Cass. Sez. III n. 29884 del 11 settembre 2006 (ud. 6 lug. 2006)
Pres. Vitalone Est. Onorato Ric. Ripamonti
Acque – Campionamento ed analisi dei reflui
Le norme che disciplinano le metodiche di prelievo e campionamento non
solo non integrano la fattispecie penale di scarico con
superamento dei limiti perché non fornisce alcun elemento
aggiuntivo o specificativo della materialità del reato, ma
neppure indica un criterio legale di valutazione della prova proprio
perché lascia aperta la possibilità di utilizzare
metodiche diverse (normali o derogatorie) tutte idonee ad assicurare la
rappresentatività del campione a condizione di una adeguata
motivazione sul punto.
Svolgimento del processo
1 - Con sentenza dell’11 marzo 2005 la corte
d’appello di Milano ha integralmente confermato quella resa
il 25 febbraio 2004 dal tribunale di Monza, che aveva condannato
Gabriele Gilberto Ripamonti alla pena di quindici giorni di arresto
(convertita in € 581,25 di ammenda) e ulteriori euro 2.000 di
ammenda, avendolo giudicato colpevole del reato di cui
all’art. 59, comma 5, D.Lgs. 152/1999, perché - in
qualità di legale rappresentante della Galvaniche Ripamonti
s.p.a. - aveva effettuato uno scarico di acque reflue industriali
contenenti rame in concentrazione pari a 12 mg/l e quindi superiore ai
previsti limiti di tollerabilità (in Cologno Monzese il 12
dicembre 2001).
In particolare, la corte milanese ha rilevato che gli operatori
dell’ARPA, nella data suddetta, avevano effettuato un
prelievo istantaneo, dall’ultimo pozzetto prima della
immissione in fognatura. di due campioni da un litro di acque reflue
industriali provenienti dallo stabilimento della società
Ripamonti, ed avevano motivato a verbale la scelta del campionamento
istantaneo con la considerazione che esisteva “un accumulo
delle acque da trattare” e che lo “scarico [era]
discontinuo”.
Ha aggiunto inoltre la corte che, in esito alle analisi del campione,
il superamento dei limiti di tolleranza era risultato notevolissimo
(rame in concentrazione tripla rispetto alla soglia massima),
sicché restava comunque provato il fatto-reato.
2 - L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo
due motivi a sostegno.
Col primo denuncia erronea applicazione della norma incriminatrice, con
riferimento all’Allegato 5, tabella 3, par. 1.2, comma 2, del
D.Lgs. 152/1999. Sostiene che la regola prescritta in questa tabella,
che impone di norma un campionamento medio nell’arco di tre
ore, è norma integratrice della fattispecie penale prevista
nell’art. 59 del Dlgs. 152/1999 (v. Cass. Sez. III n. 9140
del 7 luglio 2000, Pautasso rv. 217545), con la conseguenza che il
reato è integrato solo quando il superamento dei limiti
tabellari si verifica per uno scarico di almeno tre ore e non per uno
scarico istantaneo.
Col secondo motivo il ricorrente lamenta apparenza e
illogicità della motivazione laddove la sentenza impugnata
ha ritenuto razionalmente e tecnicamente giustificata a verbale la
scelta del campionamento istantaneo operata dai funzionari
dell’ARPA.
Motivi della decisione
3 - Entrambi i motivi di ricorso sono destituiti di fondamento.
La giurisprudenza di questa corte è costante nel ritenere
che la metodologia indicata dal legislatore per il prelievo e il
campionaniento degli scarichi idrici ha carattere amministrativo e,
come tale, non assurge a fonte di prova legale del carattere
extratabellare degli scarichi, salva la ovvia facoltà del
giudice di valutare l’attendibilità tecnica delle
analisi compiute su campioni prelevati con metodiche diverse da quelle
suggerite dal legislatore.
La materia è ora regolata dall’Allegato 5 del
D.Lgs. 11 maggio 1999 n. 152, così come modificato
dall’art. 25 del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 258 (c.d. decreto
“acque bis”), il quale, al paragrafo 1.2, comma 2,
stabilisce che “le determinazioni analitiche ai fini del
controllo di conformità degli scarichi di acque reflue
industriali sono di norma riferite ad un campione medio prelevato
nell’arco di tre ore”, aggiungendo però
che “l’autorità preposta al controllo
può, con motivazione espressa nel verbale di campionamento,
effettuare il campionamento su tempi diversi al fine dì
ottenere il campione più adatto a rappresentare lo scarico
qualora lo giustifichino particolari esigenze, quali quelle derivanti
dalle prescrizioni contenute nell’autorizzazione dello
scarico, dalle caratteristiche del ciclo tecnologico, dal tipo di
scarico (in relazione alle caratteristiche di continuità
dello stesso), dal tipo di accertamento (accertamento di routine,
accertamento di emergenza, ecc.)”.
