Cass. Sez. III n. 21476 del 19 maggio 2023 (CC 13 apr 2023)
Pres. Ramacci Rel. Noviello Ric. PM in proc. Bezziccheri ed altri
Urbanistica.Misure di salvaguardia
In materia urbanistica, a seguito della adozione dei piani urbanistici, ovvero dal momento in cui l'organo amministrativo competente delibera formalmente il piano e lo pubblicizza, onde consentire la presentazione delle osservazione da parte dei soggetti interessati, entrano in vigore le misure di salvaguardia, con lo scopo di impedire che antecedentemente alla approvazione del piano vengano eseguiti interventi che compromettano gli assetti territoriali previsti dal piano stesso, così che integrano la violazione dell'art. 44 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) gli interventi posti in essere dopo la adozione ed antecedentemente alla approvazione del piano ed eseguiti in contrasto con le misure di salvaguardia
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 30 novembre 2022, il tribunale del riesame, adito ai sensi dell’art. 322 bis cod. proc. pen. dal Pubblico Ministero del medesimo tribunale, avverso l’ordinanza del relativo Gip, del 24.10.2022, con la quale era stata rigettata la richiesta di convalida di sequestro preventivo di urgenza e contestuale sequestro preventivo impeditivo, rigettava l’impugnazione.
2. Avverso tale ordinanza il Pubblico Ministero del tribunale di Milano ha proposto ricorso, deducendo cinque motivi di impugnazione.
3. Con il primo motivo, deduce l’erronea interpretazione dell’art. 15 delle norme di attuazione del Piano delle regole del PGT del Comune di Milano del 2012, con riferimento al concetto di cortile in esso richiamato. Si contesta l’affermazione per cui la predetta previsione, così come formulata, non contenendo la definizione espressa di cortile, non avrebbe consentito di stabilire con certezza la nozione di “cortile” con la stessa adottata. Il tribunale, omettendo in tal modo di interpretare il predetto concetto di “cortile”, sarebbe giunto alla predetta conclusione trascurando di applicare gli ordinari canoni di interpretazione delle norme, con particolare riguardo alla analisi del significato che il linguaggio comune e tecnico attribuiscono al termine “cortile”, della portata delle pertinenti norme edilizie e urbanistiche del Comune di Milano, nel quadro dei criteri di individuazione del genus “cortile” elaborati dalla giurisprudenza. In tal modo, risulterebbe incomprensibile il percorso logico seguito dal collegio della cautela nella lettura del PGT di Milano e dei Regolamenti Edilizi del medesimo comune, in rapporto alla definizione di “cortile” rilevante nel caso di specie.
4. Con il secondo motivo, ha dedotto l’erronea interpretazione dell’art. 9 del Regolamento edilizio del 2014 del Comune di Milano, laddove esso specifica i casi in cui, ai fini di una corretta applicazione degli artt. 13, 15 e 17 delle NTA del PGR, gli spazi non possono considerarsi cortili. In particolare, il tribunale avrebbe omesso di esaminare il citato articolo 9 in coordinamento con gli artt. 13, 15, e 17 del PGT del 2012 e con le altre norme del regolamento Comunale indicato, che definirebbero la funzione di cortile e sarebbero tutte tra loro complementari.
5. Con il terzo motivo, rappresenta l’erronea interpretazione dell’art. 5 comma 24 delle N.T. del PGT del Comune di Milano, adottato e approvato nel 2019. Si contesta la tesi del tribunale del riesame secondo la quale l’art. 5 comma 24 citato avrebbe modificato il significato della nozione di cortile, ai fini della applicazione del PGT e del Regolamento Edilizio, piuttosto che esplicitare, semplicemente, come invece ritenuto dal ricorrente, la portata della nozione medesima. Si sarebbe confusa la natura definitoria della suindicata previsione, con l'aspetto sostanziale della disciplina dettata in materia di “cortile” in ambito edilizio ed urbanistico. Disciplina invece rimasta sempre inalterata, tanto da essere stata pedissequamente riprodotta nel testo dell’art. 21 comma 2 lettera b) N.A. del successivo Piano del Governo del Territorio approvato il 14.10.2019 ed entrato in vigore nel 2020.
