Cass. Sez. III n. 47038 del 27 novembre 2015 (Ud 7 ott 2015)
Pres. Franco Est. Di Nicola Ric. Branca
Acque.Metodiche di campionamento dei reflui

Le indicazioni sulle metodiche di prelievo e campionamento del refluo, contenute nell'Allegato 5 alla Parte II del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nello specificare che la metodica normale è quella del campionamento medio, non stabiliscono un criterio legale di valutazione della prova, in quanto è consentito all'organo di controllo procedere con modalità diverse di campionamento, anche istantaneo, qualora ciò sia giustificato da particolari esigenze, posto che infatti lo stesso Allegato 5 abilita l'organo di controllo a procedere ad un campionamento diverso, anche istantaneo, in considerazione delle caratteristiche del ciclo produttivo, del tipo di scarico (continuo, discontinuo, istantaneo), del tipo di accertamento, purché si dia espressa giustificazione nel verbale di accertamento della scelta operata

 RITENUTO IN FATTO

1. Ancilla Giuseppina Branca ricorre personalmente per cassazione impugnando la sentenza emessa in data 23 gennaio 2015 dalla Corte di appello di Milano che ha parzialmente riformato la decisione resa dal tribunale della medesima città, riducendo la pena inflitta a giorni 20 di arresto (e per l'effetto rideterminando la pena pecuniaria in sostituzione di quella detentiva in euro 5.000,00 di ammenda e la pena complessiva in euro 7.000,00 di ammenda) per il reato previsto dall'articolo 137, comma 5, decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 152 perché, nella qualità di legale rappresentante della ditta "3C Srl", effettuava scarichi industriali con superamento dei limiti di accettabilità della pubblica fognatura di cui alla tabella 5 - allegato 5 - per il rilevamento di rame con una concentrazione pari a 5,1 mg/I, di cromo totale con una concentrazione fino al 31 mg/l. Fatti accertati in Buscate il 26 gennaio 2011 e permanente fino al 28 settembre 2011.


2. Per la cassazione dell'impugnata sentenza la ricorrente solleva i due seguenti motivi di gravame.

2.1. Con il primo motivo, deduce la violazione di legge per inosservanza o erronea applicazione della legge penale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b)).

Sostiene la ricorrente che i giudici di merito hanno trascurato la modifica normativa introdotta dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 relativamente alla nozione di "scarico". Infatti, laddove l'art. 74, comma 1, lett. ff), nel testo di cui al D.Lgs. n. 15 del 2006 definiva lo "scarico" come "qualsiasi immissione di acque reflue in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposti a preventivo trattamento di depurazione...", invece, il D.Lgs. n. 4 del 2008 ha invece previsto che è "scarico": "qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione ...".

Ne consegue che il fatto, così com'è stato ricostruito nella sentenza di primo grado e confermato nella seconda, non costituisce reato, essendo errata la presunzione sulla quale fondano entrambe le condanne.

2.2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione di legge per contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e)).

Sostiene la ricorrente come non possa essere condiviso il giudizio di attendibilità dei testimoni formulati dai giudici del merito: il convincimento del teste Cribio circa il fatto che la conceria della ricorrente bypassi il pozzetto di campionamento non ha mai trovato fondamento, essendo stato sconfessato in altri processi, conclusisi con esito favorevole per la signora Branca, Mario Calloni è invece un teste parte interessata alla presente vicenda.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato e presentato nei casi non consentiti.

2. I motivi di gravame possono essere congiuntamente esaminati essendo comune il vizio che li affligge.

2.1. In punto di fatto, è stato accertato che la "3C Srl", essendo una conceria, svolgeva attività soggetta ai limiti di accettabilità previsti dalla legge in merito agli scarichi industriali, con la conseguenza che l'acqua non poteva essere immessa in rete fognaria se inquinata più di quarto previsto dai limiti.

Poichè le acque delle concerie erano tradizionalmente piuttosto inquinanti, esse necessitavano di impianti di depurazione perchè i limiti di accettabilità venissero rispettati. L'impianto di depurazione della "3C Srl", a seguito di alcuni controlli, era risultato non funzionante e in stato di abbandono sicchè, effettuati anche i rilievi presso il pozzetto di campionamento, era risultato che l'acqua in esso contenuta era assolutamente pulita, più pulita di quanto un normale e funzionante impianto di depurazione potesse farla risultare e ciò era assolutamente incompatibile con un impianto in stato di totale abbandono.

