Cass. Sez. III n. 38434 del 27 novembre 2025 (UP 29 ott 2025)
Pres. Ramacci Est. Calabretta Ric. Chesini
Aria.Reato di getto pericoloso di cose ed emissioni olfattive

Il reato di getto pericoloso di cose è configurabile anche in presenza di emissioni olfattive, rispetto alle quali, al fine di definire il concetto di "molestia" che integra la fattispecie di cui all'art. 674 cod. pen., occorre distinguere tra l'attività produttiva svolta senza l'autorizzazione dell'autorità preposta, per la quale il contrasto con gli interessi tutelati va valutato secondo criteri di "stretta tollerabilità", e quella esercitata secondo l'autorizzazione e senza superamento dei limiti consentiti, per la quale si deve far riferimento alla "normale tollerabilità" delle persone previsto dall'art. 844 cod. civ. e sempre che l'azienda abbia adottato gli accorgimenti tecnici ragionevolmente utilizzabili per abbattere l'impatto delle emissioni sulla realtà esterna

RITENUTO IN FATTO 
1. Con sentenza del 20 febbraio 2025 di assoluzione per insussistenza del fatto la Corte di appello di Venezia, su ricorso dell'imputato, ha riformato la sentenza con la quale il Tribunale di Verona, in composizione monocratica, aveva condannato Guarnieri Giorgio alla pena di un mese di ammenda, nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili e al pagamento delle relative spese processuali, subordinando altresì la sospensione della pena al pagamento di una provvisionale in loro favore, in quanto ritenuto responsabile del reato di cui all'articolo 674 cod. pen., commesso nella qualità di rappresentante legale della società Cers s.r.l. proprietaria di una friggitoria sita in Lazise, per aver provocato emissioni atte a molestare il vicinato espellendo i fumi e gli odori di scarto prodotti dalla predetta attività. Nelle more del giudizio di appello, risultava decorso il termine di prescrizione del reato, contestato come accertato in Lanzise il 9 maggio 2018, ma la Corte procedeva nel merito del gravame proposto dall'imputato con riferimento alle statuizioni civili contenute nella sentenza di primo grado.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia, le parti civili CHESINI Maria Rosa e BERTASI Stefania, a mezzo del difensore di fiducia, propongono ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
2.1     Con il primo motivo, lamentano, ai sensi dell'art. 606, lett. e) del codice di procedura penale, la mancanza di motivazione in relazione all'omissione della valutazione di una prova documentale decisiva e la manifesta illogicità della motivazione in relazione al travisamento delle prove testimoniali ex articolo 192 del codice di procedura penale.
Quanto alla omessa valutazione di prova documentale decisiva, i ricorrenti deducono che la Corte di appello ha omesso di valutare in toto - anzi affermando che l'istruttoria avrebbe omesso qualsiasi verifica tecnica o scientifica, affidandosi esclusivamente alle dichiarazioni testimoniali- il documento prodotto in corso di causa dalla difesa delle parti civili, denominato «Valutazione dell'impatto olfattivo della friggitoria ubicata nel centro storico del Comune di Lanzise» e redatto dalla società Osmotech srl di Pavia su incarico del Comune di Lanzise, che, invece, il Tribunale di Verona aveva posto a fondamento della sentenza di condanna.
Con specifico riguardo alla manifesta illogicità della motivazione in relazione al travisamento delle prove testimoniali ex articolo 192 del codice di procedura penale, i ricorrenti deducono che il giudice del gravame, pur affermando che i testi sentiti in dibattimento avevano tutti riferito del carattere particolarmente fastidioso delle emissioni odorigene, tuttavia ha ritenuto che tutti i testi auditi fossero portatori di un interesse proprio e contrapposto e, pertanto, inattendibili, omettendo di valutare la testimonianza resa da tale Santalucia Pasquale, agente del Comune di Lanzise.
2.2     Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano erronea applicazione della legge penale ex articolo 606 lettera b) cod. proc. pen. in relazione all'articolo 674 cod. pen. poiché la Corte di Appello avrebbe errato nell'accogliere il ricorso dell'imputato affermando che l'esercizio di friggitoria fosse dotata di tutte le autorizzazioni previste e che, pertanto, dovesse concludersi per l'insussistenza del fatto, viceversa da ritenersi sussistente in ragione, comunque, del superamento del limite della ordinaria tollerabilità delle immissioni, previsto dall'articolo 844 cod. civ., norma primaria valevole ad integrare il divieto presupposto dalla fattispecie del getto pericoloso di cose, anche a prescindere dalla regolarità amministrativa delle attività generatrici delle emissioni moleste.
La Procura Generale, con memoria a firma del Sostituto Procuratore Luigi Cuomo, ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata agli effetti civili, con le conseguenze previste dalla legge.
