TAR Piemonte, Sez. II, n. 735, del 14 giugno 2013
Urbanistica. Natura pertinenziale di gattile in legno e lamiera, chiuso da recinzione metallica destinato a ricovero di animali
Il modesto fabbricato per ricovero animali, manifestamente privo di autonomo valore di mercato e funzionalmente collegato con l’edificio principale, perché in quest’ultimo vive la padrona di casa che si occupa di prendersi cura dei gatti, è opera pertinenziale ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e. 6, del d.P.R. n. 380 del 2001. Dunque, il gattile non può essere considerata “nuova costruzione” ai fini di ritenere necessaria l’adozione di un apposito permesso di costruire e risulta pertanto assoggettata al regime più blando della d.i.a. ai sensi dell’art. 22, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00735/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00412/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 412 del 2006, proposto da:
GIUSEPPE GOGLIO, rappresentato e difeso dagli avv. Riccardo Ludogoroff, Maria Teresa Fanzini, con domicilio eletto presso Riccardo Ludogoroff in Torino, corso Montevecchio, 50;
contro
COMUNE DI TORINO, rappresentato e difeso dagli avv. Donatella Spinelli, Elisabetta Boursier, con domicilio eletto presso Donatella Spinelli in Torino, via Corte D'Appello, 16;
COMUNE DI TORINO - DIVISIONE URBANISTICA -SETTORE DENUNCE INIZIO ATTIVITÀ;
per l'annullamento
- del provvedimento 6 febbraio 2006, ricevuto l'8 febbraio 2006, con il quale la Città di Torino - Divisione Urbanistica ed Edilizia Privata - Settore Denunce Inizio Attività - relativamente alla D.I.A. protocollo 2006-9-554 presentata dal ricorrente in data 17/01/2006, ha comunicato che non è possibile richiedere l'accertamento di conformità ai sensi dell'art. 37 comma 4 del D.P.R. 380/01;
- di ogni altro atto comunque connesso al procedimento.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Torino;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2013 il dott. Antonino Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con nota del 17 gennaio 2006 il sig. Giuseppe Goglio aveva presentato, al Comune di Torino, istanza di sanatoria ex art. 37, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001 per ottenere la regolarizzazione di un basso fabbricato, già realizzato sin dal 1996 nella sua proprietà in assenza di dichiarazione di inizio di attività (d.i.a.). Si trattava, nello specifico, di un’opera in legno e lamiera, chiusa da recinzione metallica, delle dimensioni di mt. 10,90 x 8,00, destinata a ricovero di animali (gatti). La risposta del Comune, giunta con provvedimento del 6 febbraio 2006 (senza numero) è stata di diniego: ciò, sulla base della triplice motivazione per cui a) trattavasi – secondo il Comune – di “intervento di nuova costruzione”, come tale non soggetto alla normativa sulla d.i.a.; b) la zona è soggetta a vincolo ex d.lgs. n. 42 del 2004, sicché l’autorizzazione paesaggistica sarebbe stata “in contrasto con l’art. 146 comma 10 lett. C Parte III° D.lgs. 42/2004” (quale vigente all’epoca dei fatti); c) si rilevava contrasto con le norme urbanistiche vigenti, ossia con l’art. 22, comma 12, delle n.u.e.a. – Norme urbanistiche e di attuazione del PRG, “in quanto l’intervento ricade in un’area a Parco Collinare P10 (Zona a Verde Privato con Preesistenze Edilizie)”, e con l’art. 30, comma 5, della legge della Regione Piemonte n. 56 del 1977, “in quanto l’area è soggetta a vincolo idrogeologico con classe di dissesto 5a”.
