TAR Campania (NA) Sez. VII n. 5468 del 12 settembre 2018
Beni Ambientali.Abusi edilizi in area naturale protetta
L'ordine di rimozione è atto vincolato e necessitato che non richiede nessun’altra motivazione se non l'accertamento del carattere abusivo dell'opera. Pertanto, l’Ente Parco non deve compiere alcuna particolare valutazione circa la concreta incidenza dell'intervento sull’assetto del territorio né una comparazione tra l’interesse del privato e quello pubblico che è in re ipsa, consistendo quest’ultimo nel ripristino dei valori naturalistici, paesaggistici ed ambientali violati; né infine sussiste la possibilità di adottare provvedimenti alternativi (segnalazione Avv. M. BALLETTA)
Pubblicato il 12/09/2018
N. 05468/2018 REG.PROV.COLL.
N. 05367/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5367 del 2012, proposto da
MENZIONE ANGELO, rappresentato e difeso dall’Avv. Arcangelo D’Avino, presso il quale elettivamente domicilia in Napoli, alla Via Cavallerizza a Chiaia, n. 60;
contro
PARCO NAZIONALE DEL VESUVIO, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso la cui sede, alla Via A. Diaz, n. 11 domicilia per legge;
per l’annullamento, previa sospensione
- dell’ordinanza prot. gen. N. 3327 del 6.7.2012, notificata in data 31.7.2012, con cui la P.A. ingiungeva la “eliminazione e rimozione di tutte le opere abusive descritte”; realizzate su fondo sito alla via Martiri d'Ungheria, nel Comune di Terzigno;
- di ogni altro atto preordinato, connesso e consequenziale, per quanto di ragione.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’intimato Parco Nazionale del Vesuvio;
Viste le produzioni delle parti;
Visti gli atti tutti della causa;
Vista l’ordinanza n. 1958 del 27 marzo 2018 di questa Sezione;
Uditi - Relatore alla pubblica udienza del 17 luglio 2018 il dott. Vincenzo Cernese - i difensori delle parti come da verbale di udienza;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato il 14.11.2012 e depositato il 12.12.2012, Menzione Angelo - nella dedotta qualità di proprietario esclusivo dell'immobile sito nel Comune di Terzigno, alla via Martiri d'Ungheria, in catasto al f.lio 6, p.11a 1857, giusta atto notarile di divisione del 23.11.2006, rep. 3655, racc. 1540 (in atti), cespite facente parte di più ampia consistenza immobiliare pervenuta con atto notarile di compravendita del 16.12.1992, riferisce, in fatto, che:
- sulla parte di detto fondo successivamente assegnata al Menzione Angelo, lo stesso realizzava un fabbricato in assenza dell’allora concessione edilizia, per la cui regolarizzazione presentava, ai sensi della legge 47/85, istanza di condono a protocollo ente n. 2860, del 28 febbraio 1995, con relativo versamento delle somme dovute a titolo di oblazione ed oneri concessori (cfr. bollettini autoliquidati in atti);
- pur in pendenza della suddetta istanza il Parco Nazionale del Vesuvio adottava le ordinanze di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi nn. 145/2004, 172/2004 e 39/2009, tutte oggetto di impugnativa;
- successivamente a tali provvedimenti il ricorrente effettuava piccolissimi lavori di carattere accessorio rispetto a quelli posti in essere in precedenza e per i quali pende l'istanza di condono sopra citata, che alcuna incidenza hanno avuto sul prospetto esterno del fabbricato ovvero sulla struttura interna dello stesso, essendo gli stessi, in buona sostanza, limitati alla realizzazione di una parete divisoria interna, per la quale è prevista una semplice dia, alla chiusura (si badi bene non apertura) di una finestra ed alla messa in sicurezza del lastrico solare attraverso la realizzazione di un ringhiera di 1 metro di altezza;
- con verbale del 15.02.2012, il responsabile dell'area tecnica del Corpo Forestale dello Stato, del Comando di Boscoreale, comunicava che in data 10.02.2012, si era recato - in seguito a delega dell'A.G. - presso l'immobile sito in Terzigno alla via Martiri d'Ungheria, contrada Santa Teresa, censito al NCT al foglio 6 particella 1857 (ex 202), per verificare eventuali variazioni dello stato dei luoghi rispetto ad un precedente accertamento effettuato in data 19.11.2008 ed, in tale occasione veniva contestata la realizzazione di nuovi quattro interventi:
a) al piano terra, l'avvento frazionamento del locale garage con parete divisoria in laterizi, al fine di ricavare un piccolo locale letto, un bagno ed un cucinotto adibito a residenza dello stesso ricorrente, ed apertura di un vano di porta in ferro;
b) al piano ammezzato, la realizzazione di finiture per l'uso quotidiano abitativo dell'immobile ed apposizione di una pensilina in legno e copertura in tegole sulle finestre angolari lato nord;
c) al primo piano la chiusura di una finestra;
d) sul lastrico solare la realizzazione di una ringhiera metallica.
