Cass. Sez. 3, n. 28388 del 8 luglio 2016 (CC 14 apr 2016)
Presidente: Rosi Estensore: Andreazza Imputato: Bondanini
Beni ambientali.Sequestro preventivo di struttura abusiva ultimata
In tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, la sola esistenza di una struttura abusiva ultimata non integra i requisiti della concretezza ed attualità del pericolo, in assenza di altri elementi idonei a dimostrare che la disponibilità e l'uso della stessa da parte del soggetto indagato o di terzi possano deteriorare ulteriormente l'ecosistema protetto dal vincolo ambientale e paesaggistico.
RITENUTO IN FATTO
1. B.R. ha proposto ricorso nei confronti della ordinanza del Tribunale del riesame di Roma che ha rigettato l'appello proposto nei confronti del provvedimento della Corte d'Appello di Roma di rigetto di istanza di revoca del sequestro preventivo di immobile per i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181.
2. Con un primo motivo lamenta l'inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità deducendo in particolare che la Corte d'Appello di Roma ha trasmesso al Tribunale del riesame unicamente il provvedimento di rigetto e non anche tutta la documentazione relativa al procedimento amministrativo di sanatoria depositato presso la stessa Corte in data 02/04/2015 e che era finalizzata a dimostrare la compatibilità paesaggistica delle opere realizzate; sicchè il Tribunale avrebbe fatto miglior governo delle norme disponendo rinvio della causa onde sollecitare l'invio degli atti da parte della cancelleria della corte d'appello ovvero al fine di sollecitare alla stessa difesa la produzione della documentazione non allegata al ricorso introduttivo dinanzi al Tribunale del riesame.
3. Con un secondo motivo lamenta poi la manifesta illogicità della motivazione; in particolare, atteso il regolare espletamento dell'iter amministrativo di regolarizzazione edilizia delle opere oggetto dell'imputazione si sarebbero dovute ritenere ormai mancanti le esigenze cautelari essendo stata la pena accessoria di demolizione irrogata dal giudice di prime cure superata dall'accertamento postumo di conformità edilizia espresso dalla P.a.; nè l'uso delle opere realizzate e sanate potrebbe essere tale da mettere a rischio il bene giuridico tutelato, essendo in ogni caso dovuta sul punto, per la necessità del requisito di attualità e concretezza della misura cautelare reale, una motivazione articolata da parte del giudice, nella specie del tutto mancante.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il primo motivo è inammissibile ove si consideri che il presupposto su cui si fonda l'invocata violazione di norma processuale, ovvero la circostanza che la Corte d'Appello avrebbe dovuto trasmettere al Tribunale del riesame la documentazione relativa alla valutazione operata dalla Regione Lazio circa la compatibilità paesaggistica delle opere realizzate, non è nella specie ravvisabile. Infatti, come previsto dall'art. 310 c.p.p., comma 2, come richiamato dall'art. 322 bis c.p.p., comma 2, devono essere trasmessi, al Tribunale dell'appello cautelare, l'ordinanza appellata e gli atti su cui la stessa "si fonda". E in tale concetto non poteva, certamente, rientrare, nella specie, la produzione difensiva effettuata in sede di richiesta di revoca della misura che era quindi onere della difesa stessa allegare all'atto di appello, tanto più avendo la Corte d'Appello unicamente motivato, con affermazione peraltro censurata dal Tribunale, sulla impossibilità di disporre la revoca nelle more del giudizio di appello. Va in ogni caso precisato che tale mancata trasmissione non risulta provvista di sanzione alcuna, atteso che, anche a volere assimilare tra loro "gli atti presentati a norma dell'art. 291, comma 1" (come da art. 309 c.p.p., comma 5) e gli atti su cui appunto si fonda l'ordinanza appellata (come da art. 310 c.p.p., comma 2) l'art. 309 c.p.p., comma 10, che sanziona con l'inefficacia della misura la mancata trasmissione degli atti di cui al comma 5, non è richiamato dall'art. 310 c.p.p. a sua volta richiamato dall'art. 322 bis c.p.p., (cfr. Sez. 3, n. 44013 del 24/09/2015, Buccigrossi, Rv. 265073).
