Cass.Pen. Sez. III n. 33432 del 31 luglio 2023 (UP 3 lug 2023)
Pres. Ramacci Rel. Scarcella Ric. Esposito
Aria.Attività di autofficina meccanica
La disciplina delle emissioni in atmosfera di impianti ed attività, cui è riconducibile anche un’attività di un’autofficina meccanica, è contenuta nel Titolo I della Parte V del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (cd. Testo Unico Ambientale), che, peraltro, all’articolo 280, rispettivamente alla lettera a) e alla lettera h), ha abrogato il D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, recante l’attuazione delle direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell’aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali; e il D.P.R. 25 luglio 1991, recante le modifiche dell’atto di indirizzo e coordinamento in materia di emissioni poco significative e di attività a ridotto inquinamento atmosferico. Quest’ultimo decreto abrogato presentava 2 Allegati, che contenevano, il primo, l’elenco delle attività ad inquinamento poco significativo (che già ricomprendeva l’attività in esame), il secondo l’elenco di quelle a ridotto inquinamento atmosferico. A poco meno di tre anni dall’entrata in vigore del D. Lgs. n. 183/2017, che aveva già ampiamente modificato la parte quinta del D. Lgs. n. 152/2006, è intervenuto il D. Lgs. n. 102/2020, che ha apportato ulteriori e importanti novità, ed in particolare, per quello che qui rileva, alla disciplina delle emissioni cosiddette “scarsamente rilevanti ai fini dell’inquinamento atmosferico”. Alla luce del revisionato testo normativo, l’attività di autofficina meccanica non necessita dell’autorizzazione per quanto riguarda le emissioni in atmosfera, essendo inclusa tra quelle ad emissione scarsamente rilevante, ai sensi dell’art. 272, comma 1, del T.U. Ambientale. Tale disposizione, infatti, rubricata con il titolo “Impianti ed attività in deroga”, al comma 1, stabilisce: «Non sono sottoposti ad autorizzazione di cui al presente titolo gli stabilimenti in cui sono presenti esclusivamente impianti e attività elencati nella parte I dell’Allegato IV alla parte quinta del presente decreto. L’elenco si riferisce a impianti e ad attività le cui emissioni sono scarsamente rilevanti agli effetti dell’inquinamento atmosferico».
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza pronunciata il 26 giugno 2020, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, riqualificato il reato di cui al capo a), riconosciute le circostanze attenuanti generiche e ritenuta la continuazione, ha condannato l’imputato ESPOSITO TULLIO per i reati a lui contestati (art. 256 D.lgs. 152/06 perché, in qualità di titolare di officina adibita ad autocarrozzeria, sita in Mondragone alla via Eccidio delle Cementare, loc. Triglione, effettuava all’interno dei locali adibiti alla predetta attività, un deposito incontrollato di rifiuti speciali derivanti dalla lavorazione dell’officina, costituiti da parti di autovetture, carta, fogli di giornale, barattoli e scarti di plastica; reato p. e p. dall’art. 279 D.lgs. 152/06 perché, nella qualità indicata al capo che precede, esercitava l’attività di autocarrozzeria in assenza della prescritta autorizzazione), contestati come commessi in data 14.02.2018, alla pena di euro 4.000,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, e, riconosciuto il beneficio della sospensione condizionale della pena, ha disposto la confisca e la distruzione dei beni in sequestro.
2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il predetto propone ricorso per cassazione tramite il difensore di fiducia, deducendo quattro motivi, di seguito sommariamente indicati.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge per il mancato esperimento della procedura di definizione amministrativa ex art. 318-bis D. lgs. n. 152/2006.
Premesso che l’art. 318-bis D. lgs. 152/2006 disciplina la procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia ambientale, rileva il ricorrente che tale procedura costituisce una condizione di procedibilità dell’azione penale. Le condotte contestate all’imputato, trattandosi di reati contravvenzionali commessi successivamente all’entrata in vigore dell’art. 318 bis, rientrerebbero nel catalogo per il quale si sarebbe dovuto procedere preventivamente all’esperimento della suddetta procedura di definizione amministrativa. Per questa ragione, il Giudice di primo grado avrebbe dovuto verificare se vi fosse la prova dell’esperimento della procedura e tale verifica, nel caso di specie, sarebbe stata invece omessa. La mancata valutazione circa l’assenza di tale causa di procedibilità imporrebbe pertanto l’annullamento senza rinvio della sentenza.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge e correlato vizio di manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 279 e 272 D. lgs. n. 152/2006.
