Cass. Sez. III n. 46079 del 15 dicembre 2008 (Ud. 8 ott. 2008)
Pres. De Maio Est. Onorato Ric. Ballerio
Beni Ambientali. Ente Parco

E’ irrilevante la tesi secondo cui il reato contravvenzionale di cui agli artt. 13 e 30 della legge 394/1991 non è configurabile per le aree protette regionali, appunto perché il nullaosta di cui all\'art. 13 è previsto solo per le aree protette nazionali. Resta infatti configurabile il reato di cui agli artt. 6 e 30 della stessa legge che - come già detto - riguarda anche le aree protette regionali. L\'Ente Parco, in quanto titolare dell\'interesse alla conservazione e valorizzazione dello specifico patrimonio naturale dell\'area, si configura come persona offesa per il reato di cui agli artt. 6 e 30 della legge 394/1991; e, in quanto ha patito un danno materiale e morale in conseguenza dell\'abusivo intervento edilizio nella stessa area, è soltanto soggetto danneggiato in relazione al reato urbanistico di cui all\'art. 20 lett. c) legge 47/1985 (ora art. 44 lett. C) D.P.R. 380/2001), e al reato paesaggistico previsto dall\'art. 163 del D.Lgs. 490/1999 (ora art. 181 D.Lgs. 42/2004). Per un titolo e/o per l\'altro, quindi, l\'Ente è legittimato a costituirsi parte civile. Il suo diritto al risarcimento del danno è stato motivatamente accertato dai giudici di merito, con riferimento al pregiudizio arrecato dal reato alla conservazione dell\' area protetta, anche se è stato liquidato in via equitativa per l\'impossibilità di accertarne il suo preciso ammontare.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. DE MAIO Guido - Presidente - del 08/10/2008
Dott. ONORATO Pierluigi - est. Consigliere - SENTENZA
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - N. 1982
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - N. 14696/2008
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BALLERIO Anna Maria, nata a Milano il 14.12.1924;
avverso la sentenza resa in data 11.12.2007 dalla Corte d\'appello di Roma;
Vista la sentenza denunciata e il ricorso;
Udita la relazione svolta in pubblica udienza dal Consigliere Dr. Onorato Pierluigi;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Izzo Gioacchino, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso,
Udito il difensore della parte civile, avv. Biz Alessandro, che ha chiesto il rigetto del ricorso e il rimborso delle spese. Osserva:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 - Con sentenza del 6.5.2005 il Tribunale monocratico di Roma dichiarava Anna Maria Ballerio colpevole dei reati di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c), alla L. n. 394 del 1991, artt. 13 e 30 e all\'art. 163 D.Lgs. n. 490 del 1999, perché, attraverso la costruzione in aderenza di un nuovo corpo di fabbrica di circa mq. 110, aveva ampliato un complesso immobiliare preesistente, sito all\'interno del Parco dell\'Appia Antica, e quindi in area naturale protetta e sottoposta a vincolo ambientale, in assenza della prescritta concessione edilizia, del nullaosta dell\'Ente Parco e dell\'autorizzazione dell\'autorità preposta alla tutela del vincolo:
accertati in Roma l\'11.11.2000.
Per l\'effetto, il giudice monocratico aveva condannato l\'imputata alla pena di tre mesi di arresto ed Euro 25.000 di ammenda, col beneficio della sospensione condizionale, ordinando la rimessione in pristino dello stato dei luoghi. L\'aveva altresì condannata al risarcimento dei danni cagionati alla costituita parte civile Ente Parco Appia Antica, liquidati in via equitativa in Euro 20.000,00.