Non ritenendo legittimo siffatto diniego il sig. Goglio l’ha impugnato dinnanzi a questo TAR, chiedendone l’annullamento. Questi, in sintesi, i motivi a sostegno del gravame:
- travisamento dei fatti e difetto di istruttoria: l’intervento contestato costituirebbe solo un “gattile”, ossia “un’opera marginale, priva di autonomia e posta al servizio della casa padronale”, come tale assoggettabile al regime delle pertinenze edilizie e, quindi, al regime della d.i.a.;
- violazione ed erronea applicazione dell’art. 146, comma 10, lett. c, del d.lgs. n. 42 del 2004, in relazione a quanto previsto dall’art. 167 del medesimo d.lgs. (norma che, in caso di violazione dei vincoli paesaggistici, concede la possibilità alternativa dell’applicazione della sanzione pecuniaria rispetto alle misure di carattere ripristinatorio, così ammettendo la conservazione delle opere sfornite di titolo);
- falsa applicazione dell’art. 22, comma 12, n.u.e.a.: il divieto di edificazione ivi stabilito, secondo il ricorrente, era strettamente collegato all’avvenuta realizzazione di un parco sulla base di specifici piani urbanistici esecutivi da approvarsi entro 5 anni; poiché nessuno strumento urbanistico è mai stato approvato entro i termini prescritti, la specifica previsione delle n.u.e.a. invocata dall’amministrazione non potrebbe che considerarsi “decaduta e inefficace”;
- difetto di istruttoria: si tratterebbe di opera modesta, non in grado di alterare alcun equilibrio idrogeologico, non essendosi peraltro l’ufficio competente “minimamente curato di verificare la natura dell’intervento contestato e la sua incidenza sul territorio”;
- carenza di motivazione in ordine all’“indispensabile bilanciamento tra interesse pubblico e affidamento del soggetto privato”, trattandosi di opera realizzata “nel lontano 1997 e mai prima d’ora [...] oggetto di alcun rilievo da parte dell’Amministrazione”.
2. Si è costituito in giudizio il Comune di Torino, in persona del Sindaco pro tempore, chiedendo il rigetto del gravame con mera memoria di stile.
Solo in data 19 aprile 2013, ossia nell’imminenza della pubblica udienza di discussione, il Comune ha depositato documenti insieme ad una memoria difensiva, prendendo posizione sui singoli motivi di gravame.
Il ricorrente ha brevemente replicato con memoria depositata il 30 aprile 2013.
Alla pubblica udienza del 22 maggio 2013, quindi, la causa è stata trattenuta in decisione.
3. Il ricorso è fondato. Le censure avanzate da parte ricorrente, infatti, sono tali da far cadere tutti i presupposti motivazionali del provvedimento gravato.
Con riferimento alla motivazione sub a) del provvedimento di diniego, deve rilevarsi – come correttamente rappresentato dal ricorrente – che l’operade qua, sia per le modeste dimensioni che la caratterizzano, sia per la sua destinazione funzionale,ha natura meramente pertinenziale all’edificio principale di proprietà del ricorrente. Deve ricordarsi, in proposito, che in materia urbanistica la nozione di pertinenzialità ha peculiarità sue proprie che la differenziano da quella civilistica, atteso che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere, oltre che di volume modesto affinché non comporti il c.d. carico urbanistico, altresì sfornito di autonoma destinazione ed autonomo valore di mercato in virtù dell'instaurazione di un legame giuridico-funzionale stabile tra pertinenza e singola unità immobiliare, legame a causa del quale l'una e l'altra non possano utilizzarsi e disporsi separatamente (cfr. ex multis, di recente, Cons. Stato, sez. V, n. 2159 del 2011; TAR Puglia, Bari, sez. III, n. 245 del 2012; TAR Piemonte, sez. II, nn. 534 e 809 del 2012). Nel caso di specie, si tratta solo di un modesto fabbricato per ricovero animali, manifestamente privo di autonomo valore di mercato e funzionalmente collegato con l’edificio principale (non fosse altro perché in quest’ultimo vive la padrona di casa che si occupa di prendersi cura dei gatti). Esso, pertanto, giusta la definizione di opera pertinenziale ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e. 6, del d.P.R. n. 380 del 2001, non può essere considerata “nuova costruzione” ai fini di ritenere necessaria l’adozione di un apposito permesso di costruire e risulta pertanto assoggettata al regime più blando della d.i.a. ai sensi dell’art. 22, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001. Ne consegue che era ben possibile per il ricorrente domandarne la sanatoria, ai sensi e secondo le condizioni previste dall’art. 37, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001.