Date tali premesse e preso atto che, con ordinanza prot. gener. N 3327 del 6.7.2012 il Direttore dell’ente Parco Nazionale del Vesuvio, richiamata la lettera informativa per C.N.R. 04/2012 prot. 260 del 20.2.2012 redatta dal Corpo Forestale di Boscoreale, con cui si comunica che Menzione Angelo si rendeva responsabile di attività in difformità del Piano del Parco ed in assenza di nulla osta ai sensi dell’art. 13 della L. 394/91, consistenti in opere ivi riassunte, visti il T.U. edilizia n. 380/2001, la legge n. 426 del 9.12.1998 e la legge n. 394 del 6.12.1991, ordina a Menzione Angelo la sospensione di ogni lavoro in corso ed ingiunge al responsabile sopra individuato e generalizzato, “di provvedere entro il termine di 90 (novanta) giorni, a decorrere dalla data di notifica della presente ordinanza, alla eliminazione o rimozione di tutte le opere abusive ivi descritte nella suddetta lettera informativa (……..)”, con avvertimento che in caso di inadempimento si procederà alla esecuzione in danno, Menzione Angelo, nella spiegata qualità, propone la formale impugnativa in epigrafe.
L’intimato Ente Parco Nazionale del Vesuvio si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso.
Con l’ordinanza in epigrafe questa Sezione ha disposto incombenti istruttori.
Alla pubblica udienza del 17 luglio 2018 il ricorso è stato ritenuto in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente il difensore di parte ricorrente ha dichiarato, ai sensi dell’art. 82, co, 2 c.p.a., nel processo verbale di udienza che il proprio assistito ha interesse alla definizione del giudizio.
Con la prima censura si deduce l’eccesso di potere (per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, insussistenza dei presupposti e degli artt. 35, commi 15 e 38 L. 47/85, delle legge 724/94), la violazione dell’art. 1, L. n. 241/90 e dei principi di economicità e coerenza dell’azione amministrativa, atteso che:
- nell'adozione dell'ordinanza demolitoria il Parco Nazionale del Vesuvio omette completamente di valutare che, in relazione al fabbricato sul quale sono stati realizzati gli interventi di natura meramente accessoria di cui all'ordinanza impugnata, veniva presentata in data 28.02.1995, ai sensi della legge 724/94, regolare istanza di condono a prot. 2860, non ancora esaminata, con la conseguenza che il probabile accoglimento della stessa, oltre a rendere le opere oggi contestate sanabili con semplice denunzia di inizio attività in sanatoria, renderebbe palese la sperequazione tra sanzione comminata e lavori effettuati;
- in relazione alla fattispecie dell'abuso edilizio oggetto di domanda di condono, giurisprudenza consolidata, in particolare del T.A.R. della Campania, ha affermato che l’'ordine di demolizione adottato in pendenza di istanza di condono edilizio è illegittimo perché in contrasto con l'art. 38, 1. n.47 del 1985 (richiamato dall'art. 32 comma 25, dl. n. 269 del 2003, convertito in L. n. 326 del 2003), il cui disposto impone dall'Amministrazione di astenersi, sino alla definizione del procedimento attivato per il rilascio della concessione in sanatoria, da ogni iniziativa repressiva che vanificherebbe a priori il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria (cfr. TAR Campania, sez. VI, n. 3645 del 8.7.2011; Tar Napoli, VI, 31.8.2011 n. 4253; Tar Salerno, II, 13.7.2011 n. 1305; Tar I agio, Roma, I, 10.5.2011 n. 4016; Tar Salerno, II 1.3.2011 n. 379);
- pertanto, l'Amministrazione ha l'obbligo di pronunciarsi sulla condonabilità o meno dell'opera edilizia abusiva, anche perché il provvedimento di demolizione non può costituire implicito rigetto della domanda di condono, stante l'art. 35 comma 15, 1 n. 47 del 1985 che impone la notificazione espressa del diniego al richiedente, con la conseguenza che la preesistenza della domanda di sanatoria rende illegittima la successiva irrogazione della sanzione demolitoria, per non essersi l'amministrazione comunale preventivamente pronunciata sulla domanda in parola, volta, in caso di suo accoglimento, a privare le opere del loro carattere di abusività, ovvero, in caso di suo rigetto, a consentire l'esercizio del potere repressivo e, ciò, in omaggio al principio di economicità e coerenza dell'azione amministrativa, che impedisce di previamente sanzionare ciò che potrebbe essere sanato: difatti, fermo restando che, anche in caso di diniego del richiesto accertamento di conformità, l'amministrazione dovrebbe emettere una nuova ordinanza di demolizione, con fissazione di nuovi termini per ottemperarvi (cfr. TAR Campania - Napoli, sez. VIII, n.17304 del 03.09.2010; sez. VIII, 03.09.2010 n.17302; sez. VIII, 08.10.2009 n.5203; sez. IV, 06.03.2009, n. 1305; sez. VII, 19.02.2009 n.974; sez. VII 21.03.2008 n.1474; sez. VII, 07.05.2008, n. 3517; sez. VI, 30.04.2008, n. 3070; sez. IV, 03.04.2008, n. 2846; sez. VII, 21.03.2008, n. 1472 e 1461);
- sul punto, il Consiglio di Stato, con la pronuncia n.4335 del 06.07.09, nel confermare la sentenza TAR Campania n.38 del 13.1.2004, ha riaffermato che la regola per la quale, in presenza di istanza in sanatoria o di condono, l'Amministrazione non può adottare provvedimenti repressivi, a pena di violazione del principio di reciprocità e coerenza dell'azione amministrativa, non potendosi previamente sanzionare ciò che potrebbe essere sanato, trova applicazione quando l'istanza di sanatoria è anteriore al provvedimento demolitorio;
- nella specie, il Parco Nazionale del Vesuvio, sebbene Ente diverso rispetto a quello preposto a valutare l'istanza di condono, ha illegittimamente emanato il provvedimento impugnato, il quale si palesa illegittimo per abnormità rispetto alle fattispecie contestate ed, inoltre, privo di qualsiasi riferimento alla richiamata istanza di condono, che viceversa avrebbe dovuto indurre l'Ente a non adottare l'ordinanza de qua palesemente illegittima e posta in essere in violazione dei principi di economicità e coerenza dell'azione amministrativa.