6. Con il quarto motivo lamenta la violazione dell’art. 12 comma 3 del DPR 380/2001 e dell’art. 12 della legge della Regione Lombardia n. 12/2005. Si osserva che ai sensi delle predette norme, e senza che il tribunale abbia operato al riguardo alcun rilievo, essendo scattate le relative cd. “misure di salvaguardia” – posto che a fronte di un permesso di costruire del 16.12.2019, inerente il progetto originario, le NTA del nuovo PGT erano state adottate il 5.3.2019, e quindi approvate il 14.10.2019, con pubblicazione successiva dell’avviso di approvazione definitiva in data 5.2.2020 – il SUE del Comune di Milano avrebbe dovuto sospendere la pratica, procedere alla verifica della cd. “doppia conformità” e valutare quindi definitivamente la richiesta di permesso di costruire, inerente le opere in questione, solo all’indomani della entrata in vigore del nuovo piano. Sarebbe quindi erronea la tesi della legittimità del primo permesso di costruire rilasciato e del successivo atto di variante essenziale, sulla scorta, come ritenuto dal tribunale di Milano, dell’art. 5 delle disposizioni di attuazione del PGT del 2019, secondo il quale le definizioni di cui al predetto articolo “si applicano ai titoli edilizi presentati successivamente all’entrata in vigore del PGT …ad eccezione delle varianti anche essenziali ai titoli edili già validi ed efficaci a tale data per i quali continuano ad applicarsi le norme e definizioni previgenti..”. Ciò in quanto le norme tecniche di attuazione non possono prevalere sulla norma di salvaguardia disposta dal legislatore statale.
7. Con il quinto motivo deduce la violazione dell’art. 321 cod., proc. pen., contestando la tesi della assenza del periculum in mora in ragione della distanza intercorsa tra la data di inizio dei lavori e la data dell’esposto da cui scaturì l’indagine, posto che lo stato avanzato dei lavori non sarebbe incompatibile con la funzione tipica del sequestro preventivo, a fronte di opera abusiva dalle rilevanti dimensioni, in grado di incidere sul carico urbanistico, con rischi per la salute e la vivibilità dell’ambiente.
8. La difesa di Bezziccheri Andrea ha depositato memoria con la quale ha condiviso le argomentazioni già redatte per iscritto dal Sostituto Procuratore Generale e ha insistito per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso proposto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Si premette che la vicenda attiene – secondo quanto riassunto nell’atto di impugnazione – alla previa demolizione di due palazzine alte circa 12 metri, con costruzione, in luogo delle stesse, di un unico immobile alto più di 27 piani, autorizzato quale ristrutturazione edilizia per una superficie lorda di circa 3.300 mq., cui si aggiungeva, attraverso il rilascio di un permesso di costruire per nuova costruzione, un intervento per una superficie lorda di circa 155 mq, con superficie lorda finale di 3500 mq. circa. Viene in rilievo, in questa sede, la legittimità dei titoli edilizi abilitativi rilasciati, non già sotto il profilo della relativa tipologia, di ristrutturazione (nozione, questa, da ultimo specificata da questa Corte con sentenza della sez. 3 -, n. 1670 del 06/10/2022 (dep. 18/01/2023) Rv. 284056 – 01) ovvero di “nuova opera”, bensì in relazione alla operatività, nel caso concreto, della nozione di “cortile” delineata dagli strumenti urbanistici locali, riguardo all’area di intervento edilizio in questione. Nel senso che la sussistenza o meno, nell’area interessata dalla edificazione, di una situazione di fatto riconducibile nell’ambito del concetto di “cortile”, come rinvenibile alla luce di disposizioni di strumenti urbanistici applicabili, costituirebbe condizione determinante per ritenere o meno la sussistenza di una preclusione normativa all’effettuazione dell’intervento edilizio assentito. Giova in proposito evidenziare che secondo lo stesso tribunale la nozione di cortile in questione deve assumersi come rilevante per la determinazione della legittimità dei titoli edilizi che hanno riguardato le opere in contestazione.
2.I primi tre motivi, che riguardano l’analisi di NTA del PGT e di disposizioni del regolamento edilizio, tra loro omogenei, siccome inerenti la individuazione della nozione di “cortile”, devono essere esaminati congiuntamente.
