TAR Piemonte, Sez. II, n. 1072, del 10 ottobre 2013
Urbanistica.Indirizzi generali e criteri di programmazione urbanistico-commerciale per l’insediamento del commercio al dettaglio in sede fissa stabiliti dalla Regione
I piani urbanistici comunali sono soggetti, oltre che ai criteri di programmazione urbanistica emanati dalle Regioni, anche agli indirizzi generali per l’insediamento delle attività commerciali di competenza sempre regionale, che hanno tra le loro finalità anche quella di assicurare l’equilibrato sviluppo delle diverse tipologie distributive e, quindi, possono perseguire obiettivi di politica economica che non attengono soltanto all’aspetto spaziale ed edilizio in senso stretto. In tal modo, si è affermato che i profili dirigistici propri della soppressa programmazione economica del commercio sarebbero stati, almeno in parte, recuperati e riproposti nella veste di prescrizioni da inserire negli strumenti urbanistici, con il sostanziale allargamento oltre l’urbanistica del campo degli interessi valutabili e perseguibili da parte delle Regioni e degli enti locali. Ciò vale, in modo più pregnante, per la media e la grande distribuzione commerciale, rispetto alla quale la normativa statale e regionale ha sostanzialmente conservato il sistema binario sottoponendo le attività commerciali ad una duplice programmazione, urbanistica (per la conformazione della proprietà immobiliare) e settoriale (per la conformazione dell’iniziativa economica privata), a cui fa riscontro la duplicità ed autonomia dei titoli abilitativi necessari per l’insediamento dell’attività (permesso di costruire ed autorizzazione commerciale). (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 01072/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00098/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 98 del 2013, proposto da:
Valico s.a.s. di Maina Antonio & C., rappresentata e difesa dagli avv.ti Paolo Scaparone e Alberto Cerutti, con domicilio eletto presso il primo in Torino, via S. Francesco d’Assisi, 14;
contro
Comune di Candiolo, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Martino, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, via Stefano Clemente, 22;
per l'annullamento
- della deliberazione del Consiglio comunale di Candiolo 27 novembre 2012 n. 34, avente ad oggetto: “approvazione degli indirizzi generali e dei criteri di programmazione urbanistico-commerciale per l’insediamento del commercio al dettaglio in sede fissa stabiliti dalla Regione Piemonte nella D.C.R. n. 563-13414/99 e s.m.”, nella parte specificata in ricorso;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Candiolo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 luglio 2013 il dott. Savio Picone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La società ricorrente espone di essere proprietaria di alcuni terreni situati nel Comune di Candiolo, classificati in zona “I” a destinazione produttiva e ricettiva secondo il vigente piano regolatore generale (art. 21 delle norme tecniche di attuazione), che ne assoggetta l’edificazione alla preventiva approvazione di un piano esecutivo convenzionato (p.e.c.).
Con deliberazione n. 36 del 24 maggio 2011, il Consiglio comunale di Candiolo ha approvato il p.e.c. di iniziativa privata, avente ad oggetto un intervento di costruzione di fabbricati suddivisi in sei unità immobiliari a destinazione industriale, artigianale, terziaria e commerciale.
La convenzione urbanistica è stata sottoscritta dal Comune e dalla società proponenti (l’odierna ricorrente Valico s.a.s. di Maina Antonio & C. e la Intereco di Boaglio Ing. Fulvio & C. s.n.c.) in data 21 luglio 2011. I relativi permessi di costruire non sono stati ancora rilasciati.
Con l’impugnata deliberazione n. 34 del 27 novembre 2012, il Comune ha approvato gli indirizzi generali ed i criteri di programmazione urbanistico-commerciale per l’insediamento del commercio al dettaglio in sede fissa, recependo gli indirizzi stabiliti dalla Regione Piemonte nella delibera n. 563-13414 del 29 ottobre 1999.
