Cass. Sez. III n. 38946 del 7 agosto 2017 (Ud 28 giu 2017)
Presidente:Cavallo Estensore: Ramacci Imputato: De Giusti
Acque. Assimilazione, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, di determinate acque reflue alle acque reflue domestiche
In materia di inquinamento idrico, l’assimilazione, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, di determinate acque reflue alle acque reflue domestiche deve ritenersi subordinata alla prova della esistenza delle condizioni individuate dalle leggi che la prevedono, restando applicabili, in difetto, le regole ordinarie
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Pordenone, con sentenza dell’1/12/2016 ha riconosciuto Sandra DE GIUSTI responsabile del reato di cui all’art. 137, comma 1 d.lgs. 152\06, perché, quale legale rappresentante di un’azienda vinicola, effettuava lo scarico non autorizzato in pubblica fognatura di acque reflue industriali derivanti da attività di cantina (fatto commesso in Azzano Decimo il 20/9/2013) e l’ha condannata alla pena dell’ammenda.
Avverso tale pronuncia la predetta propone personalmente ricorso per cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, rappresentando che lo sversamento di reflui sarebbe stato conseguenza di un errore, dovuto ad un fraintendimento tra un dipendente e l’autista di un’autocisterna durante operazioni di travaso di vino grezzo, che aveva comportato il distacco di un tubo di collegamento prima del completo svuotamento dell’autocisterna. Durante le operazioni di ripulitura, parte delle sostanze versate finiva in alcune caditoie, giungendo poi alla pubblica fognatura.
Data tale premessa, rileva che la disciplina applicabile nella fattispecie sarebbe quella concernente i rifiuti liquidi e non anche gli scarichi.
Osserva, inoltre, che trattandosi, in ogni caso, di una immissione o scarico assolutamente occasionale, il giudice del merito avrebbe dovuto applicare la disciplina derogatoria di cui alla legge regionale 15 maggio 2002 e successive modificazioni, la quale richiama i criteri di assimilazione alle acque reflue domestiche di cui all’art. 2 del d.P.R. 19 ottobre 2011, n. 227, in quanto l’azienda da lei rappresentata risponderebbe alle caratteristiche di cui al punto 22 della tabella A del menzionato decreto.
Aggiunge che, in ogni caso, anche a non voler ritenere applicabile la suddetta disciplina, il Tribunale avrebbe dovuto applicare al caso sottoposto alla sua attenzione la disciplina ordinaria di cui all’art. 101, comma 7 d.lgs. 152\06.
Precisa, poi, che lo scarico sarebbe stato del tutto occasionale, se non unico e non rientrerebbe, comunque, nel ciclo produttivo dell’azienda.
3. Con un secondo motivo di ricorso rileva che, dalla ricostruzione della vicenda, emergerebbe l’erronea individuazione, da parte del Tribunale, del soggetto responsabile del fatto, in quanto l’impianto, presso il quale l’azienda da lei rappresentata stocca il vino grezzo, è gestito da persona diversa, tanto che sarebbe stata da lei richiesta, successivamente ai fatti, un’autorizzazione allo scarico a proprio nome ma per conto della società che gestisce l’impianto.
4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta la mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. da parte del Tribunale pur a fronte della riconosciuta modestia del fatto in sentenza.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Va premesso, con riferimento al primo motivo di ricorso, che il fatto è stato ricostruito nel dettaglio dal giudice del merito, il quale specifica in sentenza che le indagini erano state avviate a seguito di una segnalazione telefonica nella quale si riferiva della fuoriuscita da un tubo di acqua torbida recapitante in un fiume.
Successivi controlli consentivano di apprezzare, sul luogo dello scarico, un forte odore di fogna e, successivamente, mediante l’apertura di vari tombini, la presenza, nell’impianto di fognatura, di residui di uva (bucce, acini e chicchi), accompagnata da un consistente odore di vinaccia, nonché un aumento del flusso delle acque non compatibile con le condizioni meteorologiche del momento.
