Cass. Sez. III n. 32941 del 8 settembre 2010 (Ud. 28 apr. 2010)
Pres. Lupo Est. Fiale Ric. Comune Milano in proc. Monetti ed altro
Acque. Aste fontanili

Va ribadito il principio secondo il quale: la qualificazione di tutte le acque come appartenenti a demanio pubblico, salvo limitatissime eccezioni, ribadita dal D.P.R. 18 febbraio 1999, n. 238, art. 1, è stata da ultimo confermata dal DLgs. 3 apri1e 2006. n. 152. art. 144. Ne consegue che anche alle aste fontanili resta ancora applicabile il RD. 25 luglio 1904, n. 523, art. 96, non abrogato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, che anzi lo richiama espressamente all’art. 115, sostanzialmente riproducente il D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 41 e che prevede comunque il divieto di copertura di qualunque corso d’acqua che non sia imposta da ragioni di tutela della pubblica incolumità. Né è possibile trarre argomento decisivo contro tale conclusione dai fatto della depenalizzazione della fattispecie penale relativa alle acque potabili di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art, 94, ad opera dell’art. 134 del medesimo decreto, che renderebbe incompatibile la persistenza del reato in esame relativamente a quelle non potabili, in considerazione comunque del particolare rilievo economico delle aste fontanili soprattutto nelle regioni del nord, che porta ad escluderne l’inclusione in categorie a tutela minore.

 

UDIENZA del 28.4.2010

SENTENZA N. 815

REG. GENERALE N.39863/09


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:


Dott. Ernesto Lupo                             Presidente
Dott. Alfredo M. Lombardi                   Consigliere
Dott. Aldo Fiale                                 Consigliere rel.
Dott. Luigi Marini                               Consigliere
Dott. Giulio Sarno                              Consigliere


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


- sul ricorso proposto da:

COMUNE di MILANO quale responsabile civile nel procedimento contro

1. Monetti Sebastiano, nato il xx.x.xxxx
2. Monetti Federica, nata il xx.xx.xxxx
- avverso la sentenza 27.4.2009 della Corte di appello di Milano
- Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso
- Udita, in camera di consiglio, la relazione fatta dal Consigliere dr. Aldo FIALE
- Udite le richieste del Pubblico Ministero, dr. Giovanni D'ANGELO, il quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso
- Udito, per i cittadini privati costituiti parti civili, I'Avv.to Francesco FRASCA
- Udito il difensore del responsabile civile, Aw.to Antonello MANDARANO, il quale ha chiesto l'accoglimento del ricorso


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 27.4.2009, confermava la sentenza 21.6.2007 del G.I.P. del Tribunale di quella città, che aveva affermato la responsabilità penale:


a) di Monetti Sebastiano e Monetti Federica in ordine ai reati di cui:
- all'art. 44, lett. b), D.P.R. n. 380/2001 [per avere - il primo nella qualità di rappresentante legale della cooperativa "SANAI", proprietaria del suolo e committente, e la seconda quale progettista e direttore dei lavori - posto in essere attività edificatorie autorizzate con permesso di costruire in variante del 14.1.2004, da considerarsi illegittimo perché fondato su una rappresentazione dello stato dei luoghi diversa da quella effettiva - acc. in Milano, il 15.3.2005];
- agli artt. 632 e 639 cod. pen., in relaz. agli artt.: 96, lett. c), g), h), R.D. n. 523/1904; 133, lett. a), e), f), g) R.D. 8.5.1904, n. 368; 41 D.Lgs. n. 152/1999 [per avere realizzato lo spostamento dell'asta del fontanile Facchetti, con conseguente modifica del regime di scorrimento delle acque, nonché proceduto alla non consentita tombinatura dei fontanili Facchetti e Canabagno]


b) del solo Monetti Sebastiano anche in ordine al delitto di cui:
- all'art. 483 cod. pen. [per avere falsamente attestato, in un atto notarile di asservimento dell'area di proprietà della cooperativa presentato al Comune di Milano al fine di ottenere l'anzidetto permesso di costruire in variante, che l'area in questione si estendeva ad alcuni specifici mappali, mentre quelli erano in realtà occupati dai fontanili Facchetti e Canabagno, non computabili nel calcolo del rapporto plano-volumetrico di edificazione]
e li aveva condannati alle pene ritenute di giustizia ed al risarcimento, in solido tra loro e con il responsabile civile Comune di Milano, del danno in favore delle parti civili costituite "Legambiente Onlus", Pedroli Lanfranco, Ravani Maria Giovanna, Alberti Carlo Celeste, Dal Pozzo Catia Maria, Russo Lorenzo e Servida Maria Cristina, rimettendo la liquidazione alla competente sede civile.
In particolare, la responsabilità civile del Comune di Milano veniva affermata per avere quell'Amministrazione omesso di esercitare tutte le cautele atte a prevenire l'illegittimo rilascio del permesso di costruire in variante del 14.1.2004, dovendo ritenersi che il dirigente del Servizio concessioni edilizie (architetto Achille Rossi), in una situazione di conoscenza pregressa, da parte del suo ufficio, di artificiose modifiche apportate allo stato dei luoghi ed al regime delle acque, avesse pretermesso i controlli per lui doverosi, pur potendo evincersi una situazione di illegalità dai documenti catastali e da quelli allegati alla richiesta del titolo abilitativo.


