Cass. Sez. 3 n. 31035 del 20 luglio 2016 (Cc 9 giu 2016)
Presidente: Amoresano Estensore: Mengoni Imputato: Greco
Alimenti.Violazione delle disposizioni sulla tracciabilità delle materie prime

In tema di alimenti, integra il reato di cui all'art. 5, lett. b), della legge 30 aprile 1962, n. 283, la preparazione di alimenti in violazione delle disposizioni sulla tracciabilità della materia prima. (Fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto corretta la qualificazione giuridica nell'ipotesi di produzione di prodotti caseari ottenuti miscelando latte acquistato da allevamenti non autorizzati con altro di provenienza "sicura", in mancanza di annotazione, sui registri di tali approvvigionamenti, di qualsivoglia controllo sul rispetto delle norme igienico-sanitarie da parte delle aziende fornitrici ed in presenza della falsificazione dei relativi documenti).

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 3/6/2015, il Tribunale del riesame di Palermo rigettava il ricorso proposto da G.G. e, per l'effetto, confermava il decreto di sequestro preventivo emesso il 5/5/2015 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Termini Imerese; al G. - quale legale rappresentante de "Il cacio siciliano s.r.l." - erano contestate le fattispecie di cui agli artt. 81 cpv. e 515 c.p. e L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. b) e art. 6, per aver acquistato latte ovino e bovino da allevamenti non autorizzati, poi miscelato con altro di provenienza lecita, così producendo e detenendo per la vendita formaggi ed altri prodotti caseari in cattivo stato di conservazione. Ancora, e per mezzo delle condotte citate, era contestato al G. di aver consegnato agli acquirenti (consumatori o commercianti) cose diverse per origine e qualità da quelle pattuite.

2. Propone ricorso per cassazione l'indagato, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:

- violazione e/o erronea interpretazione dell'art. 5, lett. b) contestato e delle disposizioni di cui ai Regolamenti CE n. 2073/2005, 178/2002 e 882/2004. Il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che le disposizioni in tema di tracciabilità delle materie prime abbiano incidenza sui profili igienico-sanitari concernenti la realizzazione del prodotto finito, quando invece ne sono del tutto estranei; tali disposizioni, infatti, avrebbero l'unico fine di evitare che - a fonte dell'accertata pericolosità di una sostanza - vengano sequestrati tutti i prodotti realizzati dall'azienda, non soltanto quelli contenenti effettivamente le sostanze a rischio.

La necessaria distinzione tra materie prime e prodotto finito, inoltre, comporterebbe che la disciplina in tema di sicurezza alimentare rilevi soltanto con riguardo al secondo; quel che, nel caso di specie, escluderebbe in radice ogni pericolo per la salute umana, atteso che - quand'anche parte del latte di produzione fosse stato contaminato - lo stesso sarebbe stato comunque "sanificato" in sede aziendale, attraverso fasi termine che di lavorazione tali da eliminare ogni possibile rischio;

- violazione e/o erronea applicazione dell'art. 515 c.p.. L'ordinanza avrebbe tratto il fumus del reato in oggetto dal solo materiale pubblicitario rinvenuto su Internet; lo stesso, però, non conforterebbe affatto l'ipotesi accusatoria, atteso che non conterrebbe alcuna affermazione falsa o "fraudolenta" (come confermato dagli esiti delle analisi), ma - a tutto concedere - un mera "enfasi" pubblicitaria, innocua nell'ottica dell'interesse tutelato;

- violazione dell'art. 321 c.p.p.. Non sussisterebbe, nel caso di specie, nessun periculum in mora, attesa l'assoluta regolarità del ciclo di produzione in esame; il sequestro dell'intera azienda, inoltre, risulterebbe misura sproporzionata rispetto al fine che si intende perseguire, apparendo a ciò adeguato anche il sequestro o il "blocco" del sito internet, se non la mera rimozione dallo stesso delle frasi ritenute ingannevoli.

