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Emissioni “lecite” in atmosfera e configurabilità del reato di cui all’art. 674 c. p.

di Alfredo MONTAGNA (magistrato Corte di cassazione)

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Una recente decisione della corte di cassazione ha riproposto la questione della configurabilità o meno del reato contravvenzionale di getto pericoloso di cose nel caso in cui le emissioni in atmosfera risultino contenute al di sotto dei parametri fissati dalle normative di settore in tema di inquinamento atmosferico.

Infatti il contenuto della norma di cui all'art. 674 cod. pen. comprende due ipotesi di reato, entrambe di pericolo in quanto non è necessario che l’emissione provochi un effettivo nocumento, ma è sufficiente che la stessa costituisca un mero pericolo di offesa o molestia; più in particolare la seconda ipotesi descrive una fattispecie "causalmente orientata" in cui la condotta consiste nella emissione di gas, di vapori o di fumo atti a offendere o imbrattare o molestare le persone nei casi non consentiti dalla legge.

Non è controverso che le emissioni in atmosfera di gas, vapori e fumi integrino l'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 674 cod. pen. in considerazione della indubbia idoneità di tali emissioni ad arrecare molestia alle persone, ciò in quanto devono farsi rientrare nel concetto di "molestia" tutte le situazioni di fastidio, disagio, disturbo e comunque di turbamento della tranquillità e della quiete che producono un impatto negativo, anche psichico, sull'esercizio della normali attività quotidiane di lavoro e di relazione; diversi sono i temi del rapporto esistente con le discipline di settore (in particolare con quella sull’inquinamento atmosferico, ma senza potervi escludere quella sulla tutela delle acque), con la possibilità del concorso tra norma codicistica e fattispecie speciale, ma ancor più quello della configurabilità del reato di cui all’art. 674 c. p. nel caso in cui l’attività autorizzata produca delle molestie eccedenti i limiti della normale tollerabilità (ed eliminabili con opportuni accorgimenti tecnici), ciò in quanto il reato di getto pericoloso di cose ha assunto, come sottolineato da autorevole dottrina[1], un vero e proprio ruolo di supplenza nella tutela dell’ambiente rispetto all’inquinamento atmosferico[2].

Più in particolare la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che l’attitudine della cosa gettata o versata a cagionare effetti dannosi non deve necessariamente essere accertata mediante una perizia, potendo il giudice fondare il proprio convincimento su elementi probatori di varia natura, tra i quali le dichiarazioni testimoniali di coloro che abbiano percepito gli effetti delle immissioni, ovviamente a condizione che tali dichiarazioni non si risolvano nell'espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica, ma si limitino a riferire quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti[3]. Sotto il diverso profilo dell’elemento soggettivo non assumono poi rilevanza i motivi o il fine perseguito dall’imputato, con la sufficienza della attribuibilità della condotta quantomeno a titolo di colpa.

La Corte di cassazione, con la decisione 28 settembre 2005, dep. il 24 ottobre 2005 n. 38936, R. ed altro, inedita, ha confermato la condanna che il Tribunale di Taranto aveva inflitto ai dirigenti di un parco minerario, per violazione degli artt. 674 c.p. e 13 del d.p.r. n. 203 del 1988, per avere questi provocato, e non impedito, sversamenti di polveri e minerali con ricaduta su un intero quartiere del comune di Taranto, con una motivazione della quale vanno sottolineati due punti fondamentali.

In uno dei motivi di ricorso gli imputati avevano contestato la configurabilità della contravvenzione de qua in assenza di condotte commissive, ma la Corte ha in proposito affermato che il reato di cui all’art. 674 c.p., pur essendo di natura commissiva, può rientrare nella categoria di quelli commissivi mediante omissione, ritenendo che la diffusione di polveri idonee ad imbrattare e molestare (come nel caso di specie) a causa dell’omessa o insufficiente adozione di misure (comunque esistenti) atte ad evitarla costituisce espressione di una condotta commissiva mediante omissione rilevante per la integrazione del reato in esame