La censura è destituita di fondatezza.
E’ a dir subito che questa Sezione, con ordinanza n. 1958/2018, depositata il 27.3.2018, richiamata la prima censura, disponeva di acquisire agli atti del giudizio: “- una documentata relazione di chiarimenti dalla quale si evinca se le opere sanzionate con l’impugnata ordinanza di demolizione corrispondono a quelle contemplate nella domanda di condono prot. 2860, presentata da Menzione Angelo, odierno ricorrente, in data 28.2.1995;
- notizie sullo stato o sull’esito del procedimento relativo alla suddetta domanda di condono;
- tutti gli atti e documenti in base ai quali è stata emanata l’ordinanza impugnata ed ogni altro atto e/o documento utile ai fini del decidere”.
Il Comune di Terzigno, nonostante la notifica dell’ordinanza, non risulta avere ottemperato alla stessa, mentre a tale omissione sembra aver supplito parte ricorrente con la documentazione depositata il 28.3.2018, nonché con il deposito in data 6.6.2018 dell’atto protocollato al Comune di Terzigno in data 5.6.2018, con il quale, stante l’atto vandalico subito dall’UTC del Comune di Terzigno che aveva determinato la distruzione di talune istanze ex legge 724/94, ha atteso alla ricostruzione della domanda di condono n. 2860 del28.2.1995.
Parte ricorrente ribadisce che, nell’adozione dell’ordinanza demolitoria l’Ente Parco ha omesso completamente di considerare che, in relazione all’abuso contestato, era stata tempestivamente presentata richiesta di istanza di condono, ad oggi non ancora esaminata e, secondo consolidata giurisprudenza, è illegittima l’ordinanza di demolizione adottata in pendenza di istanza di condono perché in contrasto con l’art. 38 della L.47/1985.
Al riguardo nota il Collegio che, nonostante la mancata esecuzione dell’ordinanza istruttoria di questa Sezione, a seguito della produzione giudiziale - a cura di parte ricorrente - in data 19 giugno 2018 della istanza di condono prot. 0010291 del 5.6.2018, come integrata con atto prot. 0010292 del 5.6.2018 con allegata relazione tecnica, si può ragionevolmente concludere che, dal confronto dei dati identificativi catastali del fondo (Fl. 6 p. lla 1857 ex 202 del N.C.T. del Comune di Terzigno) indicati nella suddetta domanda di condono con quelli riportati nell’impugnata ordinanza, le unità immobiliari oggetto della impugnata ordinanza di demolizione risultano essere le medesime di quelle contemplate dalla istanza di condono.
Tuttavia, pur a voler ritenere tale “medesimezza”, parte ricorrente ammette di avere realizzato, successivamente alla presentazione della domanda di condono, alcuni interventi che, però, tende a minimizzare, asserendo trattarsi di piccolissimi lavori di carattere accessorio rispetto a quelli posti in essere in precedenza e per i quali pende la suddetta istanza di condono.
Al riguardo, appena è il caso di ricordare che, il soggetto che ha presentato una istanza di condono edilizio ha l’onere di non alterare lo stato dei luoghi quale esistente all’atto della presentazione della suddetta domanda, mentre l’art. 35 della legge n 47 del 1985 consente, a sua richiesta e sotto sua responsabilità, l’ultimazione delle opere, solo a seguito di rilascio di apposita autorizzazione.
In difetto della prescritta autorizzazione, le nuove opere abusive realizzate non sono certamente legittimate dalla presentazione di una istanza di condono, posto che i manbufatti realizzati erano e rimangono abusivi fino all’eventuale rilascio della sanatoria. Inoltre deve osservarsi, che le opere abusive sanzionate con l’impugnata ordinanza sono state realizzate all’interno dell’area vincolata ai sensi del decreto legislativo del 26 ottobre 1999, n. 400 e ss.mm.ii. della legge 394/81 (Parco Nazionale del Vesuvio), nonché - come si apprende dalla medesima ordinanza impugnata - in prosecuzione di lavori abusivi già sanzionati con precedenti ordinanze n. 145/2004 e n. 39/2009, rimaste inottemperate ed inoppugnate e, come tali, esecutive, con le quali il Direttore dell’Ente Parco Nazionale del Vesuvio ha ingiunto, per quanto di propria competenza, la rimozione delle opere abusive, ordinando il ripristino dello stato dei luoghi.
Successivamente alla presentazione dell’istanza di condono assunta al protocollo ente con n. 2860, del 28 febbraio 1995, presentata per sanare abusi già sanzionati con le citate ordinanze di demolizione rimaste inottemperate e nonostante la stessa, risulta per tabulas che le lavorazioni abusive (con violazione dei sigilli dopo il sopralluogo del 2008) sono proseguite.
D’altronde parte ricorrente non nega che, successivamente alla presentazione della predetta istanza di condono ha realizzato ulteriori opere che (quale che sia la loro incidenza sulle esigenze di tutela paesaggistico-ambientali), risultano essere state eseguite all’interno della perimetrazione definitiva del Parco Nazionale del Vesuvio, laddove qualsivoglia intervento necessita del previo nulla osta ai sensi dell’art. 13 della legge 394/91, in mancanza del quale si prevede unicamente la sanzione ripristinatoria, oltre ad insistere in zona “Agricola C”, soggetta alle norme di attuazione del P.T.P., approvato con D.M. 14.7.2002 del Ministero per i Beni e Attività Culturali, di concerto con il Ministero dell’Ambiente.