La società ricorrente chiede l’annullamento della delibera comunale, nella parte in cui qualifica la descritta area di sua proprietà come priva delle caratteristiche necessarie per la classificazione “localizzazione commerciale urbano periferica L2”, così precludendo la possibilità di realizzarvi un insediamento commerciale al dettaglio. In particolare, nei capitoli IV e V della delibera viene stabilito che non si individuano, nel territorio del Comune di Candiolo, aree che abbiano le caratteristiche per essere classificate come “localizzazioni commerciali urbano periferiche non addensate L2”, ai sensi dell’art. 14, quarto comma, della delibera della Regione Piemonte n. 563-13414 del 29 ottobre 1999. Quanto alle conseguenti modifiche da apportare agli strumenti urbanistici, l’art. 1 del capitolo V della delibera comunale dispone che con successivi provvedimenti saranno adeguati ai nuovi indirizzi sia il piano regolatore generale che il regolamento di polizia locale ed annonaria, nel rispetto di quanto prescritto dall’art. 6 del d.lgs. n. 114 del 1998 e dall’art. 4 della legge regionale n. 28 del 1999.
L’impugnativa è affidata a motivi così riassumibili:
1) violazione degli artt. 3 e 11 della legge n. 241 del 1990, violazione dell’art. 38 delle n.t.a. del piano regolatore generale, violazione del principio di affidamento ed eccesso di potere per difetto di motivazione, illogicità e contraddittorietà: il Comune avrebbe immotivatamente disatteso l’impegno assunto con l’approvazione del p.e.c. e la sottoscrizione della convenzione urbanistica;
2) violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, violazione degli artt. 6 e 8 del d.lgs. n. 114 del 1998, violazione degli artt. 3 e 4 della legge regionale n. 28 del 1999, violazione della delibera della Regione Piemonte n. 563-13414 del 29 ottobre 1999 ed eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà e travisamento dei presupposti: sul piano sostanziale, il Comune avrebbe ingiustificatamente trascurato che l’area di proprietà della ricorrente risponde a tutti i parametri tecnici ed urbanistici (distanza e consistenza del nucleo residenziale, superficie minima, distanza minima da altra localizzazione analoga, distanza da addensamenti urbani) per l’insediamento delle “localizzazioni commerciali urbano periferiche non addensate L2”; sul piano procedimentale, il Comune avrebbe illegittimamente scisso l’esercizio della funzione di programmazione in materia commerciale dalla correlata funzione di pianificazione urbanistica, rinviando l’adeguamento del piano regolatore generale ad una successiva delibera di variante.
Si è costituito il Comune di Candiolo, eccependo l’inammissibilità del ricorso e chiedendone in ogni caso il rigetto.
L’istanza cautelare è stata respinta con ordinanza di questa Sezione n. 183 del 9 maggio 2013.
Le parti hanno svolto difese in vista della pubblica udienza del 3 luglio 2013, nella quale la causa è passata in decisione.
DIRITTO
1. La difesa del Comune di Candiolo eccepisce l’inammissibilità dell’impugnativa per un duplice profilo: in primo luogo, perché l’area di proprietà della ricorrente non avrebbe, a suo dire, destinazione commerciale secondo le previsioni del piano regolatore generale e del p.e.c. approvato nel 2011; inoltre, perché la delibera consiliare di approvazione dei criteri di programmazione urbanistico-commerciale non avrebbe, a suo dire, efficacia direttamente lesiva in difetto del recepimento nello strumento urbanistico comunale delle direttive così formulate.
Entrambe le eccezioni non sono fondate.