2.2. Il ricorrente, innanzitutto, lamenta l’erronea interpretazione delle citate previsioni, specificamente indicate in ricorso, in funzione della individuazione della nozione di cortile, da tenere presente, lo si ripete, per valutare la legittimità dei titoli edilizi rilasciati rispetto alla situazione di fatto.
E in tale prospettiva rappresenta come la lettura sistematica delle medesime condurrebbe a ricostruire un concetto di cortile riconducibile alle caratteristiche fattuali proprie dell’area in esame e, come tale, in grado di portare ad escludere, inficiando la validità dei titoli abilitativi rilasciati per l’intervento edile contestato e per il quale si è richiesto il sequestro, la legittimità degli stessi.
2,3. Si tratta di una censura inammissibile, in quanto si richiede la valutazione della corretta interpretazione delle disposizioni citate, non consentita in questa sede.
Questa Suprema Corte, infatti, ha precisato che in tema di misure cautelari reali, costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l'inesistenza o la mera apparenza della motivazione, oltre che il vizio di violazione di legge, ma non anche l'affermata erronea interpretazione di un atto amministrativo, poiché essendo relativa ad atti privi di carattere normativo rientra, ai sensi dell'art. 325, comma primo, cod. proc. pen., nella valutazione del fatto (in motivazione, Sez. 3 - , n. 14977 del 25/02/2022 Rv. 283035 – 01; Sez. 3, n. 37451 del 11/04/2017 Rv. 270543 - 01).
E’ pur vero che mentre le NTA di un Piano Urbanistico rientrano nel novero degli atti amministrativi, il cui sindacato incontra in questa sede i limiti anzidetti, diverso è il caso del Regolamento Edilizio, atteso che (Cass. civ. Sez. 3, n. 6933 del 05/07/1999 Rv. 528289 - 01; Cass. S.U. 28.11.1994,n. 10124) quest’ultimo sul piano contenutistico si distingue dagli atti e dai provvedimenti amministrativi, in quanto questi ultimi costituiscono espressione di una semplice potestà amministrativa e sono diretti alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili; i regolamenti, invece, sono espressione di una potestà normativa attribuita all'amministrazione e secondaria rispetto a quella legislativa, e disciplinano, in astratto, tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma egualmente innovativa rispetto all'ordinamento giuridico esistente, con precetti che presentano, appunto, i caratteri della generalità ed astrattezza. Rientrano, quindi, tra le fonti di diritto oggettivo di cui all'art. 1 disp. prel. c.c. Il regolamento comunale, in particolare, si inquadra in quelli, tra le fonti oggettive del diritto, propri di enti pubblici non statali, e rimanda alle disposizioni sulla legge in generale con particolare riferimento ai regolamenti " di altre autorità " (distinte come tali dal Governo) disciplinati da "leggi particolari".
Per il regolamento comunale, quindi, diversamente dalle NTA, non può escludersi in via generale il sindacato di questa Corte.
Che tuttavia, nel caso di specie è precluso, in quanto il ricorrente, nel prospettare il vizio di violazione di legge, solleva una complessiva e coordinata ricostruzione interpretativa, che include, accanto ad una norma regolamentare, anche previsioni di portata meramente amministrativa, e come tali involgenti un mero giudizio di fatto, quali quelle immediatamente prima richiamate.
2.4. Oltre ai predetti vizi di violazione di legge, il ricorrente ha anche dedotto, attraverso la complessiva elaborazione dei tre motivi qui in esame, il vizio di motivazione, in termini di apparenza e quindi inesistenza della stessa, come tale ammissibile in questa sede.
Tale critica appare fondata.
Il collegio della cautela ha richiamato la decisione del Gip, laddove aveva sottolineato la sussistenza di caratteri “complessi ed indefiniti” della nozione di “cortile “ in parola, ed ha quindi dichiarato di condividere tali rilievi, sostenendo altresì, da una parte, l’irrilevanza, ai fini del decidere, del PGT approvato il 14.10.2019, così da doversi circoscrivere l’analisi giuridica alle sole previsioni del PGT del 2012, dall’altra, dissentendo dalla tesi del P.M. per cui sarebbe emersa in ogni caso con chiarezza, anche già solo attraverso le previsioni del PRG del 2012, la nozione urbanistica di “cortile”, al contrario reputata dal tribunale delicata, complessa, articolata e controvertibile. Tanto che il collegio, alfine, rigetta l’appello concludendo e ribadendo che la “definizione dello spazio di interesse quale ‘cortile’ risulta pertanto assai più complessa di quanto non prospetti l’accusa” (cfr. pag. 19).