La seconda affermazione contenuta nella sentenza del settembre scorso ripropone un orientamento secondo il quale il reato di cui alla seconda parte dell’art. 674 c.p. è integrabile indipendentemente dal superamento dei valori limite delle immissioni eventualmente stabiliti dalla legge, essendo sufficiente che abbia cagionato disturbo, offesa o molestia alle persone; e ciò sul presupposto che la fattispecie de qua, mirando a tutelare sia l’incolumità che la salute delle persone colpite (in realtà appare maggiormente condivisibile lo sforzo giurisprudenziale che piuttosto che individuare un ulteriore interesse protetto dalla previsione dell’art. 674 c.p. ritiene che costituisca molestia anche il fatto di arrecare alle persone preoccupazione ed allarme circa eventuali danni alla salute a seguito dell'esposizione ad emissioni atmosferiche inquinanti) prescinda dall’osservanza o meno di standards fissati per la prevenzione dell’inquinamento atmosferico, con la conseguenza che una attività produttiva di carattere industriale (o di pubblica utilità ex art. 2 n. 9 d.p.r. n. 203/1988) anche se autorizzata può dare luogo al reato codicistico qualora dalla stessa derivino disturbo, offesa o molestia alle persone sia, ovviamente, per la inosservanza delle prescrizioni dell’Autorità, ma anche a seguito della mancata adozione delle misure tecniche possibili per evitare o ridurre l’emissione.

Una decisione che recupera un orientamento che si era proposto per lungo tempo come largamente maggioritario all’interno della giurisprudenza di legittimità con una serie di precedenti che risultavano ribaditi da ultimo da Cass. 25 giugno 1999 n. 11295[4], per la quale: “ Il fatto di avere chiesto l'autorizzazione ad emettere nell'atmosfera gas provenienti da un insediamento produttivo – ex D.P.R. 203 del 1988 - non pregiudica i diritti dei terzi, vale a dire non discrimina l'operatore se i vapori e gas immessi nell'ambiente sono così intensi, acri e molesti da cagionare disturbo alle persone; integrando ciò la previsione di cui all'art. 674 cod. pen.”

Nello stesso senso in precedenza si era espressa più volte la Sezione I della Corte:

Cass. Sez. I 11 aprile 1997 n. 3919, S.[5],

Cass. Sez. I 6 novembre 1995 n. 11984, G.[6];

Cass. Sez. I 20 maggio 1992 n. 7614, A.[7];

Cass. Sez. I 17 novembre 1993 n. 781, S.[8].;

Cass. Sez. I 4 ottobre 1993 n. 197576, U.[9];

Cass. Sez. I 20 maggio 1992 n. 7614, A.[10];

Cass. Sez. I 11 maggio 1992 n. 6932, C.[11];

così come la stessa terza sezione il 7 aprile 1994 n. 6598[12].

In realtà la giurisprudenza più recente dalla Corte aveva superato il precedente orientamento ritenendo che non sia configurabile il reato di cui all’art. 674 cod. pen. nel caso le emissioni provengano da una attività regolarmente autorizzata e siano inferiori ai limiti previsti dalle leggi in materia di inquinamento atmosferico, ritenendo che la espressione “nei casi non consentiti dalla legge” costituisce una precisa indicazione della necessità che l’emissione avvenga in violazione delle norme di settore, il cui rispetto integra una presunzione di legittimità delle stesse; così Cass. 23 gennaio 2004 n. 9757 [13], condivisa in parte da Cass. 19 marzo 2004 n. 16728[14], e più di recente da Cass. 10 febbraio 2005 n. 9503[15], che pur respingendo il ricorso dell’imputato sul punto affermava analoghi principi in relazione ad una fattispecie relativa alla produzione di conglomerato bituminoso con preventivo stoccaggio di asfalto triturato proveniente da lavori di asportazione e rifacimento di manti stradali.

Nello stesso senso si erano in precedenza espresse:

Cass. Sez. III 18 giugno 2004 n. 38297, p.m. c/P.[16], che aveva sottolineato come l'espressione "nei casi non consentiti dalla legge" non potesse neppure ricondursi alla inosservanza degli obiettivi di qualità previsti dalla legislazione speciale, in quanto il raggiungimento di tali obiettivi è previsto in quanto possibile e con tempi e modalità disciplinati dalle stesse leggi di settore;

Cass. Sez. I 20 maggio 2004 n. 25660, I.[17];

Cass. Sez. I 16 giugno 2000 n. 8094, M. [18];

Cass. Sez. I 24 ottobre 2001 n. 5932, p.m. c/T.[19]

In conclusione, secondo l’orientamento che sembra raccogliere maggiori consensi[20] allorché le emissioni, pur non superando i limiti imposti dalle leggi di settore, dovessero arrecare disturbo alle persone superando il diverso limite della normale tollerabilità, riverrebbero le norme di carattere civilistico contenute nell’art. 844 c.c.

In proposito possono però sottolinearsi alcuni punti, per pervenire ad un ragionamento sistematico del problema, muovendo dal dato pacifico per il quale le emissioni moleste alle persone possono integrare il reato di cui all'art. 674 cod. pen. anche quando provengono da un'industria la cui attività sia stata autorizzata, e ciò in quanto l'esistenza di un'autorizzazione amministrativa per l'esercizio di un'industria è sufficiente a rimuovere un limite all'attività dell'imprenditore, ma non esonera quest'ultimo dal dovere di adottare tutte le misure consigliate dall'esperienza e dalla tecnica atte ad evitare un pregiudizio per la salute pubblica.

