Cass. Sez. III n. 9619 del 27 febbraio 2014 (Ud. 17 gen. 2014)
Pres. Teresi Est. Gentile Ric. Dalle Nogare ed altro
Rifiuti. Bonifiche ed obbligo di comunicazione

L'obbligo della comunicazione - come si ricava in modo univoco dall'esame della norma di cui all'art. 242, comma 1, d.lgs 152/2006, sussiste per il solo fatto del verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, senza necessità che si sia già verificato l'inquinamento.  L'obbligo di rispettare - quanto alla rimessione in falda delle acque reflue industriali provenienti dalla barriera idraulica, contenenti sostanze tossiche - i limiti delle tabelle allegate al d.lgs. 152/2006, sussiste anche nell'ipotesi di operazioni preliminari messa in sicurezza e non soltanto nell'ambito dell'attività di bonifica. La norma di cui all'art. 243, comma 5, del citato d.lgs 152/2006 non consente alcuna deroga del rispetto dei citati limiti in caso di operazioni limitate alla messa in sicurezza.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Trento, con sentenza emessa l'08/03/2013, confermava la sentenza del Tribunale di Trento, in data 20/07/2012, appellata da D.N.S. e T.P. (quali amministratori del Consorzio di Bonifica e Sviluppo Trento Nord) imputati dei reati di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 257, comma 1, secondo periodo; D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2; D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137 come contestati ai capi 1), 2), 3) della rubrica e condannati alla pena complessiva di mesi cinque di arresto e di Euro 10.000,00 di ammenda; con sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria di Euro 5.800,00 e così complessivamente alla pena di Euro 15.800,00 di ammenda.

2. Gli interessati proponevano ricorso per Cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e).

2.1. In particolare i ricorrenti, mediante articolate argomentazioni, esponevano le seguenti principali censure:

a) il responsabile in concreto della gestione del "Consorzio di Bonifica e Sviluppo Trento Nord" era A.R. (persona ormai deceduta), con conseguente esclusione della responsabilità penale degli attuali ricorrenti;

b) non ricorreva, quanto al reato di cui al capo 1) (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 257, comma 1), l'obbligo della comunicazione alla P.A. competente, sia perchè trattavasi non di inquinamento concreto, ma di mero pericolo di inquinamento; sia perchè la P.A. era già a conoscenza dell'evento derivante dalla fuoriuscita di acque sotterranee dalla barriera idraulica;

c) la decisione impugnata non era congruamente motivata quanto alla sussistenza degli elementi costitutivi dei reati contestati.

Tanto dedotto, i ricorrenti chiedevano l'annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

1.1.1 giudici di merito, mediante un esame analitico, esaustivo ed immune da errori di diritto, hanno accertato che D.N. S. e T.P., quali amministratori della Società Consorzio di Bonifica e Sviluppo Trento Nord, ente gestore della barriera idraulica dell'area, cd. " (OMISSIS) - nelle condizioni di tempo e di luogo come individuate in atti - avevano posto in essere le seguenti condotte illecite:

a) omettevano di effettuare la comunicazione di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 242 necessaria ed obbligatoria, a seguito del mancato funzionamento della "barriera idraulica", trattandosi di evento potenzialmente in grado di contaminare il sito adiacente all'area della cd. "(OMISSIS)" reato ex art. 257, comma 1, secondo periodo, cit. D.Lgs.; capo 1) della rubrica;

b) abbandonavano o comunque depositavano in maniera incontrollata, nei pressi dell'impianto di trattamento del Consorzio, circa 5 m.c. di rifiuti speciali pericolosi provenienti dalle operazioni di sostituzione del filtro a sabbia; detti rifiuti solidi erano provenienti dalle operazioni di bonifica dei terreni contenenti sostanze pericolose (codice CER 19.13.01); ossia materiali ecotossici (H14) reato D.Lgs. n. 152 del 2006, ex art. 256, comma 2; capo 2) della rubrica;

c) effettuavano o consentivano che si effettuassero scarichi in falda, mediante rimessione di acque reflue provenienti dall'impianto di trattamento posto a presidio della "barriera idraulica"; acque reflue che avevano una concentrazione tossica superiore ai limiti previsti nelle tabelle allegate al predetto D.Lgs. n. 152 del 2006; il tutto come analiticamente indicata nel capo 3) di imputazione, attinente al reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137.