Tale decisione, così formulata, si limita a rigettare l’impugnazione escludendo nella sostanza la rinvenibilità, nel caso concreto, di un “cortile”, come tale preclusivo degli interventi edilizi in questione, senza però fornire in alcun modo il concetto di “cortile” enucleabile dalle previsioni urbanistiche utilizzabili, e come tale raffrontabile rispetto all’area interessata dall’intervento edilizio; in tal modo il collegio della cautela, omette di elaborare ogni positiva quanto opportuna definizione di “cortile” (funzionale, nella stessa prospettiva dei giudici, per decidere in ordine all’accoglimento o meno della richiesta di sequestro) e, piuttosto, limitandosi a sostenere esclusivamente la complessità dell’articolazione di una nozione al riguardo, quale regola generale e astratta con cui confrontare di volta in volta i singoli casi concreti, incorre nella redazione di una motivazione apparente, in assenza della puntuale e esplicita enunciazione del percorso logico- giuridico sotteso alle decisione di rigetto.
Ed invero, la mera sottolineatura, tra l’altro, della complessità ed incertezza della nozione di “cortile”, la citazione, a conforto di tale rilievo, della intervenuta adozione di una Determina dirigenziale costitutiva di una “Commissione” per la formulazione di un parere sul punto e con riguardo ai vari casi concreti, la evidenziazione della sussistenza di pareri della difesa che avrebbero a buona ragione evidenziato, secondo il collegio della cautela, con riguardo al predetto concetto di cortile, un carattere “aperto” “multiforme” e “per nulla scontato”, appaiono argomentazioni che, anche per la genericità del richiamo a contributi tecnici, non approfonditi nella loro concreta ricaduta ai fini della definizione della nozione di cortile, non certamente variabile per ogni caso concreto; per l’assenza della illustrazione delle ragioni a supporto delle stesse, così che le argomentazioni del tribunale risultano essenzialmente assertive; per la scarsa o secondaria rilevanza, in ogni caso non illustrata, della strumentalità, a fini interpretativi, di una casistica amministrativa; per la carenza del ricorso a canoni ermeneutici tipici dell’interpretazione di atti normativi, denotano il raggiungimento di una conclusione, quale quella della insussistenza di un “cortile” nel caso di specie, operata in totale assenza di una puntuale, positiva e ben illustrata elaborazione interpretativa, coerente e comprensibile.
In altri termini, emerge, attraverso la mera evidenziazione della difficoltà nella elaborazione della nozione già più volte citata, l’abbandono di ogni reale sforzo interpretativo, posto che anche a fronte della più complessa previsione normativa è dato alfine rinvenire, attraverso la analisi letterale e tutti gli altri noti criteri interpretativi della specifica previsione, il significato giuridico finale della stessa.
Cosicchè, come già prima osservato, si rinviene una motivazione apparente, quale è quella che «non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui si è fondata la decisione, mancando di specifici momenti esplicativi anche in relazione alle critiche pertinenti dedotte dalle parti» ,(Sez. 11, n. 4787 del 10/11/1993, Di Giorgio), ovvero quella in cui si dissimuli la totale mancanza di un vero e proprio esame critico degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione, o sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonea a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U., n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov; nello stesso senso anche Sez. 4, n. 43480 del 30/09/2014, Giovannini, Rv. 260314).
4.Anche il quarto motivo è fondato. Va precisato che il tema della rilevanza delle cd “misure di salvaguardia” nel caso in esame consegue alle argomentazioni introdotte dal tribunale del riesame, nella parte in cui individua la normativa da applicarsi rispetto al caso di specie (cfr. pag. 13 dell’ordinanza), per cui non emerge alcuna novità in ordine alla censura dedotta dal ricorrente sul punto.