1.1. Quanto al primo profilo, è sufficiente rilevare che la tabella di zona n. 65 del piano regolatore, nell’indicare la destinazione d’uso produttiva per la zona “I” rinvia alla disciplina dell’art. 21 delle norme tecniche di attuazione, ove si dispone testualmente che “… è consentita inoltre l’installazione di laboratori di ricerca e di analisi, magazzini, commercio all’ingrosso, strutture commerciali (rivolte alle imprese ed alle famiglie, con accessibilità prevalentemente veicolare), depositi, silos, rimesse, uffici ed esposizioni connessi all’attività di produzione industriale, ristorazione, pubblici esercizi, nonché le edificazioni per il titolare e per il personale addetto alla sorveglianza e manutenzione degli impianti”.
Coerentemente, l’art. 7 delle norme di attuazione del p.e.c. dispone che “l’intervento progettato propone la realizzazione di fabbricati suddivisi in sei unità immobiliari a destinazione industriale – artigianale – terziaria – commerciale”.
Non ha rilevanza, in questa fase, la questione della misura degli oneri di urbanizzazione e della sufficienza delle aree destinate a standard e parcheggio, in relazione alla destinazione d’uso commerciale. Gli artt. 3 e 7 della convenzione che accede al p.e.c., infatti, rinviano al momento del rilascio dei singoli permessi di costruire la verifica circa l’esatta misura delle superfici da cedere al Comune o da destinare a standard e l’esatto ammontare del contributo di costruzione.
1.2. Sussiste, poi, l’interesse attuale e concreto della società ricorrente a chiedere l’annullamento della delibera n. 34 del 27 novembre 2012, nella parte che esclude che nel territorio comunale vi siano aree classificabili come “localizzazioni commerciali urbano periferiche non addensate L2”, ai sensi dell’art. 14, quarto comma, della delibera della Regione Piemonte n. 563-13414 del 29 ottobre 1999.
In proposito, se può rinviarsi a quanto si dirà appresso circa la natura ed il contenuto degli atti comunali di programmazione urbanistico-commerciale, non può esser dubbio sul piano processuale che l’approvazione, da parte del Comune, di un atto generale che esclude la possibilità di insediamento di talune tipologie di strutture commerciali, e che in quanto tale costituisce un vincolo negativo per ogni futura variazione dello strumento urbanistico generale, presenta per i proprietari delle aree aventi destinazione d’uso commerciale un carattere di immediata lesività che ne giustifica (ed anzi, a ben vedere, ne impone) l’immediata impugnazione.
2. Nel merito, il ricorso è fondato.
2.1. L’art. 3 della legge regionale piemontese n. 28 del 1999 prevede che la Regione approvi gli indirizzi generali per l’insediamento delle attività commerciali ed i criteri di programmazione urbanistica per il commercio.
Questi ultimi, necessari “anche per gli adeguamenti urbanistici comunali”, riguardano in sintesi:
- le modalità, i criteri ed i parametri per il riconoscimento degli “addensamenti commerciali” e delle “localizzazioni commerciali”;
- i criteri e le modalità utili a definire la vocazione commerciale del territorio comunale ed il dimensionamento delle aree a destinazione d’uso commerciale;
- i vincoli di natura urbanistica preordinati alla tutela dei centri storici e dei beni culturali ed ambientali;
- i parametri relativi al fabbisogno di parcheggi ed i criteri per la regolamentazione delle aree di sosta adiacenti agli insediamenti commerciali;
- il coordinamento tra l’autorizzazione commerciale ed il permesso di costruire.
L’art. 4 della stessa legge prevede, per i Comuni, l’obbligo di “adeguare gli strumenti urbanistici generali ed attuativi ed i regolamenti di polizia locale”, nonché di adottare i criteri per il rilascio delle autorizzazioni commerciali, nel rispetto degli indirizzi e criteri formulati dalla Regione Piemonte.
L’adeguamento dei piani urbanistici deve riguardare:
- le aree da destinare agli insediamenti commerciali, con particolare riguardo alle medie e grandi strutture di vendita al dettaglio;
- i vincoli di tutela dei centri storici, dell’arredo urbano e dei beni artistici, culturali ed ambientali;
- gli ulteriori vincoli di natura urbanistica, con particolare riguardo al fabbisogno di spazi pubblici e parcheggi;
- il coordinamento tra l’autorizzazione commerciale ed il permesso di costruire.