Avverso tale sentenza ha proposto ricorso soltanto il responsabile civile Comune di Milano ed ha eccepito che:
- l'Amministrazione comunale non aveva avuto alcuna responsabilità nella realizzazione delle opere in questione, essendo stata indotta a rilasciare il permesso di costruire in variante (di cui si contesta la legittimità) attraverso artifizi e raggiri posti in essere dagli imputati.


Lo stesso titolo abilitativo rilasciato, del resto, impone la completa riapertura dei fontanili interrati ed il mantenimento delle costruzioni ad una distanza di rispetto di almeno 4 metri da detti corsi d'acqua.


E' vero che non viene prescritto il ripristino dell'alveo originario del fontanile Facchetti e che viene consentita l'edificazione su una porzione di terreno originariamente occupata da quell'alveo, ora spostato di qualche metro, ma, mentre esistono forti limitazioni normative alla tombinatura dei fontanili, nessuna norma invece vieterebbe in radice il parziale spostamento del loro corso e la possibilità di edificare nel rispetto delle distanze di legge;


- non può ritenersi che l'edificazione sia stata autorizzata parzialmente su suolo demaniale, perché la pubblicità delle acque, sancita dalla legge n. 36/1994, non comporta in alcun modo l'automatica pubblicità delle aree sulle quali le stesse acque scorrono;


- quanto alle distanze delle costruzioni dai corsi d'acqua, non sarebbero applicabili le più restrittive disposizioni del R.D. n. 523/1904 (il cui art. 96, lett. f, prevede una distanza minima di 10 metri dal piede degli argini da osservare nelle nuove costruzioni, salvo che le discipline locali non stabiliscano una distanza diversa), bensì le disposizioni dell'art. 133 del R.D. n. 368/1904, riguardanti i corsi d'acqua, naturali o artificiali, pertinenti alla bonificazione dei terreni, quali sono appunto i fontanili in questione (ove viene prescritta, per i fabbricati, una distanza di metri da 4 a 10, secondo l'importanza del corso d'acqua);


- la condanna al risarcimento del danno sarebbe stata pronunciata senza che sia stata accertata la responsabilità penale dei soggetti che, per conto del Comune, hanno predisposto ed emesso il permesso di costruire ritenuto illegittimo.


Il dirigente comunale che ha rilasciato l'incriminato permesso di costruire in variante (l'architetto Achille Rossi) non è stato giudicato nel presente procedimento (essendo stata stralciata la sua posizione per nullità del rinvio a giudizio) ed è stato quindi instaurato nei suoi confronti autonomo procedimento per il reato di cui all' art. 323 cod. pen., in esito al quale egli "ben potrebbe essere assolto".


Il T.a.r. Lombardia, inoltre, sia pure in sede cautelare, ha confermato l'efficacia del provvedimento ritenuto illegittimo in sede penale.


L'Amministrazione comunale, pertanto, sarebbe stata "condannata a risarcire i danni asseritamente derivati non da un reato commesso da un proprio dipendente (che qui non è stato accertato), ma derivati dalla sua attività amministrativa ordinaria, per avere interpretato la normativa sui fontanili in modo difforme dal giudice penale";


- in mancanza di un reato riferibile direttamente alla pubblica amministrazione, l'azione di risarcimento non è attratta nella sfera di giurisdizione del giudice penale, ma doveva essere sottoposta al giudice amministrativo, dotato di giurisdizione esclusiva in materia urbanistica, ex art. 7 della legge n. 205/2000, anche con riferimento agli eventuali profili risarcitoti connessi;


- non sarebbe stata presa in considerazione la necessità di dimostrare l'esistenza di un danno risarcibile e, nella specie, le opere realizzate prima del sequestro dei cantieri sarebbero state poi demolite, mentre i lavori oggetto del permesso di costruire rilasciato nel 2004 nqn sarebbero mai iniziati.


MOTIVI DELLA DECISIONE

 

Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato.


1. Il gravame ha per oggetto una domanda di risarcimento danni, introdotta nel giudizio penale (da un'associazione ambientalista riconosciuta e da alcuni privati cittadini interessati) - quale conseguenza del rilascio di un illegittimo permesso di costruire in variante - nei confronti dei titolari ed attuatori del suddetto titolo edilizio, nonché dei Comune pii Milano per responsabilità solidale dell'amministrazione.


