Il discrimine tra abuso edilizio e lottizzazione abusiva
(Nota critica a Cassazione penale, Sez. III, n° 34890/2021)

di Massimo GRISANTI

Con la sentenza n° 34890 depositata il 21 settembre 2021, la III^ Sezione penale della Cassazione è tornata a ribadire quale sia il discrimine, secondo la giurisprudenza, tra l’abuso edilizio e la lottizzazione abusiva: “… per integrare il reato di lottizzazione abusiva, diversamente dal mero abuso edilizio, è necessaria una illegittima trasformazione urbanistica od edilizia del territorio, di consistenza tale da incidere in modo rilevante sull’assetto urbanistico della zona; ne consegue che il giudice deve verificare, nei singoli casi, se le opere ritenute abusive abbiano una valenza autonomamente punibile ai sensi dell'art. 44, lett. a) e b), d.P.R. n. 380 del 2001, ovvero se esse siano idonee a conferire all’area un diverso assetto territoriale, con conseguente necessità di predisporre nuove opere di urbanizzazione o di potenziare quelle già esistenti, in tal modo sottraendo le relative scelte di pianificazione urbanistica agli organi competenti (Sez. 3, n. 44946 del 25/01/2017, dep. 29/09/2017, Giacobone, Rv. 271788) …”.
Per la Suprema Corte la lottizzazione si ha quando viene inciso sull’assetto urbanistico “in modo rilevante” ovvero conferendo all’area “un diverso assetto territoriale” che porti a dover realizzare o potenziare le opere di urbanizzazione.
Tali affermazioni appaiono essere la meccanica ripetizione di concetti vetusti elaborati prima dell’entrata in vigore della legge 765/1967, visto che quelle scelte di pianificazione urbanistica che secondo la Cassazione le norme sono volte a tutelare si limiterebbero ad un concetto di urbanistica che si estrinsecherebbe solamente nel disegno di lotti e isolati e nella dotazione di opere di urbanizzazione.
I Giudici dei supremi consessi amministrativo e penale pare non diano la necessaria considerazione al fatto che dall’entrata in vigore del decreto interministeriale n. 1444/1968 la pianificazione urbanistica non si limita suddividere il territorio comunale in zone territoriali omogenee, ognuna con le rispettive destinazioni, oppure a individuare le strade o riservare lotti per la realizzazione di opere pubbliche, ma deve anche contenere, zona per zona, specifici limiti edilizi di densità, altezza e distanza tra fabbricati.
Secondo il ragionamento ribadito dalla Suprema Corte lo sforamento dei limiti edilizi di altezza o distanza tra fabbricati non porta mai alla lottizzazione abusiva, mentre quello della densità ha la potenzialità di farlo se il volume ulteriore rispetto a quello del limite è tale da inverare un incremento di carico urbanistico che porti alla necessità di potenziare le opere di urbanizzazione.
La conclusione dei Giudici non merita condivisione perché non solo oblitera una funzione specifica della pianificazione – quella di attribuire ad ogni zona i limiti edilizi ex articoli 7, 8 e 9 del decreto interministeriale n. 1444/1968 – ma addirittura perché si pone in aperto contrasto con la littera legis dell’art. 30 d.P.R. 380/2001, secondo le cui disposizioni è lottizzazione abusiva anche la trasformazione edilizia dei terreni (non necessariamente urbanistica) in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici.
Dall’entrata in vigore della legge 10/1977 il legislatore ha espressamente confinato la legittimità della concessione edilizia al rispetto della disciplina di settore. Con l’entrata in vigore della legge 47/1985 è stato consacrato il carattere vincolato della concessione edilizia, tanto che può essere rilasciato il permesso a sanatoria solo in presenza della cosiddetta doppia conformità.
Per il principio di non contraddittorietà che permea l’ordinamento, le sanzioni penali dell’articolo 44, comma 1, lettere a) e b) d.P.R. 380/2001 previste per la realizzazione di opere in assenza o in difformità dal permesso di costruire non possono che essere applicate ai casi in cui per tali opere necessitasse, in via preventiva, il permesso di costruire. Se un’opera non poteva autorizzata con permesso di costruire perché il progetto eccedeva i limiti edilizi di densità fondiaria o di altezza o di distanza di fabbricati, non può trovare applicazione le lettere a) e b) dell’art. 44 TUE, bensì la lettera c) perché trattasi di lottizzazione abusiva stante l’avvenuta trasformazione edilizia del territorio in violazione degli strumenti urbanistici. Il legislatore non ha lasciato alla discrezionalità del Giudice la valutazione di quale sanzione amministrativa e penale irrogare in presenza di violazione della disciplina edilizia.
Concludendo, la sentenza in commento non è assolutamente aderente alla legge perché sin dall’entrata in vigore della legge 47/1985 il legislatore, con l’intento di combattere strenuamente l’abusivismo edilizio, ha stabilito che la violazione dei limiti edilizi del decreto interministeriale 1444/1968 integra l’illecito della lottizzazione abusiva. Il discrimine tra abuso edilizio e lottizzazione abusiva risiede per legge nel principio di doppia conformità che caratterizza il permesso a sanatoria. E’ sanabile? E’ abuso edilizio. Non è sanabile? E’ lottizzazione abusiva.
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RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della decisione emessa dal Tribunale di Rovereto e appellata dagli imputati e dal pubblico ministero, la Corte di appello di Trento, previa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con il conferimento di perizia, qualificata l'imputazione di cui al capo A) ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. a), originariamente contestata come violazione della lett. c) del medesimo articolo, dichiarava non doversi procedere nei confronti di M.R., M.G., Z.M., F.B., Bo.Al. e S.B.M. per essere il reato estinto per prescrizione, revocando la confisca e disponendo il dissequestro dei beni, nel resto confermando la decisione di primo grado, la quale aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati per il reato di cui al capo C) perché estinto per prescrizione e assolto Ma.Ti. e B.S. dal capo A) perché il fatto non costituisce reato.