4.1.Deve premettersi, in proposito, che l’urbanistica e l’edilizia devono essere ricondotte alla materia «governo del territorio», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., materia di legislazione concorrente in cui lo Stato ha il potere di fissare i principi fondamentali, spettando alle Regioni il potere di emanare la normativa di dettaglio (da ultimo, Sentenza della Corte Costituzionale n. 102 del 29 maggio 2013; ordinanza della Corte Costituzionale n. 314 del 2012; sentenza n. 309 del 2011, cfr. anche sentenze n. 362 e n. 303 del 2003; Cass. Pen. (Sez. F - n. 46500 del 30/08/2018 Rv. 274173 - 01; Sez. 3, n. 30657 del 20/12/2016 Ud. (dep. 20/06/2017) Rv. 270210 - 01).
4.2. Quanto alle cd. “misure di salvaguardia” in materia di governo del territorio, va premesso che l’art. 12, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce che: «In caso di contrasto dell’intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda. La misura di salvaguardia non ha efficacia decorsi tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni nell’ipotesi in cui lo strumento urbanistico sia stato sottoposto all’amministrazione competente all’approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione».
4.3. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2 del 2008 ha ritenuto che la disciplina sulle misure di salvaguardia di cui al citato art. 12, comma 3, del T.U. edilizia, ha una valenza mista: edilizia, in quanto è volta ad incidere sui tempi dell’attività edificatoria, ed urbanistica, in quanto finalizzata alla salvaguardia, in definiti ambiti temporali, degli assetti urbanistici in itinere e, medio tempore, dell’ordinato assetto del territorio.
4.4. Quanto al termine di durata delle misure di salvaguardia, stabilito dal legislatore e sopra indicato ( tre anni dall’adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni nell’ipotesi in cui questo sia stato sottoposto all’amministrazione competente per la approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione), come ribadito dalla Corte Costituzionale con la citata decisione n. 102/2013, esso esprime un principio di ragionevole temporaneità delle misure di salvaguardia in esame, finalizzato alla salvaguardia degli assetti urbanistici in itinere, cui consegue, da una parte, l’impossibilità della loro riduzione sul piano cronologico ma, anche, l’impossibilità del loro ulteriore differimento temporale, ove irragionevole e arbitrario, e dunque il loro necessario rispetto in sede di normazione subordinata a quella legislativa nazionale e, se conforme, regionale, sul piano cronologico ed edilizio - urbanistico, perché finalizzata alla salvaguardia degli assetti urbanistici in itinere (cfr. pure Cons. Stato, Ad.Plen., 7 aprile 2008, n. 2).
4.5.Come già rilevato dalla Corte Costituzionale (Sentenza della Corte Costituzionale n. 102/2013 cit. e di recente, seppur incidentalmente, Sentenza n. 11 del 23/11/2021 - 25/11/2021), la ratio della normativa statale esprime l’intenzione del legislatore di evitare che la non ancora intervenuta approvazione da parte della Regione, o comunque di altra autorità competente, di eventuali previsioni di non edificabilità previste dal piano in vigore, consenta ai proprietari delle aree interessate di realizzare nuove costruzioni nel periodo intercorrente tra la predisposizione di un nuovo piano e l’approvazione di questo da parte della Regione, in tal modo eludendo, durante tale fase, le stesse previsioni contenute nel progettato nuovo piano. Il giudice delle leggi ha quindi opportunamente sottolineato che “l’adozione del piano, pertanto, ha funzione cautelativa nei riguardi di quei progetti che non si conformano allo stesso: consegue da ciò l’effetto di salvaguardia previsto dal comma 3 dell’art. 12 del d.P.R. n. 380 del 2001, è strettamente collegato all’adozione del piano, cioè dello strumento urbanistico modificativo della precedente previsione”. In tal senso si è espressa anche di recente la giurisprudenza amministrativa, laddove ha precisato che l’esigenza sottesa alle misure di salvaguardia “è dunque di carattere conservativo e si identifica nella necessità che le richieste dei privati – fondate su una pianificazione ritenuta non più attuale, in quanto in fieri, e quindi potenzialmente modificata – finiscano per alterare profondamente la situazione di fatto e, di conseguenza, per pregiudicare definitivamente proprio gli obiettivi generali cui invece è finalizzata la programmazione urbanistica, rendendo estremamente difficile, se non addirittura impossibile, l’attuazione del piano in itinere” (cfr. Cons. Stato, sez. II 23 marzo 2020 n. 2012; Sez. IV, 20 gennaio 2014, n. 257).