Appare, altresì, evidente che trattasi di opere (abusive) ulteriori rispetto a quelle contemplate nella domanda di condono ed, a seguire le deduzioni di parte ricorrente che, sul punto, invoca la sospensione di ogni provvedimento sanzionatorio, stante la pendenza della istanza di condono, si perverrebbe all’illogica ed inaccettabile conseguenza per la quale, nella pendenza ed a fronte di un’istanza di condono presentata, ma non ancora esitata, mentre, ai sensi degli artt. 38 e 44 della L. n. 47 del 1985, l’Autorità urbanistica dovrebbe astenersi dell’adottare provvedimenti repressivi dell’abuso di qualsiasi specie (edilizia, commerciale, alloggiativa ecc.), il trasgressore sarebbe facoltizzato a proseguire le lavorazioni abusive magari in funzione del completamento o addirittura dell’ampliamento delle opere da condonare.
In sostanza dopo le predette precedenti ordinanze il Menzione, non solo non ha ottemperato alle stesse, ma, dopo aver presentato domanda di condono edilizio, ha proseguito le attività edilizie abusive, per modo che escluso che le opere sanzionate con l’impugnata ordinanza di demolizione, possa essere ricomprese nella domanda di condono presentata da Menzione Angelo, non sussistono i presupposti previsti dagli artt. 38 e 44 per giovarsi, secondo la costante interpretazione offerta in argomento dalla giurisprudenza in sede applicativa, degli effetti conservativi e cautelari a più riprese invocati dal ricorrente in dipendenza della presentazione dell’ istanza di condono.
Quanto sopra rilevato vale altresì ad escludere la fondatezza della seconda censura con la quale si deduce l’eccesso di potere (per difetto assoluto di istruttoria, illogicità, perplessità), risultando il provvedimento impugnato ancora illegittimo per eccesso di potere sotto l'ulteriore profilo della carenza di istruttoria, che avrebbe inevitabilmente condotto l'Ente ad adottare una determinazione demolitoria illogica. In proposito rileva parte ricorrente che, come più volte affermato da codesto Tribunale - tra le altre con la sentenza sez. VI, 30.04.2008 n. 3070 l’'amministrazione, una volta accertata l'illegittimità di una determinata situazione di fatto, è vincolata a verificare, prima di procedere all'adozione dei conseguenti provvedimenti sanzionatori (ordinanza demolizione ecc.), la fondatezza delle istanze dei privati finalizzate ad ottenere il rilascio di provvedimenti di sanatoria; è pertanto illegittima l'ordinanza di demolizione di manufatto abusivo resa successivamente alla presentazione della domanda di sanatoria; Nella specie lo svolgimento da parte dell'Ente Parco di una idonea ed esaustiva istruttoria avrebbe portato alla conoscenza dell'avvenuta presentazione di una istanza di condono, avente ad oggetto la regolarizzazione del fabbricato, mentre, la totale assenza, sia nella premessa del provvedimento demolitorio che nella sua parte dispositiva, di qualsiasi riferimento alla procedura di condono regolarmente presentata dal ricorrente, paleserebbe inequivocabilmente l'ulteriore profilo di illegittimità dell'atto per carenza assoluta di istruttoria.
La censura è infondata.
In proposito basterà rilevare che con l’ordinanza impugnata l’Ente Parco Nazionale del Vesuvio ha inteso sanzionare opere pur sempre autonome e diverse, anche se in prosecuzione (come comprovato dalla violazione dei sigilli) rispetto a quelle sanzionate con le precedenti ordinanze con precedenti ordinanze n. 145/2004 e n. 39/2009 e per la sanatoria delle quali sarebbe stata presentata la domanda di condono prot. n. 2860, del 28 febbraio 1995, tuttora pendente.
In tale situazione preso atto che alcun obbligo aveva l’Ente Parco Nazionale del Vesuvio di richiamare nell’ordinanza odiernamente impugnata, la domanda di condono prot. gen. N. 3327 del 6.7.2012, né tanto meno alcun obbligo aveva di definire la predetta istanza prima di ingiungere la demolizione delle opere abusive realizzate successivamente alla predetta domanda.
Pertanto il resistente Ente Parco, nell’espletamento della doverosa attività sanzionatoria ad esso riservata, è pervenuto all’adozione della impugnata ordinanza senza che possa ritenersi la mancanza di una adeguata e corretta istruttoria, mentre nel ricorso il deficit di istruttoria non sembra riferito alla mancata definizione della domanda di condono.