2. Nella vicenda in esame risultano accertati dai giudici del merito:
- le intervenute attività, poste in essere dagli imputati, di modifica e deviazione degli argini dei fontanili, di copertura dei corsi d'acqua e di tombinatura contra legem e non autorizzati dall'autorità amministrativa;

- la artificiosa rappresentazione dei luoghi nelle asseverazioni e nei progetti allegati alla domanda di permesso di costruire in variante, nella quale era stato:

a) alterato il computo delle distanze da mantenersi a tutela dei corsi d'acqua come effettivamente esistenti e non come artificiosamente modificati;

b) scientemente omesso lo scorporo dalla superficie fondiaria complessiva di quella riguardante gli alvei dei fontanili, inficiandosi così il computo della volumetria edificabile;


- la importanza determinante, a fronte della questione riferita alla demanialità o meno del terreno costituito dagli alvei dei due fontanili, della abusività della tombinatura dei due corsi d'acqua e dello spostamento del fontanile Facchetti, in violazione dei vincoli idrogeologici esistenti, nonché del regime di inedificabilità assoluta delle superfici interessate dai due fontanili e di quelle destinate alla loro salvaguardia;


- la circostanza che il rilasciato permesso di costruire in variante non ha previsto il ripristino dell'alveo originario del fontanile Facchetti e ha consentito l'edificazione su uno. porzione li terreno originariamente occupata da quell'alveo.


3. Il regime giuridico dei due fontanili è stato già delineato da questa III Sezione nera sentenza 20 giugno 2007, n. 24239 (riferita agli illeciti contestati a Monetti Sebastiano in connessione con il rilascio della prima concessione edilizia).


In quella sentenza è stata affermata la infondatezza della tesi difensiva sviluppata in relazione alla contesta violazione dell'art. 96 del R,D. n. 523 del 1904, che già si fondava "sul dato, secondo cui - a seguito dell'abrogazione ad opera del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 175, lett. u) - della legge 5 gennaio 1994, n. 36, [che, qualificando, all'art. 1 - comma 1, come pubbliche tutte le acque superficiali e sotterranee, rendeva applicabile anche alle aste fontanili (canali di bonifica e irrigazione) la normativa di cui al R.D. 25 luglio 1904 n. 523, art. 96, lett. c), f) e g), la cui violazione era sanzionata penalmente a norma del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 41, in relazione alla legge 20 mano 1965, n. 2248, art. 374] sarebbe scomparsa dalla disciplina vigente dal 2006 una tutela particolare anche penale per le aste fontanili".


Al riguardo questa Corte ha viceversa rilevato testualmente che:
"la qualificazione di tutte le acque come appartenenti al demanio pubblico, salvo limitatissime eccezioni, ribadita dal D.P.R. 18 febbraio 1999, n. 238, art. 1, è stata da ultimo confermata dal D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152. art. 144.
Ne consegue che anche alle aste fontanili resta ancora applicabile il R.D. 25 luglio 1904, n. 523, art. 96, non abrogato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, che anzi lo richiama espressamente all'art. 115, sostanzialmente riproducente il D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 41 e che prevede comunque il divieto di copertura di qualunque corso d'acqua che non sia imposta da ragioni di tutela della pubblica incolumità.
Né è possibile trarre argomento decisivo contro tale conclusione dal fatto della depenalizzazione della fattispecie penale relativa alle acque potabili di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 94, ad opera dell'art. 134 del medesimo decreto, che renderebbe incompatibile la persistenza del reato in esame relativamente a quelle non potabili, in considerazione comunque del particolare rilievo economico delle aste fontanili soprattutto nelle regioni del nord", che porta ad escluderne l'inclusione in categorie a tutela minore.


4. Quanto all'affermata responsabilità civile del Comune di Milano, va ricordato che le Sezioni Unite civili di questa Corte Suprema - con la sentenza 22 luglio 1999, n. 500 - hanno qualificato la responsabilità della pubblica Amministrazione, nei confronti dei privati, per l'adozione di provvedimenti illegittimi, come responsabilità aquiliana (extracontrattuale da fatto illecito), affermando che, allorquando - in assenza di una causa di giustificazione - venga arrecato un danno ad una posizione soggettiva riconosciuta dall'ordinamento meritevole di tutela, indipendentemente dalla qualificazione della stessa in termini di diritto soggettivo o di mero interesse legittimo, il danneggiato può invocare in suo favore l'applicazione dell'art. 2043 cod. civ.