Con riferimento alla motivazione sub b), il Collegio rileva che, al momento dell’adozione del provvedimento impugnato, l’art. 146, comma 10, lett. c, del d.lgs. n. 42 del 2004 in nessuna ipotesi consentiva il rilascio in sanatoria dell’autorizzazione paesaggistica successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi. Tuttavia, trattandosi nella specie di intervento di modestissime dimensioni, tale peraltro da non determinare la creazione di superfici utili o nuovi volumi, appare corretta l’invocazione dell’art. 167 del medesimo d.lgs. n. 42 del 2004 laddove – nel prevedere la soluzione del pagamento di una sanzione pecuniaria, in alternativa all’ordine di ripristino – il legislatore ha mostrato, già all’epoca, di acconsentire (sia pure in limitate ipotesi, e solo al momento della valutazione delle conseguenze dell’abuso) al mantenimento di opere rimaste prive dell’autorizzazione paesaggistica. Tale soluzione appare praticabile vieppiù nella nuova cornice legislativa, quale già emendata pochi mesi dopo l’adozione del provvedimento gravato: deve infatti rilevarsi che, già a partire dal 12 maggio 2006, è entrato in vigore un nuovo testo degli artt. 146 e 167 del d.lgs. n. 42 del 2004, quale introdotto dal d.lgs. n. 157 del 2006 (poi ulteriormente modificato dal d.lgs. n. 63 del 2008), a norma del quale è adesso possibile la sanatoria paesaggistica, anche successivamente alla realizzazione degli interventi, nelle ipotesi di cui al (nuovo) art. 167, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 42 del 2004, ossia anche per l’ipotesi in cui si tratti di intervento di modeste dimensioni che non incida sulle superfici o sui volumi.
Quanto, poi, alla motivazione sub c), essa si appalesa illegittima alla luce della fondatezza delle ulteriori censure avanzate dal ricorrente. Per un verso, infatti, il divieto di costruire contemplato dall’art. 22, comma 12, delle n.u.e.a. era strettamente collegato alla realizzazione, in quelle aree, di “un parco nel quale sia tutelato l’ambiente naturale garantendo condizioni di fruibilità collettiva sulla base di specifici piani urbanistici esecutivi di sistemazione generale, relativi a ciascun ambito o a parti di esso, da approvarsi entro 5 anni dall’approvazione del P.R.G.”. Il comma 12, invero, stabiliva il divieto di nuove edificazioni “all’interno del parco”, con il che chiaramente si subordinava l’operatività del divieto all’avvenuta realizzazione del parco. E’ pacifico, peraltro, che i 5 anni previsti dalla norma siano ormai trascorsi senza che alcun piano urbanistico sia mai stato approvato: corretta è quindi l’osservazione di parte ricorrente, secondo la quale tali previsioni sono ormai decadute ed inefficaci.
Per altro verso, poi, l’esistenza del vincolo idrogeologico ex art. 30 della legge regionale n. 56 del 1977 avrebbe dovuto far attivare l’amministrazione in ordine ad una verifica sulla natura dell’intervento e sulla sua concreta incidenza sul territorio, in quanto, trattandosi di opera di tipo precario e costituita con struttura leggera di modestissime dimensioni, e salvo evidenza contraria, essa non appare obiettivamente in grado di mettere in pericolo la stabilità dell’area interessata.
4. In definitiva, assorbiti gli ulteriori motivi, il ricorso è da accogliere, con conseguente annullamento dell’impugnato diniego. In attuazione della presente sentenza, pertanto, l’amministrazione dovrà ripronunciarsi sull’originaria domanda di sanatoria avanzata dal ricorrente, in particolare approfondendo dovutamente l’istruttoria in ordine agli eventuali profili di pericolosità idrogeologica che il mantenimento del manufatto potrebbe comportare.
In considerazione della perdurante necessità, appena segnalata, di un nuovo pronunciamento da parte dell’amministrazione sull’originaria istanza di sanatoria, il Collegio individua giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione seconda, definitivamente pronunciando,
Accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento del 6 febbraio 2006 (senza numero) del Comune di Torino.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Salamone, Presidente
Savio Picone, Primo Referendario
Antonino Masaracchia, Primo Referendario, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/06/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)