L'Avv. Alberto Luppi, difensore del sig. Giorgio Guarnieri, con memoria ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO 
1. Il ricorso è infondato.
2. Quanto al primo motivo di ricorso (art. 606 lett. e) cod. proc. pen.), si tratta di motivo manifestamente infondato. Con esso si deduce l'omessa valutazione di una prova documentale asseritamente decisiva (ovvero il documento denominato "Valutazione dell'impatto olfattivo della friggitoria ubicata nel centro storico del Comune di Lanzise"), nonché la manifesta illogicità della motivazione in relazione al travisamento delle prove testimoniali ex art. 192 cod. proc. pen.
La parte civile si duole della omessa considerazione, da parte del giudice di appello, del riferito documento, citato nella motivazione della sentenza di condanna emessa in primo grado e prodotto dalle parti civili all'udienza del 10.03.20220.
Benché la parte fondi il motivo di ricorso sulla decisività del richiamato documento, si osserva in primo luogo che la sentenza di primo grado, che pure conteneva statuizione di condanna, come detto, si limita a richiamare il fatto processuale della relativa produzione ad opera della parte civile e la sintesi del relativo contenuto, ovvero che "...sono riconducibili alla friggitoria un elevata frequenza di episodi di odore forte". In secondo luogo, rileva osservare che tale documento si caratterizza per un contenuto precipuamente di tipo valutativo, tanto da essere 3 definita perizia dal ricorrente (pagina 3 del ricorso), né risulta che l'autore del documento sia stato sentito durante l'istruttoria dibattimentale.
Quanto alla decisività del menzionato documento, valgono le considerazioni che seguono.
In particolare, si osserva che la fattispecie di reato di cui all'articolo 674 cod. pen. contiene un espresso rinvio ai casi non consentiti dalla legge: a sua volta, l'articolo 844 del codice civile, norma primaria in relazione alla quale il giudice di primo grado ha motivato la sussistenza del reato, testualmente prevede che: "Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.
Nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso." Dal combinato disposto degli articoli 674 cod. pen. e 844 cod. civ., si trae la conclusione, in via generale e salve particolari declinazioni del reato in relazione alla natura del bene interesse leso in concreto, che le immissioni in tanto possano ritenersi contra legem, e, in via di ulteriore considerazione, meritevoli anche di sanzione penale, in quanto superino la normale tollerabilità e che, poiché la normale tollerabilità deve tenere conto della condizione dei luoghi e contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, ogni valutazione che prescinda dal considerare la predetta condizione ovvero obliteri il necessario contemperamento tra le esigenze della produzione e le ragioni proprietarie, certamente non giunge a coprire tutti gli elementi costitutivi del reato.
Ne discende che la valutazione contenuta nel documento indicato come decisivo dal ricorrente non può considerarsi quale prova decisiva, stante il tenore della conclusione quale riportata dal giudice di primo grado, e che la sentenza della Corte di appello è scevra dai lamentati profili di omessa valutazione di una prova decisiva e di manifesta illogicità della motivazione, sicché la censura formulata con il primo motivo si palesa quale richiesta di rilettura degli elementi di fatto posti a base della decisione, compito esclusivo del giudice di merito.
Quanto al lamentato travisamento delle prove testimoniali, fermo restando che, come sopra detto, alla corte è preclusa una rivalutazione degli elementi in fatto posti a base della decisione, si osserva che la Corte di appello sul punto si è limitata ad affermare che la valutazione delle testimonianze dovesse essere condotta con particolare prudenza, essendo gli stessi portatori di un proprio interesse contrapposto con quello dell'imputato. Premessa tale cautela, la Corte di appello n di Venezia ha ritenuto di accedere ad una pronuncia assolutoria in ragione del prevalente argomento in diritto quanto alla omessa considerazione, nella ponderazione della fondatezza dell'ipotesi accusatoria, dei limiti interni alla disposizione di cui all'art. 844 c.c. costituiti dalla condizione dei luoghi e dall'esigenza di contemperamento fra esigenze della produzione e ragioni della proprietà. Ne discende che non risulta configurabile il dedotto travisamento, che per giurisprudenza costante di questa corte legittima in questa sede solo una verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l'eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova (Sez. 5, Sentenza n. 26455 del 09/06/2022 Ud. (dep. 08/07/2022) Rv. 283370 - 01). Si osserva, inoltre, quanto alla testimonianza di Santalucia Pasquale, agente del Comune di Lanzise, che il ricorso non allega il relativo verbale: tuttavia, il contenuto della deposizione del medesimo è sinteticamente riassunto nella sentenza di primo grado che si limita a riportare che questi, agente intervenuto in esito alla denuncia sporta dai vicini, confermava sia che dalla friggitoria provenisse forte odore sia di non aver adottato sanzioni, elementi comunque non decisivi alla luce delle argomentazioni svolte dal giudice d'appello quanto alla sussistenza di fatto sussumibile nel disposto dell'art. 674 cod. pen.
