione alla detenzione degli esemplari dei quali rivendica la restituzione. L'accoglimento dell'istanza difensiva avrebbe esposto il nostro Paese a sanzioni internazionali per la violazione degli impegni assunti con la Convenzione citata ed avrebbe autorizzato la perpetrazione di un nuovo reato perché allo stato il prevenuto non risulta in possesso di alcuna autorizzazione, come già precisato.

P.Q.M.

LA CORTE

Letto l'art 616 c.p.p..

Il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2006.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2006