Con la terza censura è dedotta la violazione dei principi di buona amministrazione ex art. 97 Cost. oltre ad ulteriore eccessi potere (per irragionevolezza, contraddittorietà, difetto di motivazione), erronea e mancata applicazione dell’art. 33 e ss. d.P.R. n. 380/2001, essedo il provvedimento impugnato illegittimo laddove ordina la riduzione in pristino dello stato dei luoghi, omettendo di considerare che:
- il principio di buona amministrazione, nonché il canone di derivazione comunitaria di tutela dell'affidamento, impongono una valutazione completa delle situazioni di fatto sottoposte al vaglio della P.A. e di non accomunare fattispecie diverse sanzionandole allo stesso modo, come a accaduto nella fattispecie concreta, per modo che la pubblica amministrazione, nell'emanare un'ordinanza relativa a costruzioni illegittime, dovrebbe considerare in modo opportuno la situazione di fatto, vagliando le sanzione applicabili nella fattispecie concreta, preferendo l'adozione di provvedimento meno oneroso per la posizione dell'amministrato e congruamente motivando laddove si determini per l'applicazione del provvedimento con maggiore portata afflittiva;
- l'atto ripristinatorio, che dal punto di vista gerarchico è, senza dubbio, il più grave, può essere adottato solo quando non si palesino alternative credibili per tutelare l'interesse pubblico, alla luce anche del contrapposto interesse privato alla conservazione della costruzione, avendo mente anche al carattere necessario per la sussistenza che ha l'abitazione per il ricorrente e dell'esistenza di una istanza di condono che in caso di accoglimento verrebbe a sanare la quasi totalità delle opere poste in essere;
- per quanto risulta dallo stesso provvedimento impugnato, trattandosi di interventi di scarsissimo rilievo che non vanno ad incidere né sull'aspetto urbanistico, né sul vincolo, l'amministrazione avrebbe dovuto valutare e congruamente motivare, sulla mancata applicazione della sanzione pecuniaria in alternativa all'ordinanza di demolizione, sanzione alternativa che mira alla riparazione nei confronti dell'amministrazione e, più in generale della collettività, dell'abuso perpetrato (Cons. Stato, sez. VI, 37.3.2012 n. 1793);
- nel merito degli interventi realizzati si precisa quanto segue:
A.- l'intervento realizzato al piano terra si è sostanziato nella realizzazione di una semplice parete in laterizi, al fine di ricavare un piccolo locale letto con annesso bagno, distinto dal più ampio locale già adibito a garage, opera realizzabile con semplice DIA, con la conseguenza che l'eventuale approvazione della domanda di condono renderebbe sanabile l'intervento in parola con semplice richiesta di sanatoria;
B. identico discorso può essere effettuato per quanto riguarda il piano ammezzato, dove alcuna opera ulteriore che non sia qualificabile nella realizzazione di semplici finiture, è stata realizzata. A riguardo, l'ordinanza di ripristino è qualificabile come illegittima per irragionevolezza, in quanto obbligherebbe il ricorrente ad eliminare le richiamate finiture e gli impianti di uso quotidiano;
C. infine, l'apposizione di una ringhiera sul lastrico solare è stata dettata da esclusivi fini di sicurezza, al fine di impedire che la situazione pregressa potesse essere idonea ad arrecare un danno irreparabile a soggetti terzi.
La censura non merita accoglimento.
Invero, una volta affermata l’applicabilità, al caso di specie, della normativa generale di cui alla legge-quadro sui parchi, in relazione sia alle misure di tutela specificate nel Piano del Parco, sia al nulla - osta di cui all’art. 13, ne consegue che l’intervento dell’Ente è tutto ispirato all’applicazione della disciplina speciale sui parchi ed è del tutto autonoma (e autosufficiente) rispetto alla valutazione tipica dell’Autorità urbanistica con la conseguente inapplicabilità della disciplina prevista dal d.P.R. 380/2001 (T.U. Edilizia) in relazione alle varie categorie edilizie; pertanto l’intervento dell’Ente Parco si presenta in assoluta autonomia sulla base della normativa speciale sui parchi e dei poteri ivi conferiti al soggetto gestore, rispetto a quello dell’autorità comunale, titolare della competenza urbanistica generale.
D’altronde, indiretta ed ulteriore conferma dell’autonomia tra i due procedimenti, urbanistico e paesaggistico, la offre il medesimo d.P.R. n. 380 del 2001, laddove all’art. 32, comma 3, prevede che gli interventi effettuati su immobili sottoposti vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico ed ambientale nonché su immobili ricadenti in parchi o in aree protette nazionali e regionali, << sono considerati (in ogni caso: N.d.R.) in totale difformità dalla concessione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 7 e 28 della presente legge. Tutti gli altri interventi sui medesimi immobili sono considerati variazioni essenziali >>, per tal guisa praticamente rendendo irrilevante anche la distinzione legislativa, seguita della elaborazione giurisprudenziale che, nell’ambito degli interventi previsti e disciplinati dal T.U. dell’Edilizia, distingue le varie tipologie edilizie e categorie concettuali, sia nell’ambito degli interventi di nuova costruzione e che in quelli di recupero del patrimonio edilizio esistente.
In proposito, non sarà fuor luogo rilevare che, con più generale riferimento ad opera abusiva eseguita in assenza di titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica in aree vincolate, la giurisprudenza ha elaborato un principio di indifferenza del titolo necessario all’esecuzione di interventi in zone vincolate, affermando la legittimità dell’esercizio del potere repressivo in ogni caso (cfr. la sentenza della Sez. VI di questo Tribunale del 26/3/2015 n. 1815: “a prescindere dal titolo edilizio ritenuto più idoneo e corretto per realizzare l’intervento edilizio in zona vincolata (DIA o permesso di costruire), ciò che rileva, al fine dell’irrogazione della sanzione ripristinatoria, è il fatto che lo stesso è stato posto in essere in zona vincolata ed in assoluta carenza di titolo abilitativo, sia sotto il profilo paesaggistico, che urbanistico.
Nella fattispecie, come sopra accennato, gli interventi abusivi sono stati realizzati dal ricorrente nella perimetrazione definitiva del Parco Nazionale del Vesuvio, nonché in area soggetta alle norme di attuazione del Piano territoriale paesistico, approvato con decreto ministeriale 4 luglio 2002 del Ministero per i Beni e le Attività Culturali di Concerto con il Ministero dell'Ambiente, in assenza della necessaria attivazione del procedimento autorizzatorio ai sensi dell'art. 13 della Legge n. 394/1991 in virtù del quale il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all'interno del parco è sottoposto al preventivo nulla osta dell’Ente Parco.