5. Il secondo motivo è invece fondato.
Va ricordato che già le Sezioni Unite di questa Corte ebbero ad affermare, proprio in relazione a manufatti abusivi, che il sequestro preventivo di cosa pertinente al reato è consentito anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi, purchè il pericolo della libera disponibilità della cosa stessa - che va accertato dal giudice con adeguata motivazione - presenti i requisiti della concretezza e dell'attualità e le conseguenze del reato, ulteriori rispetto alla sua consumazione, abbiano connotazione di antigiuridicità, consistano nel volontario aggravarsi o protrarsi dell'offesa al bene protetto che sia in rapporto di stretta connessione con la condotta penalmente illecita e possano essere definitivamente rimosse con l'accertamento irrevocabile del reato.(Sez. U., n. 12878 del 29/01/2003, P.M. in proc. Innocenti, Rv.223721). E successivamente, sulla scia di tale impostazione, si è ulteriormente specificato che è riconosciuta la possibilità di disporre il sequestro preventivo delle opere abusive già ultimate, quindi anche successivamente alla consumazione del reato, allorchè, pur essendo cessata la permanenza, le conseguenze lesive della condotta sul bene protetto possano perdurare nel tempo, ma a condizione che: 1) sussista una prossimità temporale del sequestro rispetto alla realizzazione dell'opera e, conseguentemente, il requisito della attualità e concretezza della misura cautelare reale; 2) sia data una congrua puntuale motivazione sul periculum in mora sotto il profilo della sussistenza delle conseguenze antigiuridiche ulteriori rispetto alla ultimazione dei lavori, derivanti dall'uso del fabbricato (Sez. 4, n. 2389 del 06/12/2013, P.M. in proc. Gullo, Rv. 258182; v., altresì, Sez.3, n.6599/12 del 24/11/2011, Susinno, Rv. 252016; Sez.2, n.17170 del 23/04/2010, De Monaco, Rv. 246854; Sez.4, n.15821 del 31/01/2007, P.M. in proc. Bove e altro, Rv. 236601; Sez.3, n.4745/08 del 12/12/2007, Giuliano, Rv.238783).
Anche con riguardo, poi, ai reati paesaggistici, questa Corte ha di recente sottolineato che la sola esistenza di una struttura abusiva ultimata non integra di per sè i requisiti della concretezza ed attualità del pericolo, in assenza di ulteriori elementi idonei a dimostrare che la disponibilità della stessa, da parte del soggetto indagato o di terzi, possa implicare una effettiva lesione dell'ambiente e del paesaggio (Sez. 3, n. 48958 del 13/10/2015, Giordano, Rv. 266011).
Tale indirizzo va ribadito: non è infatti dato comprendere perchè la valutazione dell'attualità delle esigenze, da ancorare in concreto, come appena visto sopra con riguardo agli illeciti urbanistici, una volta ultimate le opere, ad una effettiva lesione del bene giuridico, dovrebbe, in caso di opere realizzate in zona vincolata, e per il solo fatto che, dunque, la lesione attingerebbe anche il profilo paesaggistico, esaurirsi nella sola constatazione di opera insediata in un tale contesto.
Nè si comprende, sotto il profilo logico, se il parametro di valutazione è quello della concreta lesione del bene in rapporto alla avvenuta consumazione della condotta illecita, perchè la sola diversa natura del bene (ambientale paesaggistico in luogo di quello meramente urbanistico) dovrebbe comportare una diversa soluzione rispetto a quella, sostanzialmente incontrastata, adottata da questa Corte con riguardo ai reati edilizi, salva restando, naturalmente, la necessità di verificare in maniera più penetrante la compatibilità dell'uso dell'opera rispetto agli interessi tutelati dal vincolo proprio in ragione del peculiare bene giuridico tutelato (Sez. 3, n.40486 del 27/10/2010, P.M. in proc. Petrina ed altro, Rv. 248701).
Sicchè, in adesione all'orientamento sopra richiamato, e rifiutato ogni automatismo tra uso del bene ed alterazione dell'ecosistema che invece pare presiedere alle pronunce orientatesi in senso diverso (Sez. 3, n. 5954 del 15/01/2015, Chiacchiaro, Rv.264370; Sez. 3, n. 42363 del 18/09/2013, Colicchio, Rv. 257526; Sez. 3, n. 24539 del 20/03/2013, Chiantone, Rv.255560; Sez. 2, n. 23681 del 14/05/2008, Cristallo, Rv. 240621), deve ribadirsi la necessità che il giudice dia specifica motivazione, in caso di opere ultimate, dell'attualità delle esigenze cautelari nel senso appena ricordato.
Nella specie, dunque, a fronte della prospettata ultimazione dei lavori, il Tribunale non avrebbe dovuto limitarsi, come invece ha fatto, con motivazione del tutto apparente e perciò sindacabile in questa sede, a rilevare semplicemente la "immanenza della tutela dell'interesse paesaggistico dal quale deriva la sussistenza delle conseguenze antigiuridiche diverse ed ulteriori rispetto alla realizzazione del fabbricato", tanto più non evidenziandosi neppure in cosa, concretamente, sarebbero consistite le opere realizzate, in ordine alla natura ed entità delle quali nulla infatti viene detto dall'ordinanza.
6. L'ordinanza impugnata va pertanto annullata con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame da condurre nel rispetto dei principi sopra enunciati.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma.
Così deciso in Roma, il 14 aprile 2016.
Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2016