2. Avverso la sentenza, il Procuratore generale presso la Corte di appello di Trento propone ricorso di cassazione, articolato in sei motivi.

2.1. Con il primo motivo si lamenta l'erronea applicazione della legge penale. Ad avviso del ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe individuato un contrasto tra dispositivo e motivazione che, in realtà, sarebbe inesistente, in quanto, come emerge dalla motivazione della sentenza di primo grado (p. 37, 41 e 42), sono numerosi i punti che richiamano l'imputazione per riconoscere la sussistenza degli elementi di fatto contestati. Di conseguenza, poiché la condanna riguarderebbe l'intera imputazione di cui al capo A), la Corte d'appello erroneamente ha ritenuto che le ulteriori contestazioni fossero coperte dal giudicato, stante l'assenza di impugnazione da parte del pubblico ministero.

2.2. Con il secondo motivo si deduce il vizio di motivazione con riferimento alla derubricazione del reato quale violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. a), anziché della lett. c) originariamente contestata. Ad avviso del ricorrente, per la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva occorre considerare l'aumento complessivo di volumetria, e non solo in riferimento alle autorimesse realizzate fuori terra, lo spostamento verso valle delle costruzioni con immutazione del piano di campagna, la violazione dei vincoli posti dal piano di recupero, il che comporrebbe una rilevante modifica dell'assetto territoriale.

2.3. Con il terzo motivo si censura il vizio di motivazione in relazione al ritenuto proscioglimento in relazione a uno o più fatti richiamati nel capo A). La Corte d'appello, sostiene il ricorrente, ha interpretato la sentenza di primo grado come se esprimesse contenuti riduttivi della responsabilità, nel senso dell'esclusione di talune della fattispecie contestate, nonostante la diffusa motivazione su tutti gli aspetti dell'imputazione, che la Corte di merito ha omesso di considerare.

2.4. Con il quarto motivo si censura il vizio di motivazione, con riferimento all'errata dichiarazione, da parte della Corte d'appello, di inutilizzabilità della perizia nella parte in cui ha relazionato su aspetti, quali le violazioni al Piano di recupero, erroneamente ritenuti estranei al quesito. Argomenta il ricorrente che, nel caso in esame, si sarebbe in presenza non di una inutilizzabilità, bensì una mera irregolarità; in ogni caso, sarebbe fallace l'affermazione secondo cui i quesiti cui ha risposto il perito sarebbero diversi da quelli formulati all'udienza del 14 settembre 2018, posto che il perito si è limitato a correggere e a semplificare il quesito medesimo.