Le Sezioni Unite hanno quindi precisato che, ai fini della responsabilità risarcitoria, non è sufficiente il mero dato oggettivo dell'illegittimità del provvedimento, ma deve sussistere altresì la colpa, non del funzionario agente, bensì dell'Amministrazione come apparato, da intendersi come violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione, alle quali l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che si pongono come limiti esterni alla discrezionalità. L'onere della prova incombe, al riguardo, sul privato che si pretende danneggiato.


Anche il Consiglio di Stato, con molteplici pronunzie, ha qualificato la responsabilità della P.A. come extracontrattuale, con tutto ciò che ne consegue anche in tema di prova dell'elemento soggettivo (vedi, ad esempio, C. Stato: sez. IV, 29 settembre 2005, n. 5204; sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2288), dovendo ritenersi consentita, nei confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana, la utilizzazione, per la verifica dell'elemento soggettivo, delle presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 cod. civ. (così C. Stato, sez. IV, 6 luglio 2004, n. 5012).
In tale ottica il privato danneggiato, ancorché onerato della dimostrazione della colpa dell'amministrazione, risulta agevolato dalla possibilità di offrire al giudice elementi indiziari, quali la gravità della violazione, il carattere vincolato dell'azione amministrativa e l'univocità della normativa di riferimento. Così che, acquisiti gli indici rivelatori della colpa, spetta all'amministrazione l'allegazione degli elementi ascrivibili allo schema dell'errore scusabile e al giudice apprezzarne e liberamente valutarne l'idoneità ad attestare o a escludere la colpevolezza (vedi, ex multis, C. Stato, sez. IV, 10 agosto 2004, n. 5500).
È stato altresì affermato che "ferma restando la permanente difficoltà di individuare un quid pluris rispetto alla stessa illegittimità dell'atto, la colpa dell'Amministrazione deve essere valutata tenendo conto dei vizi che inficiano il provvedimento, della gravità delle violazioni imputabili all'Amministrazione, anche alla luce del potere discrezionale concretamente esercitato, delle condizioni concrete, dell'apporto eventualmente dato dai privati al procedimento" (vedi C. Stato, sez. IV: 12 gennaio 2005, n. 43; 11 ottobre 2006, n. 6059).


4.1 Tenuto conto dell'anzidetta evoluzione giurisprudenziale, questo Collegio rileva che, nella fattispecie in esame:
- in relazione all'originaria concessione edilizia del 14.5.2002 (della quale il successivo permesso di costruire del 14.1.2004 costituisce variante), l'Amministrazione, in data 13.8.2002, aveva già ordinato la sospensione dei lavori, considerandoli autorizzati in base ad asseverazioni e progetti contrastanti con la realtà dei luoghi;
- si imponeva, dunque, la necessità di esaminare con particolare scrupolo il progetto di variante che, ponendosi in contrasto con le indicazioni allegate alla precedente concessione edilizia, presumibilmente avrebbe potuto raffigurare una situazione dei luoghi ancora una volta mendace;
- il dovere di particolare attenzione discendeva altresì dalla circostanza che l'approvazione della variante avrebbe avuto effetti sostanzialmente sananti a fronte del precedente ordine di sospensione dei lavori;
- con il concesso provvedimento in variante non è stato imposto l'integrale ripristino della situazione dei luoghi, che doveva costituire il fondamento per l'autorizzazione del progettato intervento edificatorio.
In una situazione siffatta si configura l'irrilevanza - ai fini risarcitori - dell'eventuale condanna penale del funzionario Rossi, mentre risulta razionalmente affermata l'esistenza degli indici rivelatori della colpa connessa alla individuazione della responsabilità aquilana.


5. Quanto al risarcimento del danno riconosciuto alla parte civile "Legambiente Onlus", va evidenziato che l'ambiente naturale costituisce un bene pubblico di rango costituzionale, la cui lesione fa sorgere il diritto al risarcimento del derivato danno anche non patrimoniale pure per le associazioni di protezione ambientale riconosciute ai sensi della legge 8.6.1986, n. 349, sia come titolari di un diritto della personalità connesso al perseguimento delle loro finalità statutarie, sia come enti esponenziali del diritto assoluto dell'ambiente (vedi Cass. pen., sez. III, 16.9.2008, n. 35393).


Ai privati costituitisi parti civili, invece, il diritto al risarcimento risulta riconosciuto per la situazione di stabile collegamento con la zona interessata dalla autorizzata edificazione e per la lesione dei valori urbanistici della stessa: elementi questi non contestati nell'atto di gravame.


6. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento; mentre la natura delle proposte questioni di diritto giustifica la compensazione delle spese della parte civile.


P.Q.M.

 

la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli artt. 575, 615 e 616 c.p.p.,
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Compensa le spese della parte civile.
ROMA, 28.4.20 1 0


DEPOSITATA IN CANCELLERIA l'8 sett. 2010