Su impugnazione del difensore dell\'imputata, la Corte d\'appello di Roma, con sentenza dell\'11.12.2007, dichiarava non doversi procedere perché i reati erano ormai estinti per prescrizione, revocando per conseguenza l\'ordine di rimessione in pristino, ma ai sensi dell\'art. 578 c.p.p. confermava le statuizioni civili a favore dell\'Ente Parco. Al riguardo, la corte territoriale escludeva la sussistenza di condizioni evidenti per un immediato proscioglimento nel merito ex art. 129 c.p.p., comma 2; e respingeva la tesi difensiva che escludeva la risarcibilità del danno sul rilievo che alla data dell\'accertamento del reato (11.11.2000) non era stato ancora approvato il nuovo piano e il nuovo regolamento del Parco. 2 - Il difensore della Ballerio ha proposto ricorso per cassazione, deducendo:
2.1 - inosservanza dell\'art. 129 c.p.p., comma 2, laddove la corte di merito non aveva ritenuto evidente che i fatti contestati non costituivano reato, soprattutto perché non aveva considerato i motivi 1.2 e 1.3 dell\'atto di appello, con i quali si sosteneva l\'erroneo accertamento delle dimensione complessiva del manufatto de quo e del tempus commissi delicti;
2.2 - difetto di legittimazione attiva dell\'Ente Parco Appia Antica e comunque difetto di prove specifiche di un danno concreto subito dal medesimo, oltre tutto liquidato in misura esagerata. In sintesi, sostiene che il Parco dell\'Appia Antica è area protetta regionale, istituita con L.R. Lazio n. 66 del 1988, per cui non poteva applicarsi la norma della L. n. 394 del 1991, art. 13, che istituisce l\'obbligo del nullaosta solo con riferimento alle aree naturali protette nazionali (di cui al Titolo 2), e nemmeno quella della citata legge, art. 30 che, al comma 1, prevede la sanzione penale per la violazione della L. n. 394 del 1991, art. 13, e al comma 8, commina la stessa sanzione "anche in relazione alla violazione delle disposizioni di leggi regionali che prevedono misure di salvaguardia in vista della istituzione di aree protette e con riguardo alla trasgressione di regolamenti di parchi naturali regionali".
Sotto quest\'ultimo profilo - argomenta il difensore - le misure di salvaguardia previste dalla citata L.R. n. 66 del 1988, art. 16, da una parte riguardano un\'area protetta contestualmente istituita e non da istituire nel prossimo futuro, dall\'altra sono comunque scadute per effetto della L.R. Lazio 6 ottobre 1997, n. 29, art. 8, comma 2. Per quanto attiene invece alla trasgressione del regolamento del parco, nell\'atto di appello era stata posta in evidenza la mancanza del regolamento, sicché veniva a mancare la disciplina di riferimento in base alla quale l\'Ente Parco avrebbe potuto rilasciare o negare il nullaosta prescritto dal menzionato art. 13. Tanto premesso - conclude il ricorrente - veniva meno la legittimazione dell\'Ente Parco a costituirsi parte civile, nonché il presupposto per l\'insorgenza di un suo diritto al risarcimento del danno. Aggiunge che, mancando il piano del parco e dovendosi ricorrere per conseguenza al piano paesaggistico o ad altri strumenti di pianificazione vigenti, ciò comportava il trasferimento della legittimazione civilistica dall\'Ente Parco al soggetto istituzionale che aveva emanato lo strumento pianificatorio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
3 - Il primo motivo di ricorso (n. 2.1) è manifestamente infondato. La corte territoriale ha fatto buon governo della norma di cui all\'art. 129 c.p.p., comma 2, laddove ha ritenuto che, a fronte della estinzione dei reati per prescrizione, non ricorresse alcuna causa evidente per un proscioglimento nel merito.
Il difensore ricorrente non deduce specifiche evidenze in grado di giustificare l\'invocata assoluzione nel merito, salvo i motivi 1.2 e 1.3 del suo atto di appello, che mettevano in discussione rispettivamente la superficie del manufatto abusivo e il tempo di ultimazione dei reati contestati. Ma è agevole osservare che nessuno dei due elementi messi in discussione - ne\' la dimensione quantitativa, ne\' la collocazione temporale - poteva influire sulla sussistenza oggettiva e soggettiva dei reati, sulla personale responsabilità dell\'imputata o su ogni altra causa di assoluzione nel merito di cui al capoverso dell\'art. 129 c.p.p..