Posto che l’imputato è stato condannato per aver esercitato l’attività di autocarrozzeria senza autorizzazione, si censura la sentenza impugnata in quanto l’istruttoria dibattimentale avrebbe consentito di accertare che l’attività esercitata dall’imputato fosse in realtà quella di officina di riparazione meccanica, e non invece di autocarrozzeria e ciò emergerebbe dalla lettura della sentenza impugnata. La corretta individuazione dell’attività esercitata dall’imputato costituirebbe una circostanza dirimente, in quanto l’art. 272 D. lgs. 152/06, derogando all’obbligo di autorizzazione preventiva per le sole attività le cui emissioni siano scarsamente rilevanti, dispone che non sono sottoposti ad autorizzazione gli stabilimenti in cui sono presenti impianti ed attività elencati nella parte I dell'allegato IV. Dall'analisi di tale allegato emergerebbe che alla lettera k) della parte I, tra le attività esentate dall'obbligo di autorizzazione relativa alle emissioni in atmosfera, vi sarebbero le autorimesse e le officine meccaniche di riparazione veicoli, escluse quelle in cui si effettuato operazioni di verniciatura. Pertanto, il ricorrente richiede l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge e correlato vizio di motivazione apparente e contraddittoria in riferimento al mancato riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere il Tribunale escluso la sussistenza della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis c.p. con una motivazione apparente e contraddittoria rispetto alle argomentazioni impiegate per determinare la pena. In particolare, il diniego sarebbe stato motivato ritenendo il fatto non particolarmente tenue e tale da assumere i connotati di una condotta seria e grave, seppur non allarmante. Tuttavia, mancherebbe qualsiasi argomentazione che renda noti i motivi per cui il fatto contestato sia serio e grave, seppur non allarmante. Il predetto vuoto motivazionale si porrebbe in contrasto con la motivazione resa per giustificare il trattamento sanzionatorio, che, in quanto tale, sarebbe idonea ad escludere la gravità oggettiva del fatto-reato, al punto da giustificare la concessione delle circostanze attenuanti generiche e l’irrogazione di una pena contenuta nel minimo edittale, oltre al riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena. Ritenendo sussistenti le condizioni previste dall’art. 131 bis c.p. e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, insiste il ricorrente affinché la Corte di Cassazione applichi la causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p., senza necessità di disporre l’annullamento con rinvio.
2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di violazione di legge in riferimento all’immotivata confisca disposta a norma dell’art. 240 c.p.
Deduce la difesa che nel caso di specie non potrebbe essere applicata la confisca obbligatoria, in quanto il D. lgs. n. 152/06 non prevede la confisca obbligatoria per i reati contestati all’imputato, riservando tale misura soltanto alle ipotesi di discarica abusiva di cui all’art. 256, co. 3. Nel caso di specie, l’unica ipotesi di confisca applicabile sarebbe stata quella facoltativa ai sensi dell’art. 240, co. 1 c.p., la quale, però, richiede una puntuale motivazione circa la particolare e diretta correlazione tra la cosa e il reato, in base alla quale viene espresso il giudizio di pericolosità derivante dal mantenimento della cosa medesima nella disponibilità dell'imputato. Si osserva, a tal proposito, che la motivazione sul punto sarebbe inesistente. Peraltro, il ricorrente evidenzia come gli arnesi sequestrati non si pongano affatto in rapporto di diretta correlazione con la commissione dei reati contestati e che, inoltre, quanto all'aspetto della probabilità del ripetersi di un'attività punibile, l’immotivata confisca contrasterebbe apertamente sia con la determinazione della pena, in misura prossima al minimo edittale, sia con il giudizio di riconoscimento delle attenuanti generiche e del beneficio della sospensione condizionale della pena che, appunto, esprime una prognosi positiva circa la reiterazione dell'illecito.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato in data 3.06.2023 la propria requisitoria scritta, con cui ha chiesto l’annullamento senza rinvio per essere i reati estinti per prescrizione.