L’assenza del nullaosta preventivo, comporta, in ogni caso, l’applicazione della previsione di cui all’art. 29 L. n. 394/1991 secondo cui (comma 1): “Il legale rappresentante dell'organismo di gestione dell'area naturale protetta, qualora venga esercitata un'attività in difformità dal piano, dal regolamento o dal nulla osta, dispone l'immediata sospensione dell'attività medesima ed ordina in ogni caso la riduzione in pristino o la ricostituzione di specie vegetali o animali a spese del trasgressore con la responsabilità solidale del committente, del titolare dell'impresa e del direttore dei lavori in caso di costruzione e trasformazione di opere”.
Aggiunge il comma 2 che “In caso di inottemperanza all'ordine di riduzione in pristino o di ricostituzione delle specie vegetali o animali entro un congruo termine, il legale rappresentante dell'organismo di gestione provvede all'esecuzione in danno degli obbligati secondo la procedura di cui ai commi secondo, terzo e quarto, dell'articolo 27 della legge 28 febbraio 1985. n. 47, in quanto compatibili, e recuperando le relative spese mediante ingiunzione emessa ai sensi del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, approvato con Regio decreto 14 aprile 1910, n. 639”.
Peraltro va considerato che, nelle more dell’approvazione della pianificazione ambientale, trovano comunque applicazione le misure di salvaguardia di cui all’art. 6 della legge n. 394 del 1991, comportanti ugualmente la riduzione in pristino dei luoghi.
Da ultimo è da considerare che gli abusi commessi su manufatti abusivi e non sanati assumono le caratteristiche di illiceità dell’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente.
Sulla base di quanto precede, discende la piena legittimità delle iniziative assunte dall'Ente Parco che, a fronte della lettera informativa per C.N.R. 04/2012 prot. 260 del 20.2.2012 redatta dal Corpo Forestale di Boscoreale, contenente la denuncia degli abusi compiuti in assenza di nullaosta, non ha potuto che ordinarne la rimozione e la riduzione in pristino.
Il provvedimento repressivo risulta quindi emesso nel perseguimento dell’interesse pubblico alla tutela dell'area protetta, interesse posto quale fine istituzionale dell'Ente parco e, non a caso, secondo il vigente impianto normativo sui parchi naturali, il vaglio preventivo dell'Ente Parco sugli interventi in ogni caso modificativi del territorio - sottoposto al vincolo paesaggistico ed ambientale - costituisce un momento essenziale per la tutela effettiva delle aree protette.
Tale tutela, riposta a livello legislativo primario nella più volte menzionata Legge 394/1991 che, all’art. 34, ha istituito il "Parco Nazionale del Vesuvio", ha trovato più puntuale normazione nel D.P.R. 5 giugno 1995, il regolamento che ha fissato la perimetrazione del Parco Nazionale, ha istituito l'Ente di gestione del Parco medesimo ed ha prescritto un ulteriore strumento di operatività, ovvero norme più dettagliate e confacenti alle esigenze del territorio del Vesuvio.
Peraltro, non va dimenticato che, in tema di parchi nazionali, vige in linea generale il principio - introdotto dal d. L. 27 giugno 1985, n. 312, convertito in legge 8 agosto 1985, n. 431 e recante disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale - di immodificabilità delle relative aree, in assenza di autorizzazione di cui all’art. 7 L. n. 1497 del 1939. Nel caso specifico, siffatto principio trovava vigenza anche prima dell’istituzione del Parco nazionale del Vesuvio in quanto l'area interessata è sita nel perimetro del vulcano e, per questo, comunque oggetto di tutela in quanto espressamente richiamata dalla Legge 431/1985; in aggiunta, anche il Piano territoriale paesistico, approvato con D.M. 4 luglio 2002, ugualmente vieta interventi della tipologia di quelli contestati alla ricorrente.
Per quanto, più nello specifico, riguarda il Vincolo naturalistico-ambientale, l'opera edilizia, oltre ad essere stata realizzata in assenza del necessario nulla osta, come puntualmente indicato nella parte motiva dell'ordinanza di demolizione, ricade nella perimetrazione definitiva del Parco Nazionale del Vesuvio, nonché in area soggetta alle norme di attuazione del P.T.P. approvato 04.07.2002 del Ministero per i Beni e le Attività Culturali di concerto con il Ministero dell’Ambiente. Ed, in particolare:
- “in Zona C di protezione e nello specifico nell’Unità di Paesaggio C2 “Paesaggio Agrario del Vesuvio meridionale”, della tavola P2.2d. del Piano del Parci di cui all’art. 14 delle NTA del Piano del Parco. Tale Unità è costituita da un ampio settore dei versanti medio e basso del Vesuvio, esposti a sud;
- in zona attraversata da “area bianca” della Tavola P2.2d “Inquadramento strutturale ed aree contigue sistemi ambientale” del Piano del Parco.