4 - Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso (n. 2.2), con cui il difensore contesta, con dovizia di argomenti, la legittimazione dell\'Ente Parco a costituirsi parte civile, nonché l\'insorgenza di un suo diritto al risarcimento del danno. Va premesso al riguardo che il parco regionale dell\'Appia Antica, dopo una lunga gestazione politica e culturale, in base alla L.R. Lazio n. 46 28 novembre 1977, è stato istituito con L.R. 10 novembre 1988, n. 66, la quale prevede la costituzione di un\'azienda consorziale (tra il comune di Roma, la regione Lazio, la provincia di Roma, i comuni di Marino e Ciampino), alla quale spetta il compito di realizzare e gestire il parco, nonché di emanare il regolamento d\'uso dei beni e delle attrezzature del parco e il regolamento del personale, e di predisporre il piano di assetto urbanistico dell\'area.
La citata L. 10 novembre 1988, art. 16 prevede come misura di salvaguardia che, fino all\'approvazione del piano di assetto, è vietato - tra l\'altro - di eseguire manufatti di qualsiasi genere. Questa misura di salvaguardia - contrariamente alla tesi del ricorrente - è stata rinnovata dalla successiva L.R. 6 ottobre 1997, n. 29, art. 8, comma 3, lett. q) ed r).
Vero è che ai sensi delle citate leggi regionali la violazione delle misure di salvaguardia e in genere dei vincoli del parco è assoggettata a mere sanzioni amministrative. Ma è altrettanto vero che la legge quadro statale sulle aree protette n. 394 del 6.12.1991 configura detta violazione come reato contravvenzionale. Infatti, l\'art. 30, comma 1, della stessa legge punisce con l\'arresto fino a dodici mesi e con l\'ammenda da Euro 103,00 a Euro 25.822 chiunque viola le disposizioni di cui all\'art. 6 (misure di salvaguardia), compresa quella di cui al comma 4 del medesimo articolo, secondo cui "dall\'istituzione della singola area protetta sino all\'approvazione del relativo regolamento operano i divieti e le procedure per eventuali deroghe di cui all\'art. 11". Orbene, l\'art. 11 (regolamento del parco), nel comma 3, vieta "le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio", tra le quali vanno indubbiamente comprese le attività di costruzione di nuovi edifici (tanto più se hanno una superficie superiore ai 100 metri quadri, come quella contestata all\'imputata). Non vale obiettare che l\'art. 11 è compreso nel titolo secondo della legge, e pertanto riguarda le aree naturali protette nazionali, giacché il richiamo fattone nell\'art. 6, comma 3 è compreso nel titolo primo, relativo ai principi generali, e pertanto riguarda anche le aree protette regionali, e in particolare i parchi regionali.
Le considerazioni sopra esposte rendono irrilevante la tesi difensiva secondo cui il reato contravvenzionale di cui alla L. n. 394 del 1991, artt. 13 e 30 non è configurabile per le aree protette regionali, appunto perché il nullaosta di cui all\'art. 13 è previsto solo per le aree protette nazionali. Resta infatti configurabile il reato di cui agli artt. 6 e 30 della stessa legge che - come già detto - riguarda anche le aree protette regionali. Vero è che questo reato non è stato contestato dal Pubblico Ministero nel capo di imputazione; ma è altrettanto vero che il giudice (anche di legittimità) può riqualificare giuridicamente il fatto contestato, quando rimane sostanzialmente immutato nella sua materialità. Secondo i parametri adottati dalla costante giurisprudenza di legittimità, nel caso di specie non può ravvisarsi una radicale immutazione materiale del fatto quando il pubblico ministero contesta il fatto meno grave della edificazione senza nullaosta dell\'Ente Parco e il giudice ritiene il fatto più grave della edificazione in violazione del divieto di costruire stabilito dalle norme di salvaguardia.
5 - Resta così accertata la sussistenza di tutti e tre i reati contestati, sia di quello urbanistico previsto dalla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c) (ora D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), sia di quello paesaggistico previsto dal D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 163 (ora D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181), sia di quello speciale riqualificato ai sensi della L. n. 394 del 1991, artt. 6 e 30.