Procedendo a ritroso nell’apertura dei tombini, si perveniva all’individuazione del luogo dello sversamento, dove due operai riferivano di “problemi con il lavaggio di una cisterna”, rinvenendosi peraltro la presenza di due caditoie, una destinata alla raccolta delle acque di raffreddamento di un macchinario e l’altra che presentava residui di bucce e liquidi il cui convogliamento risultava agevolato anche dal taglio di una griglia di contenimento.
Alla luce di tali dati fattuali riteneva il Tribunale che lo sversamento fosse stato convogliato, senza soluzione di continuità, nella caditoia e da lì, mediante condotta, nella pubblica fognatura, da dove, a causa dell’innesco di un dispositivo di “troppo pieno”, si riversava direttamente nel fiume.
Dalle testimonianze di due dipendenti dell’azienda il Tribunale apprendeva che vi sarebbe stato uno sversamento accidentale tra i 20 ed i 60 litri di liquido durante le operazioni di travaso e che quanto fuoriuscito veniva fatto oggetto di una “sciacquatina” mediante le acque di raffreddamento e poi convogliato nella caditoia previo taglio della griglia per favorire il passaggio dei residui solidi.
2. Ciò posto, va detto, per inciso, che il Tribunale non si è posto la questione, peraltro di immediata percezione, dell’evidente contrasto delle dichiarazioni rese dai testi in ordine alle quantità del liquido versato e quanto riscontrato in sede di accertamento, considerato che il deflusso dei liquidi aveva fatto scattare il sistema di “troppo pieno” della fognatura e che, trascorso del tempo dallo scarico e dalla successiva segnalazione, gli effetti dello stesso erano così visibili da consentire di procedere a ritroso fino alla sede dell’azienda mediante l’esame dei tombini lungo il percorso dello scarico (per non dire di quanto riferito, in un primo tempo, da altro operaio circa la diversa attività di lavaggio di una cisterna che avrebbe provocato lo sversamento).
Va anche detto, inoltre, che nel ricorso, la ricostruzione dei fatti effettuata in premessa è ancora diversa, laddove si afferma che, dopo la caduta del liquido, il materiale fuoriuscito sarebbe stato immediatamente rimosso e collocato altrove, mentre solo alcuni residui colavano lungo le caditoie, finendo nella pubblica fognatura.
3. In ogni caso, le conclusioni cui è pervenuto il giudice del merito risultano comunque corrette e conformi a legge, avendo egli puntualmente considerato alcuni elementi ritenuti significativi, quali la natura comunque funzionale all’attività di impresa delle riferite operazioni di travaso del vino grezzo, la riconducibilità dello sversamento alla nozione di “scarico” come definita dal d.lgs. 152\06, la irrilevanza della eventuale occasionalità dello stesso e la non assimilabilità dei reflui alle acque domestiche.
Invero, lo “scarico” viene definito dall’art. 74, comma 1, lett. ff) d.lgs. 152\06 come “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione”.
L’immissione occasionale, originariamente prevista dal previgente d.lgs. 152/99, non è più contemplata dalla normativa attuale, pur mantenendo rilevanza con riferimento alla disciplina sul divieto di abbandono di rifiuti.
Infatti, prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 258\2000, l’originario testo del previgente d.lgs. 152\99 prevedeva anche la nozione di "immissione occasionale", contemplata nelle disposizioni relative alle sanzioni. Contrariamente a quanto avveniva per il concetto di "scarico", del quale il d.lgs. 152\99 forniva una definizione, nulla si diceva in merito alle immissioni occasionali, delle quali non fa peraltro menzione neppure il d.lgs. 152\06. Tale situazione portava a ritenere che l’immissione occasionale non fosse più contemplata come reato con riferimento alla mancanza di autorizzazione; assumendo, al contrario, rilevanza penale in relazione al superamento dei limiti di immissione come espressamente previsto dall’art. 59 comma 5, poi modificato, come si è detto, dal d.lgs. 258\2000.