Peraltro, l'opera abusiva si pone in contrasto alle NTA del Piano del Parco, puntualmente richiamate, all’art. 14, commi 2, 5 ed 8, nell’ordinanza impugnata; precisamente:
- l’art. 14, comma 2, per il quale gli usi e le attività previste “sono prioritariamente finalizzati alla manutenzione, il ripristino e la riqualificazione delle attività agricole e forestali peculiari, unitamente ai segni fondamentali del passaggio naturale, vulcanico e agrario, alla conservazione della biodiversità e delle componenti naturali in esse presenti e alle progressiva sostituzione della funzione abitativa permanente non connessa all’esercizio dell’attività agricola con usi agricoli e altri usi specialistici direttamente connessi alla fruizione del Parco. Sono ammessi gli usi naturalistici (N) e quelli agro-silvo-pastorali (A), abitativi (U) e specialistici (S) limitatamente agli insediamenti esistenti, sempre che la loro permanenza non comporti interventi eccedenti quanto segue”;
- l’art. 14 comma 5 sancisce che “nelle aree agricole di cui alla zona C “gli interventi di Riqualificazione (RQ) relativi al patrimonio edilizia esistente possono essere realizzati esclusivamente attraverso le categorie RQ1 e RQ2 , con esclusione degli edifici che insistono sulle aree ad alto rischio idrogeologico e vulcanico e di quelli indicati negli allegati 1 e 2 delle presenti NTA e comunque vincolati ai sensi del Decreto legislativo 22.09.04.n. 42, secondo le modalità espresse dal RP e nel rispetto delle condizioni indicate all’art. 23;
- l’art. 14, comma 8, per il quale in zona C sono esclusi:
- interventi edilizi che eccedono quanto previsto alle lettere a) b) e c) dell’art. 3 del d.P.R. 6.6.2001, n. 380;
-cambiamenti di destinazione per usi residenziali, mentre sono sempre ammessi cambiamenti di destinazione della funzione residenziale permanente verso usi legati alla fruizione e alla ricettività turistica del Parco e di tipo specialistico (S) e alle attività agro-silvo-pastorali (A), garantendo gli obiettivi di valorizzazione del patrimonio storico, geomorfologico e vegetale di ciascuna unità di paesaggio ed escludendo sistemazioni degli spazi aperti, trattamenti materiali e cromatici delle fonti e delle coperture degli edifici, forme di arredo e di piantumazione in contrasto e comunque incoerenti con il linguaggio storicizzato del luogo, così come definito nel Regolamento del Parco;
- modifiche alla forma del suolo, attraverso scavi e movimenti di terra, che non siano legate al consolidamento e al limitato ampliamento o nuova realizzazione (nei termini indicati all’art. 23) delle sistemazioni tradizionali (terrazzamenti e ciglionamenti) o ad imprescindibili ragioni di sicurezza geomorfologica, alla insaturazione di alvei e lagni o al recupero ambientale di cave dismesse;
- interventi infrastrutturali non esclusivamente o strettamente necessari per la conservazione e il consolidamento dei tracciati rurali esistenti e per il mantenimento delle attività agricole o comunque specificatamente previsti dal Piano;
- le recinzioni, ad esclusione di quelle realizzate in siepi o pietra naturale a secco e coerentemente inserite nella trama particellare”.
A fronte di quanto sopra, si manifesta destituita di fondamento la censura relativa al difetto di motivazione posto che, l’ordinanza di rimozione e messa in pristino appare compiutamente motivata in relazione sia alla natura degli interventi abusivi compiuti sia alle numerose norme violate.
In ogni caso, come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, condivisa dalla Sezione e dal Collegio, l'ordine di rimozione è atto vincolato e necessitato che non richiede nessun’altra motivazione se non l'accertamento del carattere abusivo dell'opera. Pertanto, l’Ente Parco non ha dovuto compiere alcuna particolare valutazione circa la concreta incidenza dell'intervento sull’assetto del territorio né una comparazione tra l’interesse del privato e quello pubblico che è in re ipsa, consistendo quest’ultimo nel ripristino dei valori naturalistici, paesaggistici ed ambientali violati; né infine sussiste la possibilità di adottare provvedimenti alternativi (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 18 maggio 2015 n. 2512; T.A.R. Napoli, Sez. III, 10 gennaio 2014 n. 149); in argomento ancora la giurisprudenza di questa Sezione ha avuto modo di rilevare che; << I provvedimenti repressivi di abusi edilizi non abbisognano di una specifica e diffusa motivazione, bastando al riguardo un ampio riferimento alle norme violate, nonché un adeguato e analitico richiamo di tutti i vincoli, paesaggistico - ambientali e di rischio sismico, nonché del fondamentale e corretto assunto circa l'insussistenza di un permesso di costruire >> (T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 22/10/2015, n. 4968).
Per quanto sopra esposto a nulla vale asserire che l’intervento realizzato al piano terra si è sostanziato nella realizzazione di una semplice parete in laterizi, al fine di ricavare un piccolo locale letto con annesso bagno, distinto dal più ampio locale già adibito a garage, opera realizzabile con semplice DIA, ovvero, ancora che al piano ammezzato alcuna opera ulteriore che non sia qualificabile nella realizzazione di semplici finiture, è stata realizzata ed, infine, che l'apposizione di una ringhiera sul lastrico solare è stata dettata da esclusivi fini di sicurezza, al fine di impedire che la situazione pregressa potesse essere idonea ad arrecare un danno irreparabile a soggetti terzi (circostanza evocante un abuso di necessità che, però, non trova posto nel nostro ordinamento)..