Per conseguenza, resta confermata in capo all\'Ente di gestione del Parco dell\'Appia Antica, formalmente istituito nel 1998, la legittimazione a costituirsi parte civile e a ottenere il risarcimento del danno patito in seguito all\'abusiva costruzione realizzata dall\'imputata entro il perimetro del Parco. In sostanza, il difensore ricorrente contesta questa legittimazione civilistica sulla base di due argomentazioni. La prima assume come premessa l\'insussistenza del reato previsto dalla legge quadro sulle aree protette n. 394 del 1991; e ne deriva come conseguenza che l\'Ente parco non è titolato a esercitare l\'azione civile derivante dal reato. La seconda assume come premessa che non è stato ancora approvato il piano del Parco, o comunque non era stato ancora approvato al momento in cui i reati sono stati accertati, nel novembre 2000; e - sulla base di una giurisprudenza costante di questa Corte secondo cui, in mancanza dei piani di assetto dei parchi, che si configurano per la legge regionale come piani urbanistici comprensoriali, e per la legge statale sostituiscono i piani paesaggistici, territoriali o urbanistici (v. L. n. 394 del 1991, art. 12, comma 7), occorre fare riferimento appunto ai piani paesaggistici, territoriali o urbanistici e a ogni altro strumento di pianificazione - ne deriva che la legittimazione civilistica al risarcimento del danno si trasferisce dall\'Ente Parco, del quale non è stato ancora approvato il piano, agli altri soggetti istituzionali che hanno già approvato gli strumenti di pianificazione applicabili. La prima premessa, come s\'è visto al paragrafo precedente, è infondata. La seconda premessa, invece, risponde a verità, essendo notorio che il piano per il Parco dell\'Appia Antica è stato adottato dall\'Ente nel 2002, e che la regione Lazio non ha ancora terminato l\'iter per la sua approvazione.
Ma anche nel secondo caso la conclusione argomentativa è giuridicamente infondata, perché trascura di considerare che secondo l\'art. 74 c.p.p. legittimato ad esercitare l\'azione civile nel processo penale è il danneggiato, cioè "il soggetto al quale il reato ha recato danno", e non solo la persona offesa, cioè il soggetto titolare dell\'interesse penalmente tutelato. Quest\'ultimo, oltre che costituirsi parte civile, può anche, a differenza del primo, partecipare all\'attività di indagine preliminare e chiedere di essere avvisato della eventuale richiesta di archiviazione. Ma ciò non toglie che anche il danneggiato sia legittimato ad causam per l\'esercizio dell\'azione civile nell\'ambito del processo penale. Alla luce di questi principi è agevole osservare che l\'Ente Parco dell\'Appia Antica, in quanto titolare dell\'interesse alla conservazione e valorizzazione dello specifico patrimonio naturale dell\'area, si configura come persona offesa per il reato di cui alla L. n. 394 del 1991, artt. 6 e 30; e, in quanto ha patito un danno materiale e morale in conseguenza dell\'abusivo intervento edilizio nella stessa area, è soltanto soggetto danneggiato in relazione al reato urbanistico di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c) (ora D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), e al reato paesaggistico previsto dal D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 163 (ora D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181). Per un titolo e/o per l\'altro, quindi, l\'Ente è legittimato a costituirsi parte civile. Il suo diritto al risarcimento del danno è stato motivatamente accertato dai giudici di merito, con riferimento al pregiudizio arrecato dal reato alla conservazione dell\'area protetta, anche se è stato liquidato in via equitativa per l\'impossibilità di accertarne il suo preciso ammontare.
6 - In conclusione, il ricorso è infondato e va pertanto respinto. Ai sensi dell\'art. 616 c.p.p. consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Considerato il contenuto della impugnazione, non si ritiene di irrogare anche la sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
Segue per legge anche la condanna alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, e al rimborso a favore della parte civile delle spese processuali di questo grado, liquidate in complessive Euro 2.500,00, oltre accessori di legge. Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2008.
Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2008