In altri termini, il legislatore indica come metodica normale, in
quanto più rappresentativa, quella del campionamento medio
nell’arco di tre ore; ma non esclude che l’organo
di controllo possa discrezionalmente procedere a un campionamento
diverso, anche istantaneo, in considerazione delle caratteristiche del
ciclo produttivo, del tipo di scarico (continuo, discontinuo,
istantaneo), del tipo di accertamento (di routine, di emergenza).
purché ne dia espressa giustificazione nel verbale di
prelievo.
Questa corte, con decisione assolutamente condivisibile, ha avuto modo
di precisare che “la norma sul metodo di campionamento dello
scarico ha carattere procedimentale, non sostanziale, sicché
non può configurarsi come norma integratrice della
fattispecie penale: essa indica il criterio tecnico ordinario per il
prelevamento, ma non esclude che il giudice possa motivatamente
valutare la rappresentatività di un campione che, per
qualsiasi causa, non è stato potuto prelevare secondo il
criterio ordinario” (Cass. Sez. III, n. 14425 del 21 gennaio
2004, dep. il 24 marzo 2004. Lecchi). Non può quindi
condividersi la contraria affermazione contenuta nella sentenza
Pautasso, invocata dal ricorrente.
In conclusione, la citata norma sulla metodica di prelievo e
campionamento non solo non integra la fattispecie penale di cui
all’art. 59, comma 5, D.Lgs. 1 52/1999, perché non
fornisce alcun elemento aggiuntivo o specificativo della
materialità del reato, ma neppure indica un criterio legale
di valutazione della prova, proprio perché lascia aperta la
possibilità di utilizzare metodiche diverse (normali o
derogatorie), tutte idonee ad assicurare la
rappresentatività del campione a condizione di una adeguata
motivazione sul punto.
Nel caso di specie, questa motivazione è stata indubbiamente
fornita, giacché. da una parte, gli operatori
dell’ARPA hanno giustificato a verbale il prelievo istantaneo
in considerazione della discontinuità dello scarico e della
esistenza nel pozzetto di prelievo di un accumulo di plurimi scarichi
delle acque reflue; e perché, dall’altra, il
giudice di merito ha correttamente sottolineato che il notevolissimo
superamento della soglia legale (concentrazione di rame in misura
tripla rispetto al limite massimo) assicurava comunque la prova della
natura extratabellare dello scarico.
4 - Nella discussione orale, il difensore ha chiesto in subordine la
declaratoria di prescrizione del reato, sostenendo che la sospensione
del processo disposta il 16 marzo 2006 ai sensi degli artt. 8 e 10
della recente legge 20 febbraio 2006 n. 46 non configura una ipotesi di
sospensione della prescrizione ai sensi dell’art. 159 c.p.p..
La tesi è infondata.
Per effetto del combinato disposto degli artt. 8 e 10, comma 5, legge
46/2006 l’imputato. avendo presentato ricorso anche per
mancanza o manifesta illogicità di motivazione risultante
dal testo del provvedimento impugnato, aveva diritto di dedurre motivi
nuovi, entro trenta giorni dall’entrata in vigore della
legge, denunciando ulteriori vizi di motivazione risultanti da altri
atti proccssuali specificamente indicati.
Per conseguenza, questa corte aveva l’obbligo di sospendere
il processo dal 9 marzo 2006 (data di entrata in vigore della legge
citata) all’8 aprile 2006, in virtù di un
principio generale, desumibile in particolare dagli artt. 568, 571 e
585 c.p.p., che impone al giudice di consentire alla parte privata di
esercitare il diritto processuale di impugnazione. che nel caso di
specie le competeva in base ai predetti artt. 8 e 10, comma 5 legge
46/2006. E ciò anche se nella legge 46/2006 manca una
espressa disposizione in questo senso.
Per ulteriore conseguenza il corso della prescrizione è
rimasto sospeso dal 9 marzo 2006 all’8 aprile 2006 ai sensi
dell’art. 159, comma 1, c.p., essendo la sospensione
processuale implicitamente imposta dalle disposizioni di legge citate.
Pertanto, considerato il periodo prescrizionale massimo di quattro anni
e mezzo dalla data del commesso reato (12 dicembre 2001), la
prescrizione maturerà soltanto il 12 luglio 2006.
5 - Il ricorso va pertanto rigettato. Consegue ex art. 616 c.p.p. la
condanna del ricorrente alle spese processuali. Considerato il
contenuto dell’impugnazione, non si ritiene di comminare
anche la sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.
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