In altri termini, come precisato da questa Suprema Corte, si tratta di una normativa transitoria con finalità meramente cautelare e di salvaguardia, volta a consentire che nelle more fra l'adozione e l'approvazione, la situazione dei luoghi non venga pregiudicata, rendendo vana la previsione del nuovo assetto del territorio, come concepito dal nuovo P.R.G., di cui vengono così anticipati gli effetti (Sez. civ. 1 n. 19314 del 17/12/2003, Rv. 568998 – 01).
Consegue, alla luce della previsione di cui al citato art. 12, comma 3 del DPR 380/2001, secondo il quale “in caso di contrasto dell'intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda”, che in tal caso, nel corso del procedimento di approvazione di un piano urbanistico o sue varianti, grava sull’amministrazione comunale competente l’onere di sospendere ogni determinazione sulla domanda di rilascio del permesso di costruire in attesa della definitiva approvazione del piano.
Nel contempo, è opportuno altresì evidenziare che la predetta disposizione di cui all’indicato art. 12 vale non semplicemente a sospendere l’iter amministrativo eventualmente già avviato, ma anche, “ad indurre le amministrazioni locali a definire tempestivamente l’iter procedimentale conseguente all’adozione degli strumenti urbanistici generali con il loro tempestivo invio agli organi deputati alla loro approvazione, correlando agli eventuali ritardi burocratici un regime di minor favore, volto, essenzialmente, ad evitare le strumentalizzazioni che un non sollecito esercizio dell’azione amministrativa renderebbe possibile e (con contenuti in certo modo sanzionatori delle spesso defatiganti lungaggini amministrative) a favorire una maggiore responsabilizzazione degli amministratori locali, in funzione anche, come cennato nella decisione di rimessione, dell’esigenza di tutelare il valore costituzionale della proprietà e delle connesse facoltà edificatorie”. (cfr.Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sentenza n. 2 del 2008 cit.). Cosicchè appare privo di fondamento il rilievo, talvolta formulato, per cui eventuali deroghe alle misure di salvaguardia che mantengano ferme ed applicabili le disposizioni del precedente piano urbanistico anche per i titoli richiesti all’indomani dell’avvio della nuova procedura pianificatoria ancora in fieri, risponderebbe alla altrimenti non considerata esigenza di non lasciare il privato interessato alla mercè delle lentezze procedimentali della Pubblica Amministrazione.
4.6.Deve anche ricordarsi che, con sentenza della Corte Costituzionale n. 402 del 2007, si è evidenziato che il D.P.R. n. 380 del 2001 – in relazione a quanto disposto dall’art. 1, comma 1, e dall’art. 2 commi 1 e 3 del medesimo D.P.R. – costituisce disciplina recante i principi fondamentali e generali in materia di attività edilizia(già richiamati in via generale e in premessa al paragrafo 4.1.), ai quali il legislatore regionale deve attenersi.
Infatti, l’art. 1, comma 1, del T.U. dell’edilizia, prevede che: «il presente testo unico contiene i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell’attività edilizia»; i commi 1 e 3 dell’art. 2, rispettivamente, stabiliscono che: «le regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico» e che «le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi».
L'art. 2 citato poi, al comma 4, in una evidente progressione discendente circa la individuazione delle possibili fonti disciplinanti la materia edilizia, rappresenta che il Comuni nell’ambito della propria autonomia statutaria e normativa “disciplinano l’ attività edilizia”.
4.7.Può dunque evidenziarsi, in sintesi, alla luce di quanto sinora osservato, (cfr. anche Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza n. 3834 del 2005) che l’art. 12 comma 3 citato, ha recepito i contenuti sostanziali dell'articolo unico della legge 3 novembre 1952, n. 1902 (Misure di salvaguardia in pendenza dell'approvazione dei piani regolatori), ed esprime il principio secondo cui le amministrazioni debbono definire in tempi congrui l’iter procedimentale conseguente all’adozione degli strumenti urbanistici generali con il loro tempestivo invio agli organi deputati alla loro approvazione e quello della limitazione di efficacia di titoli abilitativi in presenza di una pianificazione urbanistica in evoluzione, ed inoltre, la giurisprudenza Costituzionale (Sentenza n. 402 del 2007) ha riconosciuto espressamente all’art. 12, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 il valore di norma statale di principio in materia di governo del territorio, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. E’ utile aggiungere, sempre in tema di normazione di principio di cui al DPR 380/01, che il giudice delle leggi anche di recente ha precisato che la competenza legislativa concorrente non è contraddistinta da una netta separazione di materie, ma dal limite “mobile” e “variabile” costituito dai principi fondamentali, limite che «è incessantemente modulabile dal legislatore statale sulla base di scelte discrezionali, ove espressive di esigenze unitarie sottese alle varie materie» (sentenza n. 245 del 21 dicembre 2021, n. 68 del 2018, punto 12.1.1. del Considerato in diritto, che richiama le sentenze n. 16 del 2010 e n. 50 del 2005).