Secondo il PG, le doglianze dedotte dal ricorrente, avuto riguardo in particolare al quarto motivo di ricorso, non risultano manifestamente infondate. Come correttamente rilevato nel ricorso, nell’ambito del T.u. ambientale, la confisca è prevista solo nell’ipotesi di trasporto illecito ex art. 256, 258 co. 4 e 259 co. 1 e 2, per quanto riguarda il mezzo di trasporto, oltre che nel caso di discarica abusiva, per quanto concerne l’area ad essa adibita di proprietà dell’autore o del compartecipe del reato, ai sensi dell’art. 256, co. 3 T.U. Ambiente. Per le fattispecie di cui al procedimento non è, invece, prevista alcuna confisca obbligatoria, né si rinviene nella sentenza impugnata alcuna argomentazione a sostegno della relativa statuizione, derivandone una violazione di legge rilevabile in sede di legittimità.
L’ammissibilità del ricorso impone di rilevare l’intervenuto decorso del termine massimo di prescrizione alla data del 14.12.2023 (rectius, 14.02.2023). Non ricorrono, infine, né risultano dedotti vizi di violazione di legge ovvero carenze motivazionali di evidenza e immediata percezione tali da giustificare una pronuncia assolutoria ex art. 129, co. 2 c.p.p.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, trattato cartolarmente ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137/2020 e succ. modd. ed integr., è fondato per le ragioni di cui si dirà oltre.
2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Se è ben vero che la procedura di regolarizzazione introdotta dalla l. 68 del 2015 per le contravvenzioni ambientali partecipa delle caratteristiche previste dalla disciplina dettata dal D.lgs. n. 758 del 1994 per le contravvenzioni in materia di infortuni sul lavoro, è altrettanto vero che, come già affermato da questa Corte a proposito di tale ultima procedura estintiva, che, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina dettata dagli artt. 20 e ss. del D.lgs. n. 758 del 1994 (e considerazioni analoghe valgono per la disciplina introdotta dagli artt. 318-bis e segg., D. lgs. n. 152 del 2006, attesa l’identità di ratio legislativa che vi è sottesa), la formale assenza della procedura estintiva non può condizionare l'esercizio dell'azione penale nei casi in cui, legittimamente, l'organo di vigilanza ritenga di non impartire alcuna prescrizione di regolarizzazione, tenuto conto che l'imputato può comunque richiedere di essere ammesso all'oblazione, sia in sede amministrativa, sia successivamente in sede giudiziaria e nella stessa misura agevolata (Sez. 3, n. 7678 del 17/02/2017, Rv. 269140 – 01).
Per tale ragione questa Corte ha già affermato, in identica situazione, che l'omessa indicazione all'indagato, da parte dell'organo di vigilanza o della polizia giudiziaria, ai sensi degli artt. 318-bis e ss. del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, delle prescrizioni la cui ottemperanza è necessaria per l'estinzione delle contravvenzioni, non è causa di improcedibilità dell'azione penale (Sez. 3, n. 49718 del 6/12/2019, Rv. 277468 – 01; da ultimo, Sez. 3, n. 5576 del 9/02/2023, Rogato ed altro, non massimata).
3. Quanto al secondo motivo, pur rilevandosi che la doglianza relativa alla mancata inclusione dell’attività di autoriparazione nell’allegato richiamato dall’art. 272 TU Ambientale non fosse stata dedotta (atteso che l’unica censura sollevata riguardava la mancata sussistenza del reato in quanto al momento dell’accertamento le lavorazioni non erano in corso), deve tuttavia rilevarsi – trattandosi di dover correttamente riqualificare giuridicamente il fatto in relazione alla previsione dell’art. 272 T.U.A. (Sez. 5, n. 23391 del 12/05/2017, Rv. 270144), ciò che rende ragione dell’applicazione dell’art. 609, cod. proc. pen. - che l’attività di autoriparazione (non ovviamente quella di verniciatura), non rientra tra quelle per le quali è necessario ottenere una preventiva autorizzazione all’emissione in atmosfera per le ragioni indicate dalla difesa, circostanza che legittima l’esercizio dell’attività di autoriparazione perché ad inquinamento poco significativo.