2.5. Con il quinto motivo si eccepisce il vizio di motivazione con riferimento alla valutazione dei risultati della perizia in relazione alla qualificazione del fatto. Ad avviso del ricorrente, la Corte d'appello non avrebbe adeguatamente valutato la perizia, laddove si afferma che sussiste un conflitto del piano di recupero con le prescrizione di cui all'art. 75, commi 2 e 4, lett. B) in relazione alla mancata presentazione dell'analisi filologica tendente al recupero dell'ex sanatorio (OMISSIS). La Corte d'appello, inoltre, non avrebbe adeguatamente motivato in relazione al calcolo delle cubature esistenti e realizzabili, il che incide sulla qualificazione del fatto, che integrerebbe la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c), stante sia il significativo scostamento dell'allocazione dell'edificio, sia la realizzazione di una cubatura in eccesso di circa il 30% rispetto a quanto assentito, sia il mancato rispetto della destinazione della cubatura da realizzare per almeno il 25% a residenza alberghiera, che invece è stata del tutto omessa.

2.6. Con il sesto motivo si deduce il vizio di motivazione con riferimento alla valutazione dell'impugnazione del pubblico ministero avverso l'assoluzione di alcuni imputati per difetto dell'elemento soggettivo. Lamenta il ricorrente che la motivazione sarebbe carente in ordine all'infondatezza dell'appello del pubblico ministero con riguardo al dolo, nonostante una sentenza di proscioglimento per il delitto ex art. 323 c.p. per prescrizione; la motivazione sarebbe altresì insufficiente con riguardo alla posizione di Ma., erroneamente considerata una posizione di secondo piano, e di B., nonostante gli incarichi da costui ricoperti nella procedura finalizzata al rilascio della concessione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, nel complesso, è infondato e deve essere perciò rigettato.

2. Il primo motivo e il terzo motivo, esaminabili congiuntamente essendo collegati, sono infondati.

3. Si osserva che il capo A) dell'imputazione, originariamente contestato ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c), si riferisce alla realizzazione dell'intervento di recupero edilizio individuato dalla concessione edilizia n. (OMISSIS) rilasciata dal Comune di Arco il 31 luglio 2009, ad oggetto un insediamento di non modeste dimensioni destinato a sanatorio, denominato "(OMISSIS)", abbandonato dal 1970; il progetto prevedeva la demolizione degli edifici esistenti e la realizzazione di edifici residenziali con annessi garage interrati. Nel capo di imputazione sono elencati sei profili di illegittimità, con riferimento ad altrettante violazioni dell'art. 75, comma 4, del PRG del Comune di Arco, vale a dire le disposizioni previste, rispettivamente, dalle lett. a), b), c), d), con riguardo a due distinti profili, ed i), puntualmente e dettagliatamente descritte nell'editto dell'accusa.
Il dispositivo della sentenza di primo grado, per quanto qui rileva, reca la condanna degli imputati in relazione al capo a), e, quindi, lascerebbe intendere con riferimento a tutte le sei violazioni dell'art. 75, comma 4, del PRG.
Tuttavia, come osservato dalla Corte distrettuale, dalla lettura dell'ampia e diffusa motivazione della sentenza di primo grado, si evince in maniera chiara e univoca che il Tribunale ha ritenuto sussistente la condotta relativa alla sola violazione della lett. a), secondo cui "la volumetria emergente complessiva del piano (...) non potrà superare la volumetria emergente esistente al netto delle logge", escludendo invece, le altre, e ciò in quanto è lo stesso Tribunale ad affermare che "il principale tema della decisione è altrove (...) quello dei volumi effettivamente autorizzati e poi edificati" (p. 41-42 della sentenza di primo grado).