Il fatto che l'esercizio di una attività sia autorizzato non comporta di per sé che le modalità siano lasciate alla discrezione dell'operatore economico (ed infatti sovente concorrono le specifiche prescrizioni dell’autorità), il quale non può invocare il carattere “necessario” delle emissioni, come una naturale conseguenza dell'attività autorizzata, e neppure un principio di prevalenza in danno di altri soggetti, dovendosi intendere che l’autorizzazione sia condizionata all'adozione di tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, sono imposte dalla migliore esperienza e dalla tecnica più avanzata per evitare pericoli o molestie.

Pertanto la semplice esistenza di un'autorizzazione amministrativa all'esercizio di quella determinata attività (che di per sé, ovviamente, viene concessa sempre con salvezza dei diritti dei terzi), così come il possesso non solo delle generiche autorizzazioni amministrative all'esercizio dell'attività ma anche eventualmente delle specifiche autorizzazioni ad effettuare gli scarichi e le emissioni che da quella attività derivavano non saranno elementi sufficienti; ma al fine di escludere responsabilità penali occorre un quid pluris.

Nessun problema nel caso le emissioni superino gli “standard” fissati dalla legge, nel qual caso il reato di cui all'art. 674 c. p. concorrerà con quelli previsti dal D.P.R. n. 203/88, diversamente quando, pur essendo le emissioni contenute nei limiti di legge, abbiano arrecato e arrechino concretamente fastidio alle persone, superando la normale tollerabilità, soccorre la necessità di valutare nel merito la avvenuta adozione delle misure offerte dalla migliore tecnologia disponibile (MTD); in caso di risposta negativa non potrà escludersi la responsabilità per violazione dell’art. 674 c.p., diversamente, in caso di avvenuta predisposizione di tecniche aggiornate, emergerà la valenza dell’indagine sull’elemento psicologico del reato.

Infatti la penale responsabilità dell'imputato non è fondata sulla semplice constatazione dell'elemento materiale, ma richiede l'indagine sull'elemento psicologico che pure deve essere presente nella condotta del contravventore, in quanto anche nella contravvenzione l'antigiuridicità del comportamento non può prescindere da un coefficiente di colpevolezza.

Ne consegue conclusivamente che, quando l'imputato agisca in virtù di un provvedimento amministrativo, che faccia ritenere del tutto lecita la sua condotta, ed abbia posto in essere l’adozione delle migliori tecnologie disponibili per evitare o ridurre le emissioni andrà esente da responsabilità, senza che sia necessario, come anche si è sostenuto, ricondursi alla nozione di errore sul fatto costituente reato, in quanto si sarebbe determinata una falsa rappresentazione dei suoi elementi costitutivi ed in primo luogo di quello di ordine psicologico inerente alla liceità della condotta.

Alfredo Montagna


articolo pubblicato su Ambiente & Sviluppo IPSOA n. 12006

[1] F. Giampietro, in Giur. merito, 1990, 409; R. Bajno, voce Ambiente(tutela dell’) nel dir. pen., in Dig. Pen., 118;

[2] Esemplificazione di ciò si è avuto in tema di inquinamento elettromagnetico nella nota vicenda di radio vaticana;

[3] Cass. sez. III 30 gennaio 1998, Labita, in Ced Cass. 210959;

[4] Cass. Sez. III 25 giugno 1999, dep. 1 ottobre 1999 n. 11295, Zompa, in Ced Cass. 214633

[5] in Ced Cass. 207383

[6] in Ced Cass 203130

[7] in Ced Cass 191338

[8] in Ced Cass 197722;

[9] in Ced Cass 197576;

[10] in Ced Cass 191338;

[11] in Ced Cass 190593;

[12] in Ced Cass. 198071;

[13] Cass. Sez. III 23 gennaio 2004, dep. 3 marzo 2004 n. 9757, P., in Ced Cass. 228010;
[14] Cass. Sez. III 19 marzo 2004, dep. 8 aprile 2004 n. 16728, P., inedita;
[15] Cass. Sez. III 10 febbraio 2005, dep. 10 marzo 2005 n. 9503, M., in Ced Cass. 230982;
[16] in Ced Cass. 229619
[17] in Ced Cass 229170
[18] in Ced Cass 216621;
[19] in Ced Cass 220678

[20] Da ultimo sostenuto in dottrina da C.M. Grillo, “Responsabili e responsabilità nelle emissioni nell’atmosfera”, Relazione tenuta al Convegno Nazionale “Le responsabilità in materia ambientale: regime e soggetti” Gubbio 11/12 novembre 2005;