3. Con requisitoria scritta del 23/3/2016, il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso. Premesso l'iter argomentativo svolto dal Tribunale, evidenzia che l'art. 5, lett. b) in contestazione sanzionerebbe anche l'impiego, nella produzione, di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, senza che occorra un effettivo danno alla salute; poichè non è controverso che il latte impiegato dalla società del ricorrente provenisse anche da venditori "non sicuri", ciò sarebbe sufficiente a ledere il cd. ordine alimentare. Del pari, quanto al cd. autocontrollo, lo stesso risulterebbe giammai svolto, non essendovi prova in tal senso; infondata, da ultimo, sarebbe la tesi per cui la normativa in tema igienico-sanitario atterrebbe esclusivamente al prodotto finito e non già alle materie prime.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Osserva preliminarmente questa Corte che, in sede di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l'art. 325 c.p.p. ammette il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di "violazione di legge" rientrano, in particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, ma non l'illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e) (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).

5. Ciò premesso, ritiene il Collegio che il ricorso proposto dal G. sia infondato, atteso che il Tribunale del riesame ha confermato la misura cautelare in atto con un più che adeguato percorso argomentativo, estremamente diffuso, privo di illogicità di sorta o di contraddizione alcuna; come tale, quindi, tutt'altro che assente o meramente apparente. Con la precisazione, peraltro, che il gravame non muove alcuna censura alle numerose circostanze in fatto richiamate dal Collegio nelle pagg. 6-12 dell'ordinanza, relative - tra l'altro - 1) al sistematico approvvigionamento di latte, da parte del "Cacio siciliano", anche da aziende non registrate tra coloro che potevano vendere il prodotto (latte poi mescolato con altro, di origine tracciabile), così come 2) alla ripetuta, mancata annotazione sui registri di tali acquisti, 3) alla falsificazione dei relativi documenti e 4) all'assenza di qualsivoglia controllo sul rispetto delle norme igienico-sanitarie da parte delle aziende che fornivano il latte medesimo; elementi oggettivi e non confutati, quindi pacifici, che costituiscono la premessa fattuale del ragionamento giuridico espresso dal Tribunale, al quale sono mosse in questa sede doglianze infondate e, soprattutto, incuranti delle risposte che - alle medesime questioni - il Collegio di merito ha già adeguatamente fornito.

6. Questo, in particolare, con riguardo (motivo n. 1) alla tesi secondo la quale le disposizioni in tema di tracciabilità della materia prima non avrebbero alcuna incidenza sulla valutazione del prodotto finito e sulla sua pericolosità, riguardando esclusivamente il "rischio commerciale" nei termini sopra indicati, e ciò nell'ottica di limitare il sequestro di prodotti a fronte di una accertata pericolosità degli stessi. Orbene, l'ordinanza - al riguardo - ha diffusamente richiamato la pacifica giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la contravvenzione di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. b), costituisce un tipico reato di pericolo presunto, con anticipazione della soglia di punibilità in ragione della rilevanza del bene-interesse tutelato (la salute umana), tale da prescindere dall'effettivo accertamento di un danno all'oggetto medesimo (da ultima, per tutte, Sez. 3, n. 40772 del 5/5/2015, Torcetta, Rv. 264990); in forza di ciò, quindi, il Collegio di merito ha concluso nel senso che le condotte di cui sopra che, si ribadisce, non costituiscono oggetto di contestazione in questa sede - ben formano il substrato materiale della contravvenzione in esame, atteso che tutte le citate violazioni "fanno ritenere "pericoloso" (cioè potenzialmente foriero di rischi per la salute) il latte non tracciabile ed, ovviamente, il mischiarlo con quello - invece - "sicuro" - ha fatto sì che sorgesse il pericolo che si introducesse nel latte impiegato nella preparazione dei prodotti caseari un fattore di rischio per la salute umana...con la conseguenza che può parlarsi di cattiva conservazione del latte" medesimo. Dal che, il fumus dell'art. 5, lett. b), in esame, atteso che "si è acquistato latte da aziende non registrate e che non avevano le attrezzature ed i locali idonei a garantire la mungitura e la conservazione del prodotto secondo adeguati standard igienico-sanitari (...); si è "contaminato" il latte "sicuro" con quello "non tracciabile" e (per quanto fin qui esposto) "pericoloso"".