3.1. Sul punto, deve essere qui ricordato che la disciplina delle emissioni in atmosfera di impianti ed attività, cui è riconducibile anche un’attività di un’autofficina meccanica, è contenuta nel Titolo I della Parte V del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (cd. Testo Unico Ambientale), che, peraltro, all’articolo 280, rispettivamente alla lettera a) e alla lettera h), ha abrogato il D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, recante l’attuazione delle direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell’aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali; e il D.P.R. 25 luglio 1991, recante le modifiche dell’atto di indirizzo e coordinamento in materia di emissioni poco significative e di attività a ridotto inquinamento atmosferico. Quest’ultimo decreto abrogato presentava 2 Allegati, che contenevano, il primo, l’elenco delle attività ad inquinamento poco significativo (che già ricomprendeva l’attività in esame), il secondo l’elenco di quelle a ridotto inquinamento atmosferico. A poco meno di tre anni dall’entrata in vigore del D. Lgs. n. 183/2017, che aveva già ampiamente modificato la parte quinta del D. Lgs. n. 152/2006, è intervenuto il D. Lgs. n. 102/2020, che ha apportato ulteriori e importanti novità, ed in particolare, per quello che qui rileva, alla disciplina delle emissioni cosiddette “scarsamente rilevanti ai fini dell’inquinamento atmosferico”.
Alla luce del revisionato testo normativo, l’attività di autofficina meccanica non necessita dell’autorizzazione per quanto riguarda le emissioni in atmosfera, essendo inclusa tra quelle ad emissione scarsamente rilevante, ai sensi dell’art. 272, comma 1, del T.U. Ambientale. Tale disposizione, infatti, rubricata con il titolo “Impianti ed attività in deroga”, al comma 1, stabilisce: «Non sono sottoposti ad autorizzazione di cui al presente titolo gli stabilimenti in cui sono presenti esclusivamente impianti e attività elencati nella parte I dell’Allegato IV alla parte quinta del presente decreto. L’elenco si riferisce a impianti e ad attività le cui emissioni sono scarsamente rilevanti agli effetti dell’inquinamento atmosferico».
L’Allegato IV alla parte V del T.U. – Parte I – anch’esso modificato dagli stessi decreti correttivi sopra citati, contiene l’elenco degli impianti e delle attività con emissioni scarsamente rilevanti, nel quale, alla lettera k), è ricompresa, appunto, quella delle autorimesse e delle officine meccaniche di riparazioni veicoli, escluse quelle in cui si effettuano operazioni di verniciatura.
Correttamente, dunque, il ricorrente ha eccepito che, in relazione all’art. 279 TU Ambientale, non ricorressero le condizioni per la sua applicazione, atteso che l’attività riscontrata, come del resto reso palese dalla contestazione di cui all’imputazione (attività di autocarrozzeria), rientrava tra quelle per le quali non è richiesta l’autorizzazione ex art. 272, TU Ambientale, in quanto attività con emissioni scarsamente rilevanti.
3.2. Né, si noti, è più applicabile alla fattispecie in esame il principio, che pure era stato affermato da questa Corte, che, muovendo dal rilievo che le officine meccaniche per la riparazione di autoveicoli, di autocarrozzerie senza verniciatura, di taglio delle lamiere e saldatura e stuccatura sono soggette ad una comunicazione preventiva obbligatoria, a prescindere dalla quantità di emissioni in atmosfera, aveva ritenuto che chi non effettuasse la comunicazione, nei tempi e nelle modalità prescritte dalla deliberazione regionale, fosse soggetto alla sanzione prevista al comma 3, dell’art. 279 del D. Lgs. 152/06 (Sez. III, 11 maggio 2015, n. 19330, non massimata). La sanzione, infatti, richiamava il disposto dell’art. 272, che indica gli impianti e le attività in deroga, per le quali dev’essere effettuata la comunicazione, attraverso il richiamo all’Allegato IV della parte V del T.U.A. Segnatamente, viene in rilievo quanto previsto dalla lett. K del punto 1, parte 1 del predetto allegato, che riguarda gli impianti e le attività di cui all’art. 272, comma primo.
Tale giurisprudenza, tuttavia, non può più considerarsi attuale, atteso che il D.lgs. 30 luglio 2020, n. 102, vigente dal 28 agosto 2020, all’art. 1, lett. g), punto 2, ha apportato modifiche all’art. 279, segnatamente depenalizzando al comma 3, primo periodo, proprio la condotta di chi “mette in esercizio un impianto o inizia ad esercitare un’attività senza averne dato la preventiva comunicazione prescritta ai sensi dell’articolo 269, comma 6, o ai sensi dell’articolo 272, comma 1” (sanzione amministrativa pecuniaria da 500 euro a 2.500 euro). In virtù di tale modifica normativa, se ed in quanto nel caso di specie (sul punto, invero, non vi è alcun accertamento svolto dal giudice di merito) fosse previsto l’obbligo della comunicazione all’autorità competente – dalla normativa regionale – la sua inottemperanza assumerebbe non più rilievo penale, ma solo amministrativo. Nel caso, dunque, di un’officina meccanica, quale attività in deroga ai sensi dell’art. 272, comma 1, del D. Lgs. n. 152/2006, l’omessa comunicazione, laddove richiesta dalla disciplina regionale, sarebbe oggi solo sanzionata amministrativamente ai sensi dell’art. 279, comma 3, come novellato dal D. Lgs. n. 102/2020.