Da ciò consegue che la disciplina delle acque trova applicazione in tutti quei casi nei quali si è in presenza di uno scarico di acque reflue (liquide o semiliquide) in uno dei corpi recettori individuati dalla legge (acque superficiali, suolo, sottosuolo, rete fognaria) effettuato tramite condotta (ovvero tramite tubazioni, o altro sistema stabile) anche se soltanto periodico, discontinuo o occasionale. In ogni altro caso, nel quale venga a mancare il nesso funzionale e diretto delle acque reflue con il corpo recettore, si applicherà la disciplina in tema di rifiuti, ove configurabile.
La giurisprudenza di questa Corte ha anche evidenziato la irrilevanza, in ordine alla nozione di scarico, di considerazioni attinenti alla accidentalità dello scarico stesso o alla sua episodicità, pur dandosi atto che, nel caso di uno sversamento, non ragionevolmente prevedibile, provocato da negligenza del soggetto agente, non possa pretendersi la presentazione da parte di quest'ultimo di una regolare richiesta di autorizzazione (Sez. 3, n. 5239 del 15/12/2016 (dep. 2017), Buja, Rv. 26898901. V. anche Sez. 3, n. 47038 del 7/10/2015, Branca, Rv. 26555401).
4. Venendo alla specifiche censure contenute in ricorso, va rilevato che risulta accertata in fatto, nel giudizio di merito, la continuità tra l’origine dello scarico ed il corpo ricettore, sicché deve escludersi l’applicabilità della diversa disciplina dei rifiuti.
Quanto alla invocata accidentalità o occasionalità dello scarico, il dato certo, risultante dalla sentenza di merito, della quantità di liquido sversato e, sopratutto, del taglio della grata di protezione della caditoia, appositamente effettuato per favorire il deflusso, evidenziano, al contrario, che il convogliamento in pubblica fognatura era in effetti voluto, tanto che si operava sulla caditoia per modificarne l’originaria apertura e che l’evento, asseritamente accidentale, dello sversamento per errore di parte del vino grezzo in fase di travaso, sarebbe stato comunque antecedente allo scarico, avvenuto dopo la predisposizione della caditoia e l’ulteriore impiego delle acque di raffreddamento per la pulizia di quanto versato.
Non va inoltre sottaciuto che, secondo quanto affermato in ricorso (pag. 8), successivamente ai fatti per cui è processo sarebbe stata presentata dalla ricorrente, sebbene per conto della società ove veniva stoccato il vino grezzo, una richiesta di autorizzazione allo scarico di acque reflue industriali, cosa che non sarebbe stata necessaria se lo scarico, come sostenuto, fosse stato conseguenza di un evento meramente accidentale ed occasionale, verosimilmente destinato, quindi, a non ripetersi in futuro.
5. Inapplicabile risulta, inoltre, nella fattispecie, la disciplina regionale richiamata in ricorso.
La legge regionale 15 maggio 2002, n.13 stabilisce, nell’art. 18, comma 25 che “ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, per quanto non disposto dal comma 26, si applicano i criteri di assimilazione alle acque reflue domestiche indicati all'articolo 2 del decreto Presidente della Repubblica 19 ottobre 2011, n. 227 (Regolamento per la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle imprese, a norma dell'articolo 49, comma 4-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122)”.
Sostiene la ricorrente che, nel caso in esame, andrebbero applicati i criteri di assimilazione alle acque reflue domestiche di cui all’art. 2, comma 1, lett. c) del d.P.R. 227/2011, il quale si riferisce alle “acque reflue provenienti dalle categorie di attività elencate nella tabella 2 dell'Allegato A, con le limitazioni indicate nella stessa tabella”, segnatamente richiamando il punto 22 della citata tabella, nella quale vengono considerate le “piccole aziende agroalimentari appartenenti ai settori lattiero-caseario, vitivinicolo e ortofrutticolo, che producano quantitativi di acque reflue non superiori a 4000 m3/anno e quantitativi di azoto, contenuti in dette acque a monte della fase di stoccaggio, non superiori a 1000 kg/anno”.
