Autorizzazione Paesaggistica in sanatoria : limiti e possibilità residuali secondo le nozioni di superfici utili e volumi
di Antonio VERDEROSA
Il rapporto tra permesso di costruire ed autorizzazione paesaggistica si sostanzia in un rapporto di presupposizione necessitato e strumentale tra valutazioni paesistiche e urbanistiche: vale a dire che questi due apprezzamenti si esprimono entrambi sullo stesso oggetto, l'uno, in termini di compatibilità paesaggistica dell'intervento edilizio proposto e, l'altro, in termini di sua conformità urbanistico-edilizia.
Come è ampiamente noto, la legislazione statale vigente esclude – in linea di principio – la possibilità del rilascio di autorizzazioni paesaggistiche in sanatoria.
Infatti, l’art. 146, comma 12 –nella versione modificata dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 157 del 2006– prevede che non possano più essere rilasciate autorizzazioni paesaggistiche “in sanatoria”, ossia successive alla realizzazione, anche parziale, degli interventi, salvo le ipotesi tassative volte a sanare “ex post” gli interventi abusivi di cui all’art. 167 comma 4 e 5.
In tali casi deve essere instaurata un’apposita procedura ad istanza della parte interessata che contempla –a differenza dell’ordinario procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica -l’accertamento della compatibilità paesaggistica, demandato all’amministrazione preposta alla gestione del vincolo, previa acquisizione del parere della Soprintendenza che nella particolare fattispecie in esame assume carattere non solo obbligatorio, ma vincolante.
Il principio generale per il quale l'autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi è stato derogato a seguito della legge n. 308 del 2004 (con previsioni confluite per l'appunto in seguito nel D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, commi 1-ter e quater e, successivamente, nell'art. 167, commi 4 e 5 del codice dell'ambiente), prevedendo la possibilità di una valutazione postuma della compatibilità paesaggistica di alcuni interventi minori, all'esito della quale non si applicano le sanzioni penali stabilite per il reato contravvenzionale contemplato dall'art. 181, comma 1 dei d.Lgs. n. n. 42 del 2004.
Si tratta, in particolare dei lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; dell'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica; dei lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria, ai sensi dell'art. 3 del testo unico.
La non applicabilità delle sanzioni penali è subordinata all'accertamento della compatibilità paesaggistica dell'intervento, secondo l'art 181, comma 1-quater, introdotto proprio dalla L. 15 dicembre 2004, n. 308 (presentazione di specifica domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo, la quale deve pronunciarsi entro il termine perentorio di 180 giorni, previo parere vincolante della Soprintendenza, da rendersi entro il termine, anch'esso perentorio, di 90 giorni. In conclusione, il reato può essere escluso solo in relazione ad interventi di minima rilevanza e consistenza, non incidenti ovvero non idonei ad incidere sull'integrità del bene ambiente.
In applicazione della norma riportata, dunque, il Comune deve :
- verificare se i lavori, realizzati in assenza dell'autorizzazione paesaggistica ed oggetto della domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica, rientrano in una delle tre tipologie indicate alle lett. a), b), c) del comma 4 dell’articolo 167 d. lgs. 42/2004;
- in caso positivo, formulare richiesta di parere alla Soprintendenza per i Beni Architettonici ed il Paesaggio;
- se il parere è favorevole, applicare - previa perizia di stima – la sanzione pecuniaria indicata nel comma 5 dell’art. 167 d. lgs. 42/2004, e rilasciare l’accertamento di compatibilità paesaggistica.
Qualora invece non ricorrano i casi previsti alle lett. a), b), c) ell’art. 167 comma 4 D.Lgs. 42/04, ovvero se il parere vincolante della Soprintendenza fosse negativo, occorrerebbe rigettare la domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica e applicare la sanzione demolitoria di cui al comma 1 dell’art. 167 d. lgs. 42/2004.
Nella specie, la sola possibilità ipotizzabile è data dall’eventualità di rientrare nel caso di cui alla lettera a) dei commi medesimi.
Per rientrare in tale caso occorre verificare con doverosa istruttoria che l’opera non determini “creazione di superfici utili o volumi”, né “aumento di quelli legittimamente realizzati”.
Nella prassi corrente spesso però può accadere che vi siano cambi di destinazione d’uso funzionali o con opere che potrebbero non rientrare nella casistica degli artt. 146, 167 e 181 del Dec. Lgs. 42/04, tanto da ritenere impossibile il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica postuma che spessissimo accade nella prassi corrente.