La Regione Piemonte ha adempiuto ai propri compiti, approvando gli indirizzi generali ed i criteri di programmazione urbanistica con la delibera consiliare n. 563-13414 del 29 ottobre 1999: per quanto qui rileva, la Regione ha individuato due tipologie di localizzazione, quella “L1 – commerciale urbana non addensata” e quella “L2 – urbano periferica non addensata”.
2.2. Alla luce dei principi dettati in materia di commercio dal d.lgs. n. 114 del 1998 e dalla disciplina regionale piemontese, non può condividersi il radicale assunto di parte ricorrente, secondo cui l’approvazione degli indirizzi e dei criteri di programmazione urbanistico-commerciale dovrebbe necessariamente coincidere, al livello comunale, con l’adeguamento del piano regolatore generale e dei piani attuativi vigenti.
In effetti, si registra in dottrina ed in giurisprudenza una tesi per la quale, dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 114 del 1998, i rapporti tra programmazione del commercio e pianificazione urbanistica sarebbero ormai completamente ridisegnati a favore di quest’ultima, restituita al suo ruolo egemone di strumento di regolazione e di attrazione di tutti gli interessi che gravitano sul territorio, quale funzione capace di esprimerne al meglio la sintesi e di tradurli in scelte conformative degli usi del suolo, così sostituendosi al tradizionale sistema “dualistico” (della sommatoria di un piano del commercio al piano urbanistico) il sistema “monistico” della tutela unitaria degli interessi generali che ruotano intorno al commercio ed all’uso del territorio, nell’obiettivo della fusione della disciplina del commercio e di quella urbanistica (si veda in giurisprudenza, sebbene con riferimento a diversa legislazione regionale: TAR Campania, Napoli, sez. II, 13 marzo 2008 n. 4861; Id., sez. VIII, 28 aprile 2010 n. 2192).
Appare invece preferibile l’interpretazione della prevalente dottrina, la quale ha correttamente posto in evidenza che i piani urbanistici comunali sono soggetti, oltre che ai criteri di programmazione urbanistica emanati dalle Regioni, anche agli indirizzi generali per l’insediamento delle attività commerciali di competenza sempre regionale, che hanno tra le loro finalità anche quella di assicurare l’equilibrato sviluppo delle diverse tipologie distributive e, quindi, possono perseguire obiettivi di politica economica che non attengono soltanto all’aspetto spaziale ed edilizio in senso stretto. In tal modo, si è affermato che i profili dirigistici propri della soppressa programmazione economica del commercio sarebbero stati, almeno in parte, recuperati e riproposti nella veste di prescrizioni da inserire negli strumenti urbanistici, con il sostanziale allargamento oltre l’urbanistica del campo degli interessi valutabili e perseguibili da parte delle Regioni e degli enti locali.
Ciò vale, in modo più pregnante, per la media e la grande distribuzione commerciale, rispetto alla quale la normativa statale e regionale ha sostanzialmente conservato il sistema binario sottoponendo le attività commerciali ad una duplice programmazione, urbanistica (per la conformazione della proprietà immobiliare) e settoriale (per la conformazione dell’iniziativa economica privata), a cui fa riscontro la duplicità ed autonomia dei titoli abilitativi necessari per l’insediamento dell’attività (permesso di costruire ed autorizzazione commerciale).
Non si fa questione, data l’assenza di apposite censure di parte ricorrente, degli effetti di liberalizzazione connessi all’entrata in vigore del d.lgs. n. 59 del 2010, di attuazione della direttiva 2006/123/CE, nel cui campo di applicazione rientrano anche le attività ed i servizi di vendita al dettaglio.
