Consiglio di Stato Sez. IV n. 4213 del 12 ottobre 2016
Beni Ambientali. Fiumi torrenti e corsi d'acqua
Laddove la norma definisce vincolati ex lege “…i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775”, essa va intesa nel senso che l’iscrizione nei detti elenchi ha valore costitutivo della pubblicità solo per i “corsi d’acqua” di dimensioni minori, e non anche per i “fiumi” e i “torrenti”, per i quali la pubblicità discende dalla loro stessa natura (arg. ex art. 822 cod. civ.) e l’eventuale iscrizione ha un valore meramente ricognitivo
Pubblicato il 12/10/2016
N. 04213/2016REG.PROV.COLL.
N. 01236/2014 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello nr. 1236 del 2014, proposto dal signor Gianpaolo RIGHETTI, in proprio e quale legale rappresentante della AZIENDA AGRICOLA LE RIPE, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Cosimo Cuppone, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, piazza d’Ara Coeli, 1,
contro
- il COMUNE DI PASSIRANO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Ciso Gitti e Ilaria Romagnoli, con domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, via Livio Andronico, 24;
- il MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento e/o la riforma
della sentenza del T.A.R. della Lombardia, Sezione staccata di Brescia, Sezione Prima, nr. 973 del 15 novembre 2013, notificata in data 28 novembre 2013, con cui è stato respinto il ricorso nr. 1006/2006 promosso dall’odierno appellante avverso l’ordinanza nr. 22/2006, prot. 5009/F, del Comune di Passirano, con la quale è stato annullato il permesso di costruire nr. 51/2004, rilasciato il 22 marzo 2005 dallo stesso Comune, nonché avverso ogni altro provvedimento connesso, presupposto e/o conseguente.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Passirano e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali;
Viste le memorie prodotte dall’appellante (in data 15 settembre 2016), dal Comune di Passirano (in data 5 settembre 2016) e dall’Amministrazione statale (in data 5 settembre 2016) a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 6 ottobre 2016, il Consigliere Raffaele Greco;
Uditi l’avv. Ambrogio Papa, su delega dell’avv. Cuppone, per la parte ricorrente, l’avv. Romagnoli per il Comune resistente e l’avv. dello Stato Vittorio Cesaroni, per l’Amministrazione statale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il signor Gianpaolo Righetti, anche nella qualità di legale rappresentante dell’Azienda Agricola Le Ripe, ha impugnato la sentenza con la quale la Sezione staccata di Brescia del T.A.R. della Lombardia ha respinto il ricorso da lui proposto avverso il provvedimento di annullamento in autotutela adottato dal Comune di Passirano su di un permesso di costruire in precedenza rilasciatogli dal medesimo Comune.
A sostegno dell’appello ha dedotto:
1) error in iudicando; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 142, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, nr. 42 (per avere il T.A.R. disatteso l’ampia prova fornita dal ricorrente circa l’insussistenza di vincoli sul c.d. “fosso Longarone”, presente sull’area interessata dal permesso di costruire);
2) error in iudicando; violazione degli artt. 7 e 8 della legge 7 agosto 1990, nr. 241 (in relazione alla reiezione della doglianza afferente alla violazione delle garanzie partecipative dell’interessato nel procedimento di autotutela posto in essere dall’Amministrazione comunale);
3) error in iudicando; violazione dell’art. 21-nonies della legge nr. 241/1990 e del principio del legittimo affidamento; violazione del principio di proporzionalità (in relazione alla reiezione della censura con cui si era denunciata la carenza di un interesse pubblico attuale all’intervento in autotutela, nonché il mancato rispetto di un termine ragionevole rispetto al provvedimento annullato ed infine la non necessità della misura cassatoria rispetto allo scopo perseguito, atteso che il vincolo in ipotesi accertato non era comunque assoluto);
4) error in iudicando in relazione alla violazione e/o falsa applicazione degli artt. 142, comma 1, lettera c), 146 e 159 del d.lgs. nr. 42/2004, nonché dell’art. 21-octies, comma 2, della legge nr. 241/1990 (con riguardo alla circostanza che in ogni caso il Comune, ente delegato al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, aveva valutato il progetto dell’intervento anche sotto tale profilo);
5) error in iudicando per violazione degli artt. 2043, 2697 e 2727 cod. civ. ed in procedendo, per violazione degli artt. 30, 63 e 64 cod. proc. amm. (con riferimento alla reiezione della domanda risarcitoria articolata in primo grado in una a quella di annullamento).