Non è escluso che si possa verificare che l’abuso commesso afferente il cambio di destinazione d’uso di un locale tecnico da sottotetto a civile abitazione -ai fini paesaggistici ed edilizi- rientra nella casistica dell’aumento di superfici utili. Oppure che la realizzazione di un deposito (seminterrato avendo lo stesso un solo lato fuori terra) con conseguente modifiche dei prospetti ed alterazione dell’aspetto esteriore del bene tutelato, rientrante nella casistica dell’aumento di superfici utili, sia sanabile ai fini paesaggistici.
Sul punto la Cass., pen., sez. III, 14 aprile 2000, ha evidenziato che il bene protetto si identifica, “…quanto ai reati in materia urbanistica ed edilizia, nell’ordinato assetto e sviluppo del territorio, nel corretto uso e governo di esso in conformità alla normativa urbanistica e, quanto ai reati in materia di tutela paesaggistica, nella salvaguardia dell’ambiente naturale e nella conservazione e valorizzazione dei beni storico-artistici ed ambientali…”.
In relazione al primo caso esaminato cioè se l’abuso commesso è afferente la mutazione dei destinazione d’uso del sottotetto da locale di sgombero a civile abitazione con modifica dell’aspetto esteriore e le stesse opere ai sensi delle N.T.A. costituiscono anche volume dato come il prodotto della superficie utile per l’altezza media del sottotetto abitabile, si ritiene non applicabile la sanatoria postuma paesaggistica.
Infatti, se per tali opere non vi è stata l’acquisizione preventiva della autorizzazione paesaggistica ambientale ai sensi dell’art. 146 del Dec. Lgs. 42/04 le stesse risultano insanabili, non qualificandosi come opere di manutenzione straordinaria ma di “ristrutturazione edilizia” con cambio della destinazione d’uso, ed aumento di superficie utile e volume.
In tali circostanze la prassi corrente (non sempre lineare e corretta) tende a ritenere che i Comuni non avrebbero dovuto, in tesi, neppure richiedere l’autorizzazione paesaggistica, dato che il mero mutamento di destinazione d’uso, se non implicante una alterazione delle superfici utili o dei volumi, dell’aspetto esteriore, delle sagome e delle superfici di solaio, non comporterebbe per definizione un impatto ambientale, di guisa che sarebbe ricompreso nella previsione di cui all’ art. 149 1 comma lett.a)del D.Lgs. 42/2004.
In molti casi, come si rileva tra l’altro per le opere oggetto di recupero abitativo dei sottotetti, non trattandosi di manutenzione essendovi aumento di superfici utili, del volume e una modifica dell’aspetto esteriore (realizzazione di abbaini per soddisfare il rapporto aereo illuminante), tanto da scrivere l’intervento in quella che è la definizione contenuta nell’art. 3, 1 comma, lett. d) (ristrutturazione edilizia) del DPR 380/01, vi è l’obbligo della acquisizione preventiva in via ordinaria della autorizzazione paesaggistica, preclusa in via postuma.
Infatti il mutamento di destinazione d'uso di una porzione dell'immobile, portando ad un organismo in parte diverso dal precedente e contribuendo ad aumentare il carico urbanistico, deve ritenersi rientrante nell'ambito della categoria della "ristrutturazione edilizia", come si evince, del resto, dall'esplicito riferimento a tale tipologia di intervento presente nell'art. 10, 1 comma, lettera c) DPR n. 380/01 (in termini, T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 20 settembre 2011, n. 7432, T.A.R. Sardegna, sez. II, 6 ottobre 2008, n. 1822) e dall’art. 5 della L.R. 15/2000.
Coerentemente, anche le attività che “…non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici…”, non possono rientrare nella casistica esimente di cui all’art. 149, 1° comma lett. a) d. lgs. n. 42/2004 facendo rientrare l’intervento nella casistica della ristrutturazione edilizia (la norma derogatoria vale infatti solo per la categoria di interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria, di consolidamento statico e restauro conservativo e non anche per la ristrutturazione edilizia).
La conclusione che precede è, del resto, l’unica coerente con il quadro normativo di riferimento in materia di mutamenti di destinazione d'uso.
Ne discende conclusivamente – con riferimento al caso di specie – che il cambio di destinazione d’uso di un sottotetto - aumentando le superfici utili e di conseguenza il volume abitativo - incide sul carico urbanistico (modifica della destinazione d’uso di superfici destinate a locale di sgombero in superficie abitativa ai sensi della L. 15/2000 con conseguente aumento della superficie utile) ascrivendo l’intervento alla “ristrutturazione edilizia”, tale da giustificare la necessaria acquisizione preventiva della autorizzazione paesistico ambientale, secondo il tenore letterale della norma (aumento di superfici utili).