3. Il secondo motivo di ricorso è infondato. Va anzitutto premesso che la sentenza di primo grado (sesta pagina, trattandosi di sentenza con pagine non numerate), richiamata sul punto anche dalla Corte di appello di Venezia a pag. 8, ha espressamente affermato che l'impianto di friggitoria fosse conforme alla normativa e che nessuna sanzione è stata irrogata dal Comune, dai Nas e da altri enti.
Giova sul punto richiamare quanto affermato da questa Corte con riferimento alla diversa modulazione del concetto di molestia penalmente rilevante in relazione alla natura autorizzata o meno dell'attività che genera molestie olfattive. In particolare, si è affermato che il reato di getto pericoloso di cose è configurabile anche in presenza di emissioni olfattive, rispetto alle quali, al fine di definire il concetto di "molestia" che integra la fattispecie di cui all'art. 674 cod. pen., occorre distinguere tra l'attività produttiva svolta senza l'autorizzazione dell'autorità preposta, per la quale il contrasto con gli interessi tutelati va valutato secondo criteri di "stretta tollerabilità", e quella esercitata secondo l'autorizzazione e senza superamento dei limiti consentiti, per la quale si deve far riferimento alla "normale tollerabilità" delle persone previsto dall'art. 844 cod. civ. e sempre che l'azienda abbia adottato gli accorgimenti tecnici ragionevolmente utilizzabili per abbattere l'impatto delle emissioni sulla realtà esterna (Sez. 3, Sentenza n. 23582 del 13/07/2020 Cc. (dep. 05/08/2020) rv. 279880 - 01).
Nella motivazione di tale pronuncia, la Corte ha ampiamente esaminato i propri precedenti arresti, inclusa la sentenza richiamata dal ricorrente (sent. 36905 del 14 settembre 2015, Rv. 265188 - 01) confrontandosi con essa e superandola con plurimi argomenti, non ultimo quello per il quale, in materia di molestie olfattive, ove si accedesse a ritenere integrato il reato di cui all'art. 674 cod. pen. in ragione del superamento del più rigido criterio della "stretta tollerabilità" anziché della "normale tollerabilità" si giungerebbe, «...in evidente contrato col principio della residualità della tutela penale rispetto a quella, a contenuto inibitorio e risarcitorio, offerta all'individuo dall'ordinamento di tipo civilistico - a collocare su di un fronte più avanzato la tutela penale in caso di immissioni olfattive rispetto a quella pacificamente apprestata, in sede civile, per siffatto genere di immissioni, la cui illiceità, ai sensi dell'art. 844 cod. civ., laddove non sia posto a repentaglio un valore di rango superiore quale quello del diritto alla salute, è subordinata al criterio della "normale tollerabilità" (Corte di cassazione, Sezione civile, 31 agosto 2018, n. 21504).».
In particolare, la Corte di appello ha senz'altro sinteticamente riportato che i testimoni avevano riferito del carattere particolarmente fastidioso delle emissioni odorigene, ha ritenuto di valutare tali dichiarazioni con prudenza per essere i testimoni portatori di un interesse proprio e contrapposto a quello dell'imputato, ed ha poi escluso che il giudice di primo grado, pur avendo fondato l'affermazione di penale responsabilità sulla violazione dell'articolo 844 del codice civile, avesse tenuto conto dei limiti - posti dal medesimo articolo - entro i quali non possa ritenersi superata la normale tollerabilità degli eventi odorigeni, ovvero la condizione dei luoghi ed il necessario contemperamene tra le ragioni della proprietà e quelle della produzione. Il giudice di appello, in particolare, ha fatto riferimento alla condizione del luogo di esercizio dell'attività di friggitoria, nota località turistica sul Lago di Garda ed affermato che la sentenza di primo grado aveva altresì omesso ogni valutazione circa il contemperamento delle ragioni della produzione con quelle della proprietà. La Corte di appello di Venezia, pertanto, nel riformare la sentenza di assoluzione emessa in primo grado, ha ampiamente motivato la propria pronuncia, fornendo una ragionevole motivazione quanto alla pronuncia assolutoria adottata rispetto al giudice di primo grado ed ha, quindi, correttamente assolto all'onere di motivazione sulla stessa gravante, quale delimitato dalla giurisprudenza di questa Corte che, con riferimento alle sentenze di assoluzione pronunciate in riforma di sentenze di condanna, ha chiarito, nella sua massima composizione che «Il giudice d'appello che riformi in sens assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l'obbligo di rinnovare l'istruzione dibattimentale mediante l'esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva.» (Sez. U, Sentenza n. 14800 del 21/12/2017 Ud. (dep. 03/04/2018) Rv. 272430 - 01).
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 29/10/2025