I tecnici procedevano allora ad una verifica nella rete fognaria comunale scoprendo che c'erano dei reflui industriali che erano in fase di scarico e quindi aprivano il pozzetto attraverso il quale l'azienda si allacciava alla fognatura, a valle rispetto al pozzetto di campionamento, e scoprivano che dall'allacciamento della ditta stavano fuoriuscendo delle vernici che venivano prelevate.

Eseguita una ispezione presso l'azienda, si accertava che le vernici venivano riversate in un lavandino collegato alla rete delle acque meteoriche, non adibita a raccogliere reflui industriali, ricollegata direttamente al pozzetto dal quale tecnici avevano prelevato il campione di vernice, che si trovava a valle rispetto a quello di campionamento, concludendo che i reflui, passando dalla rete delle acque meteoriche, bypassavano il pozzetto di campionamento per giungere direttamente al pozzetto a valle di questo per confluire infine nella fognatura.

2.2. Precisa la ricorrente che la Corte territoriale ha affermato che "non essendo stato possibile verificare l'esatto percorso delle tubature e delle reti di 3 scarico (interrate), occorre necessariamente risalire dal risultato (dai pozzetti in cui viene trovato un refluo), al percorso delle tubature. Nel caso di specie, il refluo bianco e, a detta del Cribio, anche quello azzurro, venivano trovati sia nel pozzetto alla base della rete meteorica - che in ogni caso non dovrebbe raccogliere reflui industriali - sia in quello di via Privata Grandi, che andava poi a confluire direttamente dalla fogna comunale. All'interno del pozzetto di campionamento delle acque veniva invece trovata soltanto acqua pulita e ciò implica che quest'ultimo veniva bypassato attraverso una deviazione della rete di scarico".

Secondo la ricorrente la Corte d'appello cadrebbe in errore laddove fonda il proprio convincimento su un dato di esperienza acquisita e sulla dichiarazione secondo la quale la vernice blu era stata trovata quantomeno in uno dei pozzetti interni.

Si obietta anche che uno di questi pozzetti interni, dove sarebbe stato individuato il solo tracciante blu, non era in alcun modo collegato al luogo in cui è stato effettuato il prelievo incriminato e che ciò sarebbe comprovato dal fatto che il tracciante blu era assente nel luogo di campionamento sicchè, qualora l'ipotesi accusatoria fosse stata provata, ossia che fosse stata raggiunta la prova dell'esistenza di un bypass, allora nel luogo in cui è stato effettuato il prelievo si sarebbe dovuta trovare una abbondante quantità di refluo blu e ciò non sarebbe avvenuto.

Peraltro, aggiunge la ricorrente che il prelievo operato presso il "pozzetto di ispezione" non è stato corretto sia perchè quello ispezionato non è un "pozzetto" e sia perchè il punto in cui è stato eseguito il campionamento non è corretto, conseguendo da ciò che non è stata raggiunta la prova ogni oltre ragionevole dubbio che il refluo, contenente le sostanze al di sopra del limite consentito, provenisse dalla proprietà della ricorrente.

2.3. La Corte d'appello ha chiarito che il prelievo è stato operato presso il pozzetto di ispezione su via Grandi, a confine con la proprietà della ricorrente, proprio perché lo scarico di vernice della società "3C Sri" era in corso sulla "rete delle acque meteoriche" bypassando il pozzetto di campionamento delle acque industriali e, come riferito dal teste Cribbio, quella che "veniva fuori" era vernice, come è evidenziato, senza ombra di dubbio, dalla semplice visione delle foto a colori prodotte dal pubblico ministero all'udienza del 19 marzo 2011.

La Corte territoriale ha anche chiarito che le fotografie acquisite in atti, unitamente a quelle in cui l'impianto di depurazione appariva con evidenti segni di ruggine e coperto di foglie secche a riprova del suo mancato funzionamento, erano contestuali all'accertamento del 26 gennaio 2011, tanto che il teste aveva riferito che il sopralluogo eseguito il 26 gennaio 2011  fu dettato dalla circostanza che nel pozzetto di campionamento delle acque industriali erano state rinvenute acque pulite, il che appariva incompatibile con lo stato di abbandono e l'immissione dell'impianto.