4.8.Quanto al caso in esame, la legge della Regione Lombardia appare in linea con la disciplina di cui al citato art. 12, laddove all’art. 13 comma 12 prevede che “nel periodo intercorrente tra l’adozione e la definitiva approvazione di atti di PGT si applicano le misure di salvaguardia in relazione a interventi, oggetto di domanda di permesso di costruire ovvero di denunzia di inizio di attività che risultino in contrasto con le previsioni degli atti medesimi”.
4.9. Alla luce di quanto sinora osservato, va dunque va ribadito, come già precisato da questa Suprema Corte, che, in materia urbanistica, a seguito della adozione dei piani urbanistici, ovvero dal momento in cui l'organo amministrativo competente delibera formalmente il piano e lo pubblicizza, onde consentire la presentazione delle osservazione da parte dei soggetti interessati, entrano in vigore le misure di salvaguardia, con lo scopo di impedire che antecedentemente alla approvazione del piano vengano eseguiti interventi che compromettano gli assetti territoriali previsti dal piano stesso, così che integrano la violazione dell'art. 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, ora art. 44 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) gli interventi posti in essere dopo la adozione ed antecedentemente alla approvazione del piano ed eseguiti in contrasto con le misure di salvaguardia (Sez. 3, n. 37493 del 10/06/2003, Soluri, Rv. 226316).
5. Nel caso in esame, emerge dalla stessa ordinanza impugnata che mentre il primo permesso di costruire è stato rilasciato il 16.12.2019 e la variante essenziale il 4 maggio 2021, il nuovo PGT era stato approvato due mesi prima del primo rilascio, ovvero il 14 ottobre 2019 (e adottato il 5.3.2019), per entrare poi in vigore il 5 febbraio 2020.
Corretto è quindi il rilievo critico proposto dal ricorrente - a fronte della notazione del tribunale della irrilevanza ai fini in esame, della nuova disciplina urbanistica ancora in fieri ( cfr. pag. 12 della ordinanza), siccome meramente successiva ai titoli abilitativi di riferimento, pur nella ritenuta diversa portata della stessa in ordine alla nozione di “cortile” enucleabile dalla disciplina previgente –, posta la espressa disposizione di cui al citato art. 12 comma 3 del DPR 380/01 per cui “in caso di contrasto dell'intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, e' sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda. La misura di salvaguardia non ha efficacia decorsi tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni nell'ipotesi in cui lo strumento urbanistico sia stato sottoposto all'amministrazione competente all'approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione”. Né osta, come invece rilevato dal tribunale, la previsione di cui all’art. 5 delle NTA per cui le definizioni di cui al predetto articolo “si applicano ai titoli edilizi presentati successivamente all’entrata in vigore del PGT …ad eccezione delle varianti anche essenziali ai titoli edili”. Ciò in quanto le norme tecniche di attuazione del PGT non possono prevalere sulla norma di salvaguardia disposta dal legislatore statale, (e nel caso di specie anche regionale), attesa la gerarchia delle fonti, anche nel quadro della peculiare rilevanza della normativa Statale in materia, di cui ai già citati artt. 1, comma 1, e 2 commi 1 e 3 del DPR n. 380/2001.