La sussistenza di tali specifici presupposti di fatto andava prospettata al giudice del merito ed opportunamente dimostrata, trattandosi di disciplina derogatoria a principi generali in materia di scarichi e non può essere quindi lamentato in questa sede che il giudice non ne avrebbe tenuto conto.
6. Quanto all’art. 101, comma 7 d.lgs. 152\06, del quale pure si deduce la mancata applicazione nel giudizio di merito, deve rilevarsi che lo stesso dispone l’assimilazione alle acque reflue domestiche di diverse categorie di acque, tra le quali, secondo quanto asserito dalla ricorrente, rientrerebbe l’attività svolta dalla azienda da lei rappresentata.
A quanto è dato rilevare dal tenore del ricorso, il riferimento riguarderebbe la lettera c) del comma 7, la quale contempla i reflui provenienti da imprese dedite alle attività di coltivazione del terreno e/o silvicoltura o di allevamento di bestiame che esercitano anche attività di trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola, inserita con carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata proveniente in misura prevalente dall’attività di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità.
Si tratta, anche in questo caso, di mera asserzione del tutto indimostrata, che riguarda situazioni particolari, la cui dimostrata sussistenza consente di assimilare reflui, che altrimenti andrebbero considerati come industriali, a quelli domestici.
In entrambi i casi appena considerati, dunque, l’assimilazione riguarda acque reflue evidentemente qualificabili come industriali ad acque reflue domestiche, derogando quindi all’ordinario regime cui detti reflui sarebbero altrimenti sottoposti ma solo in presenza di determinate condizioni che la legge individua specificamente e la cui sussistenza deve, pertanto, essere dimostrata.
Una simile necessità è già stata affermata, in passato, dalla giurisprudenza di questa Corte, seppure con riferimento a disposizioni normative ormai abrogate (cfr. Sez. 3, n. 4500 del 17/11/2005 (dep. 2006), Boschetti, Rv. 23328301 e la ancor meno recente Sez. 3, n. 421 del 10/11/1982 (dep.1983), Mazzola, Rv. 15696301).
7. Va pertanto affermato che, in materia di inquinamento idrico, l’assimilazione, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, di determinate acque reflue alle acque reflue domestiche deve ritenersi subordinata alla prova della esistenza delle condizioni individuate dalle leggi che la prevedono, restando applicabili, in difetto, le regole ordinarie.
8. Per ciò che concerne, poi, il secondo motivo di ricorso, va rilevato che lo stesso risulta generico ed articolato con argomentazioni in fatto che non possono essere oggetto di valutazione da parte di questo giudice di legittimità.
Tutte le attività svolte in occasione dei fatti oggetto di contestazione vengono riferite, in sentenza, a dipendenti della ricorrente e lo stesso avviene in ricorso.
9. Resta da ricordare, riguardo al terzo motivo di ricorso, che, per quanto è dato rilevare dalla sentenza impugnata e dal ricorso, l’imputato ed il suo difensore non hanno prospettato al giudice del merito la questione della particolare tenuità del fatto e, secondo quanto già affermato da questa Corte, quando la sentenza di merito è successiva alla vigenza della nuova causa di non punibilità, la questione dell'applicabilità dell'art. 131-bis cod. pen. non può essere posta per la prima volta nel giudizio di legittimità come motivo di violazione di legge (cfr. Sez. 6, n. 20270 del 27/4/2016, Gravina, Rv. 26667801; Sez. 7, n. 43838 del 27/5/2016, Savini, Rv. 26828101), né può affermarsi, in assenza di specifica richiesta, che nella fattispecie il giudice avesse l’obbligo di pronunciarsi comunque.
10. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento .
Così deciso in data 28.6.2017