4. Per impostare la questione, va richiamato il prevalente orientamento espresso da questa Corte di legittimità, in forza del quale, in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione non contestuali, il carattere unitario della sentenza, in conformità al quale l'uno e l'altra, quali sue parti, si integrano naturalmente a vicenda, non sempre determina l'applicazione del principio generale della prevalenza del primo in funzione della sua natura di immediata espressione della volontà decisoria del giudice; laddove nel dispositivo ricorra un errore materiale obiettivamente riconoscibile, il contrasto con la motivazione è meramente apparente, con la conseguenza che è consentito fare riferimento a quest'ultima per determinare l'effettiva portata del dispositivo, individuare l'errore che lo affligge ed eliminarne gli effetti, giacché essa, permettendo di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente la volontà del giudice, conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni fondanti la decisione (Sez. F, n. 47576 del 09/09/2014, dep. 18/11/2014, Savini, Rv. 261402).
La motivazione, infatti, conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni per cui il giudice è pervenuto alla decisione e pertanto ben può contenere elementi certi e logici che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso (Sez. 3, n. 3969 del 25/09/2018, dep. 28/01/2019, B., Rv. 275690; Sez. 2, n. 23343 del 01/03/2016, dep. 06/06/2016, Ariano, Rv. 267082; Sez. 4, n. 43419 del 29/09/2015, dep. 28/10/2015, Forte, Rv. 264909).

5. Orbene, la Corte di appello ha fatto corretta applicazione dei principi ora richiamati, individuando, in maniera logicamente argomentata, uno iato tra il dispositivo, in cui il giudizio di penale responsabilità, che non contiene alcuna specificazione, appare riferito a tutte le condotte descritte nel capo A), e quindi a tutte le sei violazioni dell'art. 75, comma 4, del PRG, e la motivazione, da cui emerge, senza tema di smentita, che il Tribunale ha ritenuto sussistente la violazione della sola lett. a) dell'indicato PRG.
A tal riguardo, si osserva che la motivazione della sentenza di primo grado è organizzata in quindici distinti paragrafi: "1. Premesse di diritto sostanziale" (p. 4-12), "2. Il procedimento e il processo" (p. 12-15), "3. L'accusa" (p. 15-21), "4. L'istruttoria per testi" (p.21-28), "5. I documenti" (p. 28-34), "6. I volumi preesistenti" (p. 35-37), "7. Il ripristino filologico e i materiali" (p. 37-40), "8. Paulo minora" (p. 40-41), "9. Il tema dei volumi autorizzati: premessa" (p. 4146), "10. Il tema dei volumi edificati: accusa" (p. 46-48), "11. I volumi autorizzati: difesa" (p. 48-52), "12. I volumi autorizzati: conclusioni" (p. 52-55), "13. L'elemento soggettivo" (p. 55-58), "14. Le singole posizioni" (p. 58-63), "15. La pena e la confisca" (p. 63-65).
Orbene, il cuore della motivazione, con riferimento all'accertamento del fatto nei suoi elementi oggettivi, si rinviene nei paragrafi 9-12, dove viene affrontato il tema dei volumi autorizzati, e, in particolare, nel paragrafo 12, dove il Tribunale trae le proprie conclusioni sul punto, così sintetizzate: "In conclusione, non si può negare che sia stata raggiunta in dibattimento la prova della violazione, per giunta macroscopica e per così dire flagrante, dell'art. 75 del PRG, laddove questo limitava i volumi oggetto di autorizzazione a quelli preesistenti" (p. 5455), e, quindi, in relazione alla violazione della lett. a) del PRG, secondo cui "la volumetria emergente complessiva del piano (...) non potrà superare la volumetria emergente esistente al netto delle logge". Ancora, in chiusura del paragrafo, si legge: "E sul punto dell'accertamento del reato, in termini oggettivi si è detto abbastanza" (p. 55), a conferma che l'unica violazione accertata riguarda l'aumento della volumetria.
La conclusione a cui giunge la Corte di appello, pertanto, è saldamente e logicamente ancorata alla motivazione, da cui si desume, in maniera inequivoca, che il Tribunale ha ravvisato la violazione dell'art. 75, comma 4, del PRG solamente in relazione alla disposizione della lett. a) concernente i limiti volumetrici: conclusione che non è scalfita dal ricorso, il quale non indica, in maniera specifica, in quale parte della motivazione il Tribunale abbia ritenute accertate le residue violazioni.
Da ciò discende, in maniera consequenziale, che, in assenza di impugnazione da parte del pubblico ministero, con riguardo alle ulteriori violazioni dell'art. 75, comma 4, del PRG contestate al capo A), ritenute insussistenti dal Tribunale, si è formato il giudicato.