Sul punto è opportuno precisare che anche l’art. 5 (Ristrutturazioni e contributi) della L.R. 15/2000 stabilisce espressamente che …..Gli interventi diretti al recupero abitativo dei sottotetti sono classificati come ristrutturazione edilizia ai sensi della lettera d) del comma 1 dell’articolo 31, della legge 5 agosto 1978 n. 457….in conformità alla definizione dell’art. 3 lett. d) del DPR 380/01.
Va aggiunto che trattandosi di autorizzazione postuma in sanatoria spesso può accadere che :
-
l’immobile comprendendo anche parti abusive (ad esempio il sottotetto a destinazione residenziale con la predisposizione dell’abbaino, dei divisori interni di cui si chiede l’autorizzazione), non rientra nella casistica dell’art. 3 della L.R. 15/2000 e art. 8 comma 12 della L.R. 19/2009 ;
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la realizzazione di maggiori superfici residenziali (sottotetto a destinazione abitativa) e quindi utili è avvenuta in dispregio alle NTA del PRG.
Ai fini paesaggistici, i soli interventi suscettibili di “sanatoria” riguardano, come stabilito dal comma 1ter, i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica e lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. E’evidente che opere ascrivibili alla ristrutturazione edilizia con aumento di superfici utili non rientrano nel novero dell’elencazione di cui all’art. 181 1 ter.
Se le opere abusive sono realizzate anche in area dichiarata di notevole interesse pubblico con Decreto specifico ai sensi dell’art. 136 del Dec. Lgs. 42/04 e senza la acquisizione preventiva della indefettibile autorizzazione paesistico ambientale di cui all’art. 146 del Codice si incorre anche nel delitto di cui aell’art. 181, 1 comma 1 bis del Dec. Lgs. 42/04 in quanto costituenti di fatto superfici utili maggiori rispetto a quelli assentiti sono insanabili in quanto non ricadenti nella fattispecie dell’art. 167 comma 4 e 5 del menzionato Codice dei beni culturali.
Ciò determina di fatto la illegittimità dei titoli edilizi rilasciati in sanatoria .
In proposito la giurisprudenza della Cass. Pen. Sez. III n. 889 del 13 gennaio 2012 ritiene che agli effetti della valutazione di compatibilità paesaggistica, il cui esito positivo determina la non applicabilità delle sanzioni penali previste per i reati paesaggistici dall’art. 181 del D. lgs. 42/04, la nozione di “SUPERFICIE UTILE” di cui al comma primo ter , lett. a) della richiamata disposizione, deve essere individuata prescindendo dai criteri applicabili per la disciplina urbanistica e considerando l’impatto dell’intervento sull’originario assetto paesaggistico del territorio1 .
La sentenza esamina il caso di una veranda esterna aperta, la cui superficie non poteva ritenersi computabile come peraltro ritenuto anche dal regolamento comunale. Inoltre, la nozione di “superficie utile” elaborata con riferimento alla disciplina urbanistica doveva ritenersi comune anche a quella paesaggistica e doveva sempre essere associata ad un volume. L'aggettivo, utile, poi, non rappresentava una generica qualificazione di “utilizzabilità” o “utilità”, bensì una precisa classificazione secondo la consolidata terminologia della disciplina edilizia.
La stessa sentenza invero rileva che la nozione di superficie utile non risulta specificamente definita dalla disciplina urbanistica attualmente in vigore che ne fa ripetutamente menzione, anche se è evidente che un simile riferimento è chiaramente effettuato al fine di considerare la rilevanza di un determinato intervento in termini di aggravio del carico urbanistico.
Viene citato in ricorso, quale parametro di riferimento per l'individuazione della nozione di superficie utile, il Decreto ministeriale Lavori pubblici 10 maggio 1977, n. 801 recante “Determinazione del costo di costruzione di nuovi edifici” dove vengono sviluppate le definizioni di “superficie complessiva” e “superficie utile abitabile” quest'ultima individuata, nell'articolo 3, come “la superficie di pavimento degli alloggi misurata al netto di murature, pilastri, tramezzi, sguinci, vani di porte e finestre, di eventuali scale interne, di logge di balconi”.
In molti casi le NTA degli strumenti urbanistici non definiscono compiutamente il termine superficie utile soprattutto per quel che riguarda le parti interrate,mentre quelle abitative di un sottotetto sicuramente sono tali. Le stesse se costituiscono superficie utile devono sottendere anche un volume.