2. Le censure dedotte nel ricorso sono generiche perchè meramente ripetitive di quanto dedotto in sede di Appello, già esaminato e valutato esaustivamente dalla Corte Territoriale. Sono, altresì infondate perchè in contrasto con quanto accertato e congruamente motivato dai giudici del merito (vedi sentenza 2 grado pagg. 10 - 19). Dette doglianze, peraltro, costituiscono nella sostanza eccezioni in punto di fatto, poichè non inerenti ad errori di diritto o vizi logici della decisione impugnata, ma alle valutazioni operate dai giudici di merito. Si chiede, in realtà, al giudice di legittimità una rilettura degli atti probatori, per pervenire ad una diversa interpretazione degli stessi, più favorevole alla tesi difensiva del ricorrente. Trattasi di censura non consentita in sede di legittimità perchè in violazione della disciplina di cui all'art. 606 cod. proc. pen..( Giurisprudenza consolidata: Sez. U, n. 6402 del 02/07/1997, rv 207944; Sez. U, n. 930 del 29/01/1996, rv 203428; Sez. 1, n. 5285 del 06/05/1998, rv 210543; Sez. 5, n. 1004 del 31/01/2000, rv 215745; Sez. 5, n. 13648 del 14/04/2006, rv 233381).

3. Ad abundantiam si osserva:

3.1. L'assunto difensivo, secondo cui era soltanto l'amministratore A.R. ad occuparsi della gestione della "barriera idraulica" (persona deceduta nelle more del procedimento) costituisce eccezione in punto di fatto. Detta circostanza fattuale, comunque, non escludeva la responsabilità degli attuali ricorrenti, che all'epoca dei fatti ricoprivano (unitamente all' A.) la carica di amministratori del "Consorzio di Bonifica e Sviluppo Trento Nord", con pienezza di poteri; entrambi abilitati ad esercitarli disgiuntamente. Non essendovi stata una delega formale nei confronti dell'amministratore A.R. per la gestione della "barriera idraulica", consegue che anche gli altri due amministratori, ossia gli attuali ricorrenti D.N.S. e T.P. erano responsabili della gestione delle attività e delle operazioni inerenti alla predetta "barriera idraulica" (vedi sentenza 2 grado pagg. 10 - 11).

3.2. La circostanza che la PA fosse già a conoscenza della presenza di sostanze inquinanti a valle della "barriera idraulica", non eliminava l'obbligo, a carico degli amministratori del Consorzio de quo, di provvedere alla comunicazione - indirizzata agli organi preposti - delle misure di prevenzione e messa in sicurezza che andavano adottate entro 24 ore al fine di impedire danni ambientali, il tutto ex artt. 257, comma 1 secondo periodo, art. 242 cit. D.Lgs. sez. 3 sent. n. 40856 del 21/10/2010.

3.3. L'obbligo della comunicazione - come si ricava in modo univoco dall'esame della norma di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 242, comma 1, sussiste per il solo fatto del verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, senza necessità che si sia già verificato l'inquinamento.

3.4. L'obbligo di rispettare - quanto alla rimessione in falda delle acque reflue industriali provenienti dalla barriera idraulica, contenenti sostanze tossiche tipo SIPA capo 3) della rubrica - i limiti delle tabelle allegate al D.Lgs. n. 152 del 2006, sussiste anche nell'ipotesi di operazioni preliminari messa in sicurezza e non soltanto nell'ambito dell'attività di bonifica. Al riguardo si osserva che la norma di cui al citato D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 242, comma 1, - diversamente da quanto sostenuto nel motivo 5 del ricorso - non consente alcuna deroga del rispetto dei citati limiti in caso di operazioni limitate alla messa in sicurezza.

3. Va dichiarato, pertanto, inammissibile il ricorso proposto da D.N.S. e T.P., con condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria che si determina in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2014.