Si è costituito il Comune di Passirano il quale, oltre a opporsi con diffuse argomentazioni all’accoglimento dell’appello, ha riproposto le eccezioni preliminari, a suo dire non esaminate dal T.A.R., di inammissibilità del ricorso per omessa impugnazione degli atti presupposti costituiti dagli atti della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio territorialmente competente e della Regione Lombardia segnalanti l’esistenza del vincolo paesaggistico a causa della presenza in loco del c.d. “torrente Longarone”.
Si è costituito anche il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, a sua volta argomentando nel senso dell’infondatezza del gravame e instando per la conferma della sentenza impugnata.
Con successive memorie, le parti hanno ulteriormente sviluppato le rispettive tesi, e in particolare l’appellante, con riferimento alle eccezioni preliminari del Comune, ne ha dedotto l’inammissibilità trattandosi di eccezioni formulate per la prima volta nel presente grado di appello, in violazione del divieto di cui all’art. 104, comma 1, cod. proc. amm.
All’udienza del 6 ottobre 2016, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’odierno appellante, signor Gianpaolo Righetti, ha chiesto e ottenuto nel 2005 un permesso di costruire per la realizzazione nel Comune di Passirano di manufatti da mettere al servizio dell’azienda agricola di cui è titolare, intervento per il quale ha contestualmente chiesto e ottenuto un finanziamento da parte della Regione Lombardia.
L’inizio dei lavori è stato comunicato solo in data 16 marzo 2006, a causa dei tempi lunghi occorsi per l’ammissione al suindicato finanziamento.
Tuttavia, in data 5 aprile 2006, la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Brescia, Cremona e Mantova, in risposta a un quesito formulato dall’Amministrazione comunale, ha rappresentato che il torrente Longarone, che attraversa il suolo interessato dall’intervento assentito, è da considerarsi vincolato ai sensi dell’art. 142, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, nr. 42, anche in relazione all’art. 1, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, nr. 36.
Nello stesso senso si è espressa la Regione Lombardia, cui il Comune aveva chiesto un ulteriore parere, evidenziando che il “torrente” in questione risultava inserito nel “reticolo idrico principale” regionale individuato con delibera della Giunta Regionale nr. 7 del 1 agosto 2003, con conseguente divieto di edificazione in una fascia di mt 10 dai “piedi degli argini”.
Pertanto, con ordinanza del 20 aprile 2006, l’Amministrazione comunale ha intimato la sospensione dei lavori (poi intempestivamente sollecitata dalla stessa Soprintendenza, con nota ricevuta dal Comune il 21 successivo); ha fatto seguito, in data 15 maggio 2006, l’annullamento d’ufficio del permesso di costruire, motivato con la mancata previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica.
2. Avverso tale ultimo provvedimento l’interessato è insorto col ricorso instaurativo del presente giudizio, che però l’adìto T.A.R. della Lombardia ha respinto con la sentenza che forma oggetto dell’odierna impugnazione.
3. La ricostruzione in fatto che precede, corrispondente a quanto evincibile dagli atti e da quella operata dal giudice di prime cure, non risulta contestata dalle parti costituite per cui, vigendo la preclusione di cui all’art. 64, comma 2, cod. proc. amm., deve considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto di giudizio.
4. Tutto ciò premesso, può prescindersi dall’esame delle eccezioni preliminari qui riproposte dal Comune appellato (e, quindi, anche dalla correlativa eccezione di loro inammissibilità per violazione del divieto di nova in appello), in quanto l’appello si appalesa infondato nel merito.