6. Il secondo motivo è inammissibile.
Partendo dal presupposto che, come si è detto, la condanna in primo grado si è cristallizzata con riferimento alla sola violazione dell'art. 75, comma 4, lett. a) del P.R.G., la Corte di merito ha accertato, a seguito di perizia disposta in appello, che l'edificazione del volume fuori terra è avvenuta per 4.883 mc., incidenti per circa un terzo sulla cubatura complessiva residenziale prevista, pari a 15.960 mc., e si riferisce a tre piani di autorimesse, da ritenersi, appunto, edificati fuori terra seppure mascherati da cespugli in fioriera ovvero piantumati nell'aiuola ricavata tra il marciapiede e i muri in elevazione.
Ritenuto che la volumetria illegittimamente realizzata, come accertata dall'indicata perizia, è di gran lunga inferiore a quella contestata nel capo di imputazione, indicata in oltre 30.000 mc., la Corte di appello ha escluso la configurabilità del reato di lottizzazione abusiva, ritenendo integrata la fattispecie prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. a) e ciò in quanto "i volumi realizzati risultano inidonei per la relativa natura e funzione a produrre qualsiasi carico antropico di riferimento, con conseguente neutralità anche ai fini urbanizzativi e della pianificazione attuativa".

7. Si tratta di una motivazione coerente con gli accertati dati di fatto dinanzi indicati e pienamente aderente al principio secondo cui per integrare il reato di lottizzazione abusiva, diversamente dal mero abuso edilizio, è necessaria una illegittima trasformazione urbanistica od edilizia del territorio, di consistenza tale da incidere in modo rilevante sull'assetto urbanistico della zona; ne consegue che il giudice deve verificare, nei singoli casi, se le opere ritenute abusive abbiano una valenza autonomamente punibile ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a) e b), ovvero se esse siano idonee a conferire all'area un diverso assetto territoriale, con conseguente necessità di predisporre nuove opere di urbanizzazione o di potenziare quelle già esistenti, in tal modo sottraendo le relative scelte di pianificazione urbanistica agli organi competenti (Sez. 3, n. 44946 del 25/01/2017, dep. 29/09/2017, Giacobone, Rv. 271788).
Il motivo, sul punto, per un verso appare generico, e, per altro verso, pare dare rilevanza, ai fini della valutazione complessiva delle opere abusive, a violazioni che, per quanto dinanzi spiegato, non sono stati accertate in sede giudiziale.

8. Il quarto e il quinto motivo sono inammissibili.
Diversamente da quanto dedotto dal ricorrente, l'inutilizzabilità di parte della perizia non discende da una violazione di divieti probatori ex art. 191 c.p.p., bensì dal fatto che essa riguardava aspetti che non erano più ricompresi nel perimetro dell'accusa, come ritenuta accertata dal Tribunale.
In altri termini, poiché, come si è detto, l'unica violazione ravvisata dal Tribunale riguardava la disposizione di cui alla lett. a) dell'art. 75, comma 4, del PRG, il quesito rivolto al perito riguardava, appunto, l'esatta individuazione dei volumi da ritenersi illegittimi, senza, quindi, la possibilità di compiere accertamenti su altri e differenti asserite violazioni, materia non devoluta alla Corte d'appello stante l'assenza di impugnazione, in ordine a tali profili, da parte della pubblica accusa.

9. Il sesto motivo è inammissibile.
Stante la correttezza, logica e giuridica, della conclusione a cui è pervenuta la Corte di appello, laddove ha riqualificato il fatto ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. a), e, preso atto della maturata prescrizione, ha emesso sentenza di improcedibilità per estinzione del reato, ne discende l'assenza di interesse, da parte del ricorrente, a dolersi della conferma dell'assoluzione degli imputati Ma. e B., posto che, pur prescindendo dai profili di genericità del motivo, in ogni caso il reato è prescritto (cfr. Sez. 4, n. 16029 del 28/02/2019, dep. 12/04/2019, P.G. in c. Breguglio, Rv. 275651).
Per i motivi indicati, il ricorso deve perciò essere rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 23 giugno 2021.