2.3. Con specifico riguardo alla controversia in esame, l’irriducibilità alla pianificazione urbanistica della complessa funzione comunale di programmazione e disciplina delle attività commerciali non impedisce tuttavia che, dalla prima, debbano mutuarsi ed applicarsi taluni principi fondamentali e, in primo luogo, il principio di tutela dell’affidamento ingenerato dalla stipulazione con soggetti privati di convenzioni attuative, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa.
In tal senso, la variante urbanistica che imprime una nuova destinazione più sfavorevole ad aree che sono state già diversamente classificate necessita di puntuale motivazione, quando l’amministrazione abbia creato in capo ai titolari specifiche aspettative che risultano fondate su atti di contenuto concreto, quali la stipula della convenzione di lottizzazione (cfr., tra molte, Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2010 n. 2545; Id., sez. IV, 26 ottobre 2012 n. 5492).
L’onere rafforzato di motivazione costituisce esplicazione del generale principio di tutela dell’affidamento, che trova fondamento nell’ordinamento comunitario (cfr., tra molte, Corte Giust. CE 19 maggio 1983, C-289/81, Mavridis; Id., 8 giugno 2000, C-396/98, Grundstuckgemeinschaft), quale corollario del generale principio di certezza del diritto nonché, secondo diversa ricostruzione, quale espressione del generale obbligo di comportarsi lealmente e secondo buona fede all’interno del rapporto giuridico. Sul piano costituzionale, la dottrina e la giurisprudenza ne hanno individuato il fondamento negli artt. 2, 3 e 97 della Costituzione, quale espressione rispettivamente del dovere di solidarietà, del principio di uguaglianza e ragionevolezza, del principio di imparzialità (cfr. Corte cost. 4 novembre 1999 n. 416).
Nel nostro ordinamento, il principio si traduce in un limite all’adozione di provvedimenti negativi o sfavorevoli emanati a notevole distanza temporale dal verificarsi della fattispecie legittimante, ovvero in presenza di elementi che rendano razionalmente ammissibile la conservazione di effetti prodotti dal provvedimenti illegittimi, ovvero in presenza di un contegno tenuto dall’amministrazione che sia idoneo a suscitare falsi affidamenti.
Nella specie, il Comune di Candiolo ha immotivatamente disatteso la destinazione urbanistica impressa all’area di proprietà della ricorrente, con la propria deliberazione n. 36 del 24 maggio 2011 (di approvazione del p.e.c. di iniziativa privata, avente ad oggetto un intervento di costruzione di fabbricati suddivisi in sei unità immobiliari a destinazione industriale, artigianale, terziaria e commerciale), alla quale è seguita la stipula della convenzione urbanistica con le società proponenti (l’odierna ricorrente Valico s.a.s. di Maina Antonio & C. e la Intereco di Boaglio Ing. Fulvio & C. s.n.c.) in data 21 luglio 2011.
La delibera comunale, nella parte in cui esclude del tutto la presenza di zone classificabili come “localizzazioni commerciali urbano periferiche non addensate L2”, ai sensi dell’art. 14, quarto comma, della delibera della Regione Piemonte n. 563-13414 del 29 ottobre 1999 (così prefigurando un’imminente ed altrettanto sfavorevole variante al piano regolatore generale), risulta carente di istruttoria e di motivazione, in relazione all’area di proprietà della ricorrente.
3. Per quanto detto, il ricorso è fondato.
E’ conseguentemente annullata la deliberazione del Comune di Candiolo n. 34 del 27 novembre 2012, nella parte in cui qualifica l’area di proprietà della ricorrente come priva delle caratteristiche necessarie per la classificazione “localizzazione commerciale urbano periferica L2”.
Le spese processuali possono essere compensate, attesa la novità e complessità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 3 luglio 2013 con l’intervento dei magistrati:
Savio Picone, Presidente FF, Estensore
Ofelia Fratamico, Primo Referendario
Antonino Masaracchia, Primo Referendario
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IL PRESIDENTE, ESTENSORE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/10/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)