5. Con il primo mezzo parte istante assume, in critica alle opposte conclusioni del primo giudice, che nell’area interessata dal permesso di costruire non sussisterebbe alcun vincolo riconducibile alla previsione dell’art. 142, comma 1, lettera c), del d.lgs. nr. 42/2004 in materia di acque pubbliche; tanto afferma sulla scorta di un’analitica dimostrazione della carenza del requisito dell’iscrizione del c.d. “torrente Longarone” (o “Longherone”) negli elenchi delle acque pubbliche, nonché dell’affermazione della sua non riconducibilità alla nozione di “torrente”, trattandosi di corso d’acqua di modesta entità, quasi costantemente in secca.
5.1. Il motivo è infondato, ancorché sul punto i rilievi del primo giudice vadano parzialmente corretti.
5.1.1. E, difatti, nella sentenza impugnata la sussistenza del vincolo viene affermata, senza approfondimento della questione sostanziale della natura e qualificazione del più volte citato “torrente Longarone”, sulla base del dato formale dell’effettiva iscrizione di detto corso d’acqua negli elenchi delle acque pubbliche di cui al r.d. 11 dicembre 1933, nr. 1775, nella specie desunta dall’essere esso inserito – come già accennato – nel “reticolo idrico principale” definito dalla Regione Lombardia con apposita deliberazione.
5.1.2. Tuttavia, tale ultimo dato non è dirimente ai fini che qui rilevano, potendo ritenersi efficacemente e convincentemente dimostrato, sulla scorta delle allegazioni dell’odierno appellante, da un lato che il suindicato “reticolo” ricomprende plurime tipologie di corsi d’acqua, indipendentemente dalla loro iscrizione o meno negli elenchi di cui al r.d. nr. 1775/1933 (con i quali, dunque, non ha nulla a che fare), per altro verso che dalla documentazione versata in atti non emerge l’attestazione positiva dell’effettiva iscrizione del torrente de quo negli elenchi in questione.
5.2. Se questo è vero, dunque, l’attenzione deve spostarsi sul dato sostanziale della qualificazione da dare del menzionato torrente, da questa discendendo rilevanti conseguenze quanto alla sua possibile inclusione fra le acque pubbliche, e quindi alla sottoposizione al vincolo ex lege di cui al precitato art. 142, comma 1, lettera c), d.lgs. nr. 42/2004.
5.2.1. Al riguardo, va innanzi tutto richiamata la convincente esegesi che questo Consiglio di Stato ha fornito delle disposizioni, di contenuto identico a quella da ultimo richiamata, in vigore anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. nr. 42/2004, e segnatamente dell’art. 146, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 29 ottobre 1999, nr. 490 (a sua volta riproduttivo dell’art. 82, comma 5, lettera c), del d.P.R. 24 luglio 1977, nr. 616, introdotto dal decreto-legge 27 giugno 1985, nr. 312, convertito dalla legge 8 agosto 1985, nr. 431); in particolare, laddove la norma definisce vincolati ex lege “…i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775”, essa va intesa nel senso che l’iscrizione nei detti elenchi ha valore costitutivo della pubblicità solo per i “corsi d’acqua” di dimensioni minori, e non anche per i “fiumi” e i “torrenti”, per i quali la pubblicità discende dalla loro stessa natura (arg. ex art. 822 cod. civ.) e l’eventuale iscrizione ha un valore meramente ricognitivo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 4 febbraio 2002, nr. 657).
5.2.2. Pertanto, una volta escluso che il “torrente Longarone” sia pubblico perché iscritto negli appositi elenchi, occorre verificare se esso possa definirsi comunque pubblico perché rientrante effettivamente nella categoria dei “torrenti” ai sensi della vigente normativa: in caso di risposta positiva a tale interrogativo, ne discenderebbe effettivamente anche l’assoggettamento al vincolo paesaggistico ex lege di cui al ricordato art. 142, comma 1, lettera c), d.lgs. nr. 42/2004.