Inoltre l’affermazione del ricorrente circa il carattere manutentivo e conservativo delle opere realizzate ha poco pregio finendo, nel caso di specie, le singole componenti strutturali dell’illecito contestato con il perdere la loro autonomia per essere attratte in un regime sanzionatorio unitario ed inscindibile, derivante dalla circostanza di essere state realizzate a seguito di reiterate violazioni dei sigilli apposti ad un immobile composto da piano terra, adibito locale artigianale e garage, un piano ammezzato adibito a residenza, primo piano e lastrici solari
Con la quarta censura si deduce l’eccesso di potere (per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, illogicità, perplessità, contraddittorietà e carenza di presupposti) , violazione degli artt. 6 ed 8, L. n. 394/1991, al riguardo rilevandosi che:
- il provvedimento impugnato afferma che il ricorrente si sarebbe reso responsabile di attività abusiva, rientrante nei divieti di cui all'art. 6, comma 3 della legge n. 394/1991, e consistente nella "piano terra: (...) allo stato si rileva la presenza di un frazionamento del locale garage con parete in laterizi, per ricavare un piccolo locale letto, un bagno ed un cucinotto adibito a residenza del sig. Menzione Angelo, ed apertura di un vano di porta in ferro comunicante con un locale artigianale (...); piano ammezzato: allo stato si rileva il completamento dell'abitazione della sig,.ra (.........), in ogni sua parte e con tutte le finiture e gli impianti necessari al suo uso quotidiano (..) e l'apposizione di una pensilina in legno e copertura in tegole sulle .finestre angolare (..); primo piano: allo stato si rileva la chiusura di un vano finestra, con blocchi in laterizio, al prospetto sud del fabbricato (..); lastrici solari: allo stato si rileva l'apposizione, lungo tutto il perimetro del fabbricato, di una ringhiera metallica di altezza pari a m. 1 (...)" ;
- di contro, si rileva che l'art. 6, comma 3, della legge n. 394/1991 stabilisce: "Sono vietati fuori dei centri edificati di cui all'art. 18 della legge 22 ottobre 1971, 865, e, per gravi motivi di salvaguardia ambientale, con provvedimento motivato, anche nei centri edificati, l'esecuzione di nuove costruzioni e la trasformazione di quelle esistenti, qualsiasi mutamento dell'utilizzazione dei terreni con destinazione diversa da quella agricola e quant'altro possa incidere sulla morfologia del territorio, sugli equilibri ecologici, idraulici ed idrogeotermici e sulle finalità istitutive dell'area protetta";
- orbene, ferma restando la sanabilità degli interventi, le opere realizzate dal ricorrente, così come descritte nel provvedimento impugnato, non rientrano nelle fattispecie della richiamata norma; difatti le stesse non configurano né realizzazione di "nuove costruzioni", né "trasformazione di quelle esistenti", né tantomeno realizzano un mutamento dell'utilizzazione dei terreni con imposizione di una diversa destinazione;
- difatti, la nota informativa del Corpo Forestale, sulla cui scorta è stata resa l'ordinanza de qua, contesta la semplice realizzazione di opere interne al manufatto (realizzazione interna di una parete divisoria, il mero completamento di un appartamento con realizzazione di finiture interne, la chiusura di una finestra, ovvero l'apposizione di una ringhiera per motivi di sicurezza) e non già la sua realizzazione ex novo ovvero la sua trasformazione rispetto allo status quo ante. Ciò consente di escludere l'applicazione delle disposizioni di cui all'art.6 L. 394/91, non essendo idonei gli interventi realizzati, ad incidere sulla morfologia del territorio, nonché sugli equilibri ecologici, idraulici, etc.;
- inoltre, la richiamata nota descrive l'apposizione di una pensilina in legno e copertura in tegole sulle finestre angolari, opera che, come pacifica giurisprudenza ha avuto modo di evidenziare, non è condizionata a preventivo permesso a costruire, essendo viceversa sufficiente un semplice DIA, la cui mancanza può determinare esclusivamente l'applicazione di una sanzione pecuniaria;
- sul richiamato concetto di pertinenzialità la giustizia amministrativa ha evidenziato come la nozione di cui all'art. 817 c.c. rileva anche in ambito urbanistico ed edilizio, impedendo l'assimilabilità di un'opera pertinenziale che non presenti la struttura di un manufatto, ad una vera e propria nuova costruzione per la quale è necessario il permesso a costruire (ex plurimis, con particolare riferimento a tettoie in legno, oltre alla sentenza sopra richiamata, TAR Abruzzo, Pescara, sez. I, 29.10.09 n.645; TAR Liguria, Genova, sez. I, 11.7.07 n. 1367; TAR Veneto, Venezia, sez. Il, 19.9.03 n.4856).
La censura appare ripetitiva di argomenti già sviluppati nella precedente censura e ritenuti infondati.
In questa sede è solo da aggiungere che, esclusa ogni discrezionalità dell’Ente Parco nell’adottare i provvedimenti repressivi sanzionatori, quali atti vincolati nell’an e nel quomodo, posti a presidio del vincolo esistente sull’area protetta, e considerata la sopra descritta natura dell’abuso commesso, del tutto ultroneo ed inconferente è il richiamo di parte ricorrente al concetto di pertinenza urbanistica ed al principio di proporzionalità al fine di invocare l’applicazione di una sanzione più mite e blanda, in alternativa a quella disposta del ripristino dello stato dei luoghi.
In definitiva il ricorso è infondato e va, quindi, respinto.
Le spese di giudizio, come di norma, seguono la soccombenza ed, anche in ragione dell’attività difensiva spiegata, vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe (n. 5367/2012 R.G.) proposto Menzione Angelo, così dispone:
a) lo respinge;
b) condanna parte ricorrente al pagamento delle spese giudiziali, complessivamente quantificate in euro 500,00 (cinquecento/00), oltre ad oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 17 luglio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Fabio Donadono, Presidente
Vincenzo Cernese, Consigliere, Estensore
Gianmario Palliggiano, Consigliere