In altri termini, non può certamente ritenersi – come invece, nella sostanza consegue da quanto sostenuto in ordinanza – che ai sensi dell’art. 5 punto 24 delle norme di attuazione del PGT del 2019, di rango subordinato alle citate disposizioni legislative e regionali, secondo il quale “…le definizioni contenute nel presente articolo …si applicano ai titoli edilizi presentati successivamente all’entrata in vigore del PGT (…) ad eccezione delle varianti anche essenziali ai titoli edilizi già validi ed efficaci a tale data, per i quali continuano ad applicarsi le norme e le definizioni previgenti” , sia possibile derogare alle citate norme di salvaguardia, attraverso una previsione che, invero, mira a porre nel nulla le stesse, procrastinando, rispetto a domande di titoli ( e titoli rilasciati) successivi all’avvio della nuova pianificazione, l’efficacia di previsioni pregresse al nuovo PGT, sulla base della sola intervenuta adozione di titoli edilizi cui debbano seguire titoli in variazione essenziale, ovvero ritenendo di escludere potenziali contrasti sottolineando l’efficacia, ovvia, di disposizioni del nuovo PGT per i titoli successivi alla sua entrata in vigore. Così surrettiziamente mirando a trascurare il senso e la disciplina delle misure di salvaguardia, quale è la funzione cautelativa nei riguardi di quei progetti che non si conformino alla pianificazione urbanistica in fieri e finale.
Né appare convincente, alla luce di quanto sinora illustrato, anche con riguardo ai limiti della pianificazione comunale rispetto ai principi fissati con DPR 380/01, quella giurisprudenza amministrativa secondo cui, in base al principio della successione nel tempo delle norme, con l'approvazione di un nuovo Piano Regolatore, le disposizioni successivamente intervenute sostituiscono integralmente le precedenti prescrizioni del vecchio Piano riguardanti la zona medesima, e non possono essere disapplicate dallo stesso Comune, in favore di una "ultrattività" del precedente PRG così sostituendosi integralmente alle precedenti disposizioni le quali non possono comunque conservare alcuna efficacia, salvo il caso di una specifica norma transitoria ah hoc. Tanto più che quest’ultima affermazione, nell’apparire contrastante, lo si ribadisce, con i principi e le ragioni sinora esposte, appare tradursi in una affermazione meramente incidentale, invero priva di ogni opportuna quanto adeguata argomentazione (cfr. in proposito Cons. Stato Sez. IV, Sent. (ud. 22/11/2011) 09-02-2012, n. 693).
6. Da ultimo, appare fondato anche il quinto motivo, essendo irrilevante – in sé - ai fini cautelari, il decorso del tempo tra l’inizio dei lavori e la data di esecuzione del sequestro e tantomeno lo stato avanzato dei lavori abusivi, alla luce del principio per cui è ammissibile il sequestro preventivo di opere costruite abusivamente, anche nell'ipotesi in cui l'edificazione sia persino ultimata, fermo restando l'obbligo di motivazione del giudice, in tale ultimo caso, circa le conseguenze ulteriori sul regolare assetto del territorio rispetto alla consumazione del reato, derivanti dalla libera disponibilità del bene (Sez. 3, n. 52051 del 20/10/2016 Rv. 268812 - 01).
7.Nessun ostacolo alla presente valutazione del ricorso proposto, in termini di questione esaminata dal collegio della cautela e non contrastata dal ricorrente, è dato dal profilo psicologico inerente al fumus del reato in esame, atteso che non è dato rinvenire alcuna puntuale ed esplicita valutazione da parte del tribunale sul punto (che, va ricordato, può assumere rilievo in sede cautelare reale solo ove emerga ictu oculi la buona fede dell’agente, la quale comunque, ove mai affrontata nel prossimo giudizio di rinvio, è esaminabile pur sempre alla luce del quadro normativo emergente dalle considerazioni precedentemente sviluppate). E invero, a pag. 19 della ordinanza, il tribunale, piuttosto che argomentare sull’eventuale tematica della evidenza della buona fede sostiene solo che “i profili di colpa” “non si presentano con quella evidenza che l’accusa prospetta”, e a pagina 21 ha solo osservato che la difesa “ha introdotto una serie di elementi di criticità …tanto sotto il profilo oggettivo quanto sotto il profilo soggettivo” aggiungendo a tale ultimo riguardo, genericamente, la necessità per il collegio di non poter trascurare le citate criticità.
8.Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che la ordinanza impugnata debba essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al tribunale del riesame di Milano.
P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al tribunale di Milano competente ai sensi dell’art. 324, co. 5, cod. proc. pen.
Così deciso, Roma, 13 aprile 2023