3.3. Quanto al terzo motivo, con cui si contesta la mancata applicazione dell’art. 131-bis, cod. pen., il giudice di merito non ha effettivamente fornito una motivazione adeguata spiegando le ragioni della mancata sussunzione del fatto in un’ipotesi di particolare tenuità, soprattutto alla luce della motivazione successiva svolta in base alla quale ha optato per la sanzione pecuniaria, contenendola pressoché nel minimo edittale, riconoscendo le circostanze attenuanti generiche ed il beneficio della sospensione condizionale. Afferma la sentenza che «il fatto ivi contestato, lungi dall’apparire particolarmente tenue, assume i connotati di una condotta seria e grave, seppur non allarmante» (pag. 5 sent.), senza tuttavia fornire alcuna spiegazione a sostegno di tale affermazione.
Proprio l’esame della motivazione e, segnatamente delle argomentazioni con cui il giudice ha considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell'imputato, alla stregua dell'art. 133 cod. pen., non consentono infatti di ritenere adeguata la giustificazione logico – giuridica espressa dal giudice a sostegno del diniego della predetta causa di non punibilità, ciò che in astratto consentirebbe a questa Corte di riconoscere la predetta causa di non punibilità come richiesto dalla difesa (v. tra le tante: Sez. 6, n. 36518 del 18/12/2020, Rv. 280118 – 02).
Ritiene tuttavia il Collegio che, sia in considerazione della fondatezza del secondo motivo che in ragione della fondatezza del quarto motivo (v. infra) non ricorrano le condizioni per procedere al riconoscimento della predetta causa di non punibilità, essendo sicuramente più favorevole al reo l’adozione della pronuncia di annullamento senza rinvio per insussistenza del fatto, quanto al reato di cui al capo b), e quella di annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione, quanto al reato sub a), in considerazione della rilevata (dal PG) non manifesta infondatezza del quarto motivo.
3.4. Quanto a quest’ultimo, infatti, è incontestato che la confisca è stata disposta con formula apodittica e stereotipata in ragione della tipologia di misura di sicurezza applicabile, che è sicuramente rientrante nell’ipotesi di cui all’art. 240, comma primo, cod. pen., ossia una confisca facoltativa, trattandosi della confisca degli instrumenta delicti, come si evince dalla stessa formula impiegata (“consegue per legge la confisca e la distruzione degli arnesi sottoposti a vincolo”).
E’ pacifico, del resto, nella giurisprudenza di questa Corte che in tema di confisca facoltativa ai sensi dell'art. 240, comma primo, cod. pen., non è sufficiente motivare il provvedimento che la dispone affermando che il bene è servito per commettere il reato, alla luce della natura cautelare della stessa che tende a prevenire la commissione di nuovi reati (Sez. 3, n. 30133 del 15/06/2017, Rv. 270324 – 01). Le "cose che servirono a commettere il reato" sono infatti suscettibili di confisca in funzione di evitare che la loro disponibilità possa favorire la commissione di ulteriori reati, ma tale prognosi va effettuata attraverso l'accertamento, in concreto, del nesso di strumentalità fra la cosa e il reato, in relazione sia al ruolo effettivamente rivestito dalla "res" nel compimento dell'illecito sia alle modalità di realizzazione del reato medesimo (Sez. 3, n. 20429 del 16/05/2014, Rv. 259631 – 01). Accertamento, all’evidenza, del tutto assente nel caso di specie. La confisca deve, conseguentemente, essere revocata da questa Corte.
4. Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente al reato di cui al capo A) perché estinto per prescrizione e relativamente al reato di cui al capo B) perché il fatto non sussiste. Revoca la disposta confisca.
Così deciso, il 3 luglio 2023