5.3. Sul punto, è a dirsi che l’assunto dell’odierno appellante, secondo cui si tratterebbe di un corso d’acqua dalla scarsissima portata d’acqua e quasi perennemente in secca, non appare assistito da adeguato supporto probatorio, ed è anzi smentito dagli opposti elementi allegati dall’Amministrazione comunale.
In particolare, l’argomentazione di parte istante è confortata da apposita relazione tecnica prodotta in primo grado, nella quale però la conclusione suesposta è ancorata esclusivamente a dati testuali o formali, quali la mancata inclusione del Longarone nel Piano territoriale regionale e la denominazione di “fosso” impiegata per identificarlo in alcune cartografie ufficiali.
Al contrario, il Comune ha allegato documentazione attestante la rilevante portata d’acqua che il corso d’acqua in questione registra in determinate stagioni dell’anno, essendo in tali periodi interessato da fenomeni alluvionali anche di notevole entità: il che, al di là di ogni dato astratto o testuale, è sufficiente a ritenere in concreto fondata la sua riconducibilità alla nozione di “torrente”, senza necessità di ulteriori approfondimenti istruttori in proposito.
5.4. In conclusione, ed a parziale rettifica della motivazione censurata, va confermata la sussistenza del vincolo paesaggistico in loco, a cagione della presenza di un corso d’acqua del quale deve ritenersi allo stato provata la natura di “torrente” ai sensi della vigente classificazione delle acque pubbliche.
6. Infondato, poi, è il secondo motivo d’appello, col quale l’istante reitera la doglianza di violazione dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, nr. 241, per omissione della comunicazione di avvio del procedimento di autotutela e delle altre e connesse garanzie partecipative stabilite a suo favore.
Al riguardo, la Sezione reputa invero recessiva la questione – su cui invece si è soffermato il primo giudice – se il provvedimento di sospensione cautelare precedentemente notificato all’odierno appellante potesse de facto tener luogo della comunicazione imposta dal richiamato art. 7, potendo piuttosto richiamarsi il disposto del comma 2 di tale norma, nella parte in cui stabilisce che: “…Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
Infatti, una volta acclarato, alla stregua dei rilievi svolti al punto che precede, che nella specie certamente sussisteva il vincolo paesaggistico affermato dall’Amministrazione comunale, risulta palese che in nulla le opposte deduzioni dell’interessato avrebbero potuto modificare le conclusioni raggiunte in punto di necessità dell’autorizzazione paesaggistica.
Peraltro, non è contestato in fatto che nella specie il provvedimento di sospensione dei lavori contenesse almeno parte del contenuto tipico della comunicazione di avvio del procedimento (in particolare, il preannuncio dell’avvio di un’istruttoria intesa a un possibile ritiro in autotutela del permesso di costruire e l’invito a produrre memorie entro un termine stabilito), né che in concreto l’odierno appellante abbia poi fatto pervenire le proprie osservazioni e che queste siano state esaminate dal Comune; di modo che non è inconferente il richiamo al consolidato indirizzo che impone di interpretare l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento in modo non formalistico, escludendo che la sua omissione abbia efficacia viziante quante volte lo scopo sia stato comunque raggiunto e l’interessato abbia potuto partecipare al procedimento stesso (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. III, 23 febbraio 2015, nr. 896; id., sez. V, 14 ottobre 2014, nr. 5062; id., 15 luglio 2013, nr. 3803; id., 9 aprile 2013, nr. 1950).
7. Destituito di fondatezza è pure il terzo mezzo, col quale è reiterata la doglianza di violazione dei principi in materia di autotutela rivenienti dall’art. 21-nonies della legge nr. 241/1990, al riguardo potendosi sinteticamente osservare:
a) che l’interesse pubblico alla rimozione del titolo edilizio riposava nell’accertata necessità, ancorché emersa ex post, della previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica;
b) che nemmeno può dirsi disatteso il dovere dell’Amministrazione di rispettare un “termine ragionevole” a tutela della posizione soggettiva della parte privata, imposto dal precitato art. 21-nonies (nella versione ratione temporis applicabile alla fattispecie che qui occupa), ove si consideri che, al di là del tempo decorso dal rilascio del permesso di costruire, i lavori erano stati di fatto avviati solo in data 17 marzo 2006, e che pertanto, essendo la sospensione intervenuta dopo poco più di un mese (20 aprile 2006), alcun consistente affidamento poteva dirsi formato in capo al beneficiario del titolo.