Per cui il tenore letterale della norma porterebbe ad includere, nel calcolo, anche i sottotetti abitabili, le verande aperte o un locale deposito seminterrato chiuso su tre lati e si tratta, comunque, di una definizione che, sebbene ripresa anche per altri aspetti della disciplina urbanistica dalla normativa regionale e dagli strumenti urbanistici, è finalizzata alla determinazione del costo di costruzione dei nuovi edifici secondo indici di valutazione fissati a tale scopo e non è certamente esaustiva, dato che anche altre disposizioni si riferiscono alla “superficie utile” individuandone il concetto in relazione alle finalità perseguite come avviene, ad esempio, nel D.Lv. 192/05 recante “Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia”, ove nell'Allegato A, punto 37, la superficie utile viene genericamente definita come “la superficie netta calpestabile di un edificio”.
Ed ancora la sentenza della Cass. Pen. Sez. III sent. 594 del 15 gennaio 2007 rileva che già l’art. 151 del D. Lgs. 490/99 imponeva il rilascio dell'autorizzazione solo per le modificazioni che recavano pregiudizio all'aspetto esteriore del bene oggetto di protezione. Sia in base alla norma dianzi citata che all'articolo 149 del Codice Urbani (D.Lgs. n. 42 del 2004 ) l'autorizzazione non è necessaria per i soli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi o l'aspetto esteriore degli edifici. Si tratta in sostanza degli interventi indicati nel D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, articolo 3, lettere a), b) e c), fatta eccezione per il consolidamento statico che, a seconda dei casi,può essere ricondotto o alla manutenzione ordinaria o al risanamento conservativo. Trattasi in sostanza di interventi che la dottrina riconduce allo ius utendi e non allo ius aedificandi cioè ad attività che mirano a conservare o migliorare la condizione di fruibilità di un immobile quindi non sono espressione della facoltà di costruire, ma di quella di godimento dell'immobile.
Di conseguenza, come accennato, la modificazione della destinazione d'uso ancorché costituente superficie utile perché ascrivibile alla ristrutturazione edilzia è anche associata ad un volume (se lo stesso è definito tale dalle NTA quale superficie utile per altezza media del sottotetto se abitabile) , ed altera lo stato dei luoghi , è soggetta ad autorizzazione paesaggistica, che non può essere rilasciata in via postuma non ricorrendo le condizioni dell’art. 181 comma 1 ter lett.a) del Dec. Lgs. 42/04.
In relazione al secondo punto cioè la -realizzazione abusiva di un deposito seminterrato nel caso che ci occupa l’accertamento di compatibilità paesaggistica in sanatoria potrebbe non rientrare nei casi della lettera a, del comma 4 dell’art. 167 d. lgs. 42/04, in quanto con la realizzazione del vano sono state aumentate le superfici utili (ma non il volume), trattandosi di un deposito oggetto della richiesta di sanatoria, aperto solo sul lato anteriore che seppur non ha rilievo ai fini volumetrici essendo interrato su tre lati potrebbe essere rilevante ai fini paesaggistici.
Infatti, per quel che riguarda le superfici utili ai fini paesaggistici, così come definite nella Circolare n° 33 del 26.06.2009 del M.I.B.A.C. si intende : “(…) qualsiasi superficie utile, qualunque sia la destinazione (…)”.
Si noti che la Circolare non opera alcuna distinzione tra superfici interrate e fuori e terra (è usata infatti la dizione qualsiasi superficie utile) porta a ritenere che anche un vano interrato costituirebbe superficie utile ai fini paesaggitici.
Pertanto si può ritenere che le maggiori superfici realizzate con il deposito potrebbero costituire alla luce della circolare superfici utili tanto da non essere suscettibili di autorizzazione paesistica postuma in sanatoria ai sensi dell’art. 146 e 167 comma 4 del Dec. Lgs. 42/04.
La base del ragionamento parte dal presupposto che la superficie utile ai fini paesaggistici non è da intendersi come la superficie utile edificabile che riguarda invece i profili edilizi ai fini della verifica dei parametri urbanistici come ci indica la sentenza della Cass. Pen. n° 889/2012 .
In proposito la CIRCOLARE del MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI 14 APRILE 1969 N.1501 ci fornisce la definizione di volume (e non di volume lordo) secondo cui ai fini del calcolo del volume deve essere considerato tutto ciò che è realizzabile fuori terra - nonché la parte di volume interrato eventualmente destinato a residenze, ad uffici o ad attività produttive - con la sola esclusione dei volumi tecnici. Nel caso di interesse il vano deposito abusivo non fuoriesce dal piano di campagna essendo chiuso su tre lati ma non è un volume tecnico.