7. Sì da confermare - in contrasto con l'assunto del ricorrente - che, nell'ottica di un reato di pericolo volto alla tutela della salute umana, la violazione sistematica (consapevole o colposa) delle disposizioni in tema di tracciabilità della materia prima attiene direttamente all'insorgenza del rischio per il bene stesso e, di conseguenza, alla configurabilità del fumus del reato; e con l'ulteriore precisazione - adeguatamente ribadita nell'ordinanza - che la normativa comunitaria a sostegno del gravame (e ribadita in questa sede) non limita affatto la propria portata al prodotto finito, concernendo anche le materie prime, in ordine alle quali risultano parimenti doverosi i controlli degli standard qualitativi.

8. Non solo.

Proprio in punto di autocontrollo, sul quale insiste il ricorso, l'ordinanza impugnata si è ancora espressa in termini del tutto adeguati e privi di ogni illogicità, tali certo da non poter esser tacciati come inesistenti. Per un verso, infatti, il Tribunale ha sottolineato che i controlli risultavano eseguiti soltanto in alcuni giorni, non già in tutti quelli in cui le cisterne della società avevano caricato latte proveniente dalle aziende "irregolari"; per altro verso, e con valenza decisiva, ha evidenziato che tali verifiche erano state comunque compiute su campioni prelevati dall'acquirente medesimo, e con modalità scelte dallo stesso, sì da escludere - o, quantomeno, render dubbia - ogni forza rassicurante delle verifiche medesime ed ogni loro attendibilità.

Analogamente, con riguardo agli accertamenti termici di sanificazione (richiamati pure nel ricorso, come processo tale da eliminare eventuali pericoli insiti nella materia prima), il Tribunale ha affermato che gli stessi non risultavano eseguiti, quantomeno in ogni occasione, emergendo - per stessa ammissione del ricorrente - come meramente eventuali.

9. Il gravame, di seguito, risulta privo di fondamento anche in ordine al fumus del delitto di cui all'art. 515 cod. pen.. Ed invero l'ordinanza, muovendo dalle oggettive e pacifiche risultanze investigative di cui sopra, ha rilevato che la proposta commerciale avanzata dalla società nei confronti del mercato tutto era, ex se, fraudolenta, contenendo l'esplicita garanzia dell'effettuazione di controlli e verifiche che - per contro - il Tribunale del riesame ha escluso con motivazione del tutto logica, quantomeno nella presente fase cautelare; conclusione che, peraltro, il ricorrente intenderebbe contestare con l'allegazione di vari certificati dei quali, però, questa Corte non è autorizzata ad effettuare alcuna verifica assumendo, in contrasto con quanto precede, che tutte le analisi eseguite avrebbero avuto esito favorevole, sì da escludere ogni fraudolenza o falsità nelle dichiarazioni pubblicitarie. Quel che, all'evidenza, soltanto il giudizio di merito potrà confermare o smentire.

10. Da ultimo, in punto di periculum, osserva la Corte che la relativa doglianza risulta del tutto generica; nell'ottica difensiva, infatti, tale elemento dovrebbe essere escluso sol perchè la realizzazione dei prodotti caseari avverrebbe con "assoluta regolarità", in tal modo, quindi, disattendendo - tamquam non essent - tutte le motivate considerazioni di cui sopra e l'argomento logico-giuridico che le sostiene. Del pari, palesemente infondata è la tesi per cui l'esigenza cautelare in oggetto ben potrebbe esser soddisfatta anche solo bloccando il sito Internet della società - o, ancor meno, rimuovendo le frasi promozionali false -, senza dover sottoporre a sequestro l'intero compendio aziendale; come se la misura proposta - che pur potrebbe astrattamente rilevare nell'ottica dell'art. 515 c.p. - esse aver alcuna efficacia con riguardo alla contravvenzione di cui alla L. n. 283 del 1962, la cui violazione costituisce il fondamento della misura cautelare in esecuzione.

11. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2016