Quanto all’ulteriore deduzione secondo cui l’Amministrazione avrebbe omesso di valutare soluzioni alternative, tenuto conto del carattere non assoluto ma relativo del vincolo in questione (superabile, quindi, attraverso l’avvio dell’iter per l’ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica) e del fatto che la carenza del titolo paesaggistico incide sull’efficacia del titolo edilizio e non sulla sua validità, al riguardo il Comune ha eccepito l’inammissibilità della doglianza, per violazione del divieto di domande nuove di cui all’art. 104, comma 1, cod. proc. amm.
L’eccezione è fondata, atteso che dall’esame del ricorso di primo grado effettivamente non si rinviene il rilievo qui in esame, che deve essere dunque qualificato come un vero e proprio motivo nuovo, formulato per la prima volta in appello, e non già come mera specificazione delle censure già articolate, nella misura in cui si richiama a un diverso e ulteriore fondamento giuridico (l’autonomia fra i due procedimenti, edilizio e paesaggistico) per inferirne un vizio del provvedimento impugnato non dedotto in primo grado.
In ogni caso, la doglianza è anche infondata nel merito, risolvendosi nella sostanza nel pretendere che l’Amministrazione comunale si limitasse a una sospensione sine die del permesso di costruire, ciò che è manifestamente incompatibile con i principi in materia di potere cautelare della p.a. (oltre che contrario all’interesse pubblico); peraltro, qualora l’odierno istante avesse avuto realmente intenzione di sanare il vizio munendosi dell’autorizzazione paesaggistica, avrebbe avuto agio di farlo quanto meno avviando il relativo procedimento durante il periodo di sospensione cautelare del permesso (ciò che non ha fatto, procedendo poi a tale adempimento – come documentato in atti dal Comune - solo tardivamente, e comunque abbandonando l’iter dell’autorizzazione paesaggistica alla prima richiesta di integrazione documentale).
8. Privo di pregio è anche il quarto motivo di appello, col quale l’istante torna a sostenere che nella sostanza l’autorizzazione paesaggistica sarebbe stata rilasciata dal Comune in una al titolo edilizio.
Sul punto, è sufficiente richiamare i condivisibili rilievi dell’Amministrazione in ordine all’autonomia e diversità, sia nella finalità che nell’istruttoria, dei due procedimenti, ancorché in ipotesi le relative competenze possano essere attribuite – come nel caso che occupa – ad un medesimo ente.
9. La reiezione dell’ultimo motivo, col quale è riproposta la domanda risarcitoria formulata in prime cure, segue consequenzialmente all’accertata infondatezza degli altri motivi di gravame.
10. In conclusione, s’impone una pronuncia di reiezione dell’appello e di integrale conferma della sentenza impugnata, sia pure con le precisazioni svolte in motivazione.
Le questioni vagliate peraltro esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 cod. proc. civ., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: cfr. explurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, nr. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, nr. 7663).
Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
11. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate equitativamente in dispositivo in favore del Comune appellato; possono essere invece compensate nei confronti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in considerazione della minor consistenza delle difese spiegate da tale Amministrazione.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna l’appellante al pagamento, in favore del Comune di Passirano, di spese e onorari del presente grado del giudizio, che liquida equitativamente in euro 4.000,00 (quattromila) oltre agli accessori di legge; compensa le spese nei confronti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore
Andrea Migliozzi, Consigliere
Carlo Schilardi, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Raffaele Greco Filippo Patroni Griffi
IL SEGRETARIO