Tale definizione viene riportata letteralmente sia nel “Manuale di Urbanistica” di G. Colombo, F. Pagano e M. Rossetti (Pirola, Milano), sia nell “Atlante di Urbanistica ed Edilizia2” di C. Falascia e M. Olivieri (Nuova Italia Scientifica, Roma) e sia nel “Manuale di Diritto Urbanistico “ di A. Fiale (Simone-Napoli) .
In realtà , come sancisce pacificamente la giurisprudenza (in ultimo una recente sentenza del C. di S. la n°5066/2012 secondo cui l’aumento di superfici utili o di volumi che esclude la sanatoria paesaggistica si configura anche nel caso di opere interrate o che non aumentano il carico urbanistico) essendo profili diversi tra loro quello edilizio e paesaggistico, costituirebbe superficie utile anche quella interrata.
La Corte di Cassazione con Sentenza n° 889/12 3della III^ Sezione ha stabilito che ai fini paesaggistici la nozione di superficie utile (in linea con quanto stabilito dal Ministero) è da individuarsi con la nozione contenuta nel Dec. Lgs. 195/2005 ove viene definita come “la superficie netta calpestabile di un edificio” e che la valutazione di compatibilità paesaggistica, il cui esito positivo esclude l'applicazione delle sanzioni previste per i reati paesaggistici di cui all'art. 181, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, non ammette equipollenti e, ai fini del rilascio da parte dell'autorità competente, richiede il necessario parere vincolante della soprintendenza.
Ed ancora la Corte di Cassazione ha stabilito che
“…Poiché la tutela del paesaggio in quanto diretta verso una parte del territorio che, per le sue caratteristiche naturali e o indotte dalla presenza dell'uomo, è ritenuta meritevole di particolare garanzia che non può ritenersi limitata al mero aspetto esteriore o immediatamente visibile dell'area vincolata devono ritenersi vietati ai sensi dell'articolo 181 D.Lv. 42-2004 anche i lavori eseguiti nel sottosuolo quali quelli di realizzazione di una struttura interrata che, seppure non percepibile dall'esterno, si palesa idonea a compromettere i valori ambientali…” Cass. Sez. III n. 11128 del 30 marzo 2006 .
Di contro il T.A.R. Puglia Bari Sez. III, Sent., 11 gennaio 2013, n. 35, rileva ai sensi dell'art. 167 del D.Lgs. n. 42 del 2004, come sostituito dall'art. 1, comma 36, della L. n. 308 del 2004 rileva che, ai sensi della suddetta disposizione normativa, tra gli interventi per i quali sarebbe ammessa la sanatoria paesaggistica vi sarebbero "…i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati…" tra questi anche i vani seminterrati o interrati.
Il vano creato, essendo destinato ad ospitare attrezzi agricoli, sarebbe infatti un vano la cui realizzazione non inciderebbe dunque sulla cubatura. Ma per le NTA costituisce superficie utile.
La questione centrale è stabilire se la realizzazione di un vano deposito seminterrato in area agricola possa rientrare tra i cosiddetti "abusi minori" per i quali è ammissibile la relativa sanatoria ai sensi del combinato disposto degli artt. 146, comma 4 e 167, comma 4, del D.Lgs. n. 42 del 2004, e dell'art. 181, comma 1‐ter, avente lo stesso contenuto del citato art. 167, comma 4, articoli questi ultimi disciplinanti, rispettivamente, le sanzioni amministrative e le sanzioni penali.
Sul punto l'art. 146, comma 4, del D.Lgs. n. 42 del 2004 esclude dal divieto di rilasciare ex post l'autorizzazione paesaggistica ‐ che, sempre ai sensi dell'art. 146, comma 4, costituisce atto presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico‐edilizio, ivi compresi quelli in sanatoria ‐ i casi previsti dall'articolo 167, comma 4, del medesimo D.Lgs. n. 42 del 2004 e costituiti oltre che dall'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica e dai lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria proprio dai "…lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati…".
Al riguardo la giurisprudenza amministrativa minoritaria (tra tutte T.A.R. Bari, Sezione III, 11 gennaio 2013 , n. 35), ritiene che l'interpretazione induce a ritenere che, nonostante l'utilizzo della particella disgiuntiva "o" nella frase "che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi", il duplice riferimento alle nuove superfici utili e ai nuovi volumi costituisca una modalità di esprimere un concetto con due termini coordinati . In altri termini, la necessità di interpretare le eccezioni al divieto di rilasciare l'autorizzazione paesistica in sanatoria (previste dall'articolo 167, comma 4, del D.Lgs. n. 42 del 2004) in coerenza con la ratio dell'introduzione di tale divieto, induce a ritenere, che esulino dalla eccezione prevista dall'articolo 167, comma 4, lettera a), gli interventi che non abbiano determinato la realizzazione contestuale di nuove superfici utili e di nuovi volumi e che, di converso, siano suscettibili di accertamento della compatibilità paesistica.