Ne consegue che i giudici del merito hanno fondato il proprio convincimento sulla base di una pluralità di circostanze (il mancato funzionamento dell'impianto di depurazione, le prove testimoniali, i rilievi fotografici e di sopralluogo, le modalità del campionamento), sicchè i rilievi della ricorrente, da un lato, operano una indebita frantumazione degli elementi posti a base della decisione impugnata e, dall'altro, introducono argomenti squisitamente fattuali, tendenti ad ipotizzare una ricostruzione alternativa dei fatti di causa, non consentita nel giudizio di legittimità, in presenza peraltro di una motivazione del tutto adeguata e priva di illogicità.

2.4. Pienamente assertiva deve poi ritenersi la censura circa le modalità del campionamento, avendo i giudici d'appello fatto buon governo del principio affermato da questa Corte, al quale va dato continuità, secondo il quale le indicazioni sulle metodiche di prelievo e campionamento del refluo, contenute nell'Allegato 5 alla Parte 2^ del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nello specificare che la metodica normale è quella del campionamento medio, non stabiliscono un criterio legale di valutazione della prova, in quanto è consentito all'organo di controllo procedere con modalità diverse di campionamento, anche istantaneo, qualora ciò sia giustificato da particolari esigenze (Sez. 3, n. 16054 del 16/03/2011, Catabbi, Rv. 250309), posto che infatti lo stesso Allegato 5 abilita l'organo di controllo a procedere ad un campionamento diverso, anche istantaneo, in considerazione delle caratteristiche del ciclo produttivo, del tipo di scarico (continuo, discontinuo, istantaneo), del tipo di accertamento, purchè si dia espressa giustificazione nel verbale di accertamento della scelta operata.

2.5. Del tutto disarticolata appare poi la doglianza circa il fatto che i giudici del merito avrebbero tenuto conto di una nozione normativa di "scarico" superata dal D.Lgs. n. 4 del 2008.

Va ricordato che i tecnici avevano provveduto ad una verifica nella rete fognaria comunale ed avevano scoperto che c'erano dei reflui industriali, anche pesantemente contaminati, che erano in fase di scarico e perciò essi aprirono il pozzetto attraverso il quale l'azienda si allacciava alla fognatura, scoprendo che dall'allacciamento della ditta stava fuoriuscendo vernice di colore panna. Nel pomeriggio, da un'ispezione all'interno della ditta accertarono la presenza di un impianto di spruzzatura, ovvero di verniciatura delle pelli, chiamato "lo spruzzo" e nel lavandino, collegato alla rete delle acque meteoriche, constatarono che si stavano svuotando dei fusti contenenti prodotti vernicianti.

Ne consegue che è stata accertata, quantunque attraverso un artificio costituito dalla realizzazione di un bypass (v. sub 2.1. del considerato in diritto), un'immissione effettuata esclusivamente attraverso un sistema stabile di collettamento, che direttamente collegava, senza soluzione di continuità, il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore, integrandosi perciò pienamente la nozione di scarico penalmente rilevante anche ai sensi del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 74, lett. ff) come modificato dal D.Lgs. 16 gennaio 2006, n. 4.

Quando infatti sussiste, come nella specie, un nesso funzionale e diretto delle acque reflue con un corpo ricettore deve ritenersi applicabile la disciplina delle acque (e non quella dei rifiuti), rientrando nella nozione di scarico la canalizzazione, anche se soltanto periodica, discontinua o occasionale di acque reflue in uno dei corpi ricettori specificati dalla legge ed effettuata tramite condotta, tubazioni, o altro sistema stabile di canalizzazione.

2.6. Quanto al giudizio sull'attendibilità dei testimoni, il rilievo della ricorrente è del tutto generico non essendo agganciato al necessario requisito della specificità, rivestendo la censura un contenuto meramente assertivo, in quanto un teste, che abbia un interesse nella causa, non può essere considerato per ciò solo non attendibile, tanto più quando il giudice di merito abbia adeguatamente motivato il proprio convincimento in proposito ricorrendo, come nella specie, anche ad elementi esterni che corroborano il contenuto della testimonianza, confinando l'interesse o il presunto interesse del teste a circostanza del tutto irrilevante rispetto al fatto da provare.

3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2015.