Alla luce di quanto sopra esposto, si ritiene che esso sia astrattamente sanabile ai sensi dell'articolo 167, comma 4, del D.Lgs. n. 42 del 2004 .
Utilizzando invece come riferimento una serie di ulteriori pronunce giurisprudenziali maggioritarie si ritiene non carente di profili di illegittimità l’eventuale rilascio di un P di C in Sanatoria.
Infatti secondo la sentenza della Cassazione Pen Sez. III^ 889/2012 si dovrà considerare l'impatto dell'intervento sull'originario assetto paesaggistico del territorio, cosicché dovrà escludersi la speciale sanatoria stabilita dall'articolo 181 in tutti quei casi in cui vi sia contestualmente la creazione di superfici utili o volumi o l' aumento di quelli legittimamente realizzati siano idonei a determinare una compromissione ambientale.
La fattispecie è pertinente invece se si estende il discorso al sottotetto.
Pertanto il P.di C. in sanatoria appare illegittimo se si prendono come riferimento ulteriori pronunce giurisprudenziali quali :
a) Cass. Sez. III^ n. 11128/2006 secondo cui anche se il manufatto non è percepibile dall'esterno non costituisce volume, lo stesso si palesa idoneo a compromettere i valori ambientali;
b) C. di S. Sez.VI^, n°5066/2012 secondo cui l’aumento di superfici utili o di volumi che esclude la sanatoria paesaggistica si configura anche nel caso di opere interrate che non costituiscono volume o che non aumentano il carico urbanistico.
In conclusione è da ritenersi viziata da profili di illegittimità la procedura di rilascio dell’autorizzazione paesistica ambientale postuma per quel che riguarda anche la realizzazione di un deposito seminterrato in area agricola.
Aggiungiamo che se l’abuso è commesso in area dichiarata di notevole interesse pubblico, ricorre l’ipotesi delittuosa contenuta nell’art 181 comma 1 bis del Dec. Lgs. 42/04 essendo l’intervento abusivamente realizzato avvenuta in aree di interesse paesaggistico dichiarate con Decreto Ministeriale (art. 136).
La pena è, ai sensi dell’art. 181, comma 1-bis, della reclusione da uno a quattro anni qualora i lavori di cui al comma 1: a) ricadano su immobili o aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su immobili o aree tutelati per legge ai sensi dell’art. 142 ed abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi”.
E’ importante poi considerare che il reato di cui all’art. 181 è permanente allorché la condotta si protrae nel tempo mentre, più precisamente, può qualificarsi istantaneo con effetti permanenti quando la modificazione si compie con un unico atto.
A titolo esemplificativo si ricordi che la giurisprudenza ha ritenuto, in zone vincolate paesaggisticamente, integrato il reato in esame nei seguenti casi :
- realizzazione e/o allargamento di una strada4 (Cass., pen., sez. III, 02 agosto 2204, n. 33186) ;
- asfaltatura di un piazzale che prima era solo in terra battuta (Cass., Pen., sez. III, 4 novembre 1995, n. 10924);
- totale disboscamento di una consistente area e livellamento con materiale terroso 5;
- eliminazione di ceppaie, essendo queste dirette alla conservazione del bosco (Cass., pen., sez. III, 23 gennaio 2002, n. 2398);
- abbattimento di un consistente numero di alberi e ceppaie oggettivamente idoneo a compromettere i valori del paesaggio;
- livellamento di terreno sabbioso con spandimento sullo stesso di materiale tufaceo per la realizzazione di un parcheggio (Cass., pen., sez. III, 9 gennaio 2008, n. 159);
- sbancamento di una area (Cass., pen., sez. III, 14 gennaio 2002, n. 1172) ;
- esecuzione di lavori nell’alveo di un fiume (Cass., pen., sez. III, 10 giugno 2004, n. 26110);
- scarichi inquinanti che producano manti schiumosi, diversa e anomala colorazione delle acque nonché eventuale moria di pesci nel fiume oggetto di speciale protezione paesistica (Cass., pen., sez. III, 27 aprile 2001, n. 23779);
- realizzazione di un argine, con deviazione delle acque di un fiume (Cass. pen., sez. III, 16 febbraio 2005, n. 5766);
- deposito incontrollato di rifiuti in area sottoposta a vincolo paesaggistico. In tal caso è sussistente sia il reato di cui all’art. 51 del D.Lgs. 22/97 (ora art. 256 D.Lgs. n. 152/06) che quello di cui all’art. 181 D.Lgs. 42/2004 (Cass., pen., sez. III, 11 novembre 2004, n. 43955);
- realizzazione di una discarica;
- in materia di esercizio di cave.
Deve, però, rilevarsi che i casi più frequenti di applicazione dell’art. 181 concernono le violazioni alla disciplina urbanistico - edilizia, soprattutto in conseguenza della realizzazione di manufatti edilizi ad uso prevalentemente abitativo. Da evidenziare che, in tal caso, l’illecito paesaggistico (art. 181) concorre ed è autonomo rispetto all’illecito edilizio trattandosi di normative che tutelano beni giuridici diversi. Inoltre, deve sottolinearsi che la giurisprudenza ha costantemente ritenuto la tutela paesaggistica autonoma e distinta rispetto alle materie dell’urbanistica e delle aree protette tant’e che la mancanza di autorizzazione paesistica comporta la inefficacia e la validità (con l’entrata in vigore del Decreto Sviluppo) del permesso di costruire :
“(…) Il c.d. delitto paesaggistico di cui all'art. 181, c. 1-bis, del d.lgs. n. 42/2004 rappresenta una figura autonoma di reato e non un'ipotesi di reato circostanziato del reato base di cui al comma 1 del medesimo articolo. Di fatti il legislatore ha ritenuto di sanzionare più severamente quelle condotte che sono state ritenute maggiormente offensive, del bene tutelato dell'integrità ambientale, consistenti o in lavori di qualsiasi genere eseguiti su immobili o aree tutelate già in precedenza con apposito provvedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico, ovvero in lavori di consistente entità (come determinata con i parametri richiamati dalla lettera b) del citato comma) che ricadono su immobile o aree tutelate per legge ai sensi dell'art. 142 dello stesso corpus normativo. (…)” (CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 25/02/2011 , Sentenza n. 7216)
“(…) La contravvenzione punita dall'articolo 734 C.P. e quella contemplata dall'articolo 181 D.Lv. 42/2004 possono pacificamente concorrere tra loro in quanto quella prevista dal Codice dei beni culturali e del paesaggio sanziona penalmente la violazione del divieto di intervento in determinate zone senza la preventiva autorizzazione, mentre la contravvenzione prevista dal codice penale presuppone l’effettivo danneggiamento delle zone protette. L’articolo 181 D.Lv. 42/2004, il quale si pone in sostanziale continuità con la previgente Legge 431/1985 e la normativa introdotta con il D.Lv. 490/1999 ora abrogato, contempla un reato formale e di pericolo che si perfeziona, indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio, con la semplice esecuzione di interventi non autorizzati idonei ad incidere negativamente sull’originario assetto dei luoghi sottoposti a protezione. E’ di tutta evidenza, attesa la posizione di estremo rigore del legislatore in tema di tutela del paesaggio, che assume rilevo, ai fini delle configurabilità del reato contemplato dal menzionato articolo 181, ogni intervento astrattamente idoneo ad incidere, modificandolo, sull’originario assetto del territorio sottoposto a vincolo paesaggistico ed eseguito in assenza o in difformità della prescritta autorizzazione (…)” (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 17.04.2012 n. 14746).
Conclusivamente, si rileva che anche nel caso di mutazione abusiva di destinazione d’uso di un sottotetto da locale di sgombero ad abitazione e/o la realizzazione di un vano interrato poiché, costituiscono superfici utile e volume il primo, e solo superficie utile il secondo, è precluso il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria secondo la precedura dell’art. 181 comma 1 ter del Dec.Lgs. 42/04 atteso che siffatti interventi eseguiti in assenza della prescritta autorizzazione, sono idonei ad incidere, modificandolo, sull’originario assetto del territorio sottoposto a vincolo paesaggistico.
Antonio Verderosa
1 In motivazione la Corte, in una fattispecie relativa all’abusiva realizzazione in zona vincolata di una veranda, di due locali seminterrati e delle scale necessarie per raggiungerli ha precisato che la “sanatoria” paesaggistica va esclusa in tutti i casi in cui la creazione di superfici utilli o di volumi, ovvero l’aumento di quelli legittimamente realizzati, sia idoenea a determinare una compromissione ambientale.
2 Il volume dell’edificio viene calcolato sommando i prodotti della superficie di ciascun piano, delimitata dal perimetro esterno della muratura, per l’altezza al piano stesso. Sono esclusi dal calcolo del volume di cui al comma precedente:
a) il volume entro terra, misurato rispetto alla superficie del terreno circostante, definita secondo la sistemazione prevista dal progetto approvato, salvo che il volume medesimo sia destinato ad attività produttive;
b) i volumi tecnici ovunque ubicati strettamente necessari a contenere e consentire l'accesso ad impianti tecnici al servizio dell'edificio quali locali raccolta rifiuti, lavatoi, stenditoi, extracorse degli ascensori, serbatoi idrici, impianto di riscaldamento e relativi vasi di espansione, canne fumarie e di ventilazione ed impianti tecnologici in genere;
c) quelli relativi a superfici coperte ma non tamponate (pilotìs); d) i portici e le porzioni di porticato, i balconi, i parapetti, i cornicioni, le pensiline e gli elementi a carattere ornamentale.
3 “(…) La nozione di superficie utile va individuata, in mancanza di specifica definizione, con riferimento alla finalità della disposizione che la contempla e, per quanto riguarda la disciplina paesaggistica, deve ritenersi che tale concetto vada individuato prescindendo anche dai criteri applicabili per la disciplina urbanistica, che ha oggettività giuridica diversa [e che la lettera a) del comma 1-ter dell'articolo 181 D.Lv. 42/2004 non richiama espressamente, diversamente da quanto avviene per quelli di cui alla successiva lettera c)] ed in senso ampio, considerando l'impatto dell'intervento sull'originario assetto paesaggistico del territorio, cosicché dovrà escludersi la speciale sanatoria stabilita dall'articolo 181 in tutti quei casi in cui la creazione di superfici utili o volumi o l'aumento di quelli legittimamente realizzati siano idonei a determinare una compromissione ambientale (…)” (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 13.01.2012 n. 889)
4 In tema vedi Cass., pen., sez. III, 02 agosto 2004, n. 33186, secondo cui, in tema di tutela di aree sottoposte a vincoli, la modificazione o l’allargamento di una preesistente strada deve essere preceduta dal rilascio di permesso di costruire e dall’autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, atteso che trattasi di modificazione ambientale di carattere stabile, in assenza delle quali si configurano i reati di cui agli artt. 44 D.P.R. n. 380/2001 e 181 D.Lgs. n. 42/2004. Cfr. anche Cass., pen., sez. III, 03 febbraio 2005, n. 3725, che ritiene configurata la violazione dell’art. 181 del D.Lgs. 42/2004 allorchè venga trasformato un preesistente sentiero mulattiera in una strada sterrata, atteso che tale trasformazione, idonea a consentire il passaggio di mezzi meccanici, da un lato non può essere ritenuta attività di manutenzione e dall’altro integra una immutazione stabile dello stato dei luoghi.
5 Secondo Cass., pen., sez. III, 22 aprile 2004, n. 18695, in materia paesaggistica il taglio del bosco eseguito con tecnica a raso e non colturale, configura il reato di cui all’art. 181 D.Lgs. n. 42/2004; sostanzialmente, nello stesso senso, Cass., pen., sez. III, 31 agosto 2004, n. 35689, la quale afferma che la asportazione totale del soprassuolo boschivo e la sua successiva aratura configurano il reato di cui all’art. 181 D.Lgs. n. 42/2004, atteso che solo la eliminazione parziale delle piante può essere ricompresa tra le attività agro-silvo-pastorali, consentite dall’art. 139 del citato decreto, e sempre che il taglio colturale venga compiuto per il miglioramento del bosco. In ordine alla nozione di bosco v. Cass., pen., sez. III, 15 dicembre 2004, n. 48118, secondo cui alla suddetta nozione non può essere ricondotta ogni diversa tipologia della cosiddetta “macchia mediterranea”, atteso che solo quella interessata dalla predominanza, rispetto ai sottostanti cespugli, di alberi di medio fusto o di essenze arbustive ad elevato sviluppo, qualificata quale macchia alta, rientra in senso naturalistico nel concetto di bosco, con esclusione di quelle altre forme di macchia qualificate quali macchia bassa o macchia rada. In relazione alla nozione di bosco vedi anche Cass., pen., sez. III, 23 gennaio 2007, n. 1874, che afferma: “La nozione di bosco ai fini della individuazione dei territori boschivi protetti dal vincolo paesaggistico è stata definita nel comma 6 dell’art. 2 del D.Lgs. 18.5.2001 n. 227, e coincide con ogni terreno coperto da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, da castagneti, sughereti o da macchia mediterranea, purché avente estensione non inferiore a 2.000 metri quadrati, larghezza media non inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al 20 per cento. Inoltre, sono assimilati al bosco i fondi gravati dall’obbligo di rimboschimento per fini di tutela ambientale, nonché le radure e le altre superfici di estensione inferiore a 2.000 metri quadrati che